Antolini Archives - La Storia di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/tag/antolini/ Tue, 15 Nov 2022 22:49:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 Un raro ritratto di Giovanni Antonio Antolini https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/un-raro-ritratto-di-giovanni-antonio-antolini/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/un-raro-ritratto-di-giovanni-antonio-antolini/#respond Mon, 18 Jan 2021 20:39:41 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=8743 Fino al 2000 l’aspetto dell’architetto Giovanni Antonio Antolini era sostanzialmente conosciuto solo da pochi studiosi e totalmente ignoto nel suo paese di origine. Esistevano alcuni disegni e incisioni che lo ritraevano, ma solo con la pubblicazione della prima edizione della sua biografia, curata dall’architetto Maria Giulia Marziliano, uno di essi …

The post Un raro ritratto di Giovanni Antonio Antolini appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
Fino al 2000 l’aspetto dell’architetto Giovanni Antonio Antolini era sostanzialmente conosciuto solo da pochi studiosi e totalmente ignoto nel suo paese di origine. Esistevano alcuni disegni e incisioni che lo ritraevano, ma solo con la pubblicazione della prima edizione della sua biografia, curata dall’architetto Maria Giulia Marziliano, uno di essi è stato divulgato su vasta scala.
Mancava ancora un vero e proprio ritratto, fino a quando, nel 2007, è entrato nelle disponibilità dell’antiquario milanese Orsini ed è stato pubblicato sul suo catalogo Orsini arte e libri del 2007, pp. 19-21. Si tratta di un piccolo ma notevole olio su cartone eseguito nel periodo compreso tra il 1825 e il 1830 circa: l’opera è attribuita al periodo giovanile del pittore milanese Giuseppe Molteni. Il ritratto è ora confluito in una collezione privata.
Vi proponiamo qui di seguito la scheda di presentazione del Ritratto dell’architetto Giovanni Antonio Antolini, pubblicata dall’antiquario Orsini.
Ringraziamo sentitamente l’architetto Maria Giulia Marziliano per la segnalazione. (A.S.)

Giuseppe Molteni

(Affori, Milano, 1800 – Milano, 1867)

Ritratto dell’architetto Giovanni Antonio Antolini, 1825-1830
Olio su cartone, 19,5 x 16,5 cm
Firmato a sinistra: “Molteni F.”

La figura di Giovanni Antonio Antolini è indissolubilmente legata al “magnifico progetto” per la costruzione di Foro Bonaparte a Milano, un’idea grandiosa, concepita nel 1800, che avrebbe dovuto esprimere attraverso l’architettura, rigorosamente neoclassica, una società modellata sugli ideali della Rivoluzione Francese di cui allora Napoleone si era fatto portavoce.
La carriera di Antolini, nato a Castel Bolognese nel 1754 (1), si sviluppa inizialmente tra Roma, le Marche, l’Umbria e la Romagna dove progetta ponti, opere idrauliche e residenze di nobili committenti, rivelandosi uno dei più importanti fautori della trasformazione dell’architettura italiana in direzione delle nuove idee fondate sul razionalismo provenienti da Oltralpe.
I disegni eseguiti per un arco di trionfo da erigersi a Faenza e la vittoria di un concorso per la costruzione di otto piramidi nell’ex lazzaretto di Milano in onore dei caduti di guerra, convincono Napoleone che Antolini sia l’uomo giusto a cui affidare la realizzazione del Foro.
Il piano, presentato al Generale in persona nel 1801, prevede la creazione di un’immensa piazza circolare intorno al Castello Sforzesco, destinato a diventare sede del governo repubblicano; sotto il portico sarebbero sorti gli edifici pubblici circondati da un canale navigabile collegato al Naviglio.
Antolini riceve la carica di architetto e direttore dei lavori, ma il progetto non va oltre la posa della prima pietra per la conflittualità sorta con l’Amministrazione, che lo giudicava troppo costoso, i rancori e l’invidia dei colleghi.
Smaltita l’iniziale delusione, decide di investire comunque sul suo progetto pubblicando le tavole illustrative del Foro in una prestigiosa edizione bodoniana, e ricomincia le sue peregrinazioni per l’Italia che lo porteranno ad erigere prestigiosi cantieri a Mantova, Modena e Venezia, mentre a Bologna gli viene assegnata la cattedra di Architettura all’Accademia di Belle Arti.
Nel 1816 si trasferisce nuovamente a Milano, dove rimarrà fino al 1832. Ed è proprio a questo periodo che si può far risalire l’esecuzione del ritratto assolutamente inedito che qui proponiamo, di eccezionale importanza poiché è l’unico conosciuto che raffigura il grande architetto, il cui aspetto finora era noto soltanto attraverso un’incisione.
Il dipinto, di chiara destinazione privata, è opera giovanile di Giuseppe Molteni, che probabilmente conobbe Antolini frequentando lo studio milanese di Pelagio Palagi, grande amico e conterraneo dell’architetto.
La datazione del dipinto oscilla tra il 1825 e il 1830, periodo in cui Francesco Hayez esegue quello straordinario ritratto di gruppo in cui erano raffigurati, oltre all’esecutore, anche Molteni, Palagi, Giovanni Migliara e il letterato Tommaso Grossi.
Quella stessa atmosfera intima e familiare, così distante dai ritratti alla moda che più avanti avrebbero fatto la fortuna di Molteni, traspira anche da questo piccolo ovale, dove l’architetto, dall’acconciatura bizzarra, esprime attraverso uno sguardo fiero e penetrante tutta quella vitalità che ancora lo contraddistingue nonostante l’età molto avanzata.

Bibliografia di riferimento:
Giuseppe Molteni (1800-1867) e il ritratto nella Milano romantica, catalogo della mostra, Milano 2000; M.G. Marziliano, Giovanni Antonio Antolini. Architetto e Ingegnere (1753-1841), Faenza 2003; Architettura e urbanistica in età neoclassica. Giovanni Antonio Antolini. Atti del 1° Convegno di studi antoliniani, a cura di M.G. Marziliano, Faenza 2003.

(1) La data esatta di nascita è il 1753, così come verificato da Giovanni Emiliani nel 1883 con l’individuazione dell’atto di battesimo nei registri della Parrocchia Arcipretale di San Petronio, in Castel Bolognese. Cfr. Emiliani G., Gli uomini illustri di Castel Bolognese. Appunti biografici di Giovanni Emiliani. Per le Nozze Dal Prato-Sangiorgi, Tipografia Marabini, Faenza, 1883. (A.S.)

The post Un raro ritratto di Giovanni Antonio Antolini appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/un-raro-ritratto-di-giovanni-antonio-antolini/feed/ 0
Filippo Antolini (1787-1859) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/filippo-antolini/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/filippo-antolini/#respond Sat, 19 Oct 2013 14:01:36 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=2080 SCHEDA DI SINTESI LA VITA E L’OPERA DI FILIPPO ANTOLINI testo di Maria Giulia Marziliano scarica la biografia in formato pdf Filippo Antolini nacque a Roma il 15 agosto 1787 dal già celebre e celebrato Giovanni Antonio e da Anna Balestra, sorella del noto architetto romano Vincenzo Balestra il quale, essendo Direttore …

The post Filippo Antolini (1787-1859) appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
SCHEDA DI SINTESI
LA VITA E L’OPERA DI FILIPPO ANTOLINI

