I contrabbandieri di Castel Bolognese
Ancor oggi, fra gli anziani, quando si vuole indicare la Via Borghesi, si usa chiamarla la Contrada dei Contrabbandieri, alla vecchia maniera popolare, tanto è radicato nel ricordo il nome di costoro e le loro gesta. Di questi nostri concittadini vogliamo dare, qui, alcune notizie di indubbio interesse.
Le difficoltà che incontrava Bologna a rifornirsi di grano, scarsamente prodotto dal suo territorio, indussero Gregorio XV, nel 1621, ad emettere ordinanze che vietavano l’applicazione del dazio e di altri balzelli per facilitare l’ingresso in città di tale prodotto il cui trasporto avveniva anche clandestinamente e non solo per Bologna. Questo fatto doveva necessariamente interessare molto i numerosi carrettieri castellani per i quali, considerata la situazione economica di allora, il contrabbando rappresentava una via di uscita per affrontare le quotidiane durezze della vita.
Le autorità erano, d’altra parte, invitate a frenare questo traffico che era anche fonte di disordini. Due rapporti, uno da Faenza -31 Luglio 1704 – ed un altro da Ferrara -2 Agosto 1704 – chiedevano severi provvedimenti contro la “insolenza dei contrabbandieri di Castel Bolognese” ai quali si addebitavano anche furti, estorsioni, rapine, omicidi (1). Si specificava, inoltre, che il grano usciva in gran parte da Forlì, da Faenza e da Imola e che si erano istituiti corpi di guardia formati da soldati e da sbirri per evitare tale traffico. Infatti, due anni prima, la sera del 25 Agosto 1702, era avvenuto un combattimento a Faenza, nel Borgo d’Urbecco, fra una cinquantina di contrabbandieri, quasi tutti di Castelbolognese, ed un gruppo di finanzieri e di sbirri. I primi provenivano dalla Toscana e, sebbene preavvisati che sul loro cammino avrebbero incontrata la forza armata, vollero proseguire ugualmente, accettando così lo scontro, che durò più ore. I contrabbandieri ebbero un morto ed un ferito, mentre i gendarmi, che si erano dati poi alla fuga, lasciarono sul terreno diversi morti e feriti.Già allora si pensava di staccare il nostro paese da Bologna al fine di controllare meglio i suoi abitanti.
Il cardinale Marini, nel 1741, era intenzionato ad attuare quel progetto, ma solo nel 1794, papa Pio VI con “motu proprio” del 15 Giugno, ordinò la “dismembrazione” di Castelbolognese dalla Legazione di Bologna e la sua rispettiva incorporazione all’altra di Romagna. Nel “moto proprio” si parlava di un “illecito mercimonio “… “in cui buona parte degli abitanti di Castel Bolognese si va da lungo tempo esercitando” con”abbondanti trasporti”… “scortati da numerosissime Conventicole di Armati”. Si affermava pure che “noi abbiamo presa risoluzione di spedire, e mantenere nella riferita Nostra Provincia di Romagna un Corpo stabile di Truppa, il quale unito alla forza pubblica, in essa già esistente, sia valevole a raffrenare li surriferiti contrabbandieri di Castel Bolognese”… e “in perpetuo uniamo, aggreghiamo, ed incorporiamo” Castel Bolognese nella Legazione di Ravenna. Il cardinale legato, Nicola Colonna di Stigliano, emetteva a sua volta un’ordinanza per la consegna delle armi da fuoco e da taglio entro tre giorni dal 22 Luglio 1794. Queste radicali misure venivano giustificate con la necessità di assicurare il grano e il suo “buon prezzo” alla popolazione, mentre nello stesso tempo si consigliava di “introdurre in essa (terra) un qualche utile opificio perché possano gli uomini suddetti tranquillamente rivolgersi ad un onesto travaglio, e nel proprio Paese “.
I successivi avvenimenti determinati dall’occupazione di Bologna da parte delle truppe napoleoniche (1796) non permisero ulteriore vita ai piani già applicati ed il nostro paese ritornò sotto l’amministrazione bolognese; ma l’annosa questione dei contrabbandieri non trovò soluzione. Si riaccese, invece, in quanto la nuova repubblica non tollerava, come il papa, l’illegale trasporto delle granaglie. Da quanto si può arguire dal contenuto della corrispondenza e dalle relazioni fra le autorità locali e quelle superiori di Imola e di Bologna, i contrabbandieri costituivano una forza non indifferente con la quale bisognava fare i conti, tanto più che essi trovavano, nel paese, a quanto sembra, protezione ed appoggio, nonostante i continui grattacapi che spesso procuravano ai dirigenti la Comune e nonostante l’intervento del Senato di Bologna deciso a portare un po’ di ordine.
In occasione del famoso “sacco di Lugo” del Luglio 1796 e precisamente durante i brevi scontri che precedettero l’attacco a fondo dei francesi, i contrabbandieri di Castel Bolognese, pratici dei luoghi, sorpresero alle spalle, fugandoli, i lughesi che si erano posti in agguato lungo le strade di campagna, al riparo dalle alte siepi, in attesa delle prime pattuglie. Questo appoggio ai soldati francesi avvenne in un secondo tempo dopo un colloquio fra Luigi Secreti, autorità locale, e due capi contrabbandieri, poiché sembra che in precedenza avessero deciso di aiutare gli “insorgenti” di Lugo. Tale atteggiamento favori, poi, il divulgarsi di una dicerìa seconda la quale i castellani avrebbero tratto profitto delle dolorose circostanze in cui era venuta a trovarsi la popolazione lughese, acquistando molte delle cose rubate durante il saccheggio, accusa sdegnosamente respinta dai nostri concittadini.
A pochi giorni dalla battaglia del Senio, il Senato di Bologna chiese – 11 Febbraio 1797 – ai senatori commissari di Imola a titolo di “curiosità” come fosse avvenuto il disarmo dei contrabbandieri della qual cosa era stato informato. A contraddire la notizia ed a spegnere ogni speranza sul caso, il capitano Morelli, comandante la piazza, scrisse, il 12 Febbraio, agli stessi senatori di Imola che, dopo l’arrivo del Tassinari, comandante la guardia civica, “li contrabbandieri, ed altra truppa di contadini, son quì internati colle armi; pattugliando in più corpi e mostrando l’aria più sediziosa e tumultuante”. Nello stesso tempo chiedeva rinforzi. E che le cose non andassero per il verso buono lo stesso Morelli, dopo essersi lamentato, sempre presso i Senatori di Imola – 14 Febbraio – del fatto che veniva esautorato a vantaggio del comandante civico e della Municipalità, citava l’accaduto di Bologna (a noi sconosciuto) chiamandolo “esempio scandaloso “. Continuava riferendo che “il capo dei contrabbandieri è stato interdetto ad averne il comando (?) cosicché può questi armarli ad ogni capriccioso suo motivo”. Terminava col dichiararsi disposto a dimettersi dalla carica.
A causa di questi contrasti venne svolta un’inchiesta dal commissario senatore di Imola, Cospi, su certi fatti accaduti in paese a carico dei contrabbandieri. In quell’occasione, presenti le autorità municipali, furono stabilite alcune regole generali sui servizi di pattugliamento notturno, sulla guardia, pure notturna, all’ “albero della libertà” e sulla collaborazione fra il comandante la guardia civica e il comandante la piazza. In merito a quest’ultimo argomento il Cospