Cavallazzi Archives - La Storia di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/tag/cavallazzi/ Mon, 05 Sep 2022 20:01:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 I manifesti in morte di Arnaldo Cavallazzi https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/i-manifesti-in-morte-di-arnaldo-cavallazzi/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/i-manifesti-in-morte-di-arnaldo-cavallazzi/#respond Mon, 10 May 2021 22:14:29 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=9072 a cura di Alessia Bruni Cavallazzi Alle 16 dell’11 di maggio 1946, 75 anni fa, morì Arnaldo Cavallazzi. Il giorno stesso, in un paese devastato dalla guerra, in cui tutto mancava, carta compresa, uscirono almeno 9 manifesti per per rendergli onore e ricordarlo a tutta la cittadinanza. Sono i manifesti …

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a cura di Alessia Bruni Cavallazzi

Alle 16 dell’11 di maggio 1946, 75 anni fa, morì Arnaldo Cavallazzi.
Il giorno stesso, in un paese devastato dalla guerra, in cui tutto mancava, carta compresa, uscirono almeno 9 manifesti per per rendergli onore e ricordarlo a tutta la cittadinanza.

Sono i manifesti dei suoi amici; degli anarchici; dei repubblicani (Sezione Oreste Zanelli); dei socialisti (Sezione Umberto Brunelli); di Tomaso Morini, Giuseppe Dari, Antonio Bosi, Giovanni Dalprato, Don Giuseppe Sermasi, Gustavo Gardini che con lui furono nella Consulta Comunale; dei volontari della squadra di soccorso UNPA da lui guidata durante la temperie del fronte; del Consiglio di Amministrazione delle Opere Pie; del Direttivo della Società Cacciatori, del Sindaco di Castel Bolognese.
Nei giorni successivi Armando Borghi ricordando l’amico invierà una lettera di cordoglio alla famiglia.

Lasciamo alle loro parole il ricordo dell’uomo pubblico.

La famiglia ricorda che ai suoi giorni di malattia recavano conforto la visita dei nipotini e di Rosalba Martini che su sua richiesta gli leggeva la Divina Commedia, nell’edizione illustrata dal Doré.

I manifesti sono conservati in originale presso l’archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani.

Il 5 ottobre 1947 fu insignito di una Medaglia d’Argento al Valore Civile alla memoria, in riconoscimento dell’opera prestata a favore della popolazione civile nei mesi del fronte di guerra. Una medaglia al valore civile fu riconosciuta ad altri tre componenti della squadra di soccorso UNPA:  d’argento ad Ariovisto Liverani e Aldo Cani, che avevano perso la vita entrambi in attività di soccorso, e di bronzo a Francesco Cupido.

Dedicato a chi lotta contro ogni forma di oppressione a favore dell’umanità e della vita delle persone.

La sua lapide lo ricorda con le parole degli amici:

Ribelle alla tirannidi
Per la liberta’ ebbe un culto
Per l’amicizia una fiamma
In civiche virtu’ a nessuno secondo,
Visse di onesto lavoro,
Padre e sposo esemplare

Le immagini dei manifesti sono gentilmente concesse per l’utilizzo esclusivo sul sito www.castelbolognese.org. La riproduzione delle immagini e quella del testo sono vietate senza espressa autorizzazione dell’Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani. Si prega di non pubblicare su altri siti il pdf di questa pagina ma di limitarsi, eventualmente, a linkarla solamente.

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Alessia Bruni (a cura di), I manifesti in morte di Arnaldo Cavallazzi, in https://www.castelbolognese.org

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I pompieri di Castel Bolognese in soccorso dei terremotati di Vicchio (1919) https://www.castelbolognese.org/miscellanea/i-pompieri-di-castel-bolognese-in-soccorso-dei-terremotati-di-vicchio-1919/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/i-pompieri-di-castel-bolognese-in-soccorso-dei-terremotati-di-vicchio-1919/#comments Sat, 31 Aug 2019 17:24:44 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=7209 In occasione del centenario del terremoto del Mugello a cura di Alessia Bruni Un devastante terremoto, di magnitudo sismico stimata 6.2, colpì una vasta area dell’Appennino Tosco-Emiliano, il 29 giugno 1919. I danni maggiori furono a Vicchio e le sue frazioni Pilarciano, Villore, Rostolena, Mirandola, Villa, Vitigliano, Rupecanina, Casole; nel …

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In occasione del centenario del terremoto del Mugello

a cura di Alessia Bruni

Un devastante terremoto, di magnitudo sismico stimata 6.2, colpì una vasta area dell’Appennino Tosco-Emiliano, il 29 giugno 1919. I danni maggiori furono a Vicchio e le sue frazioni Pilarciano, Villore, Rostolena, Mirandola, Villa, Vitigliano, Rupecanina, Casole; nel capoluogo comunale furono distrutti 700 edifici su 1500, 500 case divennero inagibili e le restanti subirono danni seri. Gravi danni si ebbero a Dicomano, Borgo San Lorenzo, Barberino, Scarperia, San Piero a Sieve. Le vittime furono diverse decine.

Il sisma si scatenò alle ore 17.06 di una assolata domenica di festa per le celebrazioni di San Pietro e Paolo. Enorme fu la disperazione tra la popolazione che proprio allora si stava lentamente riprendendo dalla Prima Guerra Mondiale. I soccorsi in una zona così estesa e non facilmente raggiungibile furono difficilissimi.
La squadra dei pompieri di Castel Bolognese partì immediatamente. La comandava Arnaldo Cavallazzi, classe 1878, che era appena rientrato dalla guerra dove si era distinto per azioni di soccorso. Purtroppo non conosciamo il nome degli altri componenti della squadra.

La squadra di Castello fu ben accolta e aggregata al comando dei pompieri di Firenze.
Nell’ordine del giorno del 15 luglio del Comando di sottozona di Vicchio di Mugello, il comandante di sottozona Colonnello Ugo Conti ringraziò le autorità civili ed ecclesiastiche del capoluogo e delle frazioni, la benemerita Croce Rossa, le sublimi Dame Infermiere, le Società di Soccorso, le proprie truppe e le squadre eroiche dei pompieri di Firenze, di Roma e di Castel Bolognese.
Al termine delle operazioni, il comando dei pompieri di Firenze scrisse la seguente lettera al Comune di Castel Bolognese: ”Qual comandante la squadra di soccorso inviata sui luoghi danneggiati dal terremoto del Mugello, ed alla quale, in seguito all’ordine dell’Illmo Signor Prefetto furono aggregati i pompieri di Castelbolognese, compio il dovere di segnalare alla S. V. Illma l’opera prestata dai pompieri stessi, la quale compiuta con disciplina ed abnegazione costanti, è meritevole del più vivo elogio e fu di valido aiuto nelle numerosi demolizioni, puntellature, recuperi di mobilia, biancheria ecc. che furono eseguiti nel Paese di Vicchio e Frazioni, concorrendo all’opera che fruttò parole di encomio alla intera squadra per parte delle Autorità Superiori”.
Il Municipio di Vicchio, con lettera del 12 luglio, scrisse: “Vivamente commosso dalla prova di fratellanza e di solidarietà che codesto Municipio ha voluto dare a questa popolazione nella recente sciagura, ringrazio di vero cuore dell’invio della squadra di pompieri di codesta città; che con slancio e zelo ammirevole hanno prestato efficace opera di soccorso ed assistenza. Esprimo i più vivi sensi di gratitudine anche a nome di questa popolazione beneficata”.

Con una cartolina, datata 28 luglio 1919 e indirizzata ad Arnaldo Cavallazzi, Augusto Baldesi, per il comando dei pompieri di Firenze, salutò e ringraziò la squadra dei pompieri di Castelbolognese. Un anno dopo, nell’agosto 1920, in occasione dei funerali del capitano Augusto Baldesi, vice comandante della Società di Mutuo soccorso dei Pompieri di Firenze, morto in servizio, il segretario della società, a nome di tutta l’associazione, ringraziò i pompieri di Castello per l’intervento di una loro rappresentanza ai funerali del compianto capitano.

Scilla Cavallazzi conservava il batacchio della campana di Vicchio, che era stato donato a suo padre Arnaldo per gratitudine e ricordo.

Approfondimenti: Adriano Gasparrini, Quando la terra tremò. Il terremoto del 29 giugno 1919 in Mugello, Firenze 2019

Foto scattate a Vicchio relative alla squadra di pompieri di Castel Bolognese aggregata ai pompieri di Firenze

Documenti e fotografie dall’Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani

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La cavalla galeotta https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/la-cavalla-galeotta/ https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/la-cavalla-galeotta/#respond Thu, 26 Oct 2017 22:30:39 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=6133 (Introduzione) Un caso davvero fortunato ci ha permesso di (ri)dare un volto e un nome (altrimenti destinati all’oblio) a Masone di Carvàia, uno dei protagonisti assieme a Ribelle Cavallazzi di questo elzeviro di Serantini. Siamo partiti dal ritrovamento della foto che vedete; ci siamo ricordati di averla vista in giro …

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(Introduzione) Un caso davvero fortunato ci ha permesso di (ri)dare un volto e un nome (altrimenti destinati all’oblio) a Masone di Carvàia, uno dei protagonisti assieme a Ribelle Cavallazzi di questo elzeviro di Serantini. Siamo partiti dal ritrovamento della foto che vedete; ci siamo ricordati di averla vista in giro per il cimitero e abbiamo scoperto che la foto ritraeva Tommaso Panazza (1846-1926). E poi grazie ad un articolo (che proporremo) di Mario Santandrea è emerso che Panazza era il proprietario della “cavalla galeotta”. Il racconto, già bellissimo di suo, corredato da questa e altre tre immagini, ne esce ancor di più impreziosito. Ringraziamo Cristina Villa per la fotografia e Carlo Bruni e Maria Teresa Liverani per la trascrizione del testo. (A.S.)

di Francesco Serantini (tratto da Il Resto del Carlino del 19 settembre 1957)

Masone di Carvàia, ossia Tommaso Panazza (1846-1926)

