Cronache dei funerali dai giornali dell’epoca
Da Il Nuovo Diario del 17 marzo 1962
Castelbolognese ha reso commosse onoranze alle vittime della tragica sciagura ferroviaria
Nella mattinata di venerdì 9 Marzo una interminabile folla ha reso pietoso omaggio alle undici bare allineate nella Chiesa di S. Francesco, trasformata in camera ardente. Purtroppo 13 sono state le vittime dell’immane disastro ferroviario; ma due feriti sono deceduti all’Ospedale di Faenza e le loro salme si trovavano in quella città.
Nel tempio di S. Francesco su ogni bara si leggeva una semplice dicitura con un numero, il nome della vittima e l’indicazione “morto l’8 marzo 1962”. Tutto attorno le corone di fiori: oltre una cinquantina. Per ogni vittima una corona delle Ferrovie dello Stato ed una del Comune di Castelbolognese. Oltre a queste spiccavano quelle inviate dal ministro dei Trasporti on. Mattarella, dalla Direzione Generale e dalla direzione compartimentale delle Ferrovie, dall’Amministrazione provinciale di Ravenna, dal 40° Reggimento fanteria di Bologna, cui apparteneva una delle vittime (il 23enne Domenico Di Tizio, di Chieti, che al momento della sciagura stava rientrando al proprio reparto dopo una breve licenza), dalla D.C. di Ravenna. Ai piedi dell’altare un gran mazzo di garofani rossi recanti la scritta “Le operaie della ditta Scardovi di Castelbolognese”.
L’Amministrazione comunale aveva proclamato il lutto cittadino.
Nel pomeriggio di venerdì dieci bare sono state trasportate in mesto corteo fra due ali di popolo dalla Chiesa di S. Francesco all’Arcipretale di S. Petronio per le esequie solenni. Una delle undici salme, quella del giovane Luigi Mazzocconi, di 21 anni, di Montefiore dell’Aso (Ascoli Piceno), era stata prelevata in mattinata dai familiari e trasportata direttamente nel paesino dell’Ascolano.
Il cielo era grigio e l’atmosfera pesante.
Nella prima bara, ricoperta dal Tricolore e portata a braccia da quattro militari della seconda compagnia del 40° Reggimento fanteria di Bologna, era la salma del soldato Domenico di Tizio. Dietro questa venivano le altre bare, sorrette tutte da ferrovieri in divisa e alternate dalle corone di fiori. Ogni feretro era accompagnato dai familiari. Venivano quindi le autorità.
Il Governo era rappresentato dal Sottosegretario ai trasporti on. Angrisani che ha avuto espressioni di Solidarietà per i familiari degli scomparsi. L’on. Angrisani era giunto da Roma accompagnato dal vicedirettore generale delle ferrovie, dott. Luigi Branca, e da altri quattro direttori centrali, in rappresentanza dei vari servizi dell’esercizio. Con loro era anche l’ing. Giovanni Robert, direttore del compartimento di Bologna. Fra le personalità intervenute alla mesta cerimonia i sen. Donati, Cervellati, Balboni e Sacchetti, il prefetto di Ravenna dott. Zappia, il gen. Simonetti, comandante la Brigata carabinieri di Bologna, il generale di Brigata medaglia d’oro, Massa Gallucci in rappresentanza del gen. Beolchini, comandante la regione tosco-emiliana, il commissario straordinario del comune di Ravenna dott. Santini, il sindaco di Castelbolognese Dal Pane, con la Giunta al completo e i sindaci di tutti i Comuni della zona, compreso dello di Imola, giunti con i gonfaloni abbrunati. La Messa funebre è stata celebrata dal Vicario generale della Diocesi di Imola Mons. Proni, presenti l’Arcivescovo di Ravenna, Mons. Baldassarri, e il nostro Ecc.mo Vescovo Mons. Carrara, il quale, al termine del rito, ha impartito l’assoluzione alle salme pronunciando commosse parole di cordoglio e di solidarietà per tutti coloro che sono stati colpiti dalla sciagura, cercando di ravvivare in essi lo spirito della fede e della speranza. Durante il rito funebre sono state eseguite musiche del Perosi.
Al termine della funzione religiosa, le bare sono state portate a spalla fuori dal tempio, dove attendevano quattro autocarri militari, su cui sono state caricate. Il corteo funebre ha percorso lentamente il centro di Castelbolognese e ha raggiunto la via Emilia, dirigendosi verso Faenza, da dove i feretri sono stati fatti proseguire, in treno, per le località di residenza degli scomparsi.
