C’era una volta la macelleria Badiali… 76 anni al servizio dei castellani
di Andrea Soglia
Nel 1992-93, Pagine gialle alla mano (sì, le abbiamo conservate!), le macellerie attive a Castel Bolognese erano ancora quattro. Nei decenni precedenti erano almeno il doppio, e forse ne dimentichiamo qualcuna.
Poi quello che non ha fatto “l’anagrafe”, l’ha fatto la comparsa massiccia dei supermercati, molto spesso dotati di un fornito banco di macelleria e all’inizio degli anni duemila le macellerie castellane ancora attive hanno chiuso i battenti.
Senza voler mancare di rispetto agli altri macellai castellani, noi (e parlo al plurale, perché a questo testo storico seguiranno i ricordi di Paolo Grandi) dedichiamo una pagina alla macelleria Badiali, perché era la “nostra” macelleria di fiducia e perché il rapporto di amicizia con la famiglia Badiali è continuato anche dopo la chiusura dell’esercizio.
E nel caso specifico il lavoro di ricostruzione storica è stato facilitato dal fatto che Domenico Badiali, fondatore della macelleria e personaggio dal genio multiforme, ha lasciato ai figli alcuni dattiloscritti contenenti la storia della famiglia Badiali e di conseguenza anche della macelleria. A queste memorie ci limitiamo ad aggiungere pochi altri dettagli raccontati da Carlo Badiali, figlio di Domenico.
Domenico Badiali era nato a Medicina il 22 maggio 1906. Il padre Enea gestiva (con il fratello Alfredo) il Molino Nuovo e nel 1904 aveva sposato Cesarina Rivalta, che dopo Domenico gli diede altri due figli: Giuseppe detto Fino, nato nel 1908, e Maria, classe 1911. Di Giuseppe Badiali ci ripromettiamo di parlare in un altro articolo: la sua figura è altrettanto interessante per la storia di Castel Bolognese.
Il lavoro al Molino Nuovo era moltissimo e la famiglia Badiali, attentissima al progresso, aveva acquistato alcune macchine agricole e anche le macchine a vapore per farle funzionare. In breve tempo, prima dello scoppio della Grande Guerra, la famiglia Badiali era divenuta una delle più cospicue di Medicina. Dopo la Guerra le cose cambiarono radicalmente. Le rivendicazioni dei lavoratori e la susseguente nascita di molte cooperative finirono per causare la vendita di tutte le macchine agricole possedute dai Badiali; successivamente Enea Badiali cominciò ad avere disturbi fisici legati al malsano lavoro nel molino e cominciò a dedicarsi ad altre imprese, soprattutto nel commercio, tracciando la strada anche per Domenico, che nel frattempo aveva frequentato le Scuole Tecniche di Imola. Dapprima Domenico lavorò per circa un anno a Bologna in un deposito di birra, poi, sempre su espressa indicazione del padre, Domenico imparò a macellare i bovini presso Remo Dall’Olio di Prunaro di Budrio (poi notissimo nel ramo della lavorazione delle carni). Dopo un breve periodo di apprendistato presso la zia Eufemia Rivalta a Castel San Pietro, Domenico si mise in proprio sin dal 1924, quando aprì, nella natia Medicina, un negozio per la vendita delle carni congelate. Nel 1925 l’approdo a Castel Bolognese con l’avvio dell’attività della macelleria Badiali, che inizialmente (come a Medicina) era stata aperta sotto il nome della madre Cesarina Rivalta, in quanto Domenico era ancora minorenne.
La prima sede dell’attività era sotto al loggiato di Palazzo Mengoni, l’attuale Municipio. Per Domenico venne ben presto il momento del servizio militare, ma la macelleria non rimase inattiva: Giuseppe Badiali sostituì il fratello per ben 16 mesi. Il giorno dopo il congedo Domenico si rimise subito al lavoro.
Nel frattempo il resto della famiglia aveva lasciato Medicina e si era trasferito a Castel San Pietro: era stata acquistata una villa nella quale era stato messo in funzione un impianto di macinazione per conto terzi, dove lavoravano Alfredo e Giuseppe Badiali. Enea raggiunse Domenico a Castel Bolognese per aiutarlo in macelleria. Tutti i guadagni del negozio aiutavano la famiglia a ripianare i debiti contratti per l’impianto di macinazione a Castel San Pietro. Ma Enea, un vero vulcano di iniziative, nel 1930 riuscì ad ottenere la gestione del Molino di Mezzo di Castel Bolognese, oramai chiuso da tempo. Altri duri lavori ed altri debiti per far partire anche questo molino e, non molto tempo dopo, il molino di Castel San Pietro fu venduto e anche il resto della famiglia si trasferì a Castel Bolognese.