Masone di Carvàia aveva una bella barba intera, spampanata sul petto, dove si perdevano i grossi baffi che coprivano la bocca e il suo abituale sorriso perché lui era buono, indulgente e si contentava della sua vita. Il sorriso gli si vedeva sopra soprattutto negli occhi e anche adesso, quando vado al cimitero a trovare i miei morti e gli passo davanti, lui mi sorride dal ritratto ovale di porcellana e io gli faccio con la mano un cenno di saluto perché eravamo amici. Dicevo: «Masô, stasera sono lì un’ora prima di mezzanotte». Puntuale come un orologio, lui mi faceva trovare la cavalla bell’e attaccata. Montavo, prendevo le redini, lui spalancava il portoncino tenendo levata la lanterna perché potessi infilarlo, non diceva una parola, solo gli occhi sorridevano maliziosamente.
Il trotto della cavalla picchiava sull’acciottolato della viuzza dei contrabbandieri che da una parte aveva le mura del paese e dall’altra una fila di case vecchie, strette, con l’intonaco sbreccato: una camera sotto, una camera sopra congiunte da una scala di legno. Quando tornavo, all’alba, la cavalla si era appena fermata con il muso davanti al portoncino verde, che alla finestra di sopra compariva la barba di Masone occhiridente. Gli davo il buongiorno, i soliti quaranta soldi, una manata sulle spalle e via.
Alla cavalla il mio amico Ribelle gli aveva messo nome: la cavalla galeotta. «Masô, – chiedeva al caffè – è uscita, stanotte, la cavalla galeotta?». Lui lo guardava con il solito sorriso negli occhi, senza interrompere la scopa col calzolaio Volpino che era tutto voce e penna, il contrario di Masone che non parlava mai: era per questo che andavano d’accordo.

Ribelle Cavallazzi (1885-1919)

Ribelle era anarchico e poeta, divorava libri uno dietro l’altro, aveva un sacco d’ingegno, una bolletta permanente e campava facendo il tipografo con un antico torchio a mano che gemeva come le anime del purgatorio. Un anno facemmo un giornale che si chiamava come il nostro fiume e lo stampava lui, naturalmente, ma siccome ci metteva più di una settimana, «Il Senio» era per forza di cose quindicinale. Bisogna aggiungere che il tipografo non era in caso di lavorare di notte per via che il torchio non lasciava dormire i vicini. A stamparlo, lo aiutava una sorella esile, silenziosa, a cui suo padre aveva messo nome Anarchia ma noi la chiamavamo Giannina.
Fu Ribelle a insegnarmi come si fa a correggere le bozze: «Devi leggere a bassa voce, sillabando le parole». Macché: nonostante codesti precetti e la sua supervisione, il giornale era pieno di errori. Mi ricordo che io avevo scritto un articolo (di fondo, si capisce) dove denunciavo non so quali immaginari pericoli «mentre gli italiani, al solito, si perdono in beghe tra loro», citando quando a Roma si facevano delle chiacchiere e intanto Annibale espugnava Sagunto e quando a Costantinopoli, davanti alla spaventosa immanenza delle orde di Maometto, un sinodo disputava se gli angeli siano maschi o femmine. L’articolo era intitolato «Dum Romae…» con i suoi puntini, che erano le prime parole della narrazione di Tito Livio: Dum haec Romae geruntur Saguntum expugnatur. E qui successe il guaio perché Giannina, che non aveva mai composto del latino, prese l’e del dittongo per una c e scappò fuori una Dum Romac che io non vidi e che fece smascellare dalle risa gli intellettuali del paese.

La prima pagina de il numero 1 de Il Senio, 23 luglio 1911, con l’articolo di fondo intitolato erroneamente “Dum Romac” (foto di Tomaso Marabini)

Il giornale costava un soldo, era grande come un fazzoletto da spesa e siccome era fatto di piccole cose oneste della vita paesana tutti lo prendevano; ogni tanto Ribelle ci metteva una poesiola carina. Una volta successe che non si trovò più il ministro; cerca di qua, cerca di là: il ministro era scomparso: vuoi vedere che è scappato con la cassa? In cassa c’era una cifra: novanta lire: il tipografo era aggrondato come il cielo di un temporale estivo. Il ministro ricomparve il terzo giorno: s’era perso dietro una sottana ma la cassa era incolume, lui aveva dato e ricevuto soltanto amore.
Quando ci fu la guerra del quindici, Ribelle anarchico e poeta si arruolò volontario, combatté nella fanteria, fu fatto prigioniero e morì appena tornato a casa, forse per lo stento che aveva patito in prigionia.
Un giorno mi fa: «Ci stai a venire con me la sera di Pasqua? andiamo a Bagnara». Bisogna sapere che in paese, in occasione di una sagra, c’erano stati i soliti divertimenti: qualche giostra, un piccolo circo equestre, un paio di tiri a segno. Ribelle si era messo con una zingara bronzina che teneva, con una sorella o cugina che fosse, un tiro a segno dove lui aveva fucilato non pochi soldarelli a sparare nelle pipe di gesso. Poi l’aveva riveduta non so dove e lei gli aveva detto che, sotto Pasqua, la carovana si sarebbe fermata a Bagnara. Mi convinse di andare con lui, Masone ci affidò la cavalla galeotta.
Pasqua, che viene dopo il plenilunio susseguente all’equinozio di primavera, cadeva quell’anno poco dopo la metà di aprile. Faceva dolco, la notte era serena, trasparente, venata di qualche bava odorosa respiro degli alberi già fioriti, il biroccino ruzzolava sulle stradette limitate dalle siepi. I baracconi erano in uno spiazzo sotto le mura, ci fermammo fuori mano, vicino a un torrione di angolo, io rimasi sul biroccino, Ribelle si incamminò verso le luci. Un grammofono a tromba gracchiava con la voce nasale qualcosa che non riuscivo a percepire, la cavalla brucava l’erba, si sentiva il morso di ferro che urtava nei denti.
Passò del tempo, le luci si spensero man mano, finalmente vidi che arrivava con due ragazze: «Leviamoci di qui, presto!» disse una; salirono tutti e tre io feci voltare la cavalla e prendemmo la strada sotto le mura. Quella che mi stava a ridosso si teneva con la mano alla mia spalla e mi mandava sentore caldo di ascelle.
Tutto in una volta sentimmo gridare dietro le spalle. Istintivamente voltai la testa: due uomini venivano di corsa gesticolando come ossessi. Le ragazze capirono in un lampo: svelte come due cerve si buttarono giù, Ribelle diede una violenta frustata alla cavalla che incespicò ma io la sostenni con le redini, poi le allentai e lei prese il galoppo sotto la gragnuola dei colpi. Corremmo un pezzo, infilando stradette a casaccio, prendendo le voltate di corsa, più di una volta fummo sul punto di ribaltarci, finalmente la cavalla si mise al passo.
Poi si fermò e non ci fu verso di farla smuovere. Scendemmo: era tutta bagnata di sudore, io le palpai la testa, dissi: «Sei stanca e voi dormire: ài ragione». Lì vicino, al principio di una viottola campestre c’era una quercia fronzuta; prendendola dolcemente vicino al morso, guidai la cavalla nel campo sotto la quercia, le stesi addosso la coperta, poi alzai il soffietto e salii. Ci mettemmo a dormire tutti e tre vigilati dalla misteriosa luna.

I redattori de “Il Senio”. Da sinistra: Francesco Serantini, Mario Santandrea, Oreste Zanelli (foto don Stefano Bosi)

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Francesco Berti (1838-1867) e Arnaldo Cavallazzi (1848-1867) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/personaggi/francesco-berti-1838-1867-arnaldo-cavallazzi-1848-1867/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/personaggi/francesco-berti-1838-1867-arnaldo-cavallazzi-1848-1867/#respond Wed, 18 Oct 2017 21:26:00 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=6122 di Alessia Bruni Francesco Berti, figlio di Giovanni e Cristina Budini, nacque a Castel Bolognese il 20 ottobre 1838. Fratello di Ettore Berti (ufficiale nell’esercito regolare, successivamente Presidente della Società dei Reduci di Castel Bolognese), cugino di Mario Giommi (volontario con Giuseppe Garibaldi nel 1866, poeta e pittore, chirurgo eminente) …

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di Alessia Bruni

“Francesco Berti nacque in Castel Bolognese il 20 ottobre 1838 da Giovanni e Cristina Budini.” “Nel 1867 combattendo per la libertà con le schiere Garibaldine, cadeva da prode sugli spalti di Monterotondo la notte del 25 ottobre”

Francesco Berti, figlio di Giovanni e Cristina Budini, nacque a Castel Bolognese il 20 ottobre 1838. Fratello di Ettore Berti (ufficiale nell’esercito regolare, successivamente Presidente della Società dei Reduci di Castel Bolognese), cugino di Mario Giommi (volontario con Giuseppe Garibaldi nel 1866, poeta e pittore, chirurgo eminente) e dei tre fratelli Cavallazzi: Arnaldo (studente universitario, volontario con Garibaldi nel 1866), Raffaele (che sarà esponente internazionalista anarchico di rilievo) e Giovanni Giuseppe Cavallazzi (militare nell’esercito regolare).
Cresciuto sotto l’influenza di zie e zii materni, in particolare di Giuseppe Budini, figura di primo piano del Risorgimento italiano, è ricordato nella memoria della famiglia con queste parole: “nella sua breve vita fu presente in ispirito e in corpo ad ogni manifestazione diretta contro ai vigliacchi di dentro o ai tiranni di fuori. Fu soprannominato lo ‘Svegliarino’ perché quando suonava la diana Garibaldina correva a scuotere i dormienti”.

