Don Domenico Casadio ricorda Domenico Drei
Accolgo di buon animo l’invito a ricordare Domenico Drei nella sua intensa attività di tenore, fuori dalla sua parrocchia della Pace. Sara come intrattenersi con l’amico carissimo per rinnovare memorie a lui sicuramente fra le più care e, ad un tempo, per meglio apprezzare la sua disponibilità, priva di calcoli, riserve o infingimenti, e quella sua generosità tanto grande da risultare talvolta eccessiva.
Conobbi Domenico Drei negli anni 50, quando io venni a Casale e lui era un baldo giovane, poco più che ventenne, gioviale, estroverso, intelligente, simpatico già al primo impatto. Cantava nel coro parrocchiale, da tenore o baritono, secondo necessità, e suonava nella piccola banda della Pace.
Soltanto anni dopo, come accompagnatore all’harmonium di quel coro, mi accorsi delle potenzialità della sua voce che stava letteralmente “esplodendo”.
Sia chiaro: Drei non ha mai studiato canto, né impostazione della voce, né fonazione, né respirazione. Faceva il muratore e restare sulle impalcature al sole, al vento, al freddo per ogni santo giorno della settimana lavorativa non giova granché alle corde vocali. La sua voce è stata un talento naturale, sbozzata dallo stato grezzo, controllata e coltivata dalla sua passione e istintività musicale.
Il nostro Domenico eseguiva gli “assolo” della voce virile e irrobustiva il coro con la sua insuperabile potenza vocale. Non ha mai potuto usare la mezza-voce o il falsetto ed ha preferito cantare di petto, a voce piena.
Verso gli anni ‘60, l’arciprete di Castelbolognese, don Giuseppe Sermasi, consentì che alle voci bianche delle sue valorose “canterine” si aggiungessero le voci virili di tenori e bassi, come già avveniva alla Pace. (Conseguentemente, la filodrammatica maschile si apriva alla partecipazione delle ragazze).
Fu uno straordinario ampliamento dei programmi: due messe a tre voci dispari, la Pontificalis Prima e la Pontificalis Secunda del Perosi, più l’esecuzione di brani che entusiasmavano, come il Tota Pulchra del Borroni. I bassi li portavo con me da Casale: i fratelli Mario, Giovanni e Sebastiano Bacchilega. Più difficile “scritturare” i tenori forse per mancanza di tradizioni castellane. Era logico attingere a quelli della Pace, guidati dalla voce autorevole di don Giovanni Minguzzi, arciprete di Pieve Ponte. Fu questo l’aggancio anche per Domenico Drei. Scoprii che aveva buona musicalità, volontà e memoria per imparare presto e bene, sicurezza nell’esecuzione, entusiasmo per il bel canto.
Con queste connotazioni gli si apriva la strada per migliorare, fino al punto di ampliare la gamma dei suoni in zona acuta e di affermarsi come solista e punto di riferimento per i tenori dei nostri “cori”.
Se ne accorsero i Parroci delle zone limitrofe che cominciarono ad invitarci per far musica alle loro feste parrocchiali. Per lo più si era in quattro: Domenico Drei e Giovanni Ricci, tenori; Dumas Battilani basso e il sottoscritto basso, organista e direttore a tutto fare!
Si cantava la Messa Te Deum a 2 voci pari del Perosi, inni e motetti eucaristici o mariani, Litanie Lauretane (Creonti, Contarini, Milani), Tantum ergo (Zaninetti) ecc. ecc. Si pranzava, e bene, alla tavola del Parroco e si ritornava a casa sul pulmino Wolkswagen di Drei, con tanti ringraziamenti da parte del Parroco. Sì, perché non accettavamo compenso in denaro. La nostra motivazione era di offrire un servizio di canto sacro là dove fosse necessario e richiesto; la ricompensa, quella di un piccolo merito e la soddisfazione personale. E tale rimase la regola costante per tutto quello che farà Domenico Drei nelle Chiese del faentino e dell’imolese.
I nostri impegni musicali, allora, erano riservati alle domeniche e alle feste comandate, perché nei giorni feriali prevaleva la legge e il dovere del lavoro quotidiano. Nel 1966, Domenico Drei si metteva in proprio, da piccolo imprenditore edile, con un gruppo da cinque/sei a dieci muratori, suoi dipendenti. Da quel momento, egli poteva assumersi impegni di canto anche per le feste ricorrenti in giorni feriali. Una visita e una sosta al cantiere di buon mattino, un’altra a tardo pomeriggio e via a cantare!
In alcuni giorni festivi accadeva che Ricci o Battilani non fossero disponibili per motivi di famiglia o per altri impegni. I parroci, che ci “tenevano”, sollecitavano me e Drei: “Venite voi due. Non c’è da cantare la Messa, ma solo motetti”. Accettavamo, per compiacere, senza renderci conto di dare la stura a una serie di impegni senza fine.