testo di Maria Giulia Marziliano

scarica la biografia in formato pdf

Filippo Antolini nacque a Roma il 15 agosto 1787 dal già celebre e celebrato Giovanni Antonio e da Anna Balestra, sorella del noto architetto romano Vincenzo Balestra il quale, essendo Direttore dell’Accademia della Pace e straordinariamente abile e apprezzato disegnatore, nel 1800 fu invitato a partecipare alle campagne inglesi di rilievo archeologico al seguito di Lord Elgin e della moglie dell’ammiraglio Nelson.
Dunque in tale ambiente culturale, vivace e cosmopolita, Filippo era avviato all’istruzione primaria, allo studio del disegno e all’analisi antiquaria e architettonica. Appena tredicenne egli entra a far parte del gruppo di selezionatissimi disegnatori prescelti per delineare la “vasta idea” che il padre Giovanni Antonio andava elaborando a Milano nel progetto del Foro dedicato a Napoleone Bonaparte, e un paio d’anni più tardi (1803) si trasferisce a Bologna, dove le Istituzioni universitarie, appena riformate, avevano attribuito la docenza delle discipline architettoniche al padre Giovanni Antonio.
Il questa città Filippo prosegue la propria complessa formazione, studiando le materie attinenti alla “scienza teorica dell’ingegnere” (cfr. Muzzi S., Breve cenno riguardante la vita e le opere del professore Filippo Antolini, pubblicato per cura di Alderano Franceschelli, Monti al Sole, Bologna, 1859, p. 4) e inoltre “la duplice arte dell’architetto e del pittore (ibid.) presso l’Accademia Clementina. Ultimati i corsi universitari bolognesi, Filippo è ammesso a partecipare al concorso d’alunnato per Roma, aperto ai pensionati della Reale Accademia di Belle Arti di Venezia, ed il 31 luglio 1809 è nominato alunno architetto.
Nel 1810 partecipa al “Gran Concorso” tenutosi nella città di Milano, concorso che vince presentando il progetto architettonico di una galleria di genere espositivo museale. Gli anni della specializzazione proseguono sino al 1813, data in cui Filippo conclude il corso di studi gratificato dalla stima tributatagli da Antonio Canova che, nello stesso anno, scrivendo a Leopoldo Cicognara ne tesseva gli elogi con le seguenti parole: “il bravo Antolini ha mandato per saggio un progetto veramente ingegnoso, e ammirabile. Io sono pure costretto di render giustizia allo studio e al talento di questo eccellente alunno, che fa tanto onore alla sua Accademia” (cit. in Campori G., a cura di, Lettere artistiche inedite, Soliani, Modena, 1866, p. 392).
Con la caduta del Bonaparte, e per la conseguente Restaurazione dell’Autorità pontificia, Giovanni Antonio è costretto a riparare in Lombardia ma nello stesso periodo a Filippo viene offerto l’ufficio di ingegnere “d’acque e strade” in Bologna. Del 1816 sono i suoi elaborati di progetto per i locali destinati a sede dei Provveditorati nella Provincia di Bologna; nel 1817 è nominato socio d’onore tra i Georgofili di Firenze e il 4 gennaio 1818 prende definitivamente servizio a Bologna in ruolo di ingegnere “di seconda classe”. Nello stesso anno sposa Carlotta Emiliani e dà inizio alla sua proficua attività di progettista, che si svolge esclusivamente in Emilia Romagna; in particolare sarà molto attivo a Bologna città in cui, operando anche come “Ingegnere d’Uffizio”, realizza alcuni interventi in ville e palazzi nobiliari.
Tuttavia il carattere elitario non è privilegiato da Filippo Antolini che assolve il suo compito di tradurre in realtà i bisogni di una committenza eterogenea. Tra le sue molte opere architettoniche si ricordano i progetti per un ponte sul fiume Reno e per le aule universitarie (Teatri Anatomico e della Chimica, 1818); Palazzo Banzi (1819); la dimora bolognese eretta per Elisa sorella di Napoleone Bonaparte, sposata con Felice Baciocchi (Palazzo Baciocchi, 1835); la Barriera e la cancellata in Porta S. Stefano (1843); la ristrutturazione della chiesa di S. Francesco, la costruzione della nuova chiesa di S. Giuseppe e del campanile della chiesa di S. Caterina (1841-1844).
Sono anni assai densi di operosità anche nelle Romagne, a Imola, Faenza, Castelbolognese, Fusignano, Bagnacavallo, etc., e in particolare si segnala il progetto per il noto Parco di Villa Calcagnini a Fusignano, il Teatro comunale di Bagnacavallo e la facciata della Cattedrale di Imola intitolata a S. Cassiano. Su progetto di Filippo Antolini sono erette le Terme ai Bagni della Porretta e ancora in Bologna, oltre alla dibattuta progettazione della pavimentazione e del presbiterio in S. Petronio, ulteriori tracce del passaggio antoliniano sono documentate nel prospetto principale di S. Giovanni in Monte, nell’altare maggiore di S. Maria della Carità, nel Magazzino del Sale, nella casa Collalto, nel Giardino di Villa Revedin, nel Palazzo Apostolico, nella pubblica Pinacoteca, etc., nonché in opere di architettura funeraria erette in territorio bolognese (Cappella di Villa Poggi, monumenti sepolcrali in marmo alla Certosa) e romagnolo (Tempietto Bragaldi di Villa Centonara e Tempietto Rossi in Biancanigo).
Egli prosegue la sua attività in ruolo di ingegnere di seconda classe per ventidue anni e nel 1840 raggiunge infine la prima classe; nel 1847 è invitato a trasferirsi a Roma come ingegnere capo, ma sceglie ancora una volta di restare a Bologna dove, nello stesso anno, accoglie l’offerta della cattedra di Architettura che terrà sino al 1859, anno della sua morte. Un singolare evento merita di essere annotato: se in tempo di Restaurazione dell’Autorità pontificia Giovanni Antonio viene congedato dalle Istituzioni bolognesi, di converso Filippo è nominato “responsabile” dell’Università e della Pontificia Accademia di Belle Arti. Numerosi e importanti sono i riconoscimenti accademici che lo onorarono, tra i quali va segnalato il Diploma dell’Accademia di S. Luca; inoltre viene dichiarato Socio Corrispondente della Reale di Napoli e il primo agosto 1850 è associato alla Reale Accademia di Londra. Nel 1854 egli partecipa alla commissione per i lavori della rete infrastrutturale ferroviaria e nel dicembre dello stesso anno ottiene la pensione di riposo relativamente alla sua attività di ingegnere di prima classe.
Colto da paralisi il 3 aprile 1859, “il giorno 6 passò egli di vita tranquillamente, anzi entrò nella nuova vita beata immortale!” (Muzzi, 1859, p. 7).

Estratto da: M.GIULIA MARZILIANO, San Giuseppe ai Cappuccini:  un progetto di eccellenza culturale di Filippo Antolini,  in San Giuseppe ai Cappuccini, di Aa.Vv. a cura di Bologna dei Musei,  Edisai, Ferrara, 2001, pp. 33-44.

The post Filippo Antolini (1787-1859) appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/filippo-antolini/feed/ 0
Giovanni Antonio Antolini (1753-1841) https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/giovanni-antonio-antolini-1753-1841/ https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/giovanni-antonio-antolini-1753-1841/#respond Sat, 19 Oct 2013 14:36:52 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=2082 Architetto e ingegnere Cfr. M.GIULIA MARZILIANO, Giovanni Antonio Antolini, architetto e ingegnere (1753-1841), Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza-Bologna, 2000 prima edizione; 2003 seconda edizione. scarica la biografia in formato pdf Giovanni Antonio nasce a Castel Bolognese nel 1753 da Giovanna Francesca Tagliaferri e da Gioacchino Antolini;(1) compie a Imola e a Bologna gli studi di ingegneria …

The post Giovanni Antonio Antolini (1753-1841) appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
Architetto e ingegnere

Cfr. M.GIULIA MARZILIANO, Giovanni Antonio Antolini, architetto e ingegnere (1753-1841), Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza-Bologna, 2000 prima edizione; 2003 seconda edizione.

scarica la biografia in formato pdf

antoliniGiovanni Antonio nasce a Castel Bolognese nel 1753 da Giovanna Francesca Tagliaferri e da Gioacchino Antolini;(1) compie a Imola e a Bologna gli studi di ingegneria idraulica (2) e dopo il periodo di praticantato si stabilisce definitivamente a Roma (1775). Partecipa ai lavori per la bonifica delle Paludi Pontine (3) e, con spirito politecnico, si dedica alla osservazione e al rilievo delle architetture eminenti, manifestando la sua attenzione antiquaria per l’arte edificatoria classica e classicistica.

Egli stesso narra (4) di essere stato destinato architetto dal Cardinale di Jorck per il quale eresse alcuni edifici nella città di Frascati; fu l’architetto delle Commissioni Carrara e Vinci costituitesi per la gestione degli ospedali e degli orfanotrofi dell’Umbria: su incarico di Monsignor Vinci costruì l’orfanotrofio e gli ospedali di Fabriano, per il Cardinal Carrara progettò gli orfanotrofi e gli ospedali sia di Todi che di Perugia; a Bettona avrebbe progettato e diretto i lavori di costruzione della pescaia e del mulino per la Comunità, ambedue situati sul fiume Topino, affluente del Tevere.

Nel 1785 pubblicava la sua prima opera di letteratura architettonica intorno all’Ordine Dorico (5) e veniva insignito Accademico Clementino nella città di Bologna, a riconoscimento dell’autorevolezza culturale già pienamente delineata in ambiente romano dove, nel 1787, avrebbe partecipato al dibattito per la ricollocazione dell’obelisco di Psammetico II, detto “di Campo Marzio”, con una proposta progettuale utilizzante stilemi neo-egizi; dello stesso anno è la monumentale guglia di granito per la città di Pesaro. (6)

Raccomandato dal Cardinale Boncompagni e dal Cardinale Borgia, dal 1789 al 1791 Antolini è impegnato per la “Congregazione delle Acque” a Cannara (Perugia) nelle opere di rettifica dell’alveo del fiume Topino, progettando il taglio dell’ansa fluviale al fine di impedirne le esondazioni nei territori circostanti; contemporaneamente portava a termine l’elaborazione di una cartografia tematica della città di Assisi, in cui rileva gli andamenti e le diramazioni degli acquedotti della città, avendo parte in non meglio precisate operazioni architettoniche e idrostatiche effettuate dalla “Commissione Torretti”; successivamente, ancora in Assisi, progettava il palazzo Bini, il casamento Tini e il pubblico portico costruito in travertino (tutti realizzati sotto la sua direzione) mentre dall’Università di Catania riceveva l’incarico per la progettazione di un monumento, in bronzo e marmo, che avrebbe dovuto essere eretto sulla piazza principale di questa città.

In seguito, a ragione della notorietà raggiunta e della competenza dimostrata nel settore dell’architettura idraulica, fu chiamato a progettare e dirigere i lavori per la realizzazione di un ponte sul fiume Puglia, nel territorio di Todi (1792); quale consulente esperto nella causa giudiziaria promossa dalla famiglia Di Pietro venne incaricato di verificare le operazioni idrometriche per la bonifica di un vasto territorio situato alla foce del Tevere, denominato “Campo Salino”, del quale elaborò piante, sezioni, etc.; incaricato di valutare lo stato di un ponte sul fiume Tevere, a tale riguardo esibiva alla Comunità di Città di Castello sia un piano di ristrutturazione dell’esistente, sia un piano per la fabbricazione di un nuovo ponte da erigersi in sua sostituzione, progettando inoltre per la stessa Comunità due ponti in legno, (7) uno sul fiume Selce e l’altro sul fiume S. Giustino.

La frenetica attività di quel periodo registra l’adattamento dell’esistente mulino di Spello, nel quale Antolini si occupava di perfezionare tutti gli “ordigni idraulici”, e il progetto di ampliamento del palazzo Pianetti (1796) a Jesi, città in cui portava a termine la ristrutturazione interna nella chiesa della Madonna delle Grazie (1797); dalla Deputazione del Teatro nuovo, ancora a Jesi, avrebbe avuto l’incarico di redigere un progetto che venne realizzato sotto la sua assistenza e direzione (1798), mentre in sincrono gli veniva commissionata una proposta progettuale per un teatro da erigersi nella città di Camerino, e riceveva alcuni incarichi professionali a Faenza e a Castel Bolognese.

È datato al 1796 il primo documento che testimonia la presenza di Antolini nel territorio faentino, dove si occupò di rimettere in pristino lo stato di navigabilità del Canale Naviglio e di erigere, come monumento al Bonaparte, un Arco Trionfale; (8) nel contempo progettava la sistemazione interna del Palazzo Laderchi, il “Nuovo Borgo” (1797) e la villa di campagna dei Laderchi (1798), assumendo inoltre l’incarico per la ristrutturazione interna del palazzo Milzetti e per l’adeguamento funzionale della chiesa di S. Stefano che, sconsacrata, veniva destinata a ospitare il Circolo Costituzionale cittadino; nello stesso anno si trovava impegnato nella progettazione del nuovo Ospedale di Castel Bolognese. (9)

Nel giro di un biennio sarebbe stato dichiarato vincitore di tutti concorsi architettonici che la Repubblica Cisalpina aveva bandito per la realizzazione di una serie di monumenti commemorativi da erigersi in Milano,(10) ma in quegli anni era Roma il centro culturale preminente dove si stava consolidando il dibattito sul rinnovamento estetico, il centro culturale in cui si sperimentava anche una importante avanguardia di giovani pittori che, riuniti intorno a Felice Giani, davano vita alla nota Accademia della Pace: questo cenacolo di artisti (11) riconosceva nell’Antolini un riferimento culturale di indubbia autorevolezza e l’architetto romagnolo era considerato quale tramite tra l’ambiente culturale romano e quello milanese.