Volontario, arruolato nel 18° di fanteria dell’esercito sabaudo, prese parte alla battaglia di San Martino (Brescia) il 24 giugno del 1859, battaglia che concluse la II guerra d’indipendenza. Non partecipò ad altre battaglie solo perché il 18° di fanteria non fu coinvolto in altre operazioni.
Ci piace pensare che Berti fosse tra coloro che accolsero Garibaldi quando si fermò a Castel Bolognese la sera del’8 ottobre 1859, ricevuto da una popolazione delirante
e pronunciò dal balcone del Municipio un breve discorso alla presenza di un “drappello di giovani reduci della gloriosa campagna di Lombardia, in militare assisa, colle loro armi, schierati in ordine di battaglia, per rendergli quegli onori che non tanto il grado quanto al nome di Lui sono dovuti”, come riportato dal Monitore di Bologna del 14 ottobre 1859. Garibaldi ripartì fra le acclamazioni entusiaste dei Castellani che vollero staccare i cavalli e trainare la carrozza fino alla Torretta, al confine con Imola. Nelle sue memorie Garibaldi riporta che “nell’Italia centrale, agli ultimi mesi del ’59, centomila giovani si sarebbero serrati intorno a me, e con loro si volgeva certo favorevole la diplomazia europea; oppure coi soli trentamila allora riuniti nei Ducati e nelle Romagne potevasi decidere in 15 giorni la sorte dell’Italia meridionale; fare infine ciò che si fece coi Mille un anno dopo.” Il plebiscito del 11-12 marzo 1860 sancì l’annessione al Regno di Sardegna della Legazione di Romagna; mentre, scrive Garibaldi, “le popolazioni delle Marche e dell’Umbria continuavano ad agitarsi.

Berti, per essere tra quelli che dovevano “irrompere sulle Marche, per discacciarne gli sgherri del Papa-Re”, si arruolò nuovamente volontario nel 1860 ma i volontari furono obbligati a giurare un periodo di 18 mesi di ferma, operazione che Garibaldi suppose avesse come obiettivo di inceppare la sua azione. Berti si trovò a “passare 18 mesi, lunghi per lui perché inoperosi, nel reggimento degli Ussari di Piacenza”, mentre da maggio a ottobre Garibaldi guidava la “Spedizione dei Mille”, da Marsala a Teano.

Berti tornò a Castel Bolognese dove, il 1 ottobre 1865, si tenne il Primo Congresso della Democrazia Romagnola, con circa 50 delegati, tra cui Aurelio Saffi di Forlì, Eugenio Valzania di Cesena, Quirico Filopanti di Budrio, Vincenzo Caldesi di Faenza, Carlo Missiroli di Ravenna e Giovanni Emiliani di Castel Bolognese, in cui si discusse anche la liberazione di Venezia e Roma. Si prepara la III guerra d’indipendenza. Quando, nel maggio 1866, “la tromba guerriera del generale Garibaldi di nuovo si fé sentire chiamando a raccolta la gioventù italiana, il Berti fu pronto a correre a Barletta per farsi iscrivere [il 2 giugno 1866] nel 9° reggimento dei Volontari che colà si organizzava”. Di lì a poco si arruolarono, ma nel 7° reggimento, anche due suoi cugini, studenti universitari a Bologna, anch’essi nipoti di Giuseppe Budini: il 5 giugno Mario Giommi, di 19 anni, con il grado di caporale, e il 29 giugno Arnaldo Cavallazzi, di 18 anni. Terminato l’addestramento, la tradotta dalla Puglia al Tirolo ripassò da Castel Bolognese; Valentino Stoppa, volontario di Lugo, descrive il viaggio: “un treno speciale composto di carozze di scarto III classe e che non contenendoci tutti, si montò anche nei carri merci e stretti come l’acciughe nel barile si partì col desiderio di arrivare presto al campo di guerra essendo a nostra conoscenza che i fratelli dell’esercito erano stati battuti a Costonza [Custoza, 24 giugno 1866]. Che viaggio monotono finalmente si arrivò ad Ancona; dopo due ore di fermata si ripartì per Rimini e Bologna. In tutte le stazioni dove passavamo, eravamo accolti con auguri ed evviva. Giunti a Castel Bolognese mi aspettava una grata sorpresa. Mia sorella che aveva Saputo del nostro passaggio, da tre giorni, sempre in stazione giorno e notte, per tema di perdere l’arrivo di un treno, mi aspettava per darmi forse l’ultimo addio. […] Arrivammo a Brescia all’una dopo mezzanotte; dovemmo caricare su barocci e portare a braccia molti compagni, perché nel lunghissimo viaggio km 940 gli si erano gonfiate le gambe.”
La campagna del Tirolo mise a dura prova la resistenza fisica dei volontari, sia perché combattuta in montagna con forti escursioni termiche, sia perché i volontari erano poco o nulla equipaggiati. Scrive Raffaele Tosi “Eravamo stanchi, spossati: le vampe del sollione sul capo, per guanciali gli sterpi, non una capanna, non un filo d’acqua, negli occhi il sonno, nello stomaco il digiuno”.
Berti combatté a Storo (Trento) il 16 luglio, giorno in cui gli Austriaci, con un forte attacco, tentarono di sorprendere e circondare il Quartier Generale dei Garibaldini che lì aveva sede. Già il giorno seguente si ammalò, fu ricoverato in ospedale e non poté prendere parte alla campagna di Bezzecca.

“Arnaldo Cavallazzi nacque in Castel Bolognese l’11 marzo del 1848 da Antonio e da Fortunata Budini. Una stampa del tempo dice che nella sua brevissima vita “amò la libertà, difese la Patria”. Studente universitario, nel 1866 volontario con Garibaldi combatteva contro gli Austriaci a Condino ed a Bezzecca, sostenendo fatiche e disagi sì gravi che gli infermarono il corpo e gli spensero la vita a soli 18 anni il 12 gennaio 1867.”

Il cugino Arnaldo combatté “a Condino [16 luglio] e Bezzecca [21 luglio], sostenendo fatiche e disagi sì gravi che gli infermarono il corpo e gli spensero la vita a soli 18 anni”, il 12 gennaio 1867, a Castel Bolognese, pianto dal padre Antonio, dalla madre Fortunata Budini e dagli amici che gli dedicarono una memoria (1). “Nella tua vita quantunque breve, desti tuttavia esempio di buon cittadino. Dotato di ingegno pronto e vivace, atto a comprendere ciò che v’ha di grande e di generoso non mancasti di correre in difesa della patria. Con somma costanza superasti fatiche e disagi nell’esercito dei Volontari, e finalmente ritornasti in seno alla famiglia cresciuto di fama, ma sommamente decaduto nella robustezza fisica. Fin da quel punto un morbo letale serpeggiò nel tuo corpo, e mentre, compiuti gli studi nel R.° Liceo Toricelli [sic!], davi opera alle scienze mediche, ti rapiva alle speranze della patria.”

Francesco Berti tornò al paese, ma solo per breve tempo, presso il padre rimasto vedovo; nel frattempo il fratello Ettore era nell’esercito regolare. Sul finire del settembre 1867 si va organizzando “la spedizione che ebbe poi fine a Mentana per opera dei meravigliosi Chassepots francesi, il Berti per la quarta volta non fu dubbioso a offrire per la libertà della patria la propria vita”. Si recò a Terni e cercò di arruolarsi nella colonna di Enrico Cairoli, in cui vi sono otto suoi compaesani, che si batterà a Villa Glori il 23 ottobre 1867. “Non accettato dunque nella piccola colonna di Enrico Cairoli, unicamente perché al suo presentarsi erasi già raggiunto il numero prestabilito, egli si rivolse ad altri amici e questi il fecero inscrivere tra i Volontari che doveva formare la colonna di Eugenio Valzania di Cesena, nella quale colonna vi entrò col grado di sergente. E fu in questa colonna, e alla testa del suo plotone che, combattendo da valoroso cadde morto, ferito al petto da una palla nemica, sotto la porta barricata di Monte Rotondo, all’imbrunire del giorno 25 ottobre 1867. Nel pubblico cimitero della sua patria, gli amici e parenti eressero una lapide acciò i posteri leggano il nome di quel prode”(2). Le notizie della morte del sergente Berti Francesco e del ferimento del compaesano Raffaele Pirazzini, luogotenente, giunsero con la relazione del Colonnello Valzania, pubblicata il 14 novembre 1867 su L’Amico del Popolo, giornale dell’Emilia per la democrazia italiana, edito a Bologna.
I reduci della “gloriosa, quantunque disgraziata Campagna di Roma” rientrarono accolti come sovversivi dallo stato sabaudo. L’anno successivo, primo anniversario della campagna dell’agro romano, l’organizzazione del ricordo e la pubblicazione di manifesti costò l’arresto ai dirigenti della Società del Progresso, patrioti e reduci.
A Castello, sotto il portico comunale, una lapide ricorda alcuni dei caduti per l’indipendenza, tra loro è Berti.

Note:
(1) Alla memoria di Arnaldo Cavallazzi da Castel Bolognese, Tributo degli amici, Tipi Fava e Garagnani, Bologna
(2) Della lapide, andata perduta, è giunto sino a noi il testo, grazie ai preziosi appunti di Giovanni Bagnaresi, che aveva trascritto tutte le lapidi relative al Risorgimento che si trovavano nel vecchio cimitero:

Francesco Berti
di
Castel Bolognese
giovane di ottimi costumi
di spiriti generosi
nell’anno MDCCCLIX volontario
nell’esercito piemontese
combatteva contro gli Austriaci
a S. Martino
nel MDCCCLXVI nel Tirolo
e nel MDCCCLXVII moriva da prode
a Monte Rotondo
la notte del XXVI ottobre
in età di XXIX anni
———-
All’onorata e cara memoria
i parenti e i concittadini
questa lapide
ponevano

Fonti:
Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani; Mentana: Cenni storici sulla campagna del 1867 per l’indipendenza d’Italia e libertà di Roma, Ed. Bosi, Milano, 1874?; Pietro Costa Comune e Popolo a Castel Bolognese (1859-1922), Imola 1980; Pietro Costa Un Paese di Romagna, Imola 1971; Giuseppe Garibaldi Memorie, Ed. Bertani Verona 1972; Valentino Stoppa Memorie Garibaldine, 1866-1867, Ed. Longo, Ravenna 2012; Raffaele Tosi Da Venezia a Mentana (1848-1867), Ed. Angelini, Rimini 2011; Banca dati della Campagna 1866 nel Trentino occidentale, consultata presso http://www.arabafenice.tn.it/

