Ubaldo Galli (1905-1996)

Ubaldo Galli “visto” da Fausto Ferlini.
Disegno tratto da: Ubaldo Galli, L’ultum fulestêr, M. Lapucci Ed. del Girasole, Ravenna, 1987

La vita

Ubaldo Galli nacque a Castel Bolognese il 24 marzo 1905 da genitori di origine contadina che, abbandonata la terra, aprirono in paese un negozio di calzature. Il padre mori quando Ubaldo aveva appena nove anni. La madre, l’Aurelia d’la Cà Bianca, spesso ricordata nei suoi scritti, popolana di notevoli energie e capacità, si rimboccò le maniche, prese in gestione un negozio di generi vari ed allevò il figlio fino a fargli conseguire il diploma di geometra.
Leo Longanesi definì il mussoliniano “Me ne frego” il motto della gioventù fregata. Leggendo la “ballèda di nuvant’enn” tornano insistenti la pertinenza e la causticità dell’asserto longanesiano, attraverso il ricordo dei tempi in cui comandava “l ‘amigh zrisa” e si cantava “giovinezza – ch ‘la fa rèma cun bellezza”. Mussolini era al culmine del consenso, circondato da una corte di adulatori, l’opposizione era inesistente, nessuno ricordava più l’olio di ricino e il manganello, il nuovo ordine aveva un fascino innegabile. Alcune passeggiate militari contribuirono a creare un mito di invincibilità destinato a rivelarsi estremamente fragile. Anche Ubaldo fu contagiato dall’entusiasmo: con un grado di ufficiale subalterno della Milizia Volontaria fece la campagna d’Africa Orientale. Fu quello l’inizio di un tragico turismo, che portò il soldato italiano a patire in tante terre lontane. Rivestita la divisa, non più giovanissimo, Ubaldo si ritrovò in guerra dalle parti della Slovenia, proprio quando le cose volgevano al peggio: gli Alleati sbarcati in Sicilia, la caduta del fascismo, l’umiliazione della Milizia, incorporata in condizioni di soggezione nel Regio Esercito, l’ 8 settembre, l’opportunismo e la viltà dei capi e, da ultimo, l’onta del disarmo e della prigionia per mano dell ‘ex alleato tedesco. In tutta questa vicenda, nel Nostro non vennero mai meno una profonda fede religiosa ed una volontà caparbia di sopravvivere e di tornare a casa, nella sua Castel Bolognese. Dal campo di concentramento di Thorn, in Polonia, Ubaldo ebbe la ventura di tornare giusto in tempo per cadere dalla padella nella brace. Per tutto l’inverno 1944 – 45 tedeschi ed angloamericani si fronteggiarono sulle opposte rive del Senio e “…i tudèsch, fiul de’ putani – i m ‘arciape’ nelle lor mani – e par sì mis im tens in guera – a fure’ di bus in tera”.
A guerra finita, passato il tempo dei rancori, Gli fu possibile riprendere, nella Sua Castel Bolognese, che aveva sognato bellissima tra le brume della Polonia, la vita serena, a Lui tanto congeniale, accanto alla Sua Elsa ed ai figli. L’antico negozio dell’Aurelia era passato nelle mani non meno sagaci dell’Elsa: Ubaldo divise il Suo tempo tra la professione di tecnico e l’aiuto alla moglie nell’attività commerciale. Fu questo il periodo in cui maggiormente Gli fu possibile leggere, scrivere, occuparsi con passione delle cose di Romagna. Questa vita serena subì, purtroppo, una tragica parentesi con la morte prematura, a soli ventotto anni nel 1967 di Alessandro, uno dei figli, a seguito di incidente stradale.
La morte lo colse a Castel Bolognese il 3 settembre 1996: fino agli ultimi mesi aveva letto, scritto, raccontato.

Cantore della Romagna

Ubaldo Galli fu iniziato alle cose di Romagna fin dall’età adolescenziale: nel 1920, a soli quindici anni ebbe modo di conoscere la rivista “La Piè ” di Aldo Spallicci. Per la Sua formazione la conoscenza di Spallicci, “Spaldo” fu determinante.
Non è vasta la produzione letteraria di Ubaldo Galli: vi si possono, per altro, individuare molteplici filoni di interesse, dalla poesia alla fabulazione, al racconto, in idioma vernacolo, di episodi della vita di paese realmente accaduti o, quantomeno, verosimili, abbelliti di una serie di dettagli caricaturali per rendere la narrazione più avvincente e divertente. Tre racconti, quelli che Ubaldo riteneva i suoi migliori, furono ospitati nell’antologia “E viaz” di G. Quondamatteo, due libretti, “A sèn aquè”, pubblicato in collaborazione coi compaesani Oddo Diversi e Fausto Ferlini, e “L’ultum fuléster” del 1983 ospitano rispettivamente liriche e racconti in prosa. Di recente, il settimanale “Il Nuovo Diario” di Imola ha pubblicato una versione in lingua de “I cuntrabandì”, i contrabbandieri, argomento che certamente affascinava Ubaldo, dato che i castellani primigenii pare non fossero propriamente degli stinchi di santo. Alcune liriche sono ospitate in “Cento anni di poesia” di Quondamatteo e Bellosi. Qualcosa è comparso, in epoche diverse su periodici vari, senza che l’autore si sia mai preoccupato di esigere un qualsiasi copyright. Ubaldo sentì sempre prepotente la vocazione del narratore, del dicitore, del “fulêster” ma è ben difficile appioppargli l’epiteto di “Gondrand della poesia”, parafrasato da quello sferzante con cui Leo Longanesi bollò un mostro sacro della musica, che mai aveva scritto un rigo di suo. Lo stesso Ubaldo cade in deliziose contraddizioni, allorché, in qualche lirica, si riconosce poeta (Canzonetta al Senio, Puièseia), nel senso greco del termine: non avendo mai studiato la lingua di Omero, non poteva sapere che poeta è colui che “fa” poesia.
Il profilo letterario di Ubaldo non sarebbe completo se non citassimo “La Pignataza”, concorso a premi per una poesia romagnola inedita, da Lui ideato circa trent’anni or sono, insieme con gli inseparabili Diversi e Ferlini e bandito con cadenza triennale dalla “Pro Loco” castellana. Per i non romagnoli, la “Pignataza” è quell’umile suppellettile in terracotta che, imbottita di scudi sonanti, certi briganti del buon tempo antico solevano nascondere sotto terra per la gioia di qualche postero fortunato. Un arnese da favola, insomma.

Brani tratti da: Ubaldo Galli, il cantore della Romagna / a cura del Lions Club Valle del Senio; redazione di Gaetano Marzocchi. – Imola :  Santerno Edizioni s.a.s., 1997.

 

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