Suor Vincenza (Egle Dall’Oppio) (1901-1977)

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Una figlia della Carità non è sola. La sua professione di fede la conduce continuamente a contatto con gli altri. Questa fu la scelta di Suor Vincenza, al secolo Egle Dall’Oppio, nata a Castel Bolognese nel 1901 da un garibaldino, che fu tra i sei castellani volontari a Domokos. Rivelò, ancor giovane, forza di carattere e intelligenza che la rendevano ribelle alle leggi di antiche educazioni laiciste.

Maturò la vocazione sotto la guida spirituale del “padrino” di Biancanigo, don Pietro Amadei, ed entrò in religione a 24 anni, il 29 agosto 1925, lasciando il paese e la famiglia ostile alla sua scelta, per sposare una religione di amore e di carità.

Iniziò il suo itinerario a Siena, a S. Girolamo. Fece una breve sosta a Tarquinia. Giunse ad Arezzo il 31 agosto 1936 e per quarant’anni si prodigò nelle più svariate forme di apostolato e di beneficenza in quella città, che le fu particolarmente cara e dalla quale era meritatamente ricambiata, perché gli aretini, di qualsiasi ceto, sono affezionati all’Istituto Allotti, dove gli adulti e i vecchi furono avviati saggiamente nel cammino della vita e dove ora conducono con fiducia i nipotini che le Figlie della Carità educano con materna premura. All’Istituto Allotti suor Vincenza dedicò le sue migliori energie.

La partecipazione perfino passionale ad ogni vicenda pubblica e privata, i rapporti con le personalità più significative di Arezzo, erano mossi dalla sua ansia di bene e dalla sua sete di carità. Durante la guerra fu ferita ad una spalla, mentre cercava di raccogliere una consorella colpita più gravemente da un mitra tedesco. Aveva costruito un centro per gli sfollati. Pagava i debiti a famiglie con lo sfratto; andava a cercare un posto per chi era disoccupato. Per le giovani aveva ideato i “convegni delle lavoratrici”, ma soprattutto era preoccupata perché non si avviassero sole nel mondo. Per le anziane cercava di recuperare un accogliente ambiente di famiglia.

Nel momento in cui il trasformarsi delle abitudini pareva cambiare il tipo di presenza delle religiose negli ospedali, creò una scuola per infermiere professionali; e la professionalità stessa allora sembrava un lusso. La carità, per suor Vincenza, non era approssimazione, ma intelligenza delle cose e della vita. Della vita ebbe un senso profondo, come valore che si costruisce con fatica, con tenacia, con forza, se necessario: con la forza della fede.

Chiuse il suo laborioso e fruttuoso itinerario terreno il 30 gennaio 1977 tra il compianto degli aretini; la sua salma, composta nell’Istituto Aliotti, fu per due giorni meta di un pellegrinaggio ininterrotto di autorità religiose e civili, di ex alunni, di persone di ogni ceto che volevano rendere omaggio ed esprimere sentimenti di gratitudine. Il sen. Giuseppe Bartolomei pronunciò un commosso elogio funebre.

Lo scultore castellano Angelo Biancini, che poté apprezzare da vicino le elette doti cristiane di suor Vincenza, ha voluto onorarne la memoria e tramandarla ai posteri con un pregevole pannello di ceramica collocato sotto il porticato del Convento Cappuccino di Castel Bolognese.

Tratto da: M. MERENDA, Testimoni della fede, in: Il voto della Pentecoste e la tradizione religiosa castellana, Galeati, Imola, 1981.

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