Richì d’Saraca salace inventore di battute e lazzi
di Sergio Savorani
Saliva in corriera a Borgo Rivola e si sedeva con compiacimento al primo posto, perché così arrivava prima… A Pasqualì, il bigliettaio, che gli chiedeva dove fosse diretto, rispondeva con naturale distacco: “Non l’ho detto neppure ai miei; figurarsi se lo dico a voi!”. Insisteva pure, ma poi finiva per cedere: “Beh, se propri al vrì savé, vado a Faenza”; e pagava il biglietto scendeva invece a Castelbolognese e, rivolgendosi a Pasqualì, lo apostrofava, con quella malinconia che pareva pesargli sugli occhi: “Av cardìvi vo’, ma av’ho fraghé! …” (Vi credevate…, ma vi ho fregato!).
Indubbiamente un tipo originale questo Enrico Sedani, detto da tutti e da sempre Richì d’Saràca.
E’ questo un ricordo, perché s’è spento sul finire del 1974 a Castelbolognese, ove ha dimorato negli ultimi anni di vita nella casa dei figli, muratori in proprio.
A dirla tutta, Richì era partito dall’alto. Nato a Verla di Monte Mauro, s’era trasferito a Borgo Rivola, sulla via “maestra”, a metà strada fra Casola Valsenio e Riolo Terme. Venuto giù con la miseria, come una frana.
Da una abitazione all’altra, non aveva mai cambiato ambiente, finché i figli hanno conquistato la via Emilia. Si è trasferito senza drammi, sicuro com’era che il vino e gli amici erano sinceri anche da quelle parti. (1)
Richì ha vissuto i suoi anni migliori quando le barzellette e le trovate gustose facevano ancora il giro d’Italia a piedi. La sua innata versatilità alla freddura e la sua originalità trasparente nell’aria stanca e distaccata del comportamento, negli occhi semichiusi (“per risparmiare luce”, diceva), rivelavano una fantasia ed un’arguzia non comuni. Insomma, aveva la testa e la faccia adatte; e, si sa, val più una buona faccia di un buon portafoglio, anche se lui non la pensava così…
Una volta, fu sorpreso a Imola, a notte tarda, mentre cercava disperatamente il portafoglio sotto un lampione. “Buon uomo, – lo apostrofò una guardia in tono confortevole – è sicuro di averlo perso qui? Se ci fosse, si vedrebbe, non le pare?”.
Richì guardò il vigile con l’aria vendicativa di chi un mese prima aveva ricevuto lo sgarbo di una multa, perché sorpreso su un bicicletta senza “pundòra”: “Voi avete ragione; infatti l’ho perduto là”, e indicava un viale buio…
“E allora, perché non lo cerca dove l’ha perduto, minchione?”.
“Voi si che la sapete lunga”, rispose Richì scuotendo la testa; “ma come faccio a cercarlo là se non c’è la luce?”.
Raccontava che, “abile arruolato”, schierato sull’attenti con tutta la compagnia, fu impartito l’ordine che tutti i suonatori facessero un passo avanti.
Richì avanzò e si sentì quindi convocare per la formazione della banda militare. Il capitano gli chiese allora quale strumento sapesse suonare, e Richì disse la verità, tutta la verità: “El campàn”… e su quell’à ci mise tutto l’accento del suo dialetto da montagna, come se il battocchio gli battesse in testa. “E allora, Richì, come andò a finire?”, chiedeva la gente. “Mah! Um dè un chilz in t’è cul, che hai sent incora la schérpa!” (mi diede un calcio nel sedere: mi pare di sentirci ancora la scarpa).
Un giorno fu sorpreso a caccia fuori stagione. Vedendo il maresciallo, si fece coraggio… e se la diede a gambe levate. Il maresciallo… dietro! su per i castagneti, tra dirupi e siepi di biancospino: una faticaccia! Ma fu finalmente riconosciuto: “Fermati, Richì, fermati!”.
Al chè, Richì, ansimante, con un fil di voce: “Che us férma lò, sgnor maresciall, che un gnè insô ch’ui còra dré!” (si fermi lei, signor maresciallo, che non ha nessuno che le corra dietro!).
