Il grande caldo del luglio 1905 e la strage dei mietitori. Anche a Castel Bolognese si registrarono alcune vittime per insolazione

di Andrea Soglia

Il 4 luglio 1905 si registrò un record di temperatura a Roma, a tutt’oggi, a quanto pare, imbattuto: quel giorno furono registrati 40,1° C. La Romagna non fu da meno. A Cesena il picco si registrò il giorno 3 luglio, con 36,5 gradi, vari gradi in più rispetto alla media dei 5 anni precedenti. Il Savio, periodico cesenate, così descriveva il fenomeno nel numero dell’8 luglio: “Il caldo eccezionale provato da noi nei primi giorni di luglio è dovuto, oltre alle massime temperature, alla gran quantità di umidità dell’aria, resa anche palese dalle fitte nebbie mattutine, e alle alte temperature notturne”.
L’ondata di caldo riguardò quasi tutta l’Italia ed ebbe un tragico effetto: una strage di mietitori, morti per insolazione. In tutta Italia si calcola che ci furono, nella classe degli agricoltori maschi di oltre 15 anni, 665 morti per insolazione sul luogo dove lavoravano o anche lungo il tragitto che avevano percorso per recarvisi.
Anche il comprensorio faentino registrò la morte di moltissimi mietitori. Il “Socialista” del 13 luglio elenca ben 13 lavoratori morti per insolazione a Faenza, fra cui una ragazza di 21 anni, Nilda Gallegati, e diversi mietitori che erano scesi dalle colline romagnole e bolognesi (dove il grano maturava più tardi) per mietere il grano della pianura. Anche a Castel Bolognese si registrarono diversi decessi. Sfogliando il registro dei defunti del 1905, nella prima quindicina di luglio si possono notare 6 casi sospetti, che fanno pensare ad un collegamento con i casi di insolazione:

3 luglio 1905 Selvatici Paola di Domenico anni 22, colona, morta in via Borello
3 luglio 1905 Cortecchia Giovanni fu Luigi anni 53, bracciante, morto in via Canale (proveniente da Casola Valsenio)
4 luglio 1905 Santandrea Antonio fu Andrea anni 52, operaio, morto in via Bertuzzo
9 luglio 1905 Cani Paolo di Pietro, anni 47, colono, morto in via Fantina
10 luglio 1905 Andalò Pietro fu Francesco anni 31, colono, morto in via Rinfosco
15 luglio 1905 Morini Antonio di Giovanni anni 27, colono, morto in via Serra

Di certo a tutto il 7 luglio i casi di morte per insolazione erano almeno due, come è possibile leggere su Avanti! del 10 luglio, che pubblicava una corrispondenza da Castel Bolognese:

IL FLAGELLO DELLA CANICOLA
Castel Bolognese, 7 (B) — Anche qui la canicola ha fatto le sue vittime. Dei molti mietitori colpiti d’insolazione due sono morti. Il Sindaco dietro parere della locale autorità sanitaria ha pubblicato un manifesto raccomandando agli interessati la sospensione del lavoro nelle ore più calde, dalle 11 alla 17. La Sezione socialista ha diramato tra i mietitori un vivo appello perchè essi vogliano una buona volta imporre più umane condizioni di lavoro a chi esosamente sfrutta la loro incoscienza e i loro bisogni.

I bisogni e le condizioni di vita dei mietitori, lavoratori stagionali, sono ben descritti in un articolo de Il Socialista del 29 giugno 1905 che vi proponiamo anche se non siamo riusciti a trascrivere alcune parole. C’è da immaginare che anche a Castel Bolognese, nella nostra piazza, si vedessero scene simili, di mietitori che si vendevano ai contadini reggitori e dormivano sotto al loggiato dell’allora municipio o di palazzo Mengoni.

