Toponomastica musicale castellana
(introduzione) Vi proponiamo questo testo di Oddo Diversi, molto probabilmente inedito, da lui letto nel settembre del 1975 in una iniziativa pubblica della quale, al momento, non abbiamo dettagli. Tempo fa ne ritrovammo una fotocopia, tratta dal dattiloscritto originale, nei meandri della biblioteca comunale. Ce ne eravamo dimenticati di averlo riprodotto, e nel dubbio che possa essere andato perso nel marasma del maggio 2023, lo pubblichiamo sul sito per maggiormente tutelarlo. Lo troviamo gustosissimo e lo abbiamo arricchito di fotografie storiche per meglio illustrare l’originale passeggiata, a tempo di valzer, nel vecchio Castello. Non abbiamo tagliato la parte finale, nella quale si auspicava la nascita della scuola di musica. Oggi, per fortuna, abbiamo attiva una buona scuola di musica e, seppur ancora lontani dai vecchi fasti, Castel Bolognese può vantare nuovi giovani musicisti con un promettente futuro (A.S.)
E’ nota la tradizione musicale di Castelbolognese. Nell’agosto del 1857 fa avvertita la necessità di un maestro per la direzione e l’insegnamento musicali e da allora, fino al 1940, il paese fu un vivaio di musicisti. Già a quell’epoca, LIVERANI DOMENICO (1805-1876) si affermava fra i migliori clarinettisti italiani. Fu insegnante al liceo musicale di Pesaro, compose studi per clarinetto, fu concertista.
Notizie della vecchia banda si possono rintracciare nel pur ridotto archivio comunale, attraverso le sedute del consiglio. Erano domande di contributi per il funzionamento della banda, per l’acquisto di istrumenti, per la copiatura di partiture. Una prima indagine la abbiamo compilata anche per rilevare particolari fra il musicista e la sua posizione sociale. Le ricerche ci hanno detto che a Castelbolognese la musica era una prerogativa delle classi operaie, artigiane e piccole borghesi e non di quelle nobili.
I nomi più illustri dei musicisti castellani sono usciti da famiglie artigiane e povere: I “Carspèn” (Borzatta), i “Tugnez” (Massari), i Budini, Bacchilega, Bolognini, Bagnaresi…
Ma noi vogliamo fare una ricognizione fra questi cultori della musica per trovare fra loro anche dei musicisti, cioè dei compositori, nati disgraziatamente in un periodo sfortunato che non dava la possibilità, come oggi. di fare i milioni senza conoscere (spesso) la grammatica musicale.
Il maestro Domenico De Giovanni, per le sue composizione per istrumenti a plettro ebbe lusinghiere affermazioni. Chi non ricorda “La Palermitana”? E quante furono le altre creazioni del De Giovanni? I ballabili non si contano, le marce, due messe per grande orchestra, due operette, ecc.
Le sue musiche venivano pubblicate ne “Il Concerto” giornale che si pubblicava a Bologna (1906) e nel giornale “Il mandolino” di Torino (1911). Nel nostro ricordo è rimasta “Una preghiera” di un sentimento religioso commovente e ritenuta dallo stesso autore una delle sue migliori composizioni.
E il De Giovanni fu seguito anche da altri castellani. Il più modesto “LA VERNIA” aveva il suo motivo che ripeteva nel tempi di valzer, mazurca, polca. Poi altri hanno lasciato dei loro componimenti: Borghesi (Gianola), violinista della famiglia di “PITUR”; “GIGIULON” violinista; BERTACCINI, violinista e chitarrista, con quel magnifico valzer “10 novembre”, che fin dalla breve introduzione manifesta un particolare sentimento e un motivo pregno di ispirazione; Chichì Borzatta, con valzer, polche e perfino tanghi; “GIGI’ d’Caibanèn (e Bèl Pulac) con ballabili e marce funebri.
