Il cippo a memoria dell’aviatore Antonio Vaciago
Un angolo di storia e di natura distrutto dal progresso
di Andrea Soglia
3-4 settembre 1938: a Forlì si tiene un Grande Avioraduno Nazionale al quale sono iscritti oltre 80 apparecchi civili provenienti da ogni parte d’Italia. Il programma prevede l’atterraggio degli avioradunisti all’aeroporto “Luigi Ridolfi” subito dopo aver effettuato, sulla città di Predappio, il lancio di un messaggio contenente una frase di omaggio e di riverenza al Duce. Nella giornata di domenica 4 settembre è programmato un ricevimento al Comune di Forlì, seguito da una visita alla tomba dei genitori di Mussolini a Predappio e infine dalla cerimonia di premiazione nel parco delle terme di Castrocaro. Al raduno partecipano in realtà 72 aerei, e dietro ad una delle rinunce si nasconde un drammatico incidente, quasi totalmente taciuto dai giornali dell’epoca, che tendevano a limitare se non ad eliminare le notizie di cronaca nera.
E’ il tardo pomeriggio di sabato 3 settembre 1938 quando, fra i cieli di Imola e Castel Bolognese, l’aereo del pilota torinese ing. Antonio Vaciago entra in difficoltà. Mancano poco più di 20 chilometri all’arrivo a Forlì; l’aereo comincia a volare basso, compie dei circoli e, molto probabilmente, tenta un atterraggio di emergenza in un podere sito in via Calamello, nella campagna di Castel Bolognese, a due passi dalla ferrovia Bologna-Ancona.
Una testimonianza ricorda quei drammatici momenti e i primi soccorsi prestati al pilota da un contadino della zona:
“Mio padre ed io vedemmo l’aereo volare basso e avevamo paura che cadesse sulla nostra casa. Poi l’aereo precipitò in mezzo a un podere e decidemmo di andare subito a vedere. Mio padre prese con sè un “pennato” e ci avvicinammo. L’aviatore, imprigionato nell’abitacolo, ci faceva segno di non avvicinarci perchè aveva paura che l’aereo prendesse fuoco. Mio padre mi allontanò, e, aiutandosi col “pennato”, liberò Vaciago e lo tirò fuori dall’aereo distendendolo a terra e mettendogli una delle sue valigie sotto la testa. Poi da Castello arrivarono i soccorsi e lo portarono all’Ospedale. I suoi familiari, avvertiti dell’incidente, vennero subito a Castello e decisero di trasportare Vaciago a Torino. Il giorno dopo egli morì, non so se a Torino o durante il viaggio”.
In paese fu udito solamente un sibilo, ma il giorno successivo, una volta sparsasi la voce, tantissima gente andò in pellegrinaggio sul luogo dell’incidente a vedere l’aereo.
Antonio Vaciago, una laurea in ingegneria e una passione per il volo, era nato nel 1898 e viveva a Torino. Di lui non è stato possibile scoprire moltissime notizie. Le poche informazioni ci sono fornite dai necrologi comparsi sul quotidiano torinese Gazzetta del popolo del 6 settembre 1938 e su La Stampa del 7 settembre 1938. Vaciago era comproprietario, assieme ai fratelli, della filanda “G. Vaciago” di Luserna San Giovanni (TO), fondata nel 1901 (e chiusa nel 2007). Capitano pilota di complemento (riservista) e croce di guerra, nonchè appassionato turista aereo della Sezione di Volo del “Gino Lisa”, aveva conseguito il brevetto civile nel 1934 e il brevetto militare nel 1937.
