Filodrammatica di Castel Bolognese
Storia, fatti e misfatti.
È sempre stato molto difficile esprimere un’esatta cronologia degli avvenimenti che costituiscono il formarsi e lo svolgersi dell’attività di un gruppo filodrammatico, per via dell’indifferenza per la documentazione che sempre domina l’attività di un gruppo dilettantistico rivolta soprattutto a vivere l’attimo di felicità che scaturisce dalla donazione di se stessi agli altri, nonché dal piacere del lavoro di gruppo, e mai preoccupata di raccogliere dati o quant’altro necessario a fotografare ciò che viene fatto per … la gioia dei posteri.
E lo è ancor di più per la filodrammatica di Castel Bolognese, la quale, come si evince da tante testimonianze raccolte, aveva già iniziato la sua attività ancor prima della I Guerra mondiale, e cioè ancor prima del periodo 1915-18.
E’ chiaro che in quei tempi non era ammissibile, per i costumi vigenti nell’ambito delle parrocchie, parlare di “filodrammatiche miste”, per cui ciascun gruppo, quello maschile e quello femminile, marciava per conto proprio, anche se con la stessa identità di intenti.
Raccontava Giovanni Scardovi (1902-1992), quasi fino all’ultimo valente regista della Filodrammatica, che all’incirca nel 1912 o 1913, la filodrammatica femminile recitò una commedia musicale dal titolo “La pianella perduta tra le nevi“, all’interno dell’Orfanotrofio femminile, a quel tempo sito in via Garavini, con divieto di entrata a tutto il pubblico maschile. Allora lo Scardovi ed altri suoi due amici, per ovviare all’inconveniente, si travestirono da vecchiette e riuscirono ad entrare indisturbati dopo aver pagato il dovuto obolo di “centesimi dieci” ad una suorina giovanissima, inesperta e molto pudìca, tant’è vero che non osava guardare in faccia alle persone che entravano. A spettacolo iniziato furono scoperti ma ormai il gioco era fatto, il divieto violato e … loro erano solo tre bambini.
Prima che si recitasse all’interno dei locali delle “Maestre Pie”, all’incirca tra il 1920 e il 1925, si usava un salone di una grande casa detta “E’ Casarmon” (il Casermone). Ad un certo momento la Ditta proprietaria della casa fallì ed anche tutta l’attrezzatura teatrale finì sotto sequestro. Solo dopo parecchi anni, forse perché non fu possibile trovare un’acquirente, si riuscì a recuperare buona parte delle scene, ma tavoli, sedie, sipario, intelaiature ecc. erano già state vendute da tempo nell’asta del fallimento.
È anche possibile ricostruire l’attività svolta dal 1920 al 1932 e ancora con la testimonianza di Giovanni Scardovi e quella di Tino Biancini (anno di nascita 1904). In questo periodo ebbe prevalenza l’attività della filodrammatica maschile che presentava i suoi lavori non nel teatro parrocchiale, allora inesistente, ma in un salone opportunamente attrezzato dell’Asilo delle Maestre Pie. Non vi è documentazione dei lavori fatti, ma ci si ricorda benissimo di un drammone dal titolo “Una notte sul molo” per via dell’artifizio che si mise in atto per far vedere in lontananza le onde del mare che si frangevano con dolce dondolio verso la riva; artifizio che suscitò ammirazione e lunghi applausi.
Altro particolare interessante. Le prime recite in questo salone, poiché ancora non era stata installata la luce elettrica, vennero effettuate con i “lumi a carburo”, cioè sfruttando le proprietà luminose dell’acetilene.
Raccontava lo Scardovi che durante una recita, mentre tal Giovanni Savelli – ora deceduto – si trovava davanti al tavolino dove era posto il lume, questo scoppiò con fragore, investendo col suo calore il valente attore, che subito dopo apparve irriconoscibile per via dei baffi, sopracciglia e capelli bruciacchiati e per la faccia che lo faceva molto adatto a recitare “Il Moro di Venezia” nell’Otello.
Dal 1932 in poi, favoriti dal fatto che anche il partito fascista vedeva di buon occhio il formarsi di questi gruppi teatrali ed anzi ne favoriva lo sviluppo, si cominciò timidamente ad affermare la possibilità di recitare insieme uomini e donne.