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Alessia Bruni, Francesco Berti (1838-1867) e Arnaldo Cavallazzi (1848-1867), in https://www.castelbolognese.org

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Arnaldo Cavallazzi (1878-1946) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/anarchici/arnaldo-cavallazzi-1878-1946/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/anarchici/arnaldo-cavallazzi-1878-1946/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:02 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/arnaldo-cavallazzi/ Nasce a Castel Bolognese (RA) il 5 settembre 1878 da Raffaele e Maria Contoli, tipografo, poi imprenditore edile. La sua adesione agli ideali libertari in giovane età è probabilmente influenzata dall’esempio del padre, esponente di primo piano dell’anarchismo castellano. Non vanno però trascurati nella sua formazione il ruolo e l’influenza …

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https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/arnaldocavallazzi.jpg (20914 byte)Nasce a Castel Bolognese (RA) il 5 settembre 1878 da Raffaele e Maria Contoli, tipografo, poi imprenditore edile. La sua adesione agli ideali libertari in giovane età è probabilmente influenzata dall’esempio del padre, esponente di primo piano dell’anarchismo castellano. Non vanno però trascurati nella sua formazione il ruolo e l’influenza della madre, che proviene da una famiglia di uomini di cultura che annovera ecclesiastici, storici e letterati. Anarchico sarà anche il fratello minore Ribelle. Frequenta le scuole tecniche a Faenza, formandosi poi una discreta cultura politica da autodidatta, attraverso l’intenso studio di libri e giornali anarchici. Il 18 marzo 1897 si arruola volontario nell’esercito. Assegnato al 78° Reggimento Fanteria, consegue il grado di caporale maggiore ed è congedato il 13 settembre 1899. Ritornato nella città natale apre la Tipografia Cavallazzi, nella cui gestione si alterneranno negli anni vari membri della famiglia. Inizia intanto a svolgere attività politica, mettendosi rapidamente in luce come una delle personalità di maggior spicco tra gli anarchici castellani della sua generazione. Nel “Cenno biografico al giorno 15 settembre anno 1900”, compilato dal Prefetto di Ravenna e conservato presso il CPC, viene definito “di carattere serio, eccitabile, capace di energiche risoluzioni e violenti propositi”. Si aggiunge che fa “attiva propaganda fra i giovani operai con discreto profitto”, e che tra i suoi compagni “gode molta influenza perché è uno dei più istruiti ed energici e anche perché figlio del capo partito. La sua influenza è però circoscritta a Castelbolognese. E’ in corrispondenza con tutti i capi anarchici delle Romagne”. Invia corrispondenze al “Combattiamo” di Genova e a “L’Agitazione” di Ancona. Riceve giornali anarchici dall’Italia e dall’estero, e anche stampe, circolari e opuscoli. Nel 1900 partecipa a tutte le riunioni clandestine organizzate dagli anarchici locali e a quelle pubbliche e private della Lega dei partiti popolari. Verso la fine dell’anno, nel clima repressivo seguito al regicidio di Bresci, viene denunciato per il reato di associazione sediziosa con il padre e con tutti gli altri componenti il nucleo organizzatore del gruppo socialista-anarchico di Castel Bolognese. Il 4 dicembre 1900 viene prosciolto dal Tribunale di Ravenna, insieme a tutti gli altri imputati, per insufficienza di indizi. Seguono alcuni anni relativamente tranquilli, anche se non mancano alcune denunce e processi. L’episodio più clamoroso, in cui viene coinvolto insieme al padre e al fratello Ribelle, ha luogo il 22 ottobre 1905. Durante una conferenza tenuta a Castel Bolognese dal repubblicano Pirro Gualtieri di Cesena, il delegato di P.S. interrompe l’oratore e ordina lo sgombero della sala. Nel trambusto che segue vengono arrestate una decina di persone fra cui l’oratore, Armando Borghi di passaggio intervenuto in sua difesa, e alcuni anarchici del paese compresi i Cavallazzi. Il giorno dopo, mentre gli arrestati vengono trasportati al carcere di Faenza in tre carrozze trainate da cavalli, Borghi riesce a liberarsi delle manette e a darsi alla fuga, permettendo agli altri occupanti della vettura (Arnaldo e Raffaele Cavallazzi, insieme all’oratore Gualtieri) di fare altrettanto. Al processo, svoltosi il mese successivo a Ravenna, Arnaldo viene condannato a 25 giorni di reclusione e a lire 83 di multa. La collaborazione ai giornali anarchici prosegue con le corrispondenze inviate a “L’Aurora” di Ravenna, fondata nel 1904. Assume la presidenza in occasione di un Convegno regionale anarchico tenutosi a Castel Bolognese il 20 ottobre 1907. Si impegna anche nell’attività sindacale. Nello stesso 1907 diventa presidente della Lega di resistenza dei braccianti (creata nel giugno 1906), dopo esserne stato uno dei maggiori promotori. All’inizio del 1908 viene nominato presidente, segretario e cassiere della lega muratori, all’interno della quale prevalgono gli elementi anarchici. Assume la vice-presidenza, e poi la presidenza, del Corpo dei Pompieri volontari, fondato a Castel Bolognese nel gennaio 1909. Assolverà volontariamente a questo compito per circa trent’anni, fino allo scioglimento del Corpo in epoca fascista (tra l’altro, la squadra di C. parteciperà nel 1919 alle operazioni di soccorso dopo il terremoto a Vicchio del Mugello). Compie inoltre vari atti di coraggio fin dalla più giovane età, salvando persone dalle acque e dal fuoco. Tra il 1907 e il 1909 lascia la Tipografia nelle mani del fratello. In seguito dà vita a una propria impresa edile, che in breve tempo diviene una delle maggiori del paese, arrivando a contare fino a una ventina di operai. Si è nel frattempo sposato, e presto la famiglia si amplia con la nascita di 3 figli. Nel desiderio di dare un fattivo contributo alla soluzione dei problemi della popolazione, non esita a entrare a fare parte di commissioni pubbliche municipali, da cui la maggioranza dei suoi compagni si tiene lontana per prevenzioni ideologiche. Nel 1911 è membro, insieme all’anarchico Oreste Zanelli, della Commissione Comunale per l’Igiene. Nel 1914 si schiera contro l’intervento dell’Italia in guerra. Richiamato alle armi l’8 maggio 1915, subito dopo il ricevimento dell’avviso si mette “a Castelbolognese a fare attivissima propaganda in quelle campagne per sollevare i coloni per una pubblica manifestazione per la sera dell’8 stesso, contro la guerra”. Costretto a partire e aggregato al 133° Battaglione di Milizia Territoriale di Bologna, viene congedato il 23 gennaio 1919 col grado di sergente maggiore, promosso e decorato per avere salvato dei feriti. Nell’immediato primo dopoguerra si prodiga gratuitamente per gli operai disoccupati, ricevendoli la sera nei locali dell’Ufficio Tecnico comunale per registrarli e fare avere loro un sussidio. Il suo congedo coincide con una fase di rilancio del movimento anarchico castellano, che vede ingrossarsi le sue file con l’afflusso di una nuova leva di militanti. Le diversità generazionali si fanno avvertire, e si formano due gruppi sulla base dell’età. C. diviene il responsabile del gruppo degli adulti, mentre il gruppo giovanile è animato soprattutto da Nello Garavini. Entrambi partecipano come delegati dei due gruppi castellani a vari Convegni anarchici emiliano-romagnoli, e sono presenti anche al Congresso nazionale di Bologna della UAI (1-4 luglio 1920). L’ascesa del fascismo comporta aggressioni e persecuzioni per tutti gli oppositori. Il 15 ottobre 1922, durante una manifestazione di reduci, C. è accusato di avere offeso la bandiera della locale Sezione Combattenti, e per salvarsi dai fascisti che gli danno la caccia, deve fuggire e restare per qualche tempo fuori paese. Dopo l’avvento al potere di Mussolini, subisce innumerevoli perquisizioni domiciliari ad opera dei carabinieri istigati dai fascisti locali, al ritmo di una ogni settimana o quindici giorni, per circa sette o otto anni, fin verso il 1929. Subisce anche alcune aggressioni da uno squadrista suo vicino di casa, capo-manipolo e poi seniore della milizia, che manifesta un particolare accanimento nei suoi confronti. Nel 1927 è arrestato insieme a molti altri oppositori del regime a seguito dell’attentato subìto a Ravenna dal gerarca Ettore Muti. Gli arrestati castellani, circa una ventina tra anarchici e socialisti, vengono rilasciati a piccoli gruppi nelle settimane successive, ma C. e altri 5 ricevono l’ammonizione, che comporta l’arresto e la prigione nel caso di ogni infrazione anche minima. L’ammonizione gli sarà revocata nel giugno 1929, ma la sorveglianza nei suoi confronti, per quanto allentata, proseguirà fino alla caduta del fascismo. Dopo l’8 settembre 1943 collabora alle iniziative clandestine di un gruppo animato da Padre Samoggia, un frate cappuccino che cerca di fornire aiuto agli sbandati, agli evasi dai campi di concentramento, ai perseguitati politici e ai renitenti alla leva, fornendo ricoveri e abiti civili (per questo il frate sarà arrestato, tradito da una spia). Nell’ultimo anno di guerra e in particolare durante l’inverno 1944-45, allorchè il fronte si ferma sul fiume Senio e i tedeschi tengono in ostaggio la popolazione civile impedendone l’evacuazione, C. ha modo di dimostrare grandi doti di generosità umana e di spirito di sacrificio, prodigandosi in favore dei concittadini sottoposti a tremendi disagi e pericoli. Dal 30 novembre 1944 al 15 maggio 1945 costituisce e dirige la squadra di soccorso dell’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), che senza alcun compenso si occupa di dare soccorso ai feriti rimasti sotto le macerie dei bombardamenti e sepoltura ai morti, e inoltre svolge servizio antincendio e anticrollo, tra molti pericoli (lo stesso Arnaldo resterà ferito a un piede da una scheggia di granata, e due componenti della squadra, tra cui suo genero Ariovisto Liverani, moriranno). Salva inoltre dalla completa distruzione l’Archivio comunale e un affresco della Madonna del XVI secolo della Chiesa di S. Sebastiano, colpita dai bombardamenti. Partecipa alle riunioni del Comitato Cittadino, e in seguito della Consulta Comunale, organismi formati da esponenti di varie correnti politiche antifasciste, che si propongono di garantire l’ordine pubblico e affrontare le necessità della popolazione. All’interno della Consulta, creata il 1 gennaio 1945, C. assume compiti di carattere sanitario, assistenziale e annonario. Il 4 gennaio 1945, di sua iniziativa e con il consenso dei membri della Consulta, nonostante l’età ormai avanzata C. compie un viaggio a piedi fino a Bologna per domandare che Castel Bolognese (tagliata fuori dal resto della provincia di Ravenna a causa del fronte) sia aggregata a quella provincia e per chiedere viveri e medicinali. L’impresa ha successo, con notevole sollievo per la popolazione castellana ormai allo stremo. Dopo la Liberazione, C. in rappresentanza degli anarchici entra a fare parte del nuovo CLN unitario creato il 30 aprile 1945. Si occupa della rinascita del movimento, dando impulso all’attività del risorto Gruppo anarchico e stabilendo contatti coi compagni delle altre città romagnole. Muore a Castel Bolognese l’11 maggio 1946. Il 5 ottobre 1947 gli verrà concessa una Medaglia d’Argento al Valore Civile alla memoria, in riconoscimento dell’opera prestata a favore della popolazione civile durante la fase finale della guerra.