Tutti i familiari delle vittime hanno espresso il loro ringraziamento per le amorevoli cure ricevute sia dal Comune, che aveva messo a disposizione dei parenti degli scomparsi alcuni assistenti sociali, sia dal personale delle Ferrovie, prodigatosi generosamente in ogni forma di assistenza. Numerosi manifesti sono stati fatti affiggere sui muri cittadini dal Comune di Castelbolognese, dall’amministrazione provinciale di Ravenna e dalla D.C. Telegrammi di cordoglio sono pervenuti al Sindaco di Castelbolognese dal ministro Macrelli e dall’on. Benigno Zaccagnini a nome del gruppo parlamentare della D.C.
Meritano poi una particolare segnalazione di gratitudine tutti i generosi soccorritori che al momento del disastro e dopo hanno prontamente prestato la loro opera per alleviare le sofferenze dei feriti, mentre nell’ospedale medici, infermieri, donatori di sangue si sono prodigati in ogni modo e senza sosta per assistere e confortare i 25 colpiti ivi ricoverati. […]
Da La Stampa del 10 marzo 1962
Le donne di Castel Bolognese si sono strette attorno alle mogli degli emigranti morti
“Castel Bolognese, 9 marzo. Nel tempio di S. Francesco, da dove è partito il corteo per la chiesa arcipretale di S. Petronio, erano allineate ai lati della navata dieci bare, fra decine e decine di corone di fiori e una folla impressionante. L’undicesima bara che conteneva le spoglie di Luigi Mazzucconi da Montefiore, era stata prelevata al mattino dai familiari. Tutta Castel Bolognese ha tributato solenni onoranze alle dieci delle 13 vittime della sciagura ferroviaria in uno slancio commovente di solidarietà; domattina, a Faenza, si svolgeranno le esequie degli altri due viaggiatori del treno Lecce-Milano, morti in quell’ospedale. Accanto a qualcuna di quelle bare saranno i familiari. Donne anziane, dimessamente vestite, con lo scialle nero sulle spalle, il velo nero sui capelli, immote come statue. Uomini segaligni, dal volto cupo e olivastro. E’ la gente del Sud che è venuta quassù a ricevere in consegna le bare che contengono le spoglie dei loro cari. Una donna anziana abbraccia il legno della bara e vi appoggia la fronte. Ed ecco all’improvviso si ode una sorta di cantilena: “Maritu mio bellu, – che viaggio facisti lu treno ti uccise”. E’ il lamento della moglie di Domenico De Rosa, da Panni, in provincia di Foggia, uno dei tanti emigranti saliti sul treno che doveva portarli verso la speranza di una vita migliore. C’è pure il fratello di Gesualdo Rocco, anche lui di Panni (un paese in cui in certi periodi tutti gli uomini validi emigrano) e il fratello di Fioravante Romualdo, da Atri in provincia di Teramo, che a Senigallia, aprendo un giornale, ha appreso la tragica notizia. E’ l’incontro tra la gente del Nord e quella del Sud nella piccola chiesa di Castel Bolognese; le donne si stringono attorno alla moglie di Domenico De Rosa; mentre entrano od escono dalla chiesa le dicono qualche parola di conforto. Finite le onoranze funebri, partite le salme per i loro paesi, rimane ora più pressante che mai l’interrogativo: come è potuta accadere una simile tragedia? […]”
Da un quotidiano dell’11 marzo 1962
I due lavoratori morti nella sciagura di Castelbolognese.
Sono tornati a Panni per non ripartire più.
Tutto il paese ha partecipato in lacrime ai funerali – Commosse parole del sindaco Bianco
Dal nostro inviato
Panni, 10 marzo
Sotto un cielo pallidissimo, tutta Panni ha pianto oggi i suoi due figli morti nella sciagura ferroviaria di Castelbolognese. La salme, giunte a Foggia alle ore 5,30 di questa mattina col diretto Torino-Bari, dopo una sosta di circa 4 ore, hanno proseguito su due furgoni verso Panni, dove sono arrivate poco dopo le 11.
Allo scalo ferroviario del paese erano a ricevere i due feretri il sindaco di Panni, prof. Francesco Bianco, i dirigenti del compartimento ferroviario di Napoli, ingegneri Rattazzi e Correra, il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro di Foggia, dr. Rebuzzi, ed il comandante la stazione dei carabinieri di Bovino, cav. La Rocca. Nel cielo sempre pallidissimo il sole spandeva una tremula corona di raggi, “un sole di passione” come usano chiamarlo i contadini del Sud.