I musicisti castellani odierni hanno dato a noi il motivo di rilevare una curiosa particolarità. Il primo a dare il via, a quella che si può chiamare TOPONOMASTICA MUSICALE CASTELLANA è GIGIOLA BACCHILEGA, violinista. Si presenta con un valzer da un motivo che seduce subito iniziando una melodia che sviluppa con suggestive terze, che intitola “E CUNVINTAZ”. Chi non ricorda questo originale e appartato angolo del vecchio castello, a ridosso della trecentesca rocca? E Gigiola con questo titolo ha iniziato la panoramica musicale castellana.
L’ispirazione l’ebbe ancora giovane, quando andava a conversare con le ragazze della contrada e fremeva dal desiderio di esprimere il suo ardente sentimento per la MARIA d’MACHI’, una mora alta, snella, con uno sguardo che incendiava l’animo del giovane violinista.
“E CUNVINTAZ” abbiamo detto, fu il primo dei ballabili della toponomastica, poi, venne tutto Castello, quello dei primi lustri del 1900.
Sono tutti valzer di “JUSAFEN d’GAITANEN d’CARSPEN” professore di tromba. Leggiamo alcuni titoli:
“E PRE DE BSDEL” Il prato dei nostri anni infantili, con la fossa, il canaletto dell’acqua che derivava dal canale, il torrione, le mura che costeggiavano la cuntrè di contrabandì (Via Borghesi), e l’ospedale con gl’imponenti fitoni posti a guardia del monumentale pronao dello architetto Antolini.
“AL MASS DE STABI” poste vicino al macello, lungo il canale, dove venivano ammucchiati i rifiuti urbani del paese raccolti dal vecchio spazzino “CAGLIA” e dal “MUCHI'” con la mula comunale. AL MASS DE STABI era il gabinetto preferito dai facchini e da molti operai che, a quei tempi, preferivano defecare con il culo al vento ed i maron pendenti.
“LA CIUS” sul fiume Senio, meta di nostre giovanili scorribande a di bagni estivi nella fresca acqua proveniente dalle sorgenti della Sambuga e dai cento ruscelli della vallata del Senio.
“E ZTMITIRI VECC” modesto, senza le sfarzose tombe nobiliari che offendono oggi chi muore in povertà, e sepolto nella madre terra. All’inizio della strada Ghinotta, il suo cancello arrugginito custodiva i castellani dipartiti. Da tempo è stato incorporato nell’orto del convento dei frati e, in quella terra grassa, nascono orgogliosi e verdi ortaggi.
“Al TRE STRE” sulla Via Emilia, a ponente. Portavano, quella a destra, a Bagnara; quelle a sinistra, una alla strada Rinfosco, l’altra alle ridenti e verdi colline della Serra, dove allora il solenne silenzio della natura era rotto solo dal muggire delle bianche vacche e dei possenti buoi, dalle campane della chiesa o dal canto dei galli e degli uccelli.
“‘DA ‘DRI’ DA S. PETROGNI” Via Morini, l’abside della parrocchiale, con il fico del cortile che superava il basso muro; la fontana con la pompa a mano, il ricordo di una vecchia osteria, ritrovo di focosi mazziniani ed anarchici.
“E CURTIL DI FRE” In piazza, chiuso dal palazzo Mengoni. Il nome gli proveniva dall’ex convento dei frati sciolto all’inizio dell’800 con la calata di Napoleone in Italia: un liberatore, come tanti, con una ventata di idee nuove e una rapacità che portò oltr’alpe i migliori capolavori dall’arte italiana.
“E PORTICH DE SUFRAGI” distrutto dalla guerra, con la chiesa posta all’ombra dell’antica torre, emblema nostalgico dei vecchi castellani.
“E VULTON D’BADON” che univa il portico a valle della Via Emilia al convento delle suore domenicane di clausura. Un sestetto di vespasiani era una comodità per gli abituali bevitori. Si riempivano da Zvanen e, appena saturi coma una spugna, uscivano ad orinare. E spesso, lo scarico otturato, conservava l’orina schiumosa come quella dai somari.