FONTI: ACS, CPC, ad nomen; Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani; BLAB, Fondo Anarchici Castellani; N. Garavini, Testimonianze, dattil. inedito; Intervista a Scilla Cavallazzi Liverani, rilasciata a G. Landi e F. Zama il 21 luglio 1986; BCDP-CB, Sezione Locale, Miscellanea.

Bibliografia: scritti su C.: A. Borghi, Conferma anarchica (Due anni in Italia), Forlì, “L’Aurora”, 1949; Id., Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli, ESI, 1954; O. Diversi, Il territorio di Castelbolognese, Imola, Galeati, 1972; A. Donati, Sul Senio il fronte si è fermato. Castelbolognese 1943-1945, Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1977; Comune di Castelbolognese, Testimonianze e documenti della Resistenza a Castelbolognese, Faenza, Centro Stampa Comunale, 1981; Castelbolognese nelle immagini del passato, Imola, Grafiche Galeati, 1983; Il movimento anarchico a Castelbolognese (1870-1945), Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1984; S. Cavallazzi Liverani, Sopravvivere ad ogni costo fu l’incitamento che Arnaldo Cavallazzi rivolse in modo esemplare alla popolazione di Castelbolognese, “Vita Castellana”, n. 1 (n. s.), 1985; G. Landi, Una famiglia di anarchici castellani: i Cavallazzi, in Aspetti della società tra Ottocento e Novecento, Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1987; C. Martelli, Fascismo antifascismo resistenza guerra di liberazione a Tredozio e in altri comuni della Romagna, s.l., s.n., 1993.

Gianpiero Landi

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Ebro Cavallazzi (1908-1976) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/vecchi-castellani/ebro-cavallazzi-1908-1976/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/vecchi-castellani/ebro-cavallazzi-1908-1976/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:41 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/ebro-cavallazzi/ Capomastro, muratore, sempre per proprio conto, non sopportava star sottomesso agli altri. Uomo semplice, franco, che diceva “pane al pane e vino al vino” dotato di una grande memoria fotografica e ricordava tutto di tutti, dai grandi avvenimenti politici alle piccole cose di tutti i giorni. Era stato alpino e …

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ebro_cavallazzi

Nato a Castel Bolognese il 6.1.1908
Morto a Pieve Ponte l’11.5.1976

Capomastro, muratore, sempre per proprio conto, non sopportava star sottomesso agli altri. Uomo semplice, franco, che diceva “pane al pane e vino al vino” dotato di una grande memoria fotografica e ricordava tutto di tutti, dai grandi avvenimenti politici alle piccole cose di tutti i giorni.
Era stato alpino e s’impegnava a fondo nelle attività degli alpini.
Ogni cosa che vedeva e che gli accadeva intorno, doveva assimilarla ed allora si metteva a scrivere, nel suo dialetto, perchè cosi era più viva e vera.
Noi lo ricordiamo con queste due zirudelle, scritte pochi anni prima della sua morte e che rispecchiano l’uomo buono e sincero.

La Vciaia

Pórca d’la vciaia e tott i su azident!
Ogni matena ut cres i mancament.
I dent a on a on i s’avèia tott
e st’armen di bus, l’è nenc piò brott.
Ormei l’è propri un scioper generêl:
t’at sent furê un ‘urècia e un pè ut fa mel;
bsogna bé pôc: us brusa i intesten,
e a e povar vëcc i i nega nenca e ven;
e “… magna manc, st’an vu l’indigestion…”
Pôrca mastela, cum as pol stê bon?
E cala al fôrz, us perd i sintiment;
ormei l’è mei murì d’un azident.
In ca l’è un pezz ch’it fa dla tiritera;
“On cum e te un va be stê fura d’sera!…”
E dè d’lavor la sera it manda a lëtt;
la vëcia l’an t’vô dri: l’è un bël dilett!
I fiul i è maridé, i à di baben,
e te pulpeta, t’se dvinte nunen.
L’ultum scalen che va in graduatôria:
csa vliv pu dì? L’è za finì la stôria.

L’adio a e mi Castel

Adio e mi castël, a so ormai vëcc,
i occ in vô avdé, e un vô sintì agl’urëcc,
mo dêt che tè e mè a sem babb e fiôl,
t’putrès un pô comprender al mi parôl.
Di quand in quand a vegn in t’la piaza,
mo di castlen us è ormei pers Ia raza.
Us ved una gran ciurma, una fameia
d’rifiut di cuntaden, d’casantereia.
Parô cun quest an cred t’at n’eva a mêl:
dop la guera l’ê côsa in generél.
Me am aviarò, mo aviendum a i ó passion,
parchè te t’é dal beli tradizion.
Sfuiend tent en indrì di liver d’stôria,
mult di tu fiul i a maritê la glôria:
Antolini, Bragheldi e clu d’Barnêrd
scanzlê cl’ê pôc par meti un nom bastêrd;
e parlend mo di temp un pô recent,
t’am capêsc, a voi dì e Risurgiment,
piò d’quaterzent i fo i garibalden
e questi a que’ agl’é côs c’al s’pò di ben.
Castël u s’è distent in dapartot:
epidemei, culera e taramot:
curagius, semper pront i era i Castlên,
par spends in tot e mond a fê de ben.
Zert vecc, purèt, mo pi d’inteligenza
i s’è distent t’agl’êrt e nenc t’la scienza.
Guerda a là bas, e lassa indrì Ia zema,
pr’avdé se quii ch’i è vnu i è cum e prema.
L’edifezi l’è bon, se i fundament
i è ste fêtt con criteri e de ziment.



Riportiamo anche una curiosità relativa a Ebro Cavallazzi: a lui si deve l’invenzione del nome “Borgo Marziani”

Borgo Marziani

A valle della via Emilia parte del podere denominato “Mulesa” all’inizio degli anni ’50 fu suddiviso in piccoli lotti che furono venduti a coloro che desideravano “farsi un po’ di casa”.
La zona non era lottizzata mancava cioè di impianti pubblici di fognature e acquedotto.
Erano gli stessi acquirenti dei lotti che si costruivano da soli la propria abitazione. Essi cercavano di risparmiare pietra su pietra, facendo solamente il necessario, cosicchè le case erano tutte a piano terra.
Queste costruzioni basse erano oggetto di numerose critiche da parte di tutti i vecchi parrocchiani che erano abituati a vivere in altri tipi di abitazioni.
Si era all’epoca in cui era di voga parlare del primi extraterrestri che, secondo le notizie riportate dai giornali, dovevano essere molto piccoli di statura e abitare perciò in luoghi a loro proporzionati.
Tra i numerosi commenti che si sentirono fece scalpore quello pronunciato da Ebro Cavallazzi: “al s-rà al ca’ di marziên”.
Le costruzioni continuarono fino alla formazione di una borgata che fu soprannominata “Borgo Marziani”. Da una battuta scherzosa nacque così una denominazione che si è via via affermata e che è ora conosciuta come località.
Accanto alla borgata successivamente fu trasferita “la bottega” (che era situata nella casa di fronte a via Lugo); fu aperto ii bar e attualmente anche un’annessa sala da ballo.
All’aperto c’è pure la pista di scattinaggio che durante il periodo estivo viene usata per il ballo e anche per altre manifestazioni.

Testi e immagine tratti dal periodico 2001 Romagna, anno 1984.

