Vecchie botteghe di Castel Bolognese
Andare a fare la spesa, una volta, non era quel rito consumistico che oggi ci costringe a radunarci in enormi centri commerciali traboccanti di merce di qualsiasi genere offerta in enormi scaffali o da svogliate commesse. A queste megalopoli del commercio manca quel calore umano, quella fiducia in chi vende, che il vecchio bottegaio sapeva offrirci. Sono rimaste così scolpite nella memoria dei nostri vecchi, e poco nella nostra, quelle figure di commercianti che in piccoli centri come Castel Bolognese avevano la loro bottega affacciata sul corso principale e la governavano con l’aiuto della moglie o di un garzone. Molti esercizi erano gestiti dalle donne, specialmente quelli che vendevano generi ove prevalente era il gusto femminile come stoffe, cotone, lana, chincaglieria o merceria. Molti erano anche i venditori ambulanti, che giravano la campagna casa per casa, o che aprivano la loro bancarella al mercato del venerdì. Con l’aiuto di due autentici Castellani: Tino Biancini, figlio di commercianti e commesso in varie botteghe di Castello; Romana Zannoni, esercente ora in pensione, facciamoci accompagnare in un immaginario percorso di visita ai negozi sotto i portici e nelle piazze di Castel Bolognese, in un’epoca databile fra gli anni ’20 e ’30 di questo secolo.
La nostra passeggiata inizia sotto il portico della via Emilia, dalla parte della Farmacia, ora di proprietà della famiglia Bolognini, ma allora gestita da “Masâ” (Tommaso Montevecchi), un farmacista tutto particolare con un occhio di vetro ed una gamba di legno. Siamo diretti verso la piazza; la prima bottega è quella delle “Marcone”, le sorelle Plazzi, che vendevano generi di cartoleria, stoffe e confezionavano, dandoli in affitto, abiti per mascherate. Seguiva la tabaccheria delle sorelle Capra “Al Chépri”, il cui successore sarà “E Cacher”. La bottega successiva vendeva granaglie e generi alimentari; era condotta da due fratelli non sposati, soprannominati “I Pulôn” Subito dopo apriva la sua vetrina colma di carne “Pateta”, Anselmo Lolli: era un uomo piccolo e grosso; suo figlio Aurelio che lo aiutava, minuto e gracile. Nel retrobottega le figlie “Le Patatine”, Norma e Rosina, signorine sempre vestite di tutto punto, davano una mano quando c’era bisogno. Nella bottega successiva “Filumèna ‘d Caio”, Filomena Carnevali vendeva il cotone; subito dopo apriva agli avventori “L’Ustareja de Capèl”. Al posto dell’attuale gioielleria Ferrucci si trovava l’Ufficio Postale condotto dalla famiglia Dalprato. Nel Palazzo Ginnasi aveva sede la lavorazione del tabacco e, dopo la prima guerra, un laboratorio di maglieria della Ditta Sgarbanti di Bologna. Dove adesso c’è la ex macelleria dei fratelli Conti c’era la bottega de “I Pum” che vendevano di tutto un po’.
Passato l’ingresso della chiesa di San Francesco, sotto un riparo di stuoie stava la “Perecotte” che vendeva frutta secca, pere e mele cotte e, alla stagione, le caldarroste tenute calde nella “gòfa”: un sacco di iuta pieno di paglia. All’angolo della piazza stava la bottega di Etna, la quale dapprima vendette generi alimentari, poi cartoleria e, da ultimo, merceria. Il negozio esiste tuttora col nome di “Sottosopra”, ed è stato condotto fino a pochi anni fa dal figlio “Gianino ‘d Etna”. Voltato l’angolo della piazza e passato l’altro ingresso della chiesa di San Francesco, sotto la Sagrestia, scendendo alcuni scalini “La Ziròlma”, Gerolama Galeati vendeva frutta secca, frutta fresca, verdura e pignatte di terra.