A far data dal 1798 si rafforzano ulteriormente i rapporti con le Istituzioni della città di Milano dove, nell’anno successivo, si stabilirà essendo stato eletto membro di una importante “Commissione delle Acque” della Repubblica: ha inizio il periodo milanese di Giovanni Antonio Antolini che, nominato componente di un organismo della Cisalpina, dopo appena qualche mese viene sollecitato a redigere una proposta progettuale per un ulteriore Celebrativo: il 16 dicembre 1800 consegna lo studio di massima del suo noto progetto per il Foro Bonaparte, presentato a Napoleone il 7 maggio 1801; non solo il progetto fu approvato,(12) ma ebbe una favorevolissima accoglienza anche tra i competenti e i dilettanti di architettura.

Poi designato architetto della fabbrica del Duomo di Milano, avrebbe ricoperto questo ruolo fino al 1803, anno in cui dava alle stampe il suo trattato sull’Ordine Corinzio;(13) nel settembre l’Amministrazione milanese decideva di accantonare definitivamente il progetto del Foro Bonaparte, mentre l’Accademia di Belle Arti in Bologna lo nominava Professore di Architettura, componente della Commissione Permanente di Architettura e della Commissione Permanente di Prospettiva; al principio del mese di novembre, sarebbe stato chiamato anche dall’Università di Bologna, dove gli veniva attribuita la Cattedra di Architettura (che terrà sino alla fatidica data del 1815).

Napoleone Bonaparte è Re d’Italia nel maggio del 1805 e subitamente Antolini è nominato Architetto Regio; con questa qualifica già dall’agosto viene inviato a Mantova per condurre la ristrutturazione interna e gli adeguamenti funzionali necessari ai Reali Palazzi e Palazzo Te, essendo designato Ispettore degli stessi; dal 1806 è annoverato tra i Professori onorari dell’Accademia di Belle Arti in Carrara ed è destinato Architetto Ispettore della Corona nei bolognesi Palazzi Caprara; nello stesso anno conclude per il Bonaparte la perizia estimativa e i lavori nella Villa Pisani a Strà (Venezia), e pubblica la Descrizione del Foro Bonaparte, dove chiarisce le sue intenzioni progettuali.

A Venezia, il giugno 1807 lo vede riconfermato nell’incarico per una proposta di adeguamento funzionale del palladiano Convento della Carità, da destinarsi a sede dell’Accademia delle Belle Arti, ma la proposta che non convincerà la committenza, fin dal principio non aveva destato gli entusiasmi dello stesso progettista; nell’ottobre di quell’anno dichiara terminati i lavori di manutenzione effettuati alla Biblioteca di S. Marco.

Nel novero dei progetti veneziani va assegnato un ruolo rilevante alla serie di riflessioni condotte intorno alla opportunità di trasformare il Palazzo Ducale in residenza per il Bonaparte: non ritenendo l’edificio adeguato allo scopo, in quella occasione Antolini indicava tale destinazione d’uso per le Procuratie Nuove, presentando un progetto di adattamento delle medesime; a questa prima indicazione progettuale ne fece seguito una successiva, con la quale si proponeva la demolizione della chiesa di S. Geminiano, su espressa richiesta del Vicerè, e un ulteriore terzo progetto (modulato secondo i desideri di Napoleone) che tuttavia non sarà realizzato poiché sembra non fosse sempre gradito quel suo peculiare comportamento improntato alla cautela, alla preoccupazione di contenere le alterazioni dell’assetto morfologico e strutturale del lato occidentale di Piazza S. Marco e delle aree adiacenti.

Come Architetto Regio dei Palazzi del Regno in Bologna, Modena e Mantova, successivamente Antolini sarà impegnato nelle opere di riadattamento del Palazzo Ducale di Modena (1811), mentre in sincrono prosegue nell’attività didattica e si appresta alla stesura delle Idee elementari di Architettura Civile per le Scuole del Disegno che saranno pubblicate nel 1813, periodo in cui si segnala anche l’inizio ufficiale della collaborazione di Filippo Antolini con il padre, chiamato a Milano quale membro della Commissione incaricata per la progettazione del monumento sul Moncenisio (1813).

Due anni dopo Giovanni Antonio progetta il “vasto edifizio della filatura de’ cotoni per il gran Cairo d’Egitto, che doveva contenere le numerose macchine a tal uopo inventate, fatte costruire e spedite dal celebre meccanico signor cav. Morosi” (Antolini, 1842, p. 346), e viene congedato, concludendo bruscamente il lungo periodo dell’insegnamento universitario; costretto per ragioni politiche ad allontanarsi da Bologna nel 1815, si trasferirà nuovamente a Milano.(14)

Quest’ultimo periodo è connotato da un grande dinamismo dell’Antolini, frequentemente in Lombardia, in Emilia Romagna, in Toscana: lavora alla stesura delle Osservazioni ed aggiunte ai Principii di Architettura Civile di Francesco Milizia (che, già ultimate nel 1816, saranno pubblicate in Milano nel corso dell’anno seguente) e hanno inizio i sopralluoghi nel territorio veleiate per l’organizzazione della sua campagna di rilievo architettonico, i cui primi esiti saranno dati alle stampe nel 1819. (15)

Nello stesso anno è chiamato a Brescia per la progettazione della cupola del Duomo nuovo poi realizzata su progetto del Cagnola. È particolarmente attivo in area lombarda, nel Bresciano e nel Comense; risiede a Milano (16) ma è frequentemente chiamato a Brescia per sovraintendere ai lavori di ristrutturazione interna progettati per il Palazzo di Teodoro Lechi (1821-1823) seguiti fino al dettaglio della definizione degli arredi, mentre nel contempo (1822) trascorre alcuni mesi a Varese e a Bellagio presso la residenza di Giovanni Serbelloni dal quale è sollecitato a fornire alcune proposte progettuali. Nel 1826 è a Milano, chiamato a far parte della Commissione giudicatrice del concorso per la Porta urbica orientale e qualche mese più tardi è presente in Romagna, dove dirige un cantiere in territorio cesenate.(17)

In questo periodo cura la riedizione milanese di tutte le sue opere (18) e già dal 1827 è in trattative con l’Amministrazione della città di Livorno, per la quale dovrebbe redigere alcuni progetti, contemporaneamente serrando proficui rapporti con l’ambiente della Corte Granducale di Toscana,(19) della quale era assiduo frequentatore da oltre un decennio.

Datano al 1832 e 1833 i suoi soggiorni di molti mesi a Livorno e a Firenze, ospite anche dell’architetto Pasquale Poccianti, impegnato nella realizzazione del Cisternone;(20) nuovi lunghi soggiorni e contatti professionali di Antolini, oramai ottantenne, sono testimoniati in territorio pisano (1834) e successivamente ancora a Firenze.

Per la propria formazione di architetto integrale, Giovanni Antonio Antolini aveva saputo destare l’appassionata ammirazione di tanta committenza anche internazionale (21) e, sebbene la sua competenza professionale si fosse a lungo misurata all’interno della prassi architettonica, fondamentale è l’attitudine che egli dimostra per la riflessione teorica espressa nella compilazione di una rigorosa trattatistica con finalità didattiche e pratico-divulgative, che sarà continuamente aggiornata fino al 1832.

Nella sessione del 4 marzo 1839, veniva nominato Socio d’Arte “per acclamazione” dell’I.R. Accademia della Belle Arti di Milano, nella quale già dal giugno 1801 era stato dichiarato Socio del Corpo Accademico con atto del Governo.(22)

Morì il giorno 11 marzo 1841 all’età di 87 anni e 6 mesi, e fu sepolto il 14 marzo a Bologna, nel cimitero della Certosa.(23)

TITOLI E RICONOSCIMENTI DI G.A.A.

  • Accademico d’Onore dell’Accademia Clementina dell’Istituto delle Scienze e delle Belle Arti di Bologna;
  • Accademico d’Onore della R. Accademia di Belle Arti di Carrara;
  • Accademico d’Onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma;
  • Accademico fra i Professori dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze;
  • Insignito da S.A.I. e R. il Granduca di Toscana con l’Ordine al merito di S. Giuseppe;
  • Membro della Accademia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti;
  • Membro Corrispondente dell’Accademia Reale delle Belle Arti dell’Istituto di Francia;
  • Socio Corrispondente dell’Accademia del Subasio in Assisi;
  • Socio Corrispondente della R. Accademia delle Belle Arti di Napoli;
  • Socio d’Arte per acclamazione della I.R. Accademia delle Belle Arti in Milano;
  • Socio Onorario della I.R. Accademia delle Belle Arti in Milano;
  • …“e Socio di varie altre d’Italia” (Antolini, 1828, 1829, 1831, frontespizi).

LETTERATURA ARCHITETTONICA PRODOTTA DA G.A.A.

L’ordine dorico, ossia il Tempio d’Ercole nella città di Cori umiliato alla Santità di N. S. Papa Pio VI, Roma, 1785 (2a edizione, Milano, 1828);

Prospetto della Gran Piazza e Tempio Vaticano, Roma, 1789; (24)

Piano economico-politico del Foro-Bonaparte. Presentato coi Disegni al Comitato di Governo della Repubblica Cisalpina il dì 25. Frimale anno IX. Repub., Milano, 9. Brumale anno X. Repubblicano;

Disegni del Foro Bonaparte in 24 gran tavole, calcografia Antolini, 1802;

Il Tempio di Minerva in Asisi confrontato colle tavole di Andrea Palladio, Milano, 1803 (2a edizione, Milano, 1828);

Descrizione del Foro Bonaparte, Parma, 1806;

Idee elementari di Architettura Civile per le scuole del disegno, Bologna, 1813 (2a edizione, Milano, 1829);

Osservazioni ed aggiunte ai Principii di Architettura Civile di Francesco Milizia, Milano, 1817 (2a edizione, Bologna, 1827-1828); (25)

Le rovine di Veleia misurate e disegnate, Milano, 1819-22 (2a edizione, Milano, 1831);

Principj di Architettura Civile di Francesco Milizia, prima edizione milanese illustrata per cura del professore architetto Giovanni Antolini, Milano, 1832;

Biografia dell’architetto Giovanni Antonio Antolini, scritta da sè medesimo, in: «Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti», tomo XCI, Roma, 1842.