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Raffaele Cavallazzi (1852-1934) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/anarchici/raffaele-cavallazzi-1852-1934/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/anarchici/raffaele-cavallazzi-1852-1934/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:54:41 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/raffaele-cavallazzi/ Nasce a Castel Bolognese (RA) il 25 dicembre 1852 da Antonio e Fortunata Budini, rivenditore di giornali, tipografo. Il padre è segretario comunale, e la famiglia annovera fra i propri membri e parenti diversi patrioti coinvolti nelle cospirazioni e nei fatti d’arme del Risorgimento. In particolare lo zio materno Giuseppe Budini, …

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Ritratto giovanile di Raffaele Cavallazzi (43493 byte)

Ritratto giovanile di Raffaele Cavallazzi

Nasce a Castel Bolognese (RA) il 25 dicembre 1852 da Antonio e Fortunata Budini, rivenditore di giornali, tipografo. Il padre è segretario comunale, e la famiglia annovera fra i propri membri e parenti diversi patrioti coinvolti nelle cospirazioni e nei fatti d’arme del Risorgimento. In particolare lo zio materno Giuseppe Budini, amico personale di Mazzini e della di lui madre Maria Rossi Drago, già esule a Parigi dove diventa tipografo, nel 1848-49 al comando di volontari prende parte a diverse battaglie durante la prima guerra d’indipendenza e la successiva difesa della Repubblica Romana. La sua formazione avviene in un ambiente permeato di idealità patriottiche ma anche di aspirazioni a un assetto politico e sociale più libero e giusto. A differenza dei due fratelli Arnaldo e Giuseppe, entrambi studenti universitari, interrompe quasi subito gli studi. A quattordici anni, quando nel 1866 scoppia la terza guerra d’indipendenza, chiede di aggregarsi al fratello Arnaldo e ai cugini che partono volontari per combattere tra i garibaldini o nell’esercito regolare, ma il padre glielo impedisce per la sua giovane età. Arnaldo ritornerà debilitato nel fisico e morirà l’anno dopo. L’altro fratello Giuseppe morirà invece a Carcare (SV) a 21 anni nel 1876, mentre è sergente nell’esercito, sembra per un suicidio. Pur mancando la documentazione in proposito, è probabile che la adesione di Raffaele al socialismo anarchico risalga alla metà del decennio 1870. Armando Borghi lo citerà molti anni dopo in un elenco di vecchi militanti da lui conosciuti in gioventù che avrebbero preso parte al moto di Bologna del 1874 con Bakunin, ma non sono state trovate conferme. In ogni caso, C. fa sicuramente parte del primo nucleo di militanti internazionalisti a Castel Bolognese, insieme a Antonio Borghesi (che però vive prevalentemente a Imola) e a Filippo Guadagnini. All’interno del movimento ben presto egli assume un ruolo di rilievo, tanto che le fonti di polizia lo definiscono per molti anni “capo degli anarchici” della piccola città romagnola. L’attività politica di C. è documentata a partire dal 1880, allorchè il suo nome comincia ad apparire nei rapporti di polizia e poi nei giornali socialisti. Dopo avere subìto – a partire dal 1869 – alcune condanne per reati minori, nel settembre del 1881 viene condannato per “cospirazione e attentati contro la sicurezza interna dello Stato”. Il 15 giugno 1883 riceve una condanna a un anno di carcere per “detenzione di armi insidiose e per contravvenzione ai Regolamenti ferroviari”. Si tratta di alcuni tra i primi episodi di una serie innumerevole e quasi incredibile di fermi, arresti, detenzioni, ammonizioni e persecuzioni di ogni genere – in gran parte documentati nel suo fascicolo personale presso il cpc – a cui dovrà sottostare per buona parte della sua esistenza, e che mai riusciranno a demoralizzarlo e a distoglierlo dal suo impegno politico. Ancora A. Borghi scriverà di lui: “Era il proselitista nato. Si doveva in gran parte a lui se a Castel Bolognese gli anarchici erano il più forte numero fin dai tempi dell’Internazionale. A ogni 18 marzo esponeva la bandiera rossa alla finestra. Arrestato non saprei quante volte, se ne usciva sempre più deciso. Testa leonina, barba cappello e cravatta alla Cipriani […] Non incolto; intelligentissimo. In ogni comizio prendeva la parola e sapeva dire cose assennate anche agli onorevoli” (Il tramonto di Bacunin?, 1939). Nel 1881 parla per la prima volta in pubblico, in occasione di una commemorazione unitaria della battaglia di Mentana, a cui prendono parte gli anarchici, i socialisti e i repubblicani. Se le persecuzioni politiche e giudiziarie non riescono a piegarlo, i continui arresti e le spese per gli avvocati per fare fronte ai processi lo costringono però a dare fondo alle risorse economiche della famiglia di origine, considerevoli per l’epoca. Perde inoltre quasi immediatamente l’impiego presso la Congregazione di Carità, ritrovandosi quindi in difficoltà per mantenere la famiglia che nel frattempo si è formato. Sposato con Maria Contoli, gli nascono cinque figli: Arnaldo (1878), Giuseppina (1880), Ribelle (1885), Fortunata (1887) e Giannina Luce Anarchina (così registrata all’Anagrafe per volontà del padre, 1890). I due figli maschi, Arnaldo e Ribelle, diventeranno anch’essi figure di rilievo dell’anarchismo castellano. Per sopravvivere si adatta a vendere giornali presso la Stazione ferroviaria, approfittandone per ricevere e propagandare i giornali anarchici editi in Italia e all’estero, e per tenere i contatti con i compagni in transito per la Stazione stessa. Per tutto il decennio 1880 a Castel Bolognese la frattura fra socialisti e anarchici non può dirsi ancora conclusa, nonostante le polemiche che già oppongono Andrea Costa agli anarchici intransigenti e in particolare a Malatesta. Dal 1881 al 1884 continuano ad apparire sull’”Avanti!” varie corrispondenze che attestano gli intensi rapporti di C. e dei primi socialisti anarchici castellani con Costa. La separazione in due tendenze politiche ben distinte avviene con un certo ritardo, e Cavallazzi ne è il promotore. Nel 1892 egli viene espulso “per comportamento autoritario” dal Circolo di Studi Sociali di Castel Bolognese, fondato il 1° Maggio dell’anno precedente, di cui fanno parte anarchici, socialisti e repubblicani (il Circolo verrà poi sciolto dalle Autorità nel 1894). Per solidarietà con C. escono dal Circolo una decina di soci, componenti la frazione anarchica intransigente (vi rimangono invece alcuni anarchici “possibilisti”, contrari alla rottura con le altre componenti e desiderosi di evitare la dissoluzione del Circolo stesso). L’espulsione di C. si deve ricondurre al suo tentativo di contrastare il ruolo direttivo esercitato all’interno del Circolo da alcuni esponenti socialisti, in particolare il dott. Umberto Brunelli. L’episodio mette in luce la determinazione di C. che si pone come alfiere delle posizioni anarchiche più intransigenti, e attesta altresì la sua influenza su una parte significativa dei compagni locali. L’anno dopo è coinvolto dalla polizia nel più eclatante episodio di anticlericalismo avvenuto a Castel Bolognese, che suscita clamore in tutta la Romagna. E’ infatti denunciato con altri compagni come uno degli autori della decapitazione di una statua della Madonna avvenuta nella notte del 21 maggio 1893 nella Chiesa di San Francesco in occasione della Festa della Pentecoste. Viene per questo processato insieme agli anarchici Antonio Garavini, Giuseppe Minardi, Michele Fantini. Condannato in primo grado, è assolto in appello con sentenza del 22 novembre 1893 dal Tribunale di Ravenna per non provata reità, insieme a Garavini e a Minardi (Fantini era stato già assolto nel primo processo). Nei primi mesi del 1894 è tra i promotori di alcune riunioni per costituire Fasci dei lavoratori in Romagna, a somiglianza di quelli siciliani. La sera del 31 maggio 1894 prende parte a una manifestazione di solidarietà proprio con i Fasci siciliani che si tiene per le vie di Castel Bolognese. Per questo episodio viene processato con altri 18 anarchici e socialisti e viene condannato a 3 mesi di detenzione e una forte multa per “eccitamento a delinquere”. Il 7 dicembre 1894 il Tribunale di Ravenna lo condanna a 19 mesi di reclusione, 400 lire di multa e due anni di sorveglianza per “associazione a delinquere”, in un processo che coinvolge altri anarchici castellani (Ugo Biancini, Giovanni Borghesi, Francesco Budini, Pietro Garavini, Vincenzo Lama, Mario Scardovi), accusati dei reati previsti dagli art. 247 e 248 del Codice Penale. Uscito dal carcere nell’aprile 1896, vi rientra poco dopo e vi trascorre alcuni mesi per scontare altre condanne minori. Viene proposto inoltre per l’assegnazione al domicilio coatto. Per sottrarsi alle persecuzioni politiche e per risolvere il problema della mancanza di un lavoro stabile, tenta la strada dell’emigrazione. Munito di regolare passaporto, il 29 ottobre 1896 si imbarca a Genova sul piroscafo “Gergovia” diretto a Buenos Aires. Rimpatria a Castel Bolognese tre anni dopo, il 19 ottobre 1899, e subito viene convocato nell’ufficio di P.S. e “diffidato a tenere regolare condotta specialmente in linea politica”. Il richiamo non sortisce alcun effetto, e immediatamente riprendono sia l’attività politica di C., sia le persecuzioni delle autorità. Il 23 settembre 1900, nel clima repressivo seguito al regicidio di Bresci, viene denunciato per associazione a delinquere quale uno dei componenti il nucleo organizzatore del Gruppo socialista-anarchico di Castel Bolognese sciolto d’autorità, ma si rende latitante e successivamente il Tribunale di Ravenna dichiara il non luogo a procedere. Negli anni successivi compie altri tentativi di trovare lavoro in località all’estero e in Italia, ma sempre senza successo (a Costanza in Germania nel gennaio e nell’aprile 1901, a Milano nel luglio-agosto 1905). Già al ritorno dall’Argentina cominciano a manifestarsi disturbi alla vista, che lo portano a perdere completamente l’uso di un occhio. Nel 1900 circa viene fondata dal figlio Arnaldo la Tipografia Cavallazzi, impresa commerciale che svolge anche un ruolo politico in quanto vi saranno stampati giornali anarchici e di sinistra, non solo castellani, fino all’avvento del fascismo. Per un decennio Raffaele sarà l’intestatario dell’impresa, a cui collabora tutta la famiglia, ma svolgerà sempre un ruolo secondario. Nel 1911 la gestione della Tipografia passerà completamente nelle mani del figlio Ribelle, affiancato dalle sorelle, e Raffaele si dedicherà soprattutto all’attività di rilegatore di libri. Anche in epoca giolittiana Raffaele rimane uno degli elementi più in vista dell’anarchismo castellano, che si rafforza per l’ingresso in scena di nuove generazioni di militanti. Nel nuovo clima politico di inizio secolo, meno repressivo e persecutorio, anch’egli vede allentare la pressione nei suoi confronti, ma non cessano le denunce e i processi. Viene condannato nel 1903 per avere diffuso senza autorizzazione il 18 marzo un n. u. commemorante la Comune di Parigi. La sera del 22 ottobre 1905 viene arrestato insieme ad altri per le proteste seguite all’intimazione, da parte del delegato di PS di Castel Bolognese, di scioglimento di una pubblica riunione in cui è oratore il repubblicano Pirro Gualtieri di Cesena. Il giorno dopo, mentre viene tradotto alle carceri di Faenza, riesce a fuggire clamorosamente a fuggire insieme al figlio Arnaldo, ad Armando Borghi e allo stesso oratore Gualtieri. Nel successivo processo il Tribunale di Ravenna il 23 novembre lo condanna per questo a 51 giorni di reclusione e a 100 lire di multa.