“E TURION DLA PUNCINA” ad angolo, sulla fossa a levante, con via Biancini e Via Borghesi. Abitazione della famiglia da “I PUNCI'”, Maria, Minghina e Tugnì. Tre tipiche figure passate nell’al di là.
“E CURTILAZ” Vi si entrava dal Borgo Carducci, da un voltone che si apriva vicino alla bottega d’Bas-cianì de Gob (costruttore di botti e di casse funebri) e l’osteria Zanelli. La stradina sboccava nel prato dalla Filippina.
“E PRE D’LA FILIPENA” Il primo campo di calcio. Palestra all’aperto di tutti i ragazzi castellani. Qui si svolsero le prime ormai storiche partite del sodalizio calcistico nostrano, che nacque quando i cugini Tullio ed Alfredo Bolognini portarono a Castello il primo pallone.
Nell’anteguerra vi si svolgeva il più importante mercato di bestiame della Romagna. Il mercato cadeva nella festività di Pentecoste; buoi bardati a festa, mucche e borelle magnifiche; cavalli e muli da tiro di razza e maiali da ingrasso superbi. Il terreno è un lascito della vecchia famiglia castellana Sangiorgi e il Comune non può assolutamente alienarlo o modificarne lo stato attuale.
“E TEATER VEC” sorgeva a valle dal Corso Garibaldi, dove ora vi sono gli immobili di Fabbri Mondino, l’ex allenatore della squadra nazionale di caldo e capro espiatorio della mafia sportiva supernazionale per la sconfitta coreana. In quello che era chiamato il vecchio teatro vi abitava il facchino della stazione PIRON d’MAREA, tipica ed originale figura e TRUNCHI’ altro stravagante e tipico castellano.
“E FOREN D’GNAZI” Era nel torrione del piazzale della pesa pubblica. I ruderi del torrione danno alla zona un tono particolare. GNAZI, noi della banda lo ricordiamo bene: basso, tondo come del resto era l’Argia sua moglie. Suonava il quartino in mi bemolle.
“L’USTAREA DLA MARCHINA” era in Via Gottarelli; titolare era la Sina. Abitualmente il duo Celso (Petroncini) violoncello e e Piguron (Bagnaresi) clarino, si esibivano con valzer e ballabili nostrani.
E se volessimo seguire ancora i titoli di IUSAFEN, non finiremmo mai perché ha tirato fuori perfino “LA BUTEGA DLA PUTANAZZA, LA PlAZETA D’RAVAlOL”, ecc., ecc., tutti valzer, forse perchè la vita non è che un breve giro di valzer.
Quest’anno, come gli anni scorsi, noi ci troviamo qui uniti per l’amore e la passione che noi nutriamo per la musica. Se ricordate, nella grammatica musicale era scritto: “la musica è l’arte che ingentilisce l’animo”. Oggi purtroppo allo scatenarsi di un rock e al fracasso di certe orchestre si direbbe che certa musica imbestialisce l’uomo.
Noi invece pensiamo che la musica possa anche essere una terapia per certi stati d’animo ed anche per certe malattie, come del reato sembra affermato da alcuni valenti studiosi, ragione per cui restiamo fedeli ed appassionati cultori della più sublime e spirituali delle arti.
Il nostro desiderio sarebbe quello di veder risorgere a Castelbolognese una scuola di musica ed un corpo musicale onde indirizzare i giovani verso una carriera che faccia godere il piacere che solo i Beethoven, i Mozart, Chopin, Paganini, Ravel, Wagner, Verdi, Puccini e tutti i grandi musicisti, sanno infondere nell’animo umano.
E con questo diciamo di ritrovarci l’anno prossimo, possibilmente in numero maggiore.
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