Per la ragione più sopra detta, in questo periodo si ebbe da parte delle stesse persone una duplice attività; da una parte recite sollecitate, e a volte imposte, dal partito dominante delle quali è una prova il volantino conservato nel nostro archivio e dall’altra recite nell’ambito della parrocchia sotto l’impulso e la spinta di Don Giuseppe Sermasi, giovane prete dinamico e “moderno” che venne ad affiancarsi all’Arciprete Don Nanni, carico di anni e di infermità.
E di quel periodo oltre alle rappresentazioni di drammi classici quali “Il Cavaliere Nero” ed altri, anche la messa in opera di spettacoli musicali tipo rivista, che potevano essere realizzati in quanto abitava allora a Castel Bolognese tal Alfeo Berdondini il quale fu sempre dotato di grande talento musicale e capace di creare dal nulla coreografie e scenografie meravigliose.
Dopo l’ultima guerra, partito detto musicista per Forlì (dove per un po’ di tempo fece parte dell’orchestra da ballo di “Silvano Prati”), si ripiegò facendo di “necessità virtù” sulla prosa.
Ormai la Filodrammatica era mista e la sua attività andava sempre più accentuandosi, anche e soprattutto sotto la spinta dell’Arciprete Don Giuseppe Sermasi gran valorizzatore di tutto ciò che costituiva attività sociale e di gruppo. Si ricorda benissimo a Castel Bolognese che durante il carnevale del 1948 l’attività della filodrammatica era così intensa da riuscire a mettere in scena uno spettacolo ogni quindici giorni, con grande gioia dei castellani che accorrevano numerosi ad ogni rappresentazione, spellandosi le mani negli applausi.
Tra il 1948 ed il 1953, sfruttando le abilità vocali degli appartenenti al coro parrocchiale – molti dei quali particolarmente dotati in questo senso – nonché la frizzante energia di un gruppo di ragazze molto brave e allegre, la Filodrammatica si dedicò oltre che alla prosa anche alle commedie musicali quali “La Gondola Azzurra“, “Zurika“, “Attenti, c’è la zia“, “La signorina terremoto“, “Il casino di campagna“.
Fra le commedie classiche invece vennero rappresentate “Due dozzine di rose scarlatte“, “Non ti conosco più“, “Il castigamatti“, “Tutto per la donna” e “La zia di Carlo“, nella quale si ebbe un’esilarante interpretazione da parte di Tino Biancini che, a Castel Bolognese, molti ricordano ancora adesso.
Poi, questo gruppo che tanta attività aveva svolto nell’immediato dopoguerra, andò man mano sciogliendosi un po’ a seguito dei continui matrimoni – logica conseguenza di una sana gioventù – un po’ per qualche trasferimento che portò lontano dal paese qualche attore e attrice, un po’ per gli impegni di lavoro che sovente non permettevano di poter dedicare il tempo libero serale alle prove sempre molto impegnative e faticose.
Conseguentemente dal 1954-55 in poi si ebbe una lunga stasi appena interrotta, di quando in quando, dalla comparsa di qualche gruppetto di giovani che metteva in scena uno spettacolo; in genere era un susseguirsi di farse (famose sono rimaste a Castel Bolognese quelle del Cantagalli), ma che subito dopo perdeva ogni iniziale entusiasmo. Sono anche di questo periodo l’allestimento di alcune opere dialettali scritte da Giovanni Scardovi, la più valida delle quali resta “Un léder int e’ pulér“.
Qualcosa di più serio si verificò alla fine dell’estate 1977, quando si costituì un buon gruppo nel quale si fusero l’abilità e l’esperienza di attori già collaudati in gruppi precedenti formatisi in paese, quali Rino Villa, Lino e Domenica Silvagni ecc., o in gruppi esterni come Bruno Bettini, proveniente da San Prospero, o con l’entusiasmo e l’esuberanza giovanile degli esordienti quali Giovanni Masotti, Flavio Almerighi, Giancarlo Castellari ecc.. Si cominciò il 10 ottobre 1977 con la recita di una commedia brillante in tre atti, frutto della traduzione nel nostro dialetto di un classico della commedia italiana realizzata dal faentino Giuliano Bettoli, avente per titolo “E’ mors de cà arabì“.
La prima uscita fu un vero successo tant’è vero che subito qualcuno invitò il gruppo castellano alla Rassegna delle Filodrammatiche imolesi “Don Luciano Castellari”, ed anche “Telesanterno” lo interpellò, avendo l’intenzione di allestire una rassegna di tutte le filodrammatiche della Romagna.