NOTE

(1) Segretario comunale e notaio.
(2) Da alcuni curricula manoscritti conservati presso la Biblioteca Comunale di Forlì – Raccolta Piancastelli, Romagna Carte, Autografi (da ora abbreviati in BCFo) si apprende che suoi maestri furono Virgilio Baruzzi e Nicola Codronchi. Antolini compie il corso filosofico matematico presso l’Archiginnasio di Bologna (da ora BCBo), dove ottiene il grado di Ingegnere Architetto. Quest’ultima annotazione sulla biografia antoliniana è contenuta in un documento manoscritto dal bibliotecario dell’Archiginnasio; senza data, ma riferibile agli ultimi anni del XIX secolo (in considerazione dell’ordinamento della Sezione Ritratti, che risulta completata verso il 1910) il documento è allegato alla incisione all’acquaforte, su disegno di Maria Antolini, conservata presso il Gabinetto Disegni e Stampe.
(3) Dal 1775 al 1777, sotto la direzione del Rapini; in seguito dovette abbandonare l’incarico poiché colpito da febbri malariche.
(4) Nei puntuali curricula manoscritti che, come già annotato, sono custoditi presso la Biblioteca Comunale di Forlì.
(5) L’Ordine Dorico ossia il Tempio d’Ercole nella città di Cori umiliato alla Santità di Nostro Signore Papa Pio Sesto da Gio. Antonio Antolini architetto, in Roma, nella stamperia Pagliarini, 1785.
(6) Anche per questo progetto avrebbe ottenuto l’apprezzamento del Pontefice che gli accordava un nuovo contributo finanziario.
(7) Uno di legno e di un solo arco di singolar costruzione” (BCFo, Romagna Carte, Autografi, 25/91); “di legno di una nuova maniera di contrasti” (ivi, 25/92); “di una nuova maniera di legno” (ivi, 25/93).
(8) Inaugurato nel 1797, l’Arco fu poi abbattuto dagli Austriaci (1799); successivamente venne iniziata la sua riedificazione (1800) mai condotta a termine, e quindi nuovamente demolito.
(9) La costruzione dell’edificio venne eseguita sotto la direzione del fratello Paolo, suo collaboratore e costante collegamento con la committenza romagnola. La prima pietra fu posta nel 1802, le parti strutturali e la copertura della fabbrica ebbero termine nel 1803, ma l’Ospedale fu ultimato e solennemente inaugurato nel 1813.
(10) Da certa odierna storiografia Giovanni Antonio Antolini è riconosciuto essere l’architetto “ufficiale della Rivoluzione”.
(11) Vincenzo Balestra, direttore dell’Accademia della Pace in Roma fu scolaro e cognato dell’architetto Antolini.
(12) Il progetto del Foro Bonaparte non sarà realizzato “sebbene incominciata e solennemente posta fosse la prima pietra fondamentale” (Antolini, 1817, p. 137). Per l’approfondimento delle pur note vicende si rimanda alla bibliografia specifica.
(13) Il Tempio di Minerva in Assisi confrontato colle tavole di Andrea Palladio Architetto di Vicenza da Giovanni Antolini architetto, Milano, dalla Stamperia di G.G. Destefanis, 1803; l’opera di letteratura architettonica prende in esame gli aspetti del rilievo archeologico mettendo in luce alcuni errori, anche di restituzione grafica, compiuti dal Palladio
(14) Nel 1816 è con Pelagio Palagi, anch’egli bolognese, che dall’anno precedente aveva aperto una Scuola d’Arte a Milano.
(15) Le Rovine di Veleia misurate e disegnate da Giovanni Antolini Professore di Architettura, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1819; la seconda parte dell’opera sarà pubblicata tre anni dopo, per i medesimi Tipi.
(16) La sua abitazione milanese è presso la Casa Bussi, in Contrada Delle Meraviglie.
(17) Nel 1827 afferma di non poter accettare un incarico che il forlivese Pietro Paolo Petrignani desidera affidargli, giustificando il rifiuto con i numerosi impegni che lo avrebbero condotto prima a Bologna e successivamente a Milano (BCFo).
(18) Il Tempio di Ercole in Cori, edizione seconda emendata in vari luoghi ed accresciuta di tavole. Milano, 1828; Il Tempio di Minerva in Asisi confrontato colle tavole di Andrea Palladio, edizione seconda emendata ed accresciuta di una disamina d’altri antichi monumenti. Milano, 1828; Idee elementari di Architettura Civile per le scuole del disegno, edizione seconda accresciuta di un’Appendice. Milano, 1829; Le rovine di Veleia, edizione seconda. Milano, 1831; Principj di Architettura Civile di Francesco Milizia, prima edizione milanese illustrata per cura del professore architetto Giovanni Antolini. Milano, 1832. Nel 1833 è in trattative con l’editore Schieppati per la riedizione dei disegni del Foro Bonaparte; il manoscritto e le tavole sono conservate presso BCBo, Archiginnasio, Gabinetto Disegni e Stampe, car. 9, nn. 1342-1344.
(19) Il Granduca lo onora con il prestigiosissimo “Ordine di S. Giuseppe”.
(20) Nel prospetto principale dell’edificio sono esibite marcate affinità con il progetto delle Terme antoliniane nel Foro Bonaparte.
(21) Operatore colto e incisivo, nel periodo romano sarà riferimento per una committenza di aristocratici europei: incaricato dal Duca di Curlandia (Provincia del Baltico nella Russia detta Europea) per la progettazione della facciata del Palazzo di Corte e della Cappella Ducale a Mitau (ora Jelgava, Latvia); dal Conte Weltem di Bruxelles; dal Conte di Rewenlou di Copenhagen; dal Conte Offemberg della Slesia prussiana, etc. Occorre annotare come la committenza privata, dall’Antolini ritenuta “minore” (Serbelloni, Pianetti, Milzetti, etc.) non fosse oggetto di attenzione puntuale nella compilazione dei suoi curricula nei quali liquida assai sinteticamente questi episodi, affermando solo che: “vari altri disegni fece per fabbriche nella Lombardia e Romagna; alcune delle quali furono eseguite colla sua direzione” (Antolini, 1842, p. 345).
(22) Repubblica Cisalpina, 15. Pratile, Anno IX. Repubblicano.
(23) Lasciano davvero perplessi le vicende che riguardano la tumulazione di Giovanni Antonio Antolini, risultanti da una mia indagine condotta presso gli archivi della Certosa di Bologna. Egli ebbe sepoltura “provvisoria” in nicchia dal 1841 al 1859; in questa data, quando il nipote Federico acquistava una modesta tomba a seguito del decesso del proprio padre Filippo, gli Antolini vennero riuniti nello stesso sepolcro, tuttavia la lapide voluta da Federico tributa onori al solo ricordo di Filippo e nessun altro nome vi è inciso.
(24) Antolini non fa mai cenno, neppure nei suoi curricula, a questa pubblicazione che risulta introvabile (e sconosciuta ai bibliotecari consultati); è tuttavia segnalata da alcuni storiografi.
(25) Per cura di Anton Maria Cardinali ha inizio nel 1826 (a Bologna, dalla Stamperia Cardinali e Frulli) la pubblicazione delle Opere complete di Francesco Milizia risguardanti le Belle Arti e l’impresa editoriale si svolge in un arco di tempo di tre anni, in cui sono dati alle stampe i nove tomi dell’opera omnia.
Del 1827 (nel tomo VI la parte prima e nel tomo VII la parte seconda) e del 1828 (nel tomo VIII la parte terza) sono i Principii di Architettura Civile di F. Milizia, edizione arricchita di note ed aggiunte importantissime dove si è proceduto alla re-impaginazione delle Osservazioni ed aggiunte antoliniane, ora collocate a piè di pagina come note integrative al testo del Milizia. Appena qualche anno dopo (1832) verrà pubblicata la prima edizione milanese dei Principj di Architettura Civile di Francesco Milizia, prima edizione milanese illustrata per cura del professore architetto Giovanni Antolini il quale con più mature riflessioni ha riformate le note già edite, ed aggiunte quarantatre osservazioni tutte nuove; ed un metodo geometrico-pratico per costruire le volte” (Antolini, 1832, frontespizio).

Testo di Maria Giulia Marziliano per castelbolognese.org

The post Giovanni Antonio Antolini (1753-1841) appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/biografie-personaggi/artisti/giovanni-antonio-antolini-1753-1841/feed/ 0
L’ospedale degli infermi di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/ospedale-infermi-castel-bolognese/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/ospedale-infermi-castel-bolognese/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:54:26 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/lospedale-degli-infermi-di-castel-bolognese/ Erano trascorsi appena sette anni dalla fondazione di Castelbolognese quando, nel 1396, era già in fase di costruzione l’ospedale di Santa Maria “de Castro Bolognesio” o “de Misericordia”. Suo primo rettore fu il francescano frate Pasio di mastro Trentino da Forlì e francescano fu pure lo storico valoroso P. Serafino …

The post L’ospedale degli infermi di Castel Bolognese appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>

Fronte dell’Ospedale Civile di Castel Bolognese, progettato da Giovanni Antonio Antolini, così come si presenta attualmente.