Antonio Vaciago era a bordo di un Caproni Ca. 100, aereo che aveva registrato il 24 giugno 1937, dopo che era già appartenuto al duca Marcello Visconti di Modrone, che nel 1931 lo aveva immatricolato come I-VISC, a Orfeo Paroli e a Edoardo Pugliese-Levi. Soprannominato “Caproncino”, il Caproni Ca. 100 era un biplano monomotore da turismo, a costruzione mista legno e metallo, molto in voga negli anni ’30, in grado di raggiungere la velocità massima di 180 km/h e con un’autonomia di 600 km. Antonio Vaciago, morto a 40 anni il 4 settembre 1938, lasciava la mamma Maria Cervi, i fratelli Giovanni, Cesare, Guido e la sorella Giulia, i quali pubblicarono il seguente necrologio:
“E’ spirato nel bacio del Signore l’
Ing. Antonio Vaciago
Capitano Pilota di Complemento
Croce di Guerra
Caduto nel cielo di Forlì nella
gioia del volo sua passione e
fede purissimi”
A pochi metri dal luogo dell’incidente, lungo la via Calamello, la famiglia eresse un cippo a ricordo a cui affiancò due alberi, realizzando così una specie di piccolo giardino delle rimembranze. Il 1° marzo 1941 Cesare Vaciago (classe 1897) cadde in combattimento sul fronte greco e l’agosto successivo, “straziata dai più gravi dolori che possano colpire un cuore di Mamma”, morì anche Maria Cervi. Le visite dei rimanenti parenti al cippo si diradarono così sempre più e per molti anni fu curato da qualche mano pietosa prima di cadere in rovina: la piccola balaustra che lo circondava era oramai distrutta, la croce che lo sormontava si era rotta (e successivamente ne è sparita una parte), mentre la fotografia in porcellana ritraente Vaciago, coinvolta nel crollo della croce e andata in frantumi, era stata salvata, nell’estate del 2005 dal provvidenziale intervento di Enzo Lanconelli, appassionato di ricerche storiche sulla guerra aerea in Romagna nel 1944/45, che ne aveva recuperato i frammenti (salvo alcune piccole parti) cercando fra i rovi e nella terra che li aveva già in parte ricoperti (1).
Fino a pochi anni fa, nella zona, il tempo pareva essersi quasi fermato all’epoca dell’accaduto: la via Calamello era una strada non asfaltata. A pochi passi dal paese ci si trovava in piena campagna.
Alcuni cittadini, all’inizio del 2010, preoccupati dall’imminenza di grossi lavori stradali previsti nella zona, si erano interessati al destino di quest’angolo di natura e memoria e da questa pagina era stato lanciato un appello affinchè lo si tutelasse dalla distruzione dettata dall’oblio e dal progresso.
Purtroppo ogni appello cadde nel vuoto: nel novembre del 2010 i lavori per la costruzione dei nuovi sottopassi ferroviari sconvolsero la zona. Senza alcun preavviso e senza alcuna pietà i due alberi (fra i pochi di Castello non distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale) furono abbattuti e ridotti in cenere, e il cippo fu trasportato nei magazzini del cimitero. Nessuna risposta fu stata data sull’inevitabilità dell’abbattimento degli alberi. Era davvero impossibile salvarli? Potevano essere alberi tutelati dalle leggi? C’era stata la sensibilità necessaria? E perchè non si era risposto ai pubblici appelli (sicuramente fastidiosi) almeno per fornire una completa informazione sulla vicenda? E cosa si pensava di fare del cippo una volta realizzato il sottopasso?
A febbraio 2017, dopo oltre 6 anni, ancora tutto tace. I lavori in zona sono finiti da tempo e non si è saputo più nulla sulla possibile ricollocazione del cippo nei pressi della sua sede originale. Più volte abbiamo visionato il cippo conservato nei magazzini del cimitero. Dopo il recente pensionamento del custode del cimitero, il quale era informato della vicenda, non vorremmo che quanto rimane del cippo potesse essere portato in qualche discarica.
(1) Nell’aprile del 2012 Enzo Lanconelli, dopo aver letto su questa pagina quanto accaduto, ha dato in custodia al sottoscritto i frammenti della foto in porcellana. Ritenendoli più sicuri presso di me che in un magazzino, saranno da me conservati in attesa degli eventi.
Pagina creata il 28 febbraio 2010. Ultimo aggiornamento 5 febbraio 2017
Siti internet consultati:
http://www.ams.vr.it/Progetto_Caproni/Caproni_Plane/Ca-100/Ca-100.htm
http://www.ab-ix.co.uk/italy.pdf
http://it.wikipedia.org/wiki/Caproni_Ca.100
http://gavs.it/registers/view_record/10526
Si ringraziano Enzo Lanconelli, Andrea Raccagni e Laura Massaia per la gentile collaborazione.
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Andrea Soglia, Il cippo a memoria dell’aviatore Antonio Vaciago: un angolo di storia e di natura distrutto dal progresso, in https://www.castelbolognese.org
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