Nel 1934 Domenico aveva sposato Giovanna Borzatta e negli anni a seguire nacquero i primi due figli: Ettore e Carlo. Alla fine del 1940, a costo di immani sacrifici, Domenico Badiali acquistò la casa sulla via Emilia interna (allora Corso Garibaldi) dove abitò fino alla morte e dove aveva trasferito anche la sua macelleria.
La guerra, intanto, incombeva e, come tutti sappiamo, il Fronte sostò per 5 mesi a pochi passi da Castel Bolognese. La carne già da tempo era quasi scomparsa, razionata in maniera tale che il lavoro della macelleria era sostanzialmente finito. Con la sosta del Fronte Domenico iniziò a lavorare con mezzi di fortuna, assieme ad altri macellai (e ad alcuni partigiani), distribuendo alla popolazione affamata la carne che si riusciva a sottrarre ai tedeschi. Per questa attività, nell’immediato Dopoguerra, fu proposto di concedere a Domenico Badiali la qualifica di “Patriota”, ma la domanda, fatta direttamente da Dante Poletti, capo dei partigiani castellani, non fu accolta.
La guerra aveva ridotto in macerie tutte le proprietà dei Badiali. Il molino, per la sua vicinanza alla ferrovia, era stato colpito più volte dalle bombe e abbandonato e tutti si erano ritirati nella cantina della casa sulla via Emilia, anch’essa colpita ripetutamente dalle granate. Il 10 aprile 1945 i tedeschi, oramai prossimi alla ritirata, fecero saltare varie case, fra cui quella Badiali.
Seguirono anni di duri sacrifici per ricostruire la casa, la macelleria ed il molino. Non furono attesi gli aiuti, la famiglia si rimboccò le maniche e si ingegnò con mezzi di fortuna: tutti si improvvisarono non solo muratori, ma anche falegnami e meccanici.
Il peggio oramai era alle spalle e dopo la ricostruzione seguirono anni sereni, allietati dalla nascita della terza figlia di Domenico, Anna. In macelleria ci fu l’ingresso di Carlo Badiali che, ancora giovanissimo, affiancò il padre nella conduzione. Nel 1960, a 90 anni di età, morì Enea Badiali. Domenico si occupò direttamente della macelleria fino al 1981, 56 anni dopo l’apertura del negozio di Castel Bolognese. Nel 1977, a riconoscimento del lavoro svolto con continuità per oltre 50 anni, gli fu conferita l’Aquila d’oro del commercio. Gli arrivarono anche altri riconoscimenti: Chevalier du travail de l’Europe unie e Trofeo d’argento della International Businness Corporation.
Domenico Badiali, che pur essendosi ritirato dal lavoro continuò a seguire le vicende della sua macelleria, morì il 12 aprile 1986, pochi giorni prima di compiere gli 80 anni.
La storia della macelleria continuò per altri 15 anni, fino alla fine del 2001 quando Carlo Badiali, coadiuvato per moltissimi anni dalla moglie Anna Marocchi, in prossimità dell’arrivo dell’euro, cessò l’attività, che durò quindi ben 76 anni. E anche Carlo, da vero figlio d’arte, ha superato i 50 anni di lavoro svolto con continuità in macelleria.
Carlo ricorda bene il periodo in cui era ancora attivo il macello di Castel Bolognese, chiuso oramai 50 anni fa. I Badiali acquistavano le bestie da macellare direttamente dagli allevatori della zona, con la presenza fondamentale del sensale, e le portavano poi al macello: le carni erano davvero km zero. Dopo la chiusura del macello castellano, i Badiali si servirono di quello di Riolo Terme e poi, una volta chiuso anche quello, iniziarono a comprare carne già macellata all’IRCA di Lugo, impresa specializzata nella macellazione di bovini, ovini ed equini. Gli allevatori castellani oramai avevano smesso l’attività e anche le figure dei sensali erano sparite. Un mondo che era ritratto in alcune fotografie in bianco e nero, appese per tanto tempo in macelleria Badiali: protagonisti i bovini, poi acquistati dalla macelleria, gli allevatori e i sensali. Fra questi ultimi personaggi lo storico sensale (nonché allevatore) Francesco Ferrucci (Francesco d’Caia) e l’allevatore Mario d’Masrà del podere Maserano, quasi di fronte alla chiesa della Serra. Da queste vecchie fotografie Carlo Badiali, che ha da sempre l’hobby della pittura, ha ricavato alcuni ottimi quadri i cui colori fanno rivivere in qualche modo un passato oramai remoto.