Erano trascorsi appena sette anni dalla fondazione di Castelbolognese quando, nel 1396, era già in fase di costruzione l’ospedale di Santa Maria “de Castro Bolognesio” o “de Misericordia”. Suo primo rettore fu il francescano frate Pasio di mastro Trentino da Forlì e francescano fu pure lo storico valoroso P. Serafino Gaddoni, che è rimasto l’unica fonte sulle origini di questo antico ospedale, perché ne consultò l’archivio prima che sfortunate vicende lo mutilassero irrimediabilmente. Chiesa ed ospedale di Santa Maria sorgevano lungo la Strada Regale (l’attuale Via Emilia) nel borgo del castello, che i bolognesi fondarono nel 1389, e furono inclusi nella cerchia muraria successivamente ampliata. “L’ospedale nei primi tre secoli – scrive il Gaddoni – era situato a ponente della chiesa; poi fu costruito più ampio dietro la chiesa medesima. Aveva lo scopo di ricoverare gli ammalati, di ospitare i poveri ed i pellegrini, di dotare fanciulle povere, di ricevere gli esposti, che venivano trasportati ora a Faenza ed ora ad Imola, di aiutare i bisognosi, ed in circostanze speciali sovveniva tutto ciò che tornava di decoro al paese”.
L’amministrazione dell’ospedale e dei suoi beni, accumulati con elargizioni che in ogni tempo furono generose, era affidata alla Confraternita della Misericordia, i cui membri vestivano cappa bianca, si radunavano in un oratorio privato e si prodigavano per il buon funzionamento del servizio.
Una lapide, che ancor oggi si legge entrando nella chiesa, ricorda l’atto benefico della contessa Caterina Ginnasi la quale, con disposizione testamentaria del 1643, donava un cospicuo patrimonio alla Confraternita di Santa Maria.
Con la morte di Caterina Ginnasi, nipote del cardinale Domenico, si avviava all’estinzione il ramo della nobile famiglia castellana trapiantato in Roma nel XVI secolo da Francesco Ginnasi che, insieme con il fratello Alessandro, si distinse nel campo della scienza medica.
Francesco Ginnasi si era guadagnato grande fama come lettore di medicina nello Studio bolognese, tanto che molti principi italiani ricorrevano a lui nei momenti più critici della loro salute.
Papa Pio IV Io volle accanto a sé come medico della corte pontificia e lo onorò con una cattedra e un lauto stipendio nella Sapienza di Roma, ove il Ginnasi morì nel 1587, all’età di 72 anni.
Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra la Minerva, ove un epitaffio ricorda tuttora le benemerenze dei suoi insigni famigliari.
Altre nobili famiglie castellane sostennero con impulso filantropico la Confraternita dell’ospedale di Santa Maria.
La chiesa fu abbellita ed ampliata in successive ricostruzioni e conserva ancor oggi le eleganti linee architettoniche impresse definitivamente da Cosimo Morelli nella seconda metà del XVIII secolo.
“Sotto il piancito di questa chiesa -scrive il Gaddoni- tanto settariamente profanata, riposano in vari sepolcreti i confratelli della Misericordia, a cui appartennero le persone più distinte e facoltose del paese. Come l’uomo s’inchina rispettoso davanti ad una tomba ignota ovunque rinvenuta, così i fedeli e la gente di senno di Castelbolognese dovrebbero adoperarsi una buona volta di togliere da una deplorevole profanazione questo sacro monumento, che forma una delle glorie più belle dello storico paese”.
L’ammonimento del Gaddoni non ha mai avuto seguito. Tuttavia recenti segnalazioni hanno sottolineato l’urgenza di salvare il monumento dalla progressiva rovina e dal più che secolare stato di abbandono, suscitando interesse presso le autorità della Regione Emilia Romagna.
A dire il vero la decadenza della chiesa di Santa Maria della Misericordia ebbe inizio con l’avvento della Repubblica Cisalpina. Il “vento di Francia”, ispiratore di una politica di riforme orientate in direzione laica, fu accolto favorevolmente in loco da illustri cittadini, che simpatizzarono per Napoleone e ricoprirono le cariche pubbliche istituite dal nuovo regime. Il 3 luglio 1798 venne soppressa la confraternita della Misericordia e si provvide ad una nuova ubicazione dell’ospedale, poiché quello più antico era diventato una modesta ed insufficiente infermeria. Il provvedimento fu solo in apparenza rivoluzionario: da tempo la comunità di Castelbolognese avvertiva il bisogno di rivedere il servizio igienico e sanitario e non sempre poteva contare sul senso del dovere dell’unico medico condotto. Nella circostanza di febbri epidemiche che colpirono la popolazione del Comune dal 1765 al 1767, una lettera dell’arciprete ai Reggitori di Bologna esprimeva il pubblico riconoscimento al dottor Passerini per l’assistenza continua prestata agli infermi sia ricchi che poveri.
Ma nel 1785 il governo bolognese si vide indirizzate proteste della cittadinanza per l’operato del medico Masetti, del quale si diceva che si sarebbe dovuto applicare “piuttosto all’arte vilissima di Bettogliere, in cui è nato, che alla Medicina: arte civile, nel cui esercizio richiedesi prudenza, e morigeratezza”; al suddetto medico si rimproverava anche di trascurare i poveri e di insidiare le giovani donne da lui visitate.
Un decreto del Senato di Bologna del 25 aprile 1797 stabiliva di trasferire l’ospedale in una parte del convento dei frati rettori della chiesa di San Francesco. Le rendite dei minori conventuali francescani erano considerate superiori ai loro bisogni. Si ritenne perciò opportuno impiegare il superfluo a vantaggio di tutta la comunità con la costruzione di un nuovo ospedale. La fabbrica fu assegnata a Paolo Antolini di Gioacchino, che doveva eseguire i disegni del fratello Giovanni Antonio, architetto. Ma il progetto non fu definitivo, perché successivamente le autorità cittadine presero la decisione di costruire un nuovo e più funzionale edificio in un terreno che era appartenuto ai conventuali soppressi nel 1798: si trattava dell’orto detto “Masona”, compreso tra il Canale dei Molini e la cerchia muraria di levante.
Il luogo aperto e ventilato si presentava più adatto del convento che, collocato nel centro del paese, risultava meno indicato soprattutto in tempo di epidemie. Il disegno fu affidato all’architetto castellano Giovanni Antonio Antolini, che a Faenza era stato incaricato di erigere nel 1797 il marmoreo arco di trionfo in onore di Napoleone, fuori Porta Imolese e di progettare il salone ottagonale del Palazzo Milzetti.
L’architetto Antolini si era già acquistato grande fama anche al di fuori dei confini della Romagna. Si era formato alla scuola del neoclassicismo, nel quale dimostrò di cogliere una perfezione non solo estetica, ma anche civile, che si conciliava con le sue simpatie politiche per Napoleone. Nel 1801 progettò la sistemazione del Foro Bonaparte a Milano e ricevette i complimenti dell’Imperatore, incontrato a Parigi, il quale tuttavia gli fece capire che il progetto era troppo costoso. Il piano non fu eseguito, ma influenzò i progetti realizzati da altri. L’Antolini restava sempre “architetto di S.M. Imperiale e reale” ed ebbe l’onore di insegnare all’Accademia di Belle Arti di Bologna fino al 1815, quando venne licenziato per ragioni politiche.
Nel paese natale l’architetto romagnolo ebbe la stima di un altro fervente sostenitore del regime napoleonico: Giovanni Damasceno Bragaldi che, dopo il passaggio della Repubblica Cisalpina al Regno d’Italia, fu podestà del Comune di Castelbolognese e assecondò la costruzione del nuovo ospedale, di cui fu uno dei primi benefattori (1).
L’ospedale progettato dall’Antolini è ancor oggi uno dei più belli della Romagna. Vi si apprezzano eleganza e simmetria: l’ingresso, in particolare, col doppio ordine di colonne e il timpano sopra, riproduce la scenografia di un tempio ispirato alle linee più pure del neoclassicismo.
La prima pietra fu posta il 5 ottobre 1802. La solenne inaugurazione ebbe luogo il 15 agosto 1813 alla presenza delle autorità e di numeroso popoloplaudente il discorso del podestà Bragaldi. “Quella giornata memoranda di festa popolare -leggiamo in una cronaca- rallegrata da luminarie, fuochi pirotecnici e lieti suoni di bande, come ci risulta da poche testimonianze sparse e più dalle tradizioni degli avi, segnava la conquista paziente di quei nostri antenati per un’opera filantropica e patriottica come l’attesta ancora la bella iscrizione dettata dall’illustre Bragaldi, posta sul frontale dell’atrio romanico:

Cives civibus XVIII KAL. SEPT. A. MDCCCIII.

Erano le 6 pomeridiane della domenica 15 agosto 1813. La data non fu scelta a caso. In quel giorno si volle celebrare con maggiore solennità l’onomastico e il natalizio di Napoleone Bonaparte, che già per tradizione si festeggiava con il canto del Te Deum a mezzogiorno nella chiesa arcipretale di San Petronio.
Pochi mesi dopo, in ottobre, sul campo di battaglia di Lipsia, il mito di Napoleone si avviava al tramonto.
In seguito alla restaurazione del Governo Pontificio il servizio ospedaliero di Castelbolognese veniva sottoposto a qualche riforma e il nuovo ordinamento restava pressochè invariato almeno fino al 1859.

piccolospedale

Giovanni Antonio Antolini impresse nell’ospedale di Castel Bolognese, inaugurato nel 1813, le linee architettoniche da lui disegnate in questo progetto (Archivio di Stato-Milano)

Tra i più illustri benefattori dell’ospedale di Castelbolognese, che si ricordano insieme con Giovanni Damasceno Bragaldi, fu Silvestro Camerini, nato nel 1777 da una poverissima famiglia di Biancanigo e partito dal paese all’età di vent’anni per fare fortuna nel Ferrarese. Grazie alle doti di ingegno e al tirocinio di un duro lavoro nel delta padano, il Camerini accumulò immense ricchezze. L’arciprete di San Petronio, Tomaso Gamberini, ne conosceva l’animo ben disposto alla beneficenza e si adoperò in tutti i modi, ricorrendo allo stesso vescovo di Imola Mastai Ferretti, per indurre il Camerini a tradurre in atto le reiterate promesse a favore dei poveri del paese natale.
Nel 1846 il cardinale Mastai Ferretti salì al soglio pontificio coi nome di Pio IX, senza dimenticare Castelbolognese. Scrive a questo proposito l’arciprete Gamberini: “… poche settimane dopo la sua elezione, presentatosi l’E.mo Cardinale Gadolini Arciv.vo di Ferrara per licenziarsi a far ritorno alla sua Diocesi, il Papa gli disse =Date la mia Benedizione, e portate questa Croce (ed era la croce di Commendatore Cavaliere) al Sig. Camerini, ma ditegli che si ricordi di Castelbolognese, quando no lo scavaliero=. Il Camerini vedutosi così onorato dal nuovo Papa memore delle sue promesse scrivendo una lettera di ringraziamento offri per Castelbolognese annui scudi trecento in perpetuo da erogarsi a favore di poveri fanciulli, e fanciulle, che si applicassero ad un mestiere; e tutti questi particolari seppi io dal Papa stesso quando nel Settembre 1846 ebbi la sorte di visitarlo in Roma, e trattenermi presso di Lui quasi un mese”.
Nel 1856 Silvestro Camerini, divenuto Gonfaloniere di Ferrara e già insignito dal Papa del titolo di conte, espresse al vescovo imolese Baluffi la volontà di istituire un’altra beneficenza a favore dei cronici del paese natale e di affidarne la giurisdizione al vescovo stesso. Nasceva così l’ “Opera Pia Camerini pei poveri Invalidi del Comune di Castelbolognese”, per la quale veniva assicurata in perpetuo una rendita annua, garantita dalla tenuta del Camerini a Belricetto di Lugo, come si dichiarava nell’atto della stipulazione. “Prima che si facesse quest’Istromento -scrive don Gamberini- io già mi era portato a Ferrara col Magistrato per rendere le ben dovute grazie all’illustre Benefattore, ed in questa circostanza strinsi buona relazione col medesimo. La seconda Domenica di Novembre poi dopo la stipulazione dell’Istromento cantai una Messa solenne con Te Deum di ringraziamento a Dio coll’intervento di tutte le Autorità del paese, in questa Chiesa Arcipretale, e la sera vi fu illuminazione, e Festa municipale”. Il nuovo governo italiano, subentrato dopo le vicende politiche del 1859-60, tentò di togliere al vescovo di Imola la giurisdizione della Beneficenza Camerini, ma poi ci rinunciò per non alienarsi l’animo del generoso benefattore rimasto fedele al Papa, che nel 1866 gli conferì il titolo di duca.
Nel luglio 1863 il vescovo Baluffi ordinò l’avvio dei lavori per la costruzione di un nuovo fabbricato, annesso all’ospedale, destinato ai cronici, con viva soddisfazione di tutta la comunità. Non poco valsero le raccomandazioni dell’arciprete Tomaso Gamberini che ebbe molto a cuore la pubblica beneficenza e legò all’ospizio dei cronici la sua eredità. Per interessamento dello stesso don Gamberini, nel 1880 venivano a prestare servizio nell’ospedale castellano le suore della Carità. La conferma veniva data dalla Visitatrice delle Figlie della Carità, suor Gottofrey, che dalla Casa Madre di Siena scriveva all’arciprete, in data 23 aprile 1880: “…Credo che MS. Rev.ma pure sarà contenta di questa nostra determinazione, mentre speriamo che il Signore vorrà accompagnare queste nostre Suore colle sue celesti benedizioni, tanto più che vi si saranno disposte coi S. Spirituali Esercizi, il che ci fa sperare veramente un buon esito… Non dubiti che abbiamo scelto delle Suore che s’intendono dei malati e dell’andamento d’uno Spedale…”.
Le Figlie della Carità hanno prestato servizio a Castelbolognese per oltre cento anni.