Su questo abbrivio favorevole subito dopo venne rappresentata “Mi fiòl avuchet“, anche questa una commedia in italiano tradotta da Giuliano Bettoli, che ebbe buon successo sia durante la partecipazione alla Rassegna di Imola, sia nella trasmissione televisiva di Telesanterno. A questo riguardo val la pena ricordare che in detta commedia ci fu il brillante debutto di due giovani: Ghetti Roberto e Novella Scardovi, che facevano ben sperare in un salutare rinnovo teatrali della nostra filodrammatica.
Speranza poi delusa perché il primo abbandonò per sue vicissitudini e l’altra si dedicò ad un’intensa attività sociale che non le permise più di calcare le scene. Durante queste fatiche, i giovani riuscirono tuttavia a preparare la brillantissima commedia “Le gelosie di mio marito” di Roberto; commedia che ebbe un buon successo non solo fra i castellani, ma anche fuori perché venne rappresentata nel forense ed anche alla “Casa del Fanciullo” di Imola. Negli anni successivi fu la volta di “So e zò pr’al schél” di E. Cola, rappresentata due volte: nel 1980 e nell’83. In questa seconda edizione fu portata anche al Teatro comunale di Imola, nell’ambito dell’8a Rassegna. Ad essa seguirono due commedie di A. Gallegati di Faenza: “L’è turné Nunè” e “A Masétt ui piaseva e vèn“, entrambe presentate alla Rassegna imolese. Nello stesso periodo, a testimonianza di una vitalità mai più ritrovata in seguito, venne messa in scena anche la commedia brillantissima di E. Cola “Un dè da leòn” che fu presentata in diverse località fra cui Ponte Santo, e alla Casa del Fanciullo, suscitando ovunque… un sacco di risate.
Durante l’inverno del 1981 i giovani, sempre attenti ai problemi più attuali, misero in scena la commedia di Ferrari Antonio “Il rischio di affogare coinvolge tutti quanti“, avente per oggetto l’analisi della precarietà dei rapporti familiari dei nostri giorni, le cui negative conseguenze del mancato dialogo possono portare facilmente alla droga. Le rappresentazioni non attirarono il solito numeroso pubblico, ma in cambio stimolò molti dibattiti ed il problema, divenuto fra la nostra gente di attualità grazie alla commedia, fece molto pensare e parlare, tant’è vero che subito dopo anche i “grandi” decisero di passare all’azione realizzando “Attrice allo specchio (overdose)” di Giulio Ammirata, che fu rappresentata alla 7a Rassegna (1982-83). La commedia suscitò molta attenzione ma richiamò un numero eccessivo di spettatori, perché il grosso problema della droga che il testo metteva in evidenza, quasi assumendo il potere di profetare quello che oggi sta verificandosi su larga scala, in quell’anno sembrava ancora un problema abbastanza circoscritto.
Subito dopo, quasi per rifarsi dell’intensa fatica di un lavoro così stressante, si rappresentò la commedia dialettale di Giovanni Scardovi “Long e’ cavdèl“, la quale costituiva un vero revival delle usanze e dei litigi che avvenivano una volta fra i confinanti, anche se poi, alla fine, ogni controversia veniva risolta umoristicamente ed un lieto finale faceva felici tutti quanti.
E nella stagione successiva venne rappresentato un vecchio cavallo di battaglia delle compagnie italiane degli anni 30: “La fortuna si diverte“, ancora una volta tradotta in dialetto dall’eclettico Giuliano Bettoli di Faenza, col nuovo titolo: “Frazcô l’ha vènt a e’ lôtt“. Per ragioni di impegni particolari degli attori e di motivi familiari, questa rappresentazione rimase circoscritta all’ambiente castellano, ma ha pur sempre costituito un buon banco di prova ed un’espressione di divertimento e di esperienza per tutti gli attori della Filodrammatica di Castel Bolognese.
Nel 1985 tre componenti della Filodrammatica di Castel Bolognese: Rino Villa, Bruno Bettini e Castellari Gian Carlo, nonché il rammentatore Tino Biancini, hanno recitato nella Nuova Compagnia di Teatro Imolese che ha rappresentato “La Broja“, una splendida commedia drammatica del ravennate Bruno Gondoni. …
Testo e immagini tratti da: Filodrammatiche nel comprensorio imolese: cronistoria dal 1805 / a cura di Giovanni Vinci. – Imola : CARS, 1987.
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