Si ringrazia sentitamente Carlo Badiali per la collaborazione e il materiale fornito. Ove non diversamente specificato le fotografie provengono dall’archivio Badiali.
Ricordi della macelleria Badiali
di Paolo Grandi
I rapporti tra la famiglia Badiali e la famiglia Grandi sono sempre stati molto stretti. Quando mio nonno Pompeo nel 1927 arrivò a Castel Bolognese per rilevare il ristorante della Stazione scelse la macelleria di Domenico Badiali, che peraltro aveva aperto da pochi anni in città, per i rifornimenti di carne, restando suo fedele cliente fino alla guerra.
Nel dopoguerra, quando il babbo rinunciò alla concessione del bar stazione (il ristorante non fu più riaperto) e pertanto fummo costretti a lasciare anche l’alloggio sovrastante, trovammo casa nel palazzo dei Badiali in via Emilia, sopra la macelleria al secondo piano, fino al 20 giugno 1960 quando ci fu consegnata la casa del Viale Cairoli. Io sono nato lì, o meglio lì mi hanno portato pochi giorni dopo la nascita, essendo nato a Bologna. All’epoca non esisteva il palazzo della Cassa di Risparmio (ora Credit agricole) ed al suo posto resistevano le rovine del Palazzo Mazzolani, già caserma dei Carabinieri. La mamma ricordava che da quelle rovine risaliva fino lassù ogni tipo di animale, specialmente scorpioni.
Rimanemmo fedeli alla macelleria per gli acquisti di carne fino, credo, alla chiusura e voglio qui descrivere quel negozio secondo i miei ricordi di bambino che, specie d’estate era incaricato di fare la spesa nelle botteghe cittadine: la carne di manzo da Badiali, il pane da Marchi, i salumi da Emiliani, gli altri generi alimentari da zia Romana Zannoni, la verdura al mercato coperto da “Angiulina” dell’orto.
La stanza era quadrata, tutta bianca, pavimento, se non ricordo male, in graniglia e pareti rivestite di marmo grigio (il cosiddetto marmo da macellai…) fin verso un metro e mezzo circa. La vetrina dava sotto il porticato della via Emilia. In fondo alla stanza stava il banco, alto sugli avventori, tanto che facevo fatica a prendere il servito, e tutto di marmo grigio. A sinistra il ceppo di legno ove veniva tagliata carne; poi successivamente appoggiata alla parete vicino alla macchina tritacarne sarebbe comparsa un’affettatrice. Vi era anche la sega per segare le ossa che quando funzionava faceva un rumore stridulo e fastidioso Sopra il banco brani di carne, grossi coltelli e una o due grandi bilance, oltre ad un copioso pacco di carta gialla “da macellaio”. Di fianco al banco si apriva un corridoio lungo il quale si trovava il frigorifero. Non ho mai saputo se oltre vi fosse un retrobottega. Naturalmente la bilancia non quantificava il prezzo, per cui Badiali babbo aveva la matita nell’orecchio, poi entrambi facevano i calcoli sulla carta; poi arrivò la calcolatrice. Ed entrambi riscuotevano direttamente i soldi.
In alto, erano appese alle pareti grandi foto in bianco e nero di bovini, probabilmente campioni da carne acquistati o macellati dai Badiali.
Correva dalla vetrina fin dentro il corridoio del frigorifero un binario al quale erano appesi grossi uncini; un altro binario con gli uncini era nella parete opposta; in quegli uncini erano spesso appese le mezzene o i quarti o altre parti del bovino. E spesso quarti e mezzene erano anche appesi fuori sotto il portico! Il tutto serviva per certificare de visu la bontà della carne in vendita.
Nella stagione in cui si uccideva il maiale poi, tutte le macellerie castellane esponevano fuori sulla strada mazzi di “palloncini” biancastri gonfiati. In realtà non erano palloncini, ma vesciche di maiale che sarebbero servite per gli insaccati fatti in casa.
Sicuramente altri tempi ed altre disposizioni d’igiene.
Per concludere, ricordo che nelle giornate più affollate, per esempio il sabato o la vigilia di qualche grossa festività, la moglie o la nuora si collocavano in un piccolo banchetto in angolo tra le pareti della vetrina e facevano il servizio cassa, successivamente munite anche del registratore di cassa.
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