In alcuni casi di feste in giorni feriali, capitava che la presenza di numerosi sacerdoti consentisse programmi musicali più impegnativi, come, ad esempio, l’esecuzione della Messa Cerviana a tre voci pari di Lorenzo Perosi. Questo accadeva ogni anno, il 2 febbraio, nella parrocchia di Bizzuno. Il nostro Drei conosceva quello spartito e ne era degno tenore solista.
Imparò anche la bellissima Messa da Requiem a tre voci pari di Perosi, nella quale spicca l’assolo del tenore nell’Offertorio, Hostias et preces ed andava ampliando il suo repertorio di motetti con il Panis Angelicus di Franck, l’Agnus Dei di Bizet, o Quam suavis di Contarini, Adoro te devote di Gounod, O salutaris hostia di Giuseppe Cicognani, O bone lesu di Bottigliero, O mio Signor di Händel, Pietà Signore di Stradella, le due famose Ave Maria di Schubert e di Gounod e l’altra più liturgica di Vittadini, il Recordare di Masironi, O dolcissima Maria di Calamosca, due brani ottocenteschi: Recordare di Donati e Quasi arcus di Cagliero, due Iustus ut palma, uno di P. Marabini e l’altro di mia composizione, Nome dolcissimo di Capocci e una pastorale natalizia O genti, v’è nato un fratello, composta da me a misura delle possibilità di Domenico Drei. Cosa non fa fare l’amicizia?!
***
A Casale, la celebrazione della Messa festiva terminava alle 10 3/4. Quante volte sul prato della Chiesa c’era Domenico Drei sul suo Wolkswagen che m’attendeva!
Partenza immediata per essere sul posto designato alla Messa solenne delle ore 11.
Gli impegni abituali a tutte le feste erano per Pietramora, S. Biagio, Urbiano, Scavignano, Oriolo, Montefortino, S. Severo, e nell’imolese, Serra e Campiano. Qui, si può dire che eravamo diventati di casa (Serra a parte, dove doppiamente si era di casa dal momento che il parroco, don Italo Drei, era primo cugino del nostro Domenico).
Ma poi gli impegni si estendevano dalle Chiese più vicine, Casale, Pieve Ponte, Pace, Tebano, Celle, Pergola, Biancanigo, ad altre più lontane: Fossolo, Castel Raniero, Bizzuno, Rivalta, S. Savino di Modigliana, Moronico, Ceparano, S. Mamante in Oriolo, S. Mamante in Coriano, S. Cassiano, S. Maria Vecchia in città. E, nell’imolese, S. Petronio, Borello, Ghiandolino, Bergullo, Mazzolano, Ponticelli, Poggiolo, Croce Coperta ecc.
Per dare un’idea delle scadenze frequenti di tali impegni, basti dire che in un solo inverno celebrammo la festa di S. Antonio Abate in tredici, sì, in tredici Chiese diverse!
Per un carattere estroverso come quello del nostro Drei, la frequentazione con tanti Sacerdoti che lo cercavano, poi lo elogiavano per la sua arte e lo ringraziavano per la gratuità delle prestazioni, più il tempo trascorso insieme a tavola in gioiosa convivialità, equivaleva ad aprire anima e cuore a legami della più tenace amicizia. Cominciò a dimostrarlo facendo comparire a tavola una bottiglia di un brandy spagnolo, il Terry, molto apprezzato dai commensali, oppure un paio di bottiglie di “recioto”, vino straordinario per aroma e delicatezza di gusto. A lui traspariva in volto la gioia di donare.
A noi Sacerdoti si ponevano due problemi: come ricompensare tanta generosità e cosa fare per impedirci di abusarne?
Sottoscrivemmo a più riprese segnalazioni e richieste perché gli venissero conferiti titoli onorifici, da quello civile di “Cavaliere” a altri del Vaticano, ultimo dei quali fu quello massimo, riservato ai diplomatici. (Le onorificenze concesse dal Vaticano hanno il pieno riconoscimento della Repubblica Italiana a norma del Concordato). Pensavamo che, quali attestati di stima, gli potessero tornare utili nel suo lavoro.
Domenico li gradiva perché erano testimonianza di riconoscenza-affetto-amicizia ed ogni volta ne faceva occasione per una festa fra amici.
Che fare per non approfittare di tanta generosità? Certo, occorreva non manifestare eccessivo entusiasmo per quel brandy o per quel vino, perché il troppo-munifico poteva recapitartene a casa una cassetta dono. E so di più casi in cui questo si verificò.
Ripenso ad alcuni viaggi, durante le ferie, nei quali Drei conduceva sul suo pulmino un gruppo di preti (don Carlo Marangoni, don Antonio Baldassarri, don Guerriero Rivola, don Vittorio Bandini, don Oreste Molignoni e il sottoscritto) in giro per l’Italia: nel Meridione, in Sicilia, in Val di Non nel Trentino. Avevamo adottato un rigido controllo delle spese (per autostrade, carburante, pasti, pernottamenti in albergo, ecc.) per evitare che il sempre troppo munifico automedonte ci sorprendesse col dire “Ho fatto tutto io!”. Era il minimo cui si doveva ricorrere.