raffaelecavallazzi

Raffaele Cavallazzi da vecchio

Negli anni successivi continua a collezionare denunce e processi, subendo alcune condanne per reati minori, soprattutto oltraggio ai Carabinieri e affissione di stampati. Continua a svolgere un’intensa attività, partecipando anche a riunioni e Convegni anarchici a Castel Bolognese e altre città vicine. Nel giugno 1914 C. partecipa ai moti della Settimana rossa, durante i quali a Castel Bolognese viene assalita e bruciata la Stazione ferroviaria, e risulta per questo tra gli arrestati. Sarà liberato poi senza processo a seguito di un’amnistia. Il 26 maggio1915 viene sorpreso dai Carabinieri mentre distribuisce clandestinamente dei manifestini contro la guerra. Successivamente è tratto in arresto il 22 settembre 1916 perché sorpreso a parlare con giovani di Faenza iscritti alla leva della classe 1897, incitandoli a ribellarsi con le frasi: “Voialtri dovreste fare la rivoluzione e gridare abbasso la guerra, abbasso l’Italia, viva l’Internazionale” (nel processo per questo episodio verrà poi assolto per insufficienza di indizi). Nel dopoguerra i suoi rapporti con i compagni, soprattutto i più giovani, sono talvolta contrastati, a causa del suo carattere considerato da molti troppo autoritario e intollerante. Dopo l’avvento del fascismo, ormai vecchio e quasi cieco, viene aggredito da uno dei fondatori del fascio locale che per spregio gli taglia una parte della barba. Subìto l’oltraggio, con fierezza grida in faccia al suo aggressore: “Ero anarchico con la barba, sono anarchico anche senza”. In seguito lascia “dissestata” la barba, per potere ripetere mostrandola: “Tutti devono vedere e sapere come quei manigoldi dei fascisti maltrattano i vecchi”. A parte questo episodio, viene lasciato abbastanza tranquillo. Nel 1928 viene radiato dallo schedario dei sovversivi perché “data la sua avanzata età (anni 76) e la quasi completa cecità non è più da considerarsi persona pericolosa”. Fino all’ultimo conserva i suoi ideali. Muore a Castel Bolognese il 9 gennaio 1934.

FONTI: ACS, CPC, ad nomen; SASI, GSP, 1878-1900; Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani; BLAB, Fondo Anarchici Castellani; Fondo Nello Garavini, Testimonianze, dattil. inedito; Intervista a Scilla Cavallazzi Liverani, rilasciata a G. Landi e F. Zama il 21 luglio 1986; BCDP-CB, Sezione Locale, Miscellanea; mrbo, Fondi tematici. Gollini 1967-70.

BIBLIOGRAFIA: Il Processo degli Anarchici di Castel Bolognese, “L’Ombra d’Landon” (Ravenna), 8 dicembre 1894; A. Borghi, Il tramonto di Bacunin?, Newark, N.J., “L’Adunata dei Refrattari”, 1939; Id., Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli, ESI, 1954; L. Dal Pane, Ricordo di Castelbolognese: sessant’anni fa, e M. Santandrea, Carta stampata, in Studi e memorie su Castelbolognese, Imola, Galeati, 1973; A. Taracchini, L’associazionismo anarchico, in Associazioni e personaggi nella storia di Castelbolognese, Imola, Galeati, 1980; P. Costa, Comune e popolo a Castelbolognese (1859-1922), Imola, Galeati, 1980; Castelbolognese nelle immagini del passato, Imola, Grafiche Galeati, 1983; Il movimento anarchico a Castelbolognese (1870-1945), Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1984; G. Landi, Una famiglia di anarchici castellani: i Cavallazzi, in Aspetti della società tra Ottocento e Novecento, Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1987; D. Gottarelli, Oltraggio alla Madonna. Castel Bolognese 1893, Castel Bolognese, s.n., 2003.

Gianpiero Landi

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Ribelle Cavallazzi (1885-1919) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/anarchici/ribelle-cavallazzi-1885-1919/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/anarchici/ribelle-cavallazzi-1885-1919/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:54:44 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/ribelle-cavallazzi/ Nasce a Castel Bolognese (RA) il 25 aprile 1885 da Raffaele e Maria Contoli, falegname, poi tipografo. Cresciuto in una famiglia di anarchici (il padre Raffaele, considerato nelle fonti di polizia “capo degli anarchici” di Castel Bolognese, il fratello maggiore Arnaldo), fa propri gli ideali libertari fin dalla più giovane …

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https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/ribellecavallazzi.jpg (65090 byte)Nasce a Castel Bolognese (RA) il 25 aprile 1885 da Raffaele e Maria Contoli, falegname, poi tipografo. Cresciuto in una famiglia di anarchici (il padre Raffaele, considerato nelle fonti di polizia “capo degli anarchici” di Castel Bolognese, il fratello maggiore Arnaldo), fa propri gli ideali libertari fin dalla più giovane età. A differenza del padre e del fratello si manterrà però sempre in una posizione eccentrica e marginale nei confronti del movimento locale organizzato. Frequenta solo le prime classi elementari ma grazie alla naturale intelligenza e alla passione per la lettura di libri acquisisce una discreta cultura di autodidatta. Dotato di una spiccata vena creativa artistica compone poesie (predilige in particolare le terzine dantesche), alcune delle quali stampate su periodici e numeri unici locali dell’epoca. Frequenta soprattutto anarchici e socialisti suoi coetanei, e prende parte alle diverse iniziative organizzate dagli anarchici castellani in epoca giolittiana. La sera del 22 ottobre 1905 viene arrestato insieme ad altri per le proteste seguite all’intimazione, da parte del delegato di PS di Castel Bolognese, di scioglimento di una pubblica riunione in cui è oratore il repubblicano Pirro Gualtieri di Cesena. Il giorno dopo, mentre gli arrestati vengono tradotti alle carceri di Faenza, il padre Raffaele e il fratello Arnaldo, insieme ad Armando Borghi e allo stesso oratore Gualtieri, riescono clamorosamente a fuggire. Nel successivo processo il Tribunale di Ravenna il 23 novembre, pur comminando diverse condanne ad altri imputati, assolve Ribelle per non provata reità. Il 14 luglio 1908 viene arrestato per oltraggio all’Arma dei Carabinieri, e successivamente condannato a 15 giorni di reclusione dalla Pretura di Faenza. Nel 1911 assume in proprio l’esercizio della “Tipografia Cavallazzi” già appartenente al padre, e nella quale lavora già da qualche anno. Collaborano con lui, dedicandosi soprattutto alla composizione dei testi, le sorelle Fortunata e Giannina (nell’ottobre del 1944, rimaste titolari della Tipografia, le sorelle saranno arrestate da militi delle Brigate Nere e costrette ad assistere a torture a morte di antifascisti; Fortunata si suiciderà per questo). Nello stesso anno entra a fare parte della redazione del periodico democratico “Il Senio” (luglio 1911 – settembre 1912), stampato nella sua Tipografia. Si tratta di una interessante esperienza di giornalismo locale laico e di sinistra ma esterno ai partiti, che ha tra i suoi principali redattori l’anarchico Oreste Zanelli, il socialista Mario Santandrea e il repubblicano Francesco Serantini. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale C. diventa interventista e fa domanda per essere arruolato come volontario, ma viene riformato. Dichiarato abile in una successiva visita di revisione, viene arruolato in Fanteria e assegnato prima all’80° rgt di stanza a Verona, poi al 56° rgt a Belluno. Fatto prigioniero dagli Austriaci nel giugno del 1917, viene internato nel campo di concentramento di Mauthausen, dove le privazioni e la prolungata sottoalimentazione minano gravemente il suo fisico. Durante la prigionia scrive, dal 13 al 26 settembre 1918, un componimento di 60 quartine dal titolo “Ritorno”, in cui sono ritratti con animo di poeta i tipi e le figure del suo tempo nel paese natio (verrà poi pubblicato nel n.u. “La Castelleide” del 10 mar. 1919). Rilasciato dopo la fine della guerra, deve riprendere immediatamente il servizio militare, senza che gli venga consentito il ritorno a casa.. Dopo una breve licenza viene arrestato per non essersi presentato al Comando di Deposito. Avviato a Venezia al suo Reggimento, si assenta abusivamente e il 23 gennaio 1919 rientra a Castel Bolognese, secondo le fonti di polizia manifestando “segni di alienazione mentale e di mania di persecuzione”. Viene ricoverato nell’Ospedale militare di riserva di Faenza, e ottiene una licenza di convalescenza di 3 mesi da fruire a casa. Muore suicida a Castel Bolognese il 28 aprile 1919.

FONTI: ACS, CPC, ad nomen; Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani; BLAB, Fondo Anarchici Castellani; N. Garavini, Testimonianze, dattil. inedito; Intervista a Mario Santandrea, rilasciata a R.Suzzi il 12 dicembre 1983; Intervista a Scilla Cavallazzi Liverani, rilasciata a G. Landi e F. Zama il 21 luglio 1986; BCDP-CB, Sezione Locale, Miscellanea.

