Antonio Pezzi (1820-1860)
Antonio Pezzi di Marco nato il 9 Dicembre 1820, si trasferì in seguito con la famiglia a Imola ove sposò Antonia Mosconi. Il padre era “carbonaro” ed egli ne seguì l’esempio, unendosi ben presto ai patrioti imolesi della “squadrazza”. Dopo la restaurazione del potere temporale del papa che seguì la caduta del regime napoleonico, si ebbero, come è noto, persecuzioni su larga scala che si aggravarono dopo la fallita insurrezione del 1848. Il movimento patriottico reagì colpendo gendarmi e delatori per cui in Romagna non mancarono fatti di sangue. In uno di questi venne coinvolto il Pezzi assieme a Domenico Mariani di Imola, accusati di avere ucciso, il 17 Febbraio 1849, certo Luigi Garavini, sospetta spia papalina. Il Mariani fu arrestato e condannato a morte, mentre il Pezzi riuscì a fuggire in Francia assumendo il nome di Giuseppe Santandrea.
Sotto queste false generalità si unì ai 24 che, con Carlo Pisacane, costituirono il primo nucleo dei trecento che il 27 Giugno 1857 sbarcò a Sapri. Con lui vi erano due romagnoli: Federico Foschini di Lugo e Luigi Conti di Faenza. La spedizione non ebbe successo, ma il Pezzi, nonostante le ferite, riuscì a sfuggire con pochi altri al massacro, pur restando prigioniero.
La condanna per gli avvenimenti svoltisi a Ponza e nel distretto di Sala, che la Gran corte speciale inflisse ai superstiti il 19 Giugno 1858, fu di morte per Giovanni Nicòtera, Giovanni Gagliani, Giuseppe Santandrea, Nicola Giordano, Nicola Valletta, Luigi La Sala e Francesco De Martino. Seguirono nove all’ergastolo, due a trent’anni di ferri, cinquantaquattro a 23 anni di ferri, centotrentanove a pene minori e cinquantasei rilasciati liberi, ma a disposizione della polizia. Successivamente, i condannati a morte vennero graziati e la pena commutata in ergastolo per Giovanni Nicòtera, Giovanni Gagliani e Nicola Valletta, mentre a Giuseppe Santandrea, Nicola Giordano, Luigi La Sala e Francesco De Martino furono comminati trent’anni di ferri come agli altri che avevano avuto l’ergastolo.
Una volta liberato dalla spedizione Medici (partita poco dopo quella dei “Mille” e approdata, durante il viaggio, a Favignana per liberare i superstiti della spedizione Pisacane), il nostro Pezzi, anzichè ritornare a casa, chiese, assieme ai suoi compagni (ad eccezione del Nicòtera) di essere arruolato nel Corpo dei Carabinieri genovesi, comandati dal suo vecchio amico Antonio Mosto. Combattendo fra i primi, venne mortalmente ferito a Milazzo il 20 Luglio 1860. Trasportato al posto di soccorso, sistemato in un convento, si spense fra atroci sofferenze.
Della sua stoica morte parla, nella “Vita di Garibaldi”, Jessie White, scrittrice inglese e nobile figura del nostro Risorgimento, compagna dell’insigne patriota Alberto Mario. La stessa White testimoniò sulla vera identità del Caduto in base ad una dichiarazione scritta, in seguito, da Giovanni Nicòtera. Nel monumento eretto in Milazzo in memoria delle gesta garibaldine, è ricordato, così, Antonio Pezzi che aveva combattuto sotto un nome che non era il suo, ma che aveva altamente onorato.
Il monumento eretto a Milazzo dove è ricordato il nome di Antonio Pezzi.
Nella “Vita di Garibaldi”, Jessie White Mario racconta il momento in cui Antonio Pezzi (nel libro chiamato Santandrea) si arruola nel Corpo dei Carabinieri Genovesi assieme ad altri reduci di Favignana, e ci racconta soprattutto gli ultimi istanti di vita del Pezzi, mortalmente ferito a Milazzo.
Il momento dell’arruolamento
“A quest’ospedale mi si presentarono un dì cinque individui laceri, pallidi, coi segni di lunghi patimenti sul viso, e benchè mi chiamassero per nome io non li riconobbi, fintantochè uno, e fu Santandrea, fecemi con voce di rimprovero: «Eppure la vostra fu l’ ultima mano che strinse la nostra a bordo del Cagliari!» Allora mi fu palese che eglino erano i superstiti della spedizione di Pisacane, dianzi liberati dalla galera di Favignana. M’espressero il semplice desiderio di arruolarsi sotto Garibaldi. Li inviai a mio marito, il quale li presentò al Generale.
Egli si commosse visibilmente stringendo la mano di ciascheduno: «Ecco» proruppe «lo specchio della vita umana; noi, favoriti dalla fortuna e vincitori, abitiamo i palazzi reali; questi bravi, perchè vinti, furono alloggiati a Favignana, eppure la causa e l’audacia erano le stesse.»
Osservandogli Mario che il tempo non era cosi propizio, nè il capo così popolare, egli rispose:
«I primi onori a Pisacane; egli e questi bravi furono i nostri pionieri.» Poi rivolgendosi a quegli infelici: «Che cosa posso fare per voi?» dimandò. «Chiedere al maggiore Mosto di accettarci nel corpo dei carabinieri, Generale,» rispose uno. Erano pur sempre in cenci! Rivedutili la sera, non mi sembravano più gli stessi uomini; il sorriso di Garibaldi, il suo non lesinato omaggio alloro capo adorato, li aveva trasformati, ogni ruga della prigione pareva spianata; eglino sepolti vivi fino a poche ore dianzi sentivansi risuscitati per riconsecrarsi alla patria. E vi si riconsecrarono in modo degno di loro. A Milazzo ne trovai cinque feriti. E Santandrea non lasciò il letto che per il cimitero.”
La morte
“Pur tuttavia fummo sul campo in tempo. Le case, le chiese, le capanne riboccavano di feriti. Abbiamo pigliato possesso di un convento un po’ fuori di Milazzo. Uno degli immensi corridoi era popolato di carabinieri genovesi, fra i quali i cinque compagni di Pisacane orribilmente mutilati. Il dottor Cesare Stradivari che era capo, e Albanese abilissimo chirurgo, non si risparmiarono per salvarli tutti; una santa donna milanese, la signora Bignami, oggi moglie dell’Albanese, non si dipartì mai da quella sala. Santandrea, che si compiaceva specialmente che i mazziniani, come egli appellava sè stesso, e i reduci di Favignana si fossero così valorosamente condotti, peggiorava sempre; biasimava fortemente la condotta di Nicotera, altro reduce di Favignana, perchè erasi rifiutato di combattere sotto la bandiera che portava lo stemma di Savoia, e morì balbettando :
«Chi per la patria muore
Vissuto è assai» .
Sciabola appartenuta al garibaldino Antonio Pezzi,
conservata presso il Museo Civico di Castel Bolognese.
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