Ripenso alla serenità degli incontri a Pietramora, a San Biagio, a Fossolo ad Urbiano. Ad Urbiano specialmente, dopo che il Signor Aldo Ravaglioli aveva restaurato un’edicola dedicata alla Vergine e noi si andava a cantare numerosi. Al quartetto degli esordi si era aggiunto Giovanni Peroni, buona voce ed ancor migliore amico. Dopo aver cantato alla Messa nella Chiesa parrocchiale, si doveva cantare al pomeriggio, all’aperto, presso la sacra edicola. Ci accoglieva a pranzo la tavola lauta e festosa del signor Ravaglioli. Sul finire del pranzo, Drei, sollecitato da tutti i commensali, cantava un paio di romanze o di canzoni celebri e concludeva, alla Pavarotti, con gli acuti possenti di “O sole mio”, fra gli applausi generali.
E ricordo con nostalgia, condivisa certo da tutti i cantori allora partecipanti, le feste di Ghiandolino, con la cordiale convivialità, fra sacerdoti e un gruppo di laici della bassa imolese, in un ambiente annesso alla canonica, recuperato dal parroco don Giuseppe Aggeo e battezzato come “Ristorante dell’amicizia”.
Ogni anno Drei ricambiava tutto e tutti con il fastoso pranzo del lunedì di Pentecoste, da lui offerto a casa sua, con una presenza, forse preponderante, di Sacerdoti faentini ed imolesi.
Vorrei aggiungere che con il trascorrere degli anni il “giro” dei servizi di canto gli si era ancor più allargato. Da Imola lo chiamava spesso don Cassiano Ferri per cantare a Poggiolo o in altre Chiese sotto la sua direzione.
Anche i cantori imolesi lo invitavano per rinforzare i tenori, nelle loro uscite per la diocesi.
Altrettanti inviti gli giungevano da Rimini da parte di Ugo Tagliani, un tenore professionista, molto ricercato per servizi musicali nelle feste religiose della zona, come, ad esempio quella del S.S. Crocifisso di Longiano.
A Castelbolognese negli anniversari della morte dell’arciprete Sermasi e di don Italo Drei, cugino di Domenico, cantavamo la Messa da Requiem di Perosi, con la partecipazione di cantori faentini e di sacerdoti imolesi. Tale e tanta è la suggestione provocata da quella musica che molte famiglie la richiedevano per i propri defunti. Riconoscendo l’autorevolezza di Domenico in questo campo, si rivolgevano a lui che, da imprenditore, organizzava il tutto.
Molti inviti gli giungevano in occasione di matrimoni e uno in particolare io ne ricordo, nella splendida basilica di S. Apollinare in Classe, dove, pochi mesi prima, avevo ascoltato, con grande emozione, la Passione secondo Matteo di Bach.
La passione per il canto, da cui il nostro Drei era animato, lo aveva indotto ad imparare molte romanze d’opera e canzoni celebri, napoletane e non, e le cantava soprattutto nelle frequenti festicciole (le “bandighe”) consumate coi suoi dipendenti, collaboratori ed amici. Ma, su invito, cantò anche in concerto, nel teatro della Casa di Riposo in Faenza e in una istituzione per malati e invalidi a Lugo. Il compenso era sempre quello: “gratis et amore Dei!”.
Negli ultimi anni di vita, ormai minato dal diabete e da altri disturbi, gli impegni musicali nelle Chiese erano in diminuzione.
Erano state soppresse diverse parrocchie minori e l’assenza del Sacerdote cancellava la tradizione delle feste e dei riti. Inoltre si moltiplicavano i gruppi giovanili che, sotto la guida di volenterosi chitarristi, si rendevano disponibili a cantare in Chiesa le loro musiche.
“Sacro Rock”, dicevamo noi. Ma tant’è: erano giovani della comunità parrocchiale e guai a perderli!
***
Diamo al nostro Domenico Drei l’arrivederci, anziché l’addio.
Lasciava questa terra il giorno di Natale, 25 dicembre 1991, a soli 64 anni di età, nell’Ospedale di Ravenna.
Mi chiedo se, nelle fibrillazioni dell’agonia, il subconscio gli abbia fatto echeggiare nell’anima il canto della pastorale natalizia “… Bimbo mio di Paradiso, pace in terra e gloria in ciel”.
Caro e buon Domenico, in quella gloria c’è spazio per te. Perché tu possa cantare in eterno la santità di Dio.
Testo e immagine tratti da: Gemma Utili, Storia e Ricordi dei cori di Santa Maria della Pace: fine ‘800-1996
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