Quando c’era la pretura…
Non si hanno notizie in proposito, ma certamente è pensabile che la città di Bologna abbia voluto subito un amministratore della giustizia nel suo lontano avamposto. Ne sarebbe prova la costruzione, fra i primi edifici del Castello, del palazzo pretorio. Trasformato in “Giudicatura” durante il Governo Pontificio, con l’avvento del Regno d’Italia l’ufficio fu chiamato nuovamente “Pretura”, con un Mandamento comprendente i Comuni di Castel Bolognese, Riolo Terme, Solarolo, Bagnara di Romagna. La sua sede era il Palazzo Pretorio ma, verso la metà del secolo scorso, fu trasferita sulla via Emilia, di fronte alla chiesa di Santa Maria in una casa che poi diventerà di proprietà del macellaio “Patéta”. Sulle mura, accanto alla porta verso Faenza, esistevano le Carceri Mandamentali. La Pretura di Castel Bolognese, assieme a quelle di Bagnacavallo, Cervia, Massa Lombarda, Russi, Medicina, venne chiusa con Regio Decreto 9 novembre 1891 n. 669 a partire dal primo gennaio 1892. Di qualche anno sopravvissero le Carceri Mandamentali e l’Archivio Notarile Mandamentale. Ebbero invece la vita più lunga di 32 anni la Preture di Castel San Pietro, Alfonsine, Brisighella e Casola Valsenio, soppresse dal primo gennaio 1924.
La Pretura è sempre stata l’ufficio giudicante i reati di poco conto e le cause civili di medio – basso valore (per quelle di più basso valore, dal 1892, fu istituito in ogni comune il Giudice Conciliatore) e, specie nei piccoli centri, vi si respirava non il severo e cupo alito dei grossi Tribunali, bensì un’aria paesana a volte anche folcloristica, come certa letteratura e certo cinema ha egregiamente illustrato e che oggi sopravvive in ben pochi uffici. Non è tuttora un caso che in pretura le cause civili vengano discusse nei giorni di mercato e quelle penali che riguardano reati di un certo richiamo come risse, ingiurie, furti, facciano affluire in sala d’udienza un folto pubblico di curiosi spesso da zittire perché troppo “preso” dal caso!
E’ naturale che, stando così le cose, dovevano nascere aneddoti, il più carino dei quali è senza dubbio quello riferitomi dall’Avvocato Massimo Stanghellini – Perilli, riguardante uno degli ultimi Pretori di Alfonsine. Egli, di nobile origine, possedeva in paese un bel palazzo ove d’inverno, poiché la Pretura era mal riscaldata e fredda, teneva in camera da letto le udienze, facendosi pure portare gli arrestati. Dal suo letto non si muoveva neppure per decidere le cause: si ritirava sotto le coperte e poco dopo ne usciva con la sentenza!
Anche sulla Pretura di Castel Bolognese si ricorda qualche aneddoto, accolto da Pietro Costa e pubblicato postumo. Lo scrittore ci riferisce come fossero frequenti i giudizi sopra i litigi delle donne di Riolo, la prodezza del custode delle carceri che condusse un detenuto condannato a più di vent’anni, di passaggio da Castello, alla “osteria del pozzo” a bere alcuni bicchieri di vino e le lapidarie arringhe dell’avvocato Contoli, “l’avuchét d’Cuntlè” che esercitava la professione quasi esclusivamente come avvocato d’ufficio. Di queste arringhe se ne ricordano due: “Mi raccomando alla clemenza del Signor Pretore” con cui abitualmente chiudeva i suoi interventi e l’altra “Se li ha d’avere gli si diano, se non li ha d’avere non gli si diano” con cui concluse una controversia a proposito di pagamento di denaro. Il tutto sempre pronunciato con una voce acuta e fessa e con lentezza, tanto da essere lo spasso del pubblico che, sempre numeroso, affollava la sala d’udienza.
Paolo Grandi
Tratto da Il Nuovo Diario n. 30 del 30/07/1994
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