Ora se n’è andato. La gente ha fatto gli occhi rossi quando l’ha saputo. Ritornava spesso a Borgo Rivola a trovare gli amici della Costa Vecchia e di Macerato (che vino schietto!). Loro spegnevano il televisore e non ci rimettevano niente. Anche se le barzellette erano sempre le stesse, di nuovo c’era sempre le faccia di lui, Richì d’Saraca. Ebbe a collaborare con la giustizia in occasione del deragliamento di un treno nei pressi di Bologna. Richì ne era uscito malconcio e, agli inquirenti immedesimati nell’inchiesta che insistevano: “Ma come? Non erano accesi i fari? Com’è possibile non vedere i segnali?…”, egli osò puntualizzare: “Ma che guardino: non lo guidavo mica io!”.
Il vino era la sua salute. Faceva il giro dei bar. Davanti a un bar o a una osteria, confessava di dire a se stesso: “Forza, Richì, non voltarti, tira avanti!”. Quelle rare volte che gli riusciva di passare oltre, finiva per rallegrarsi con se stesso: “Bravo Richì! per premio, torna indietro!”.
Andava pure a caccia e non si poteva immaginare come facesse a prendere la mira dalle fessure dei suoi occhi. Mah!… Ultimamente si lamentava sovente perché, da quando avevano costruito l’autostrada Bologna-Ancona, gli uccelli non imboccavano più vie traverse…
Si dice che il figlio Gustavo l’abbia apostrofato incontrandolo, negli ultimi tempi, all’angolo di casa, un po’ abbacchiato: “Aiè carghé stasìra!” (abbiamo caricato questa sera!), ricevendo la più logica delle risposte: “T’è rasò, Gustavo; aihò vrù fé sol un viaz!” (Hai ragione; ho voluto fare un solo viaggio!).
Si potrebbe continuare, ma non tutte le freddure di Richì sono riferibili, avendo a soggetto le “sue” donne, fatte a quella maniera, dal grande sedere a damigiana; comunque sempre le solite piadaiole dalla gola secca che avrebbero rubato il fumo alle pipe.
Ora che è partito per il lungo viaggio, non lo troveremo più lì, al Circolo di Borgo Rivola, intento a sorseggiare l’ultimo bicchiere in attesa della corriera, chiedendo al primo sconosciuto che gli capitava a tiro: “Mi saprebbe dire a che ora passa la corriera delle quattro e mezza?”. Ma lo toglieva presto dall’imbarazzo: “Ch’la pasa quand ch’là vô; intant me an’ho fùria!” (che passi quando vuole, tanto io non ho fretta!).
Così, senza fretta, era arrivato a settantasette anni e pareva che stesse “par to in t’è ròzul” (per ingannare) anche il tempo.
Gli capitò invece di morire ed immaginiamo che ci sia rimasto così…
Come quella volta che scendeva da Mazzolano in bicicletta con su, accovacciato sul “cannone”, un collega di lavoro, Stelio.
Intravvide una pietra in mezzo alla strada ghiaiosa, a cinquanta metri di distanza. Richì cominciò a tentennare, raccomandandosi ai freni cigolanti in disuso: “Alè, Alè, una pré! Alè una pré! Alè, alè!”. Vi si imbattè in pieno e ruzzolarono entrambi sulla siepe di biancospino.
A Stelio che, dei due, se l’era cavata meglio, pareva impossibile: “Almeno non l’avessi vista!”.
E Richì, ancora impigliato negli spini: “A t’l’avéva pù dett ch’l’a iéra” (te l’avevo poi detto che c’era).
Il complimento che non accettava era quello che agli amici di tanto in tanto scappava: “Richì, a sì piò fort dl’asé!” (siete più forte dell’aceto).
“Par piasè, che an me scuriva dl’asé” (per piacere, non parlatemi dell’aceto!), rispondeva. Gli era piaciuto solo il vino… Quello buono.
Erano tanti davvero gli amici di Richì. Andava a casa loro al momento giusto.
Rappresentano il silenzioso messaggio di quest’uomo semplice e arguto per tanta gente istruita e confezionata per la solitudine.
Testo (e disegno) pubblicato con il titolo “Richì d’Saraca” sul volume “La Valle del Senio tra cronaca e storia, a cura della Cassa Rurale ed Artigiana di Castelbolognese”, Imola, 1984, e già pubblicato, con poche varianti, sul periodico “Romagna”, anno 3., numero 4, aprile 1975.
Si ringraziano le famiglie Sedani per le fotografie e Sante Garofani per la collaborazione.
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