Il cortile di Palazzo Mengoni, allora sede delle scuole comunali, si animava il venerdì per il mercato delle uova, dei polli e dei formaggi. Sotto il portico, dove adesso è ospitato l’Ufficio Polizia Municipale, c’era il telefono pubblico gestito da Silvia Boschi, poi la sede dei pompieri, infine, dove oggi sono i vigili urbani, la macelleria di Enrico Bagnaresi “Bacòc”, la famiglia che ha dati i natali a Giovanni Bagnaresi “Bacocco”segretario comunale, storico e scrittore castellano. Sotto la torre “Maì d’Uliva” (Maria Nanni, nonna di Tino Biancini) aveva la bancarella delle caramelle, delle noccioline e vendeva l’oca.
Proseguiamo il nostro giro sotto i portici di via Garavini. Nella ex chiesa del Crocifisso, oggi “Maison de la mode”, aveva sede il Caffè “de Mas-cì”, di Gianni Tosi, il quale era aiutato nella conduzione dalla moglie Martinona, un donnone grosso; la coppia aveva due figli gemelli: Romolo e Remo. L’attuale negozio di foto – ottica Minarini, ospitava allora una ferramenta, quella di “Aldo ‘d Marchì”, Aldo Scardovi, che fu poi ceduta a “E Fì”, Castellari, il quale lasciò l’Italia per trasferirsi in Australia. Seguiva la merceria “dal Piligrèni” poi, al posto dell’attuale Cartoleria, nella casa natale di don Carlo Cavina, “Pavlà ‘d Pipètta”, Paolo Zannoni, vendeva la frutta. Infine nell’angolo ove il portico si faceva più largo, c’era “Pagnòca” con ogni ben di Dio.
Michele Budini detto “Pagnòca” era il proprietario della più bella e più fornita bottega di Castel Bolognese, che conduceva assieme alla moglie “Frazchina”, perenne vittima delle sue sgridate. Dava spesso un aiuto anche il figlio Dino. Il Budini era un uomo tarchiato, con baffi e capelli folti e da lui si trovava sempre di tutto: generi alimentari, tabacchi, cotone, profumi e persino i giocattoli; tutte le settimane“Pagnòca” si recava a Bologna per l’approvvigionamento. Entrando in negozio, sulla destra, si trovava il bancone per la vendita dei tabacchi; il banco del fondo aveva sotto il piano ampie vetrine con ogni sorta di genere alimentare; dietro, grandi scansie contenevano, in maniera ordinata, altre merci e, ad una certa altezza, una lunga serie di vasi di vetro pieni di diversi tipi di caramelle, una vera ghiottoneria per i bambini ed i golosi.
Attraversata via Rossi e passato il Convento delle Maestre Pie, si incontrava la merceria di “Zaira ‘d Carvaja”, Zaira Panazza, posta più o meno all’altezza dell’attuale Parrucchiera Tiziana. Più avanti, verso la fine del portico, “Ninètta de Mor”, vendeva generi alimentari e, strano abbinamento merceologico, mobilia usata. Sul lato opposto di via Garavini, in gran parte occupato dai fronti di Palazzo Zauli – Naldi, della chiesa e della canonica di San Petronio e dell’Orfanotrofio, c’era una sola bottega al posto dell’attuale Caffè Commercio: quella di Francesca Ravaglia “Frazchinèna”, merciaia, il primo negozio di Castel Bolognese, a detta di Romana Zannoni, che abbia venduto il cotone mulinè da ricamo. Più tardi, qualche decina di metri più indietro, trasferirà la macelleria Felice Borghi.
