La prima di Antonio Locatelli
Scoperta una pala firmata dal pittore di Castelbolognese
Qualche anno fa, nel corso di alcune ricerche archivistiche per la storia della pittura in Romagna, ho rinvenuto una testimonianza di metà Ottocento relativa a una pala d’altare, in origine in un convento camaldolese a Bagnacavallo, raffigurante la Madonna in gloria con ai piedi Sant’Antonio abate e San Paolo eremita, firmata e datata: “Antonius Locatellus ex Castro Bononiensi faciebat anno 1564”. La notizia mi ha molto incuriosito perché completamente ignorata negli studi sull’arte in Romagna e soprattutto perché il pittore dl Castelbolognese era finora noto solo da documenti, tra cui uno pubblicato dal Valgimigli, in cui è citato net 1570 insieme al faentino Jacopone Bertucci per valutare i dipinti dl Giulio Tonducci nella chiesa dl San Mauro a Solarolo. Dal documento si deduce l’importanza e la stima di cui l’artista godeva ai suoi tempi, ma finora restava nel limbo degli autori senza opere. Sulla base di alcune tracce storiche, ho potuto rintracciare il dipinto in un istituto religioso e grazie alla collaborazione di don Antonio Poletti sono in grado ora di pubblicare le immagini della pala ritrovata.
Essa presenta una Madonna col Bambino in gloria tra cori di angeli e ai suoi piedi, a sinistra, Sant’Antonio abate con la barba bianca, che regge nella mano destra un libro e con la sinistra il bastone e una fiaccola col fuoco; a destra, San Paolo, primo eremita, con le mani giunte in preghiera, che indossa la tunica di foglie di palma da lui stesso intrecciate, come vuole la tradizione. Nello spazio retrostante è raffigurato l’incontro dei due santi che mangiano un pane all’ombra degli alberi e su un ramo è appollaiato il corvo che era solito portare a Paolo una mezza pagnotta, ma ne portò quel giorno una intera. In contrasto con tale scena di carità fraterna e di fede, compare sullo sfondo un’inquietante torma di diavoli mostruosi che attaccano un drago nero; l’episodio ricorda le visioni di Sant’Antonio e la sua lotta contro le tentazioni diaboliche. La pala rappresenta un documento importante per l’iconografia religiosa del secondo Cinquecento, attestando il culto di Sant’Antonio come vincitore dei demoni, anziché come protettore degli animali col tradizionale porcellino. Evidentemente l’enfasi del dipinto, destinato ai monaci camaldolesi, verte sulla vita eremitica e sulla lotta contro il demonio da vincere con la protezione della Vergine. L’opera sa unire la fantasia e la vivacità del racconto medievale all’intento agiografico, con una varietà di spunti e una dialettica compositiva quasi di gusto prebarocco, risultando consona agli ideali religiosi della Controriforma e attuale anche oggi in tempi di risorgente demonismo.
Da un punto di vista stilistico, è molto originale per la varietà dei registri espressivi. Gli eleganti accenti raffaelleschi nella Madonna col Bambino, memore di Innocenzo da Imola e del ravennate Francesco Longhi, si uniscono al rude realismo delle figure dei santi, prossimi agli esiti di Jacopone Bertucci, mentre il gusto visionario e grottesco rimanda alla pittura dei fiamminghi dove il tema delle tentazioni di Sant’Antonio ricorre nei visionari dipinti di Bosch e Grunewald. Straordinariamente luminosa e cangiante è la gamma cromatica, con le ombreggiature tutte rese con l’addensarsi del colore alla maniera tonale dei veneti; l’azzurro paesaggio dello sfondo ricorda la lezione ferrarese dei Dossi accolta a Faenza da Jacopone e dal Tonducci. Opere firmate e datate del Cinquecento sono estremamente rare e pertanto il dipinto costituisce una testimonianza preziosa per la ricostruzione del tessuto pittorico del Cinquecento romagnolo, restituendoci un pittore finora ignoto.
Anna Tambini
Tratto da “Il Piccolo”, 26 novembre 2004.
Lascia un commento