L’ospedale non era dotato di una farmacia propria e l’unica spezieria che prestava servizio nel paese fu gestita fin dal XVIII secolo dalla famiglia Tassinari. Sotto i portici dell’ex Corso Garibaldi, nel 1886, un decreto prefettizio istituiva un secondo servizio farmaceutico intestato al dott. Francesco Bolognini, capostipite di un’altra generazione di farmacisti non ancora estintasi.
Il più illustre discendente dei Tassinari fu Paolo, nato a Castelbolognese nel 1829, che trasse dalla tradizione famigliare la passione per gli studi scientifici. Dopo aver conseguito nel 1852 a Bologna il diploma di farmacista per assecondare la volontà del padre Gabriele, approfondì gli studi prediletti di chimica a Pisa. Si specializzò per qualche tempo ad Heidelberg presso il grande Bunsen e ritornò a Pisa a ricoprire l’insegnamento universitario e successivamente la carica di Rettore di quella Università. Particolarmente versato nella sperimentazione, favorì anche nell’insegnamento la pratica del laboratorio con finalità didattiche per quei tempi innovative.
Nel 1875 applicò un metodo speciale per la distruzione dei conigli che avevano invaso la tenuta reale di San Rossore e ne ebbe in dono da Vittorio Emanuele II un prezioso anello. Nel 1898, in seguito al disastro ferroviario dei Giovi, fu incaricato di compiere un’accurata inchiesta sulla qualità dei carboni usati dalle società ferroviarie. Per i meriti acquisiti fu insignito delle più importanti onorificenze italiane. L’imperatore Don Pedro gli conferì l’ordine della Rosa del Brasile. Ma fra tutti i cimeli Paolo Tassinari custodiva con maggiore orgoglio la fotografia con dedica di Giuseppe Garibaldi. Essa gli ricordava uno degli incarichi più delicati affidati alla sua perizia di chimico: l’esame del pus che usciva dalla ferita riportata da Garibaldi nel tragico scontro di Aspromonte del 1862.
Gli incarichi onorifici erano anche un riconoscimento delle sue convinzioni liberali, che lo portarono a schierarsi sempre a favore del risorgimento italiano. Proveniva da una famiglia di proprietari terrieri, ma si manifestò sensibile all’emancipazione dei contadini.
Abbandonato l’insegnamento per raggiunti limiti di età, si ritirò definitivamente nella villa situata nella campagna di Casanola, tra Castelbolognese e Solarolo e dedicò le sue ultime energie all’agricoltura. Protesse fin dalla fondazione la Società Operaia di Castelbolognese con piena intuizione dei mutamenti sociali dei nuovi tempi.
Paolo Tassinari incarnò la figura dello scienziato umanitario ed altruista e fu l’antesignano di un orientamento seguito da molti uomini di scienza influenzati dalla cultura positivista alla fine dell’Ottocento. Gli stessi ideali ispirarono il pensiero e l’azione di Umberto Brunelli, che a Castelbolognese portò l’esempio di un doppio apostolato come medico e come uomo politicamente impegnato.
Il Brunelli, di origine cesenate, proveniva dalla scuola di medicina di Augusto Murri, con il quale aveva discusso la tesi di laurea nell’Università di Bologna l’11 luglio 1885. Appena laureato si arruolò volontario per prestare la sua opera di medico in soccorso dei colpiti dal colera in Sicilia. Nel 1886 vinse il concorso per una condotta medica a Castelbologriese ed in questo piccolo centro fissò la definitiva dimora. Veniva a prestare servizio nel locale ospedale, quando i problemi dell’assistenza sanitaria richiedevano soluzioni più aggiornate in rapporto alle mutate condizioni sociali e le stesse prestazioni della condotta medica esigevano di essere rivalutate. Alternò alla pratica scrupolosa della professione un impegno molto attivo all’interno del partito socialista, che rappresentò come deputato in Parlamento. Furono al centro delle sue rivendicazioni politiche i problemi della classe medica e del rinnovamento dell’organizzazione sanitaria. Un suo collega nel cenacolo dei più fedeli discepoli del Murri lo definì “medico dei poveri e medico spirituale dei medici”.
A quei tempi, soprattutto nei Comuni rurali, le amministrazioni locali tenevano in scarsa considerazione le prestazioni professionali dei medici, che percepivano stipendi modesti. Era questa pure la volontà dei ceti più ricchi, che non volevano pagare nuove imposte per contribuire all’aumento delle spese comunali. Umberto Brunelli fu tra i fondatori dell’Associazione Nazionale dei medici condotti, che riscosse larghe adesioni in tutto il Paese e contribuì a far maturare tra i colleghi la coscienza professionale e sindacale. “La questione dell’assistenza sanitaria -disse ai medici riuniti a congresso nel 1913- è diventata una delle più ardenti ed urgenti questioni nazionali.., e la soluzione radicale e razionale è quella da noi agitata, quella, che attraverso a un immediato miglioramento del servizio di condotta coll’intervento integrativo dcl Governo e conseguentemente delle sorti dei medici che renda meno illusoria l’attuale opera loro di fattorini della medicina, sbocchi in una più larga diffusione degli ospedali e culmini nell’assicurazione obbligatoria contro le malattie…”.
A nome dell’Associazione, di cui fu più volte confermato presidente, il Brunelli pubblicava da Castelbolognese un bollettino mensile “dove accanto ai problemi sindacali, che interessavano i medici condotti, riportava la rassegna delle esperienze e degli studi e i risultati pratici ottenuti dalla scienza medica mondiale”.

Paolo Tassinari (1829-1909) e Umberto Brunelli (1861-1931)

Paolo Tassinari (1829-1909) e Umberto Brunelli (1861-1931)

Per impulso del “medico dei poveri” l’organizzazione sanitaria anche a Castelbolognese si avviava, sia pure lentamente, a farsi interprete dei bisogni di una società in trasformazione. L’ospedale, che nel 1896 veniva ampliato con l’aggiunta di due padiglioni laterali (non ben inseriti, a dire il vero, nella struttura progettata dall’Antolini), doveva realizzare le nuove finalità di un’assistenza intesa sempre più come servizio che come beneficenza pubblica.
Ogni novità, tuttavia, era accolta nel solco della tradizione. Nel 1907 veniva murato all’ingresso dell’ospedale l’antico portale di marmo trasportato dalla chiesa di Santa Maria. Ai lati del portale venivano posti i busti di Giovanni Damasceno Bragaldi e di Silvestro Camerini, opere dello scultore Torrigiani, a memoria perenne di quel civismo che era stato vivo fin dalle origini.

(1) Giovanni Damasceno Bragaldi (1763-1829) fu nominato da Napoleone membro del Comitato consulente federativo di Milano e, successivamente, membro del Corpo legislativo della Repubblica Cisalpina in rappresentanza, insieme con Luigi Tassinari, del Dipartimento del Lamone e di Faenza. Era pronipote del Padre Giovanni Damasceno Bragaldi (1664-1716) dei minori conventuali, che donò a Castel Bolognese il prezioso reliquiario conservato nella chiesa di San Francesco.

Tratto da: Pestilenze nei secoli a Faenza e nelle valli del Lamone e del Senio / Antonio Ferlini; presentazione Francesco Chiodo; saggi di F. Aulizio … [et al.]. – Faenza: Tipografia faentina editrice, stampa 1990.