Svoltiamo l’angolo del Suffragio e andiamo in Piazza Fanti, un tempo più raccolta. In un angolo “Ravaiòl”, Giovanni Ravaglia aveva la bottega di fabbro; in quello opposto, dove ora c’è la Banca di Credito Cooperativo, “Piràt” Garavini vendeva l’acqua, la gazzosa e … i fiori secchi. Nel palazzo d’angolo, ove ora c’è la farmacia Ghiselli, c’era la bottega di “Frazchina ‘d Pipètta”, Francesca Zannoni, che vendeva generi di merceria ed il venerdì si trasferiva in piazza, al mercato, con la bancarella. Nel cortile del palazzo, due tipiche figure castellane: “Gelati” e “Natala“. Cesare Rossini, detto “Gelati”, vendeva (…è ovvio…) il gelato ed il formaggio. Anche lui il venerdì trasferiva l’attività in piazza, nel centro del mercato. Romana Zannoni, che da bambina abitava lì, ricorda che tutti i bambini del caseggiato lo aiutavano a girare la manovella della macchina mantecatrice per la paga di un gelato. La “Natala“ era invece Natalina Morbidelli, mia bisnonna; marchigiana d’origine, qui trasferitasi col marito ferroviere, era la prima specialista dei lupini e dei semi di zucca che personalmente acquistava poi salava in casa ammollandoli nell’acqua della fontana che si trovava presso il torrione dell’Ospedale. Non aveva un banchetto per la vendita, ma girava per Castello e anche in teatro, col cestino sotto il braccio ed un bicchiere di legno come misurino.
Ritorniamo in Piazza Bernardi, dalla parte opposta a Palazzo Mengoni e a San Francesco. Nella prima bottega, vicino alla chiesa del Suffragio “Rôsa ‘d Pipètta”, Rosa Zaccherini, altra mia bisnonna, vendeva frutta, verdura, pane e la rinomata oca di Castel Bolognese. Seguiva Tarcisio Borghesi, barbiere (anche oggi, più o meno nello stesso posto, c’è il barbiere della piazza) e la merceria della “Marassa” Silvia Baldini; poi si arrivava al negozio dei Villa, “I Pastarùl”, che vendevano la pasta fresca ed il parmigiano. Romana Zannoni ricorda l’interno del negozio, col banco di vendita sulla destra entrando e, dietro, tanti ripiani di legno, tutti guarniti di tela bianca, in ognuno dei quali era riposta una diversa qualità di pasta.
Subito dopo un macellaio, “Mario Mazlèr”, Mario Galeati. Passata via Gottarelli, la piazza si stringeva fin quasi della metà rispetto all’attuale; lì aveva sede la macelleria di “Filiz ‘d Burgagnò”, Felice Borghi, che vendeva ogni qualità di carne fresca macellata. Subito dopo c’era la tabaccheria di “Emma de Floss” o “Emma ‘d Cencio”, Emma Budini; poi si apriva l’elegante porticato del palazzo comunale che ospitava la filiale della Cassa di Risparmio di Lugo. Arriviamo di nuovo sulla via Emilia e seguiamo il porticato verso Porta del Mulino, alla parte del Municipio. All’angolo della piazza aveva le sue severe vetrine la Farmacia Savelli, poi Solaroli. Al posto dell’attuale Banca Popolare“Giacomino ‘d Porr”, Giacomo Bosi, salumiere. Giacomino confezionava i salumi e li vendeva direttamente; mio padre ricorda ancora il profumo della sua mortadella e l’abilità che il Bosi possedeva nel tagliare sottili fette di mortadella con enormi coltelli: le affettatrici non erano ancora arrivate!
Più avanti si trovava il negozio di “E’ Sgagnél” Antonio Biancini, babbo dello scultore Angelo Biancini, che vendeva le scarpe e, poco dopo, nel posto dell’ex Macelleria Badiali, un altro venditore di salumi e carne di maiale: “Carlòn ‘d Manareba”, Carlo Solaroli. Carlòn era lo specialista del sanguinaccio, “E barlèngh” che teneva davanti la bottega, sotto il portico. Il Solaroli era anche affittacamere ed aveva una grande sala sopra il portico che locava per svolgervi le feste, tra le quali voglio ricordare quella annuale tenuta dalla “Società Sempregiovani”.