Intanto, dalla chiesa matrice giungevano i primi rintocchi funebri che sembravano scandire i nomi dei due lavoratori, quattro giorni fa ancora vivi e pieni di tante speranze. All’ingresso del paese c’era una folla di uomini, donne, ragazzi e, quasi staccati sullo sfondo di questa massa, i gruppi dei familiari impietriti dal dolore. Appena sono comparsi i due furgoni con le bare, c’è stato un attimo di profondissimo silenzio. Tutti sembravano ammutoliti. L’unica voce, triste e pesante, era quella delle campane. Poi è sorto un bisbiglio, si sono intesi del singhiozzi e qualcuno ha gridato: “Ecco che sono tornati per sempre, i nostri Lavoratori. Ora sì che non partiranno più”.
Composto il mesto corteo, le due salme, portate a spalla ciascuna da quattro amici dei morti, anch’essi lavoratori, hanno fatto il loro ingresso nella vicina chiesa madre, dove si è svolto il rito funebre, celebrato dal vice parroco don Michele De Michele (l’Arciprete monsignor Giovanni Senerchia era assente perchè malato). Dopo la benedizione, il corteo è sfilato lungo il corso Regina Margherita e via Vittorio Veneto. Precedevano le bare 9 corone: due del Comune di Castelbolognese, due del Comune di Panni, due del Compartimento ferroviario di Napoli e tre dell’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato. Presso il monumento ai Caduti c’è stata una breve sosta durante la quale il sindaco ha pronunziato un discorso.
“Un’atmosfera di tristezza avvolge il nostro paese e invade i nostri cuori — ha detto il prof. Bianco -: è come svegliarsi di soprassalto da un incubo, da un sogno crudele; è come cercare disperatamente la luce, per non lasciarsi sopraffare dalle tenebre. Ci troviamo di fronte alla dura realtà di due esistenze prematuramente stroncate, di due padri di famiglia ai quali la fatalità ha voluto riservare un crudelissimo destino. Erano due onesti lavoratori che, consapevoli dei propri doveri verso i familiari, si accingevano a raggiungere i loro posti di lavoro lontani dalla madre-patria e dal paese cui erano legati da un amore tenace. Sicuri di portare in terra straniera l’onestà, lo spirito di sacrificio, l’attaccamento al lavoro — virtù che contraddistinguono l’umile bracciante meridionale — erano partiti con la certezza di procurare un po’ dl serenità alle loro famiglie che vivevano, e ancor più vivranno, in ristrettezze economiche. La morte forse li ha colti nel sonno rendendone il trapasso meno straziante con la immagine delle loro consorti e il dolce sorriso delle loro creature.
“Caro Domenico De Rosa, caro Rocco Gesualdi, dormite in pace il sonno eterno. Voi mamme, voi spose, avete ben ragione di piangere, ma siate fiere dei vostri morti che saranno esempio di onestà e di laborosità per tutta Panni. Ma abbiate soprattutto fiducia nel Signore. Egli, nella sua immensa bontà, saprà rendere meno duro il doloroso calvario della vostra vita”.
La parole del Sindaco hanno strappato lacrime silenziose dell’intera popolazione (tutte le case del paese erano rimaste deserte); poi il corteo si è mosso verso il cimitero, dove le bare sono state tumulate. Tra i telegrammi inviati, da segnalare quelli del senatore Di Giovine, dell’on. Cavaliere, del Sindaco di Castelbolognese e di due pannesi, Raffaele Di Giovine ed Emilia Di Giovine-Rainone, residenti a Roma da molti anni.
Si è conclusa così la più triste, la più drammatica giornata di uno dei tanti paeselli del Sud, i cui nomi insignificanti e sconosciuti hanno la possibilità di essere citati solo in occasioni di cronache dolorose. Nel cimitero, mentre risuonano gli ultimi colpi di martello che incassano l’ultimo mattone sui loculi di due oscuri lavoratori, qualcuno ci informa che Rocco Gesualdi, proprio domenica scorsa aveva stipulato il contratto di acquisto di una casa nuova. Aveva versato già 800 mila lire e ne doveva versare altre 400 mila: per questo era partito, per poter raggranellare la somma col suo sacrificio in terra straniera. Sarebbe stato l’ultimo anno di lontananza dal suo paese, poi non si sarebbe più mosso.
Mentre apprendiamo quest’ultimo episodio fra i cipressi del piccolo cimitero su cui la pioggia ora batte malinconica, scorgiamo poco distante, Angelo, il figlio di Rocco Gesualdi, inginocchiato davanti alla tomba del padre. Gli occhi arrossati sono fissi sulle corone. Sta lì, solo. Quando ci avviciniamo, ci guarda con le pupille smarrite e poi ci chiede: “Ma dunque papà è veramente morto?”
Anacleto Lupo
pagina implementata il 19 luglio 2014 (si ringrazia Daniele Pompignoli)
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