The post L’ospedale degli infermi di Castel Bolognese appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/ospedale-infermi-castel-bolognese/feed/ 0
Il Foro Bonaparte di G.A. Antolini https://www.castelbolognese.org/miscellanea/arte-e-musica/il-foro-bonaparte-di-g-a-antolini/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/arte-e-musica/il-foro-bonaparte-di-g-a-antolini/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:51 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-foro-bonaparte-di-a-antolini/ Prima versione dicembre 1800 – febbraio 1801 Giovanni Antonio Antolini (Castel Bolognese 1753 – Milano 1841) è stato architetto, teorico e studioso dell’architettura. Ha legato il proprio nome ad alcuni studi e rilievi dei monumenti classici, è stato […] membro dell’Académie des Beaux Arts di Parigi; ha inoltre contribuito alla …

The post Il Foro Bonaparte di G.A. Antolini appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
Prima versione dicembre 1800 – febbraio 1801

Giovanni Antonio Antolini (Castel Bolognese 1753 – Milano 1841) è stato architetto, teorico e studioso dell’architettura. Ha legato il proprio nome ad alcuni studi e rilievi dei monumenti classici, è stato […] membro dell’Académie des Beaux Arts di Parigi; ha inoltre contribuito alla realizzazione dell’Ala Napoleonica di piazza San Marco a Venezia.
L’Antolini peraltro è noto soprattutto per la grandiosa ideazione del Foro Bonaparte a Milano: un complesso urbano, straordinariamente unitario nella concezione e caratterizzato da una gigantesca piazza circolare, che sarebbe dovuto diventare il principio della città moderna.
Questo complesso è uno dei progetti più celebri e rappresentativi di quel periodo rivoluzionario a cavallo tra il secolo dei lumi e il secolo che avrebbe visto l’affermarsi della civiltà industriale e la divisione della città per gerarchie economiche e funzionali.
Di tale periodo questo progetto costituisce una straordinaria e coerente sintesi concettuale.
Con le sue fulminanti campagne, Napoleone conquista e “libera” vasti territori dell’Italia settentrionale, sottraendoli alla dominazione austroungarica e proclamando la Repubblica, di cui Milano diventa capitale. Vengono così diffusi lo spirito e i pensieri della Rivoluzione e, con essi, una concezione del mondo fondata su valori democratici e borghesi.
In questo momento di grandi fermenti, l’Antolini concepisce questo magnifico progetto urbano, adottando un rigoroso stile neoclassico: come per altri architetti di quel periodo, questa scelta corrisponde alla ricerca di una rifondazione formale che sappia interpretare i nuovi ideali civili ed esprimere attraverso l’architettura una società modellata sugli ideali rivoluzionari.
Di tale società, democratica e indipendente, il progetto è compiuta rappresentazione e coerentemente prevede tutte le funzioni essenziali di una città capitale: la piazza diventa un Foro, definito da edifici civili e dal portico; in esso trovano armonica collocazione tutte le principali destinazioni pubbliche: quelle economiche e quelle civili della memoria, della cultura e dello svago; dietro il colonnato il complesso è completato da case e laboratori artigiani. In definitiva, Foro Bonaparte si propone come il centro e il principio di una nuova città.
Antolini disegna la prima versione, qui illustrata, negli ultimi mesi dell’anno 1800, completandola con un “Piano Economico-Politico del Foro Bonaparte” piuttosto dettagliato.
La proposta ottiene subito vasti consensi, tanto che la Consulta Legislativa la approva il 20 gennaio 1801 e ne incoraggia l’esecuzione.
Nel volgere di pochi mesi però, il quadro politico muta radicalmente: la situazione economica della repubblica è pesante, sorgono alcune dispute in seno agli organismi decisionali, mentre l’apparato militare diventa sempre meno propenso ad abbandonare l’area del Castello. Inoltre, Napoleone, che è il fondamentale referente della proposta, dopo la pace di Lunéville orienta la sua politica in senso decisamente più moderato, imboccando la strada che porterà all’Impero. Già nell’autunno del 1802, il progetto viene di fatto accantonato.
Il nuovo centro della città non verrà mai realizzato, ma l’idea di uno spazio circolare intorno al Castello ritornerà verso la fine del secolo, in forme e con modalità completamente diverse, quando verrà costruito l’emiciclo che oggi tutti conosciamo.
Il Foro Bonaparte dell’Antolini rimane comunque l’espressione più completa di un momento di grandi fermenti intellettuali e di audaci sperimentazioni; inoltre testimonia una capacità progettuale di pensare in grande la città e il suo sviluppo, che in seguito sarebbe diventata sempre più inconsueta in Italia: sotto questo punto di vista, il “magnifico progetto” mantiene intatto il suo valore di paradigma urbano, collocandosi a pieno titolo alle radici storiche della Milano moderna.


fbmilano

Immagine della pianta della città di Milano – G. Pinchetti, 1801

Pianta della città di Milano

I principi democratici e l’affermazione della classe borghese richiedono l’invenzione di un luogo urbano, che sia capace di realizzare un distacco netto sia dalla struttura d’impronta medievale che dalle sedi storiche dei poteri precedenti. Questa volontà è ben raffigurata nella tavola del Pinchetti, geografo e incisore milanese, che colloca il Foro Bonaparte nella sua pianta della città di Milano come se fosse già costruito: questo fatto, decisamente insolito, dimostra quanto, almeno per un breve periodo, la sua realizzazione sia apparsa verosimile. In questa tavola il Foro è rappresentato con alcune differenze rispetto alla planimetria generale del progetto dell’Antolini.


fbplagenPlanimetria generale del progetto

Il gigantesco anello che imprime la forma allo spazio pubblico è costituito da un lungo portico, sopraelevato rispetto al livello della piazza. Questo percorso porticato è ritmato da 14 edifici pubblici, concepiti come veri monumenti alla nuova era e ai suoi ideali. Sono sei le principali funzioni previste per tali edifici: la borsa, il teatro, il museo, il pantheon, le terme e la dogana, mentre sono otto le sale ad uso delle Assemblee Nazionali o della pubblica Istruzione. L’anello ha un diametro di oltre 600 metri e contiene un canale circolare che si raccorda in due punti al sistema dei Navigli.
Dietro i portici, i monumenti sono congiunti da edifici in linea con piccole corti rettangolari che accolgono le residenze e le botteghe. Al centro dello spazio pubblico, il palazzo del governo.


fbvista1Veduta di Foro Bonaparte dalla Barriera del Sempione

In due splendide tavole a colori viene proposta la veduta d’insieme del progetto, così come esso sarebbe stato visto dai due grandi varchi d’accesso al foro: uno verso la città storica, l’altro verso la Francia e Parigi, sull’asse del quale viene collocata la Barriera del Sempione.


fbvista2Veduta di Foro Bonaparte dalla città

Nel mezzo di queste vedute si vede la Residenza del Governo, collocata al centro del Foro: il nuovo edificio riutilizza i resti del Castello Sforzesco e le sue possenti fondazioni. Nel corso della dominazione spagnola prima e di quella austriaca poi, la residenza dei Signori di Milano era stata degradata a caserma: in questa trasformazione, il suo aspetto militare viene dissimulato attraverso l’uso di elementi architettonici classici, che ne ingentiliscono l’aspetto.


fbpanthPantheon – Pianta delle gallerie

Edificio che racchiude le ceneri degli uomini illustri. La riconoscenza nazionale lo fa elevare a sue spese.
Edificio di pianta circolare concepito sul modello del Pantheon di Roma: presenta una grande spazio centrale a tutta altezza e circondato uno stretto ambulacro, in corrispondenza del quale è posta la galleria del piano superiore. Il grande vano centrale presenta un unico accesso ed è scandito da 8 nicchie sulle quali poggiano colonne corinzie. L’ingresso è caratterizzato da un doppio pronao con colonne doriche che si raccorda col colonnato del Foro.


fbpantszPantheon – Sezione longitudinale


fbtermeTerme – Pianta

Il bagno pubblico si affitta dal Governo, ed il ricavato serve a rifondere la spesa; oppure [il Governo] dona il suolo, e l’esenzione del tributo per i materiali occorrenti a chi a sue spese volesse fabbricarlo a norma del disegno approvato.
Situato a sud ovest, si tratta di un complesso articolato: l’edificio attestato sul Foro accoglie una vasta sala per riunioni dalla quale si dipartono due bracci che contengono sale di attesa e di svago, oltre ai “laconici” (bagni di vapore). I bracci si protendono entro un grande recinto quadrato, esterno al Foro, sui lati del quale vi sono oltre 50 stanze adibite a spogliatoi e a luoghi di conversazione. Nel recinto si trovano 3 piscine all’aperto, spazi per la ginnastica e aree verdi per il passeggio.


fbtermpsTerme – Prospetto “dalla parte di dietro”


fbborsaBorsa – Pianta primo piano

Luogo pubblico dove si radunano le persone addette al commercio, si assegna alla classe dei Negozianti, i quali ne saranno i proprietarj perpetui. Viene eretta a loro spese. Il governo chiama a sé una Deputazione di Mercanti, e con essa concerta le tasse da imporsi, e le discipline da osservarsi all’oggetto suddetto.
Edificio a pianta composita, con grande vano centrale quadrato con esedra e due gallerie absidate laterali, nelle quali si svolge l’attività di scambio e di contrattazione. Nei 5 locali dell’emiciclo posteriore hanno sede gli uffici legali.


fbborsszBorsa – Sezione longitudinale


fbmuseoMuseo – Pianta primo piano

Il museo può riunire e i prodotti preziosi dell’arte, e quelli della natura. Si fa conto della Nazione.
La pianta del piano primo rappresenta gli spazi espositivi, mentre quella del piano terra accoglie i magazzini che non sono evidenziati nella sezione. Dall’atrio si accede alla grande sala centrale che ha valore eminentemente celebrativo, mentre le due sale rettangolari laterali sono destinate ai dipinti e il percorso semicircolare posteriore alle sculture.


fbmuseszMuseo – Sezione longitudinale


fbdogan

Dogana – Pianta

Il Governo a norma del disegno approvato fa fabbricare per conto della Finanza la Dogana. E’ compensata dal tributo delle merci che vi entrano, e dalla soppressione di altri locali inservienti ad uso di Doganelle.
Collocata in posizione diametralmente opposta alle Terme, la Dogana è un complesso edilizio di ardita composizione. Ospita un bacino circolare per l’attracco dei barconi mercantili che si raccorda al sistema dei Navigli; l’acqua scorre sotto la “Gran Sala della Dogana” e alimenta il canale anulare interno al Foro. Nei locali che abbracciano il bacino trovano collocazione gli uffici, i magazzini e la guarnigione dei doganieri.


fbdogaszDogana – Sezione


 fbteatroTeatro – Pianta piano secondo

Essendo la scuola della morale, si fabbrica a spese della Nazione, e in modo che tale che gli usi e i comodi presenti si combinino colle massime della democrazia.
Ha pianta composta da un rettangolo, che contiene l’atrio, la scena, l’orchestra e i due foyer laterali, e da un semicerchio, dove si trovano la sala con due ordini di gradinate e i collegamenti verticali. Occorre dire che questo edificio è, in quanto a impostazione progettuale, il più problematico: la coerenza che impone conformazioni planimetriche simili per diverse destinazioni, implica nel caso del teatro l’infelice scelta di collocare la scena tra l’ingresso e la sala per gli spettatori.


fbteatszTeatro – Sezione longitudinale


(1) le dimensioni delle immagini sono approssimative.
(2) I testi in corsivo sono tratti da “Piano Economico-Politico del Foro Bonaparte, Presentato coi Disegni al Comitato di Governo della Repubblica Cisalpina il dì 25 Frimale anno IX. Repub.” [16 dicembre 1800].

