Fausto Ferlini: Ricordi Scolastici
Per tanti anni il professor Fausto Ferlini è stato insegnante di disegno nelle scuole medie di Castel bolognese, ove intere generazioni di castellani hanno imparato quell’arte; tra questi ci sono stato anche io che, ora come allora, non ero molto dotato nel disegno figurativo ove lui, allievo di grandi maestri italiani, eccelleva e molto pretendeva dai suoi allievi. Eppure, tra alti e bassi, collezionando via via che passavano i trimestri lo striminzito 6 in disegno (che faceva il paio a quello in ginnastica …) sempre datomi “per misericordia” come ricordava il professor Ferlini a mia zia Virginia. La sua figura, quasi un burbero benefico, mi è rimasta nei ricordi molto chiara e con tanto affetto scrivo queste righe.
Il tiro della cimosa e i bestioni preistorici
Sulla scrivania di Fausto Ferlini non mancavano mai una o due cimose di feltro, di forma rettangolare o rotonda, comunque senza manico di legno, che venivano da lui utilizzate sia per cancellare quanto scritto sulla lavagna sia per cancellare … i mormorii della classe! Sì, perché il professore pretendeva attenzione assoluta alle sue lezioni e se qualcuno disturbava, lui fermava la lezione, cominciava una sequela litanica che spesso comprendeva il “bestione preistorico da cinquecentocinquanta zampe più quelle di scorta” e proseguiva con animali a numeroso teste, corna, ali ovvero equini da soma o con lunghe orecchie sempre ben forniti di zampe od altro. E mentre la litania continuava partiva come un missile verso il malcapitato scolaro disattento una delle cimose. A quel punto, che fare? La mira del professore infatti era perfetta ed il bersaglio veniva colpito 99 volte su 100. Poiché i banchi della sala di disegno avevano un grande piano mobile di legno, quasi fossero tavoli da progettazione, ma erano avvicinati tre a tre, se sedevi in quello centrale l’unica via d’uscita era, sempreché la mossa fosse celere, sgattaiolare sotto il banco e vedere la cimosa colpire il malcapitato compagno del banco dietro, che magari seguiva la lezione in religioso silenzio; se eri di lato il gioco era un po’ più semplice, ma la conclusione era la medesima: pulire il compagno incolpevole che si trovava stampata la cimosa sul maglione o in faccia e dopo un tuonante “e adesso bestione vai fuori!” prendere commiato ed uscire dall’aula.
Le pecore “pullman”, le marmellate e gli stracci lavati
Come ho detto, ero e sono tuttora assolutamente negato per il disegno ornato e figurativo. Quindi, quando si trattò di dipingere il presepe, fu un vero dramma. Iniziai a disegnare alcune pecore, con somma attenzione e spirito di dettaglio, posi le quattro zampe in fila, una dietro l’altra e sopra disegnai il corpo dell’animale; il risultato non fu un granché: le pecore assomigliavano al cane dell’AGIP da quanto erano lunghe: presentai il disegno al professor Ferlini che mi apostrofò: “cos’hai disegnato le pecore pullman? Non vedi che sopra ci stanno dieci persone?” La favola delle pecore pullman fece il giro della scuola.
Così come non ero in grado di disegnare le pecore, all’inizio facevo una gran fatica ad adoperare i colori a tempera. Per la mia atavica paura di sporcarmi (… per chi non lo sapesse, d’estate mia mamma mi vestiva tutto di bianco e mi ordinava di non sporcarmi …) mescolavo pochissimo i colori che così rimanevano densi e stavano in rilievo sulle parti dipinte, tanto che i miei “quadri” furono battezzati “le marmellate”. Ma poi imparai a sciogliere il colore… forse troppo bene perché a quel punto i miei fogli colavano di colore! E così le marmellate diventarono stracci lavati che Ferlini mi ordinava di passare sopra il termosifone ad asciugare prima di farglieli vedere.
Il giorno libero del venerdì
In tutta la sua carriera scolastica nessun Preside, neppure il severissimo Peppino Petralia, di cui noi ragazzini avevamo paura (!) gli riuscì mai a far cambiare il giorno libero: il venerdì. C’era un motivo: in quella giornata, dedicata al “mangiare di magro”, Fausto Ferlini si dedicava religiosamente alla cucina per preparare ottimi manicaretti di pesce. La sua giornata iniziava presto e lo si poteva incontrare al mercato coperto per una minuziosa visita al pesce esposto e poi al suo acquisto. Si fidava solo dei venditori castellani, che nel grande bancone di marmo fatto ad U posto tra le uscite su via Rondanini vedeva sulla destra Fausta ed al centro Isolina sempre aiutata dalla figlia Maria Armiento e spesso dagli altri figli Elio ed Emilia. Completato il giro della spesa, a casa, Fausto si dedicava alla pulizia del pesce, poi alla sua cottura. Tutto doveva essere pronto al rientro della moglie Francesca Camerini, maestra nella scuola elementare “Ginnasi”.
Professore, non son buono!
“Ma professore, non son buono!” Questa frase, presa pari pari dal nostro dialetto, era sulla bocca di tanti noi scolari quando il prof. Ferlini ci chiedeva di fare qualche cosa per la quale non ci sentivamo pronti: “E se non sei buono sei cattivo! E prega ( non ricordo più il nome del Santo) che ti faccia diventare buono per la gioia dei tuoi genitori” era di rimando la risposta.
La cassettina dei ciô
Fausto Ferlini, assieme ad Oddo Diversi ed Ubaldo Galli rimane tra i grandi poeti in dialetto romagnolo di Castel Bolognese; non v’è dubbio che lui amasse questa lingua, ma quell’intercalare, il ciô, comunissimo nel nostro parlare quanto l’italianissimo cioè, proprio non gli andava giù. Lui quindi aveva istituito sulla sua cattedra la “cassettina dei ciô” e pretendeva il versamento in essa di ben 5 lire (la mitica monetina di nichel con l’aratro) ad ogni ciô pronunciato. E non era una tassa da poco se penso che allora con 10 lire Miglia del Bar Giardino ci preparava un bel gelato! L’inflazione poi erose anche i ciô e la tassa aumentò a 10 lire. A fine anno scolastico, tutto l’ammontare della cassettina (… e non era poco!) era portato in beneficenza alle Monache Domenicane.
Paolo Grandi
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, Fausto Ferlini: ricordi scolastici, in https://www.castelbolognese.org
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