BIBLIOGRAFIA: F. Serantini, La cavalla galeotta, “Il Resto del Carlino”, 19 settembre 1957; P. Costa, Un paese di Romagna. Castelbolognese fra due battaglie (1797-1945), Imola, Galeati, 1971; O. Diversi, Il territorio di Castelbolognese, Imola, Galeati, 1972; M. Santandrea, Carta stampata, in Studi e memorie su Castelbolognese, Imola, Galeati, 1973; P. Costa, Comune e popolo a Castelbolognese (1859-1922), Imola, Galeati, 1980; Castelbolognese nelle immagini del passato, Imola, Galeati, 1983; Il movimento anarchico a Castelbolognese (1870-1945), Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1984; G. Landi, Una famiglia di anarchici castellani:i Cavallazzi, in Aspetti della società tra Ottocento e Novecento, Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1987.

Gianpiero Landi

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Relazione sulla formazione e sul funzionamento di una squadra di soccorso in comune di Castelbolognese https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/relazione-formazione-funzionamento-squadra-soccorso-in-comune-castelbolognese/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/relazione-formazione-funzionamento-squadra-soccorso-in-comune-castelbolognese/#respond Tue, 30 Sep 2014 19:49:01 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=4257 La proposta di creare una squadra di soccorso in questo Comune, risale all’agosto del 1944, ad opera del prefetto della Provincia e dell’ufficio Tecnico comunale. La pratica attuazione però si è avuta solo dal 30 novembre dello stesso anno, in seguito alle prime granate cadute nell’abitato del paese nella notte …

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La proposta di creare una squadra di soccorso in questo Comune, risale all’agosto del 1944, ad opera del prefetto della Provincia e dell’ufficio Tecnico comunale. La pratica attuazione però si è avuta solo dal 30 novembre dello stesso anno, in seguito alle prime granate cadute nell’abitato del paese nella notte dal 29 al 30.

La mattina del 30 novembre con lettera del Commissario Prefettizio del Comune, lo scrivente fu mobilitato civilmente ed inviato ad assumere il Comando di una Squadra di Soccorso, intesa al ricupero di morti e feriti dalle macerie, alla demolizione di muri pericolanti, alla puntellatura di coperti e di solai; in una parola, di aiuto a tutti i colpiti dalla guerra che aveva raggiunto la nostra zona.

Il sottoscritto nell’agosto 1944 inviato a fare parte di tale squadra, aveva declinato l’invito per ragioni di carattere politico, ma al 30 novembre, quando l’urgenza del soccorso batteva alle nostre porte, senza discussione accettava l’incarico affidatogli, soddisfatto di potere continuare anche da vecchio, la carriera di pompiere che aveva disimpegnato volontariamente per trent’anni, quale Vice e quale Comandante.

Alla data del 30 novembre la squadra consegnatagli era così composta:

1. Cavallazzi Arnaldo – Comando
2. Cupido Francesco
3. Impiduglia Filippo
4. Severi Giuseppe
5. Manna Luigi
6. Recchioni Eros
7. Cimatti Luigi
8. Serantoni Vincenzo

I primi tre risposero all’appello, gli altri cinque come da elenco non ubbidirono alla chiamata.

In breve sostituirà i disertori, in modo che fino dai primi giorni di funzionamento la squadra risultò composta dai seguenti elementi:

1. Cavallazzi Arnaldo – Comando
2. Liverani Ariovisto
3. Cupido Francesco
4. Impiduglia Filippo
5. Dalpozzo Armando
6. Piancastelli Carlo
7. Grazioli Oreste
8. Tampieri Antonio

Tale squadra riuscì anche dal lato tecnico essendo composta di tutti appartenenti all’arte muraria.

All’atto della formazione, ai componenti della squadra venne consegnato un bracciale con la dicitura ‘U.N.P.A.’ che ebbero cura di portare al braccio sinistro, per sottrarsi al lavoro obbligatorio imposto dai tedeschi. Fino dai primi giorni della formazione della squadra vi fu sempre qualcosa da fare: sopraluoghi, visite a cantine e rifugi, smorzamento di incendi, estrazioni di cadaveri dalle macerie, trasporto di feriti, nonchè puntellature, abbattimento di muri pericolanti, ecc., mentre la squadra era sprovvista di puntelli, senza scale, senza chiodame, né badili, né picconi, né corde. Agì sempre con mezzi di fortuna. I pochi militi di squadra, sprovvisti di ogni attrezzo, hanno dato quanto potevano delle loro forze, delle loro energie, esposti continuamente al pericolo e senza ricevere alcun compenso.

Al 15 gennaio 1945 il milite Tampieri Antonio cessò da ogni attività, mentre vennero assunti l’ing. Degiovanni Plinio, il rag. Dalprato Giovanni e Lanzoni Amilcare.

Il 22 gennaio 1945, il Comandante della squadra Cavallazzi Arnaldo venne ferito da scheggia di granata in piazza Camerini, mentre era diretto alla Canonica della Chiesa di S.Petronio, per ragioni inerenti alle sue funzioni. La scheggia che aveva colpito il piede sinistro, costrinse il Cavallazzi a venti giorni di letto, dopo i quali, zoppicante, riprese il suo servizio. Al riparo dei muri del Cimitero del Capoluogo essendovi appostata artiglieria tedesca, il cimitero era continuamente battuto da quella Alleata; difficoltà quindi per trasportarvi le numerose salme dei cittadini che cadevano quotidianamente o che morivano all’ospedale per ferite.

Anche in questo campo, la squadra si rese benemerita, accollandosi il trasporto dei morti.

In data 15 febbraio un nuovo milite venne a fare parte della squadra: Cani Aldo.

Il giorno 17 febbraio dopo un violento cannonneggiamento Alleato un generoso componente della squadra, Liverani Ariovisto, inviato in giro di perlustrazione nella zona colpita, rimaneva gravemente ferito da scheggia di granata. Portato dai colleghi e dai militi del Pronto Soccorso all’Ospedale di Imola, il giorno successivo vi decedeva.

Il Liverani, che lascia moglie e due teneri figli, fu compianto da tutto il paese e ricevette largo tributo di benevolenza dai militi della U.N.P.A. di Imola e specialmente dal loro Comandante sig. Ettore Mongardi. Per ragioni di sfollamento il milite Degiovanni ing. Plinio abbandonò la squadra, che alla data del 1° marzo restò così composta:

1. Cavallazzi Arnaldo – Comando
2. Cani Aldo
3. Cupido Francesco
4. Dalpozzo Armando
5. Dalprato rag.Giovanni
6. Grazioli Oreste
7. Impiduglia Filippo
8. Lanzoni Amilcare
9. Piancastelli Carlo

Castelbolognese, in principio della seconda decade di gennaio 1945, in seguito a richiesta di alcuni castellani veniva incorporata nella provincia di Bologna ed in seguito anche la squadra di Soccorso in oggetto fece richiesta di essere incorporata nell’organico Provinciale in una sua comunicazione diretta al Comando del distaccamento U.N.PA. di Imola che informava: ‘È stata ottenuta l’approvazione del Ministero dell’Interno di incorporare i componenti della squadra U.N.P.A. di Castelbolognese nell’organico del Comando Provinciale di Bologna a partire dalla data che stabilirà il Capo della Provincia e che verrà comunicata appena possibile. Il riconoscimento della squadra che non si era potuto ottenere dalla Provincia di Ravenna, in seguito agli avvenimenti bellici che ci aveva tagliato fuori da ogni comunicazione con la nostra Provincia era venuto attraverso quella di Bologna. La squadra locale assumeva il titolo di Distaccamento U.N.P.A. del Comando Provinciale di Bologna.

Il primo aprile veniva assunto un nuovo milite nella persona del perito industriale Ponzi Giulio.

In questo frattempo, la nostra squadra era stata fornita dal Comando Provinciale e da quello del Distaccamento di Imola, di qualche indumento, di vari attrezzi, di materiale per fasciature e di lacci di gomma. Man mano che la primavera avanzava anche le azioni belliche crescevano di intensità, il nostro territorio erasi trasformato in un campo di battaglia, ed il fiume Senio che dal lato sud dell’abitato dista appena 700 m., metteva a dura prova i gregari del soccorso.

Le truppe tedesche creavano continuamente imbarazzi ad il servizio era reso sempre più disagevole; i pochi militi erano continuamente impegnati a trasportare morti e feriti, a smorzare incendi che si sviluppavano anche a coppie, alla costruzione di muretti a secco sotto gli archi dei portici a protezione delle scheggie, alla distribuzione di calce per disinfezione ed a cento altri lavori, pur di rendersi utili alla popolazione.

Nei giorni che precedettero la liberazione furono ancora più intense le azioni belliche e gli sforzi della squadra vennero in conseguenza moltiplicati e solo a liberazione avvenuta, alcuni militi del Distaccamento si sentirono sciolti dagli impegni che volontariamente si erano assunti e così i gregari: Dalprato rag.Giovanni, Dalpozzo Armando, Impiduglia Filippo; ritornarono ai loro lavori abituali, che avevano abbandonato all’atto della iscrizione nella squadra di soccorso.

Il giorno 15 del mese di aprile una nuova disgrazia venne a colpire i superstiti del Distaccamento U.N.P.A.; il milite Cani Aldo, abile sminatore, dopo aver esposto tante volte generosamente la propria esistenza, incaricato di sminare un passaggio sul Senio, inciampava nell’ultima mina rimasta, rimanendo gravemente ferito. Trasportato all’Ospedale Civile di Faenza il giorno 28 aprile vi decedeva lasciando nella desolazione la moglie e l’unica figlioletta.

I superstiti del Distaccamento continuarono ancora a rendersi utili, a liberazione avvenuta, nelle molte esumazioni e nel ricupero di cadaveri giacenti sotto le macerie fino alla data del 15 maggio.

Dopo tale data l’organizzazione U.N.P.A. è da considerarsi sciolta.

Una parte del materiale avuto in consegna dal Comando Provinciale di Bologna è stata restituita, altro materiale è da ricuperare ed altro ancora è stato razziato dalle soldatesche germaniche.

Tutto il servizio dell’U.N.P.A. dal 30 novembre 1944 alla liberazione è stato compiuto gratuitamente.

Castel Bolognese, 30 maggio 1945

IL COMANDANTE DEL DISTACCAMENTO

Cavallazzi Arnaldo

(Documento conservato nell’Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani)

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