Oltrepassata la Caserma dei carabinieri, che occupava tutto l’attuale stabile della Banca di Romagna e l’osteria di “Castór”, si arrivava nella ex chiesa del Rosario Nuovo dove Aurelia Sgalaberni vendeva le terraglie, i tegami, i piatti, i bicchieri di vetro e di cristallo. Poco più avanti si apriva la vetrina di “Tugnó de Floss Barbìr” e poi quelle di “Palita Giandoja”. “I Giandoja” o “E spazi ‘d la Pèpa” era così chiamato sia perché si vendevano i rinomati cioccolatini torinesi, sia perché, come insegna, sopra la porta, si trovava una pipa di legno. In realtà nel negozio si vendeva di tutto: tabacchi, sale, generi alimentari, di cartoleria, di merceria, giocattoli, e faceva pure da bar. L’attività fu rilevata da Domenico Sgalaberni, poi dal figlio Igino con la moglie Romana Zannoni i quali, dopo la guerra, trasferiranno l’attività in una casa di fronte. Al loro posto aprirà la bottega di generi alimentari Mario Dalpozzo, Mario de Srai”. Le botteghe erano finite; il portico continuava con la casa di Delina ‘d Poc’Sonn, con quella di Rigadnô mediatore di suini, e dei signori Lanzoni, medici del paese.
Attraversiamo la Via Emilia e ritorniamo indietro per il portico di levante, non senza aver visitato in via Guidi la latteria di “Carôla de Latt”, Carolina Mazzanti. Poco dopo l’inizio del portico l’osteria “’d la Lupa”; nello stesso locale Igino Sgalaberni aprì il negozio di granaglie e, dopo la guerra, qui trasferì il negozio di alimentari. Seguiva, al posto dell’attuale forno Fabbri, la tipografia delle sorelle Cavallazzi, poi la bottega di granaglie di “Vittôri”, infine un edificio chiamato teatro vecchio che, per un po’ di tempo, venne utilizzato come sala cinematografica. Nell’attuale casa Scardovi, “Gisto”, Egisto Montevecchi riparava le biciclette, mentre nei locali ora occupati dal negozio “La Miniera” “Nina ‘d Rumana” Nina Minardi, vendeva la verdura e la frutta, anche cotta. Passati davanti alla bottega de “E Barbirèn”Giovanni Camerini, il portico finiva nell’angolo con il negozio di “Sintina ‘d Nino” venditrice di terraglie. Una porticina, tuttora esistente, immetteva poi in un locale di proprietà delle Monache Domenicane dove don Antonio Garavini gestiva la Cassa Rurale.
Superato il monastero delle Domenicane, dopo il voltone, lasciamo l’osteria di “Badôn”, la più antica di Castel Bolognese, poi il caffè di“Gianina ‘d Chicco” e scorgiamo in mezzo al portico il banchetto della “Murina”. Giuseppina Zagonara, detta “la Murina” vendeva semini, lupini ed altre delizie; Anna, sua figlia, ne ha continuato l’attività fino a circa venti anni fa munendosi anche di un carretto col quale ogni mattina raggiungeva le scuole all’ora di entrata e di uscita, diventando una figura tipica di Castello ed un’amica per tutti i bambini. Un poco più avanti, al posto dell’attuale ferramenta, c’era il negozio di “Olga ‘d Maì d’Uliva” la mamma di Tino Biancini, la quale vendeva pasticceria e generi alimentari. Il portico continuava senza negozi. Nell’attuale sede delle Assicurazioni Generali fu creata per qualche tempo una sala cinematografica; passata la chiesa di Santa Maria, si insedierà il forno Marchi.
Al di fuori della via Emilia, di via Garavini, della piazza, pochi erano i negozi. Nel borgo, nel palazzo oggi sede del Museo Civico, c’era il forno “’d la Muzona” più avanti lo spaccio di “Maria ‘d Guido”; nella Fonda si trovava il forno di Stuvanè Borghesi, poi ereditato dal figlio Pavlò Borghesi.
Un ricordo meritano anche gli ambulanti: Bòcia, Sante Garofani, Italo e Nina Gianandrea vendevano la verdura; Pierina Patuelli Pierina ‘d Pinèli vendeva la biancheria; E’ Cavadlâ Domenico Martini vendeva il carbone.
Quasi tutte queste botteghe sono oggi scomparse, e molte di esse non hanno superato gli anni della seconda guerra mondiale.
Paolo Grandi
Testo tratto da:
Il Nuovo Diario n. 28 del 29/07/1995
Il Nuovo Diario n. 29 del 05/08/1995
Il Nuovo Diario n. 31 del 02/09/1995
Il Nuovo Diario n. 33 del 16/09/1995
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