I mietitori

Il grano nei campi va maturandosi. E molti lavoratori in maggior numero braccianti, scendono dai nostri monti, da quelli del bolognese alla nostra città per la mietitura.
Se ne scendono a squadre, a gruppi, sono giovani imberbi, adulti, vecchi male in gamba, ma scendono, vestiti di fustagno coi cappelli di paglia e grosse scarpe che risuonano […] sul marciapiedi.
Vanno e vengono per la piazza col [loro] andare lasso ed incerto, timorosi alzano gli occhi, ingenui ancora, sui passanti che li osservano; la falce lunata, coperta di un […] treccia di paglia o di una striscia di [panno] perchè non si addenti, sotto all’ascella sinistra in modo che non si vede che il manico di legno, e la lama aderisce trasversalmente all’addome, che fa pena.
Visi neri dal sole e dalla pioggia […] spinti dalla bufera della disoccupazione scendono alle città, dormano un po’ dappertutto sui cascinali, nelle vie della città; […] nella scalinata del duomo ricoprendola tanto che pare un favo d’api, sotto il loggiato allineati, che danno l’imagine di corpi [pescati] o gettati alla deriva dalla marea dopo la tempesta, si che i nottambuli devono scansarli per non pestarli.
Il lungo giorno l’impiegano curvi a segare il grano: la notte è breve per essi più delle corti notti della stagione, e non serve al riposo e ristoro delle stanche membre riarse dal sol leone: alcune ore prima dell’albeggiare si trovano di nuovo in piedi sul mercato a cercare lavoro, o come essi dicono a vendersi. È una triste parola che attraversa un […] triste pensiero. Forse un ricordo che [rimanda] nei tempi dell’antica schiavitù della gleba. Alcuni capannelli di mietatori si formano in principio sulla piazza e poi altri, così poco a poco al primo tenue rosseggiare dell’alba, spenta la luce elettrica, disegnano una [marea] indistinta nera, confusa dove si vede al chiarore rossastro di qualche caffè aperto sfocarsi qualcuno, entrare, altri uscirne dal […] altri piccoli chiarori, un moccolo che da […] al battitore delle falci, e un gridio [come un] clamore lontano, un ronzio d’api, rotto di quando in quando dalla voce fessa o [rauca] dei venditori ambulanti.
E’ uno spettacolo, un altro mondo che si presenta ai nostri occhi.
Il reggitore contadino con una grande [sca]tola sotto il braccio è tra loro che contratta meglio compera e ad ognuno di questi, fanno ressa i mietitori, uno solo fa il contratto per molti, è la guida, quello che li à condotti giù dai loro monti, che da spiegazioni e indicazioni, e quasi mai, o si stenta a conoscere il prezzo della giornata, perchè viene profferito all’orecchio; non si deve conoscere per [non?]avere alti salari e così la concorrenza fa il resto per tenerli bassi.
Però questi salari generalmente non sono bassi, ma per una giornata di lavoro faticoso senza orario non è molto.
Ancora prima dell’alba i gruppi di mietitori seguono il reggitore, e s’incamminano assieme pei campi, solo a tarda sera ritornano in città per rivendersi il giorno dopo, e così di seguito, di luogo in luogo, finché ritornano ai loro monti a mietere ancora il grano che matura in ritardo.
Lo sgombero della piazza ai primi chiarori dell’alba o poco dopo è così compiuto, qualcuno dei mietitori, attarda a partire che il lavoro cittadino riprende.
Per un momento la piazza sembra più spaziosa.
Questo lavoro estenuante à però ricordi di [fastosità] delle antiche feste pagane per il raccolto delle messi. Ma quest’anno il contadino è rattristato, il vento e la grandine in alcuni posti gli à dimezzato il raccolto, e le spese di mano d’opera crescono, e il padrone purtroppo non concorre in questa spesa.
I mietitori quest’anno si sono riuniti, ànno cambiato idee in proposito, e quelli del Bolognese ànno portato tra loro la santa [parola] dell’organizzazione, e gettata l’intesa, per combattere la concorrenza, e per non vendersi prima delle quattro del mattino, per potere riposare almeno la notte.
Ascolta fratello di lavoro, tu che soffri gli stessi dolori gli stessi triboli, la buona novella consolatrice del compagno bolognese, essa parla di fratellanza e solidarietà, non trova nel contadino che un compagno di fatiche e gli ricorda che se non scorge loglio nel grano, i suoi campi ne sono invasi lo stesso: perché simile al loglio è il padrone.

Dopo i tanti casi di insolazione e morte dei mietitori, tardivamente, come ci racconta Il Socialista del 6 luglio 1905 “il Prefetto della Provincia emanava una circolare telegrafica ai Sindaci invitandoli a fare uffici presso i proprietari terrieri, allo scopo di far sospendere i lavori agricoli nelle ore calde, dalle 10 alle 15. Dopo tante disgrazie una raccomandazione non è gran cosa?”
Nel frattempo molti dei mietitori forestieri se ne erano già andati. Ben presto a Faenza (e immaginiamo anche a Castel Bolognese) fu lanciata una sottoscrizione popolare per aiutare le famiglie dei colpiti da insolazione. Successivamente arrivarono anche sussidi dal Ministero dell’Interno.
Tutti questi caduti sul lavoro sono completamente dimenticati. Nonostante il progresso, che ha portato alla meccanizzazione della mietitura del grano e alla scomparsa della figura dei mietitori e delle loro miserie, nelle campagne di certe zone d’Italia ancora oggi, 120 anni dopo questi tristi fatti, si ripetono scene di sfruttamento e morte che vedono vittime inermi lavoratori agricoli, soprattutto stranieri. La storia, purtroppo, sembra non aver insegnato nulla.

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