Tratto dal sito dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano: http://www.ordinearchitetti.mi.it

The post Il Foro Bonaparte di G.A. Antolini appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/miscellanea/arte-e-musica/il-foro-bonaparte-di-g-a-antolini/feed/ 0
L’oratorio Bragaldi https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/oratorio-bragaldi/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/oratorio-bragaldi/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:54:25 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/loratorio-bragaldi/ di Andrea Soglia Facciata dell’oratorio Bragaldi (foto Grandi). L’oratorio Bragaldi venne eretto da Giovanni Damasceno Bragaldi, forbito letterato e uomo politico, in memoria del figlio Vincenzo Vittorio, morto a 17 anni il 27 maggio 1817. Il Bragaldi possedeva una villa in campagna (demolita all’inizio del ‘900), detta Pantalupa, e, proprio …

The post L’oratorio Bragaldi appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Andrea Soglia

L'oratorio Bragaldi (70234 byte)
Facciata dell’oratorio Bragaldi (foto Grandi).

L’oratorio Bragaldi venne eretto da Giovanni Damasceno Bragaldi, forbito letterato e uomo politico, in memoria del figlio Vincenzo Vittorio, morto a 17 anni il 27 maggio 1817. Il Bragaldi possedeva una villa in campagna (demolita all’inizio del ‘900), detta Pantalupa, e, proprio nelle sue vicinanze, in un fondo allora chiamato Calamello, fece costruire il tempietto. Attorno ad esso nacque un bellissimo parco dove il politico-letterato si recava spesso a far visita alla tomba del figlio e, come scriveva Giuseppe Ignazio Montanari in un Carme, “a trovar al dolor ristoro” “fra il verde perenne, e l’ombre grate di piante, a cui nuovo è d’Europa il suolo”.
All’esterno l’oratorio si presenta neoclassico, con colonne di ordine corinzio sovrastate da capitelli dorici; l’interno è in stile impero. Fu progettato dall’architetto Filippo Antolini e costruito dai fratelli Gaetano ed Antonio Petroncini di Faenza, noti capimastri nell’arte muraria. Le decorazioni di stucco nell’interno sono dei Ballanti (i Graziani) di Faenza. La facciata, orientata a sud, è formata da un atrio, sorretto da due colonne; sopra la porta si legge: VOTVM · EX · DOLORE. Nell’interno, sopra la stessa porta, è collocato lo stemma Bragaldi con la scritta: PATERNI · MONVMENTVM · AMORIS | AN · M · DCCC · XXI. Il tempietto, dedicato a S. Giuseppe, misura m. 7,50×4, ed egualmente vasto è il sepolcreto, costruito a guisa di cripta; per la sua costruzione si spesero tremila scudi. Fu aperto al culto il 15 novembre 1822, giorno del cinquantanovesimo compleanno di G. D. Bragaldi, il quale scrisse per l’occasione un sonetto che assieme ad altri 23 va a costituire il “Pianto Paterno”, lavoro poetico dedicato alla memoria del figlio Vincenzo Vittorio:

IL TEMPIETTO IN VILLA

Fatal sessanta, che m’attendi al varco,
Cui veglia eterna la crudel vecchiezza,
Guarda pur, i’ son desso: alla ricchezza
Al fasto, ed agli onor non mi sobbarco.

Fui vate, e anch’io d’amor conobbi l’arco,
M’assisi al desco di gioconda ebbrezza;
Ma giunto al tempo, che virtude apprezza,
Per di lei sostenni lo comune incarco.

Odio i vili, e i superbi, e la fortuna,
Che gl’ingozza, e li serba a tristo esempio,
E piango sulla terra, ov’ebbi cuna.

E se manchi chi m’ami, e mi conosca,
Queste piante, quest’aure, e questo Tempio
Lieta faran l’etate mia più fosca.

Le salme di Vincenzo Vittorio Bragaldi e di Anna Rossetti, sua madre, furono levate dal pubblico cimitero il 27 gennaio 1826 e trasportate nella cripta del tempietto col permesso del card. Antonio Rusconi; tre anni dopo vi ebbe sepoltura Giovanni Damasceno Bragaldi, morto il 17 febbraio 1829 a 65 anni.
La figlia Camilla, sposa a Carlo Artusini di Forlì, pose, a ricordo dei suoi cari, “due iscrizioni italiane uscite dall’aurea penna del ch.mo Pietro Giordani”: la prima scritta si trovava nella cripta, mentre la seconda (assieme ad un busto) era dentro al tempio e descriveva la vita e le virtù di G.D. Bragaldi.

1a iscrizione

QUI RIPOSA O MIO CARISSIMO PADRE
COL MIO POVERO FRATELLO VINCENZO
CHE TANTO LACRIMASTI
COSTASSOPRA DARO’ A PIETOSI
L’IMMAGINE DEL TUO VOLTO E IL RITRATTO
DELLA TUA VITA
MDCCCXXVIIII

2a iscrizione

GIAN DAMASCENO BRAGALDI

VISSUTO LXV. A. III. M. II. G. SINO AI XVII FEBBRAJO
MDCCCXXVIIII. PER LA REPUBBLICA CISALPINA SE-
DETTE NEL CONSIGLIO DE’ GIUNIORI.
FU COMMISSARIO A DARE NUOVI ORDINI ALLA
ROMAGNA : ANDO’ A COMIZI DI LIONE : PER LA REP.
ITALIANA VICEPREF. GOVERNO’ IL SANTERNO : PRO-
MOSSE LA BENEFICENZA PUBBLICA, AJUTO’ LO SPEDA-
LE DEL MUNICIPIO.
EBBE LODE UNIVERSALE D’ INGEGNO, E DI BON-
TA’.  MURO’ QUESTO TEMPIETTO ; E VI FECE UN SOT-
TERRANEO SEPOLCRO ALLA FAMIGLIA : NEL QUALE
DOVETTE CON IMMENSO DOLORE COLLOCARE IL FI-
GLIO VINCENZO, CHE PIANSE E LODO’ PUBBLICAMEN-
TE CON POESIE
SUA FIGLIA CAMILLA MOGLIE DI CARLO ARTU-
SINI FORLIVESE HA QUI POSTA COLL’EFFIGIE DELL’A-
MATISSIMO PADRE LA MEMORIA DELLE SUE VIRTU’,
DELLE ONORATE FATICHE, E DEGLI AFFANNI.

L’oratorio Bragaldi, oggi inserito nel parco della villa Centonara, negli anni ’20 fu fatto restaurare dalla N. D. Maddalena Gottarelli, la quale lo destinò a sepoltura dei suoi antenati e del padre, morto il 15 luglio 1924. Scomparvero, così, le iscrizioni e le epigrafi di Pietro Giordani.

oratoriobragaldi2L’oratorio Bragaldi visto dal retro (foto Grandi).

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Andrea Soglia, L’oratorio Bragaldi, in https://www.castelbolognese.org

The post L’oratorio Bragaldi appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/oratorio-bragaldi/feed/ 0
L’Arco napoleonico fuori Porta Imolese a Faenza https://www.castelbolognese.org/miscellanea/arte-e-musica/arco-napoleonico-fuori-porta-imolese-a-faenza/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/arte-e-musica/arco-napoleonico-fuori-porta-imolese-a-faenza/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:52:56 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/larco-napoleonico-fuori-porta-imolese-a-faenza/ L’erezione dell’Arco napoleonico fu deliberata dalla Municipalità giacobina di Faenza nel febbraio del 1797 dopo che Napoleone di ritorno da Tolentino si era fermato per poche ore a Faenza proclamando l’annessione della Romagna alla Repubblica francese; si volle ricordare con quel monumento marmoreo la vittoria dei Francesi al Ponte del …

The post L’Arco napoleonico fuori Porta Imolese a Faenza appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
arco1L’erezione dell’Arco napoleonico fu deliberata dalla Municipalità giacobina di Faenza nel febbraio del 1797 dopo che Napoleone di ritorno da Tolentino si era fermato per poche ore a Faenza proclamando l’annessione della Romagna alla Repubblica francese; si volle ricordare con quel monumento marmoreo la vittoria dei Francesi al Ponte del Senio di venti giorni prima. Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati all’architetto Giannantonio Antolini di Castelbolognese, notissimo a Faenza, che fu preferito al grande rivale, il faentino Giuseppe Pistocchi. L’arco, la cui prima pietra fu posta con grande cerimonia e discorsi celebrativi il giorno 7 maggio, sorse a cavallo della via Emilia fra il convento dei frati francescani detti del Paradiso e l’angolo di quella che sarà la Piazza d’Armi; un viale doveva collegarlo con Porta Imolese. L’erezione affrettata di quest’arco diede luogo ad una lunga ed aspra polemica col Pistocchi ed i suoi fautori che lo giudicarono troppo stretto, inelegante ed instabile (ci fu chi lo battezzò “un comodino”). Cosicché quando, nel 1799, il governo repubblicano fu temporaneamente soppresso per il ritorno delle truppe austriache alleate della Santa Sede, ne fu subito deliberata la demolizione. Nell’anno 1801 tuttavia, col ritorno vittorioso delle truppe napoleoniche e il definitivo consolidamento del governo repubblicano, si pensò di ripristinarlo ma la ricostruzione non andò oltre al basamento e, perdurando le polemiche, l’arco fu abbandonato e poi del tutto pareggiato al suolo. La bella veduta incisa all’acquatinta su rame e stampata in seppia che qui si riproduce non può essere di mano dell’Antolini: per certe caratteristiche si ritiene di poterla attribuire all’abile incisore e disegnatore faentino Giuseppe Zauli che aveva studiato a Bologna ed era amicissimo del quasi coetaneo e condiscepolo Francesco Rosaspina. Lo Zauli, come del resto anche il Rosaspina, era poi amicissimo di Felice Giani del quale qui ricorda vagamente i modi grafici.

monnier

Il decreto del generale francese Monnier per il ripristino a Faenza dell’arco trionfale rivoluzionario precedentemente demolito. Immagine tratta dal sito http://www.sottolatorre.altervista.org/

Tratto da: Vedute di Faenza ottocentesca, Ennio Golfieri – Faenza, a cura del Monte di credito su pegno e Cassa di Risparmio, 1972.

The post L’Arco napoleonico fuori Porta Imolese a Faenza appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/miscellanea/arte-e-musica/arco-napoleonico-fuori-porta-imolese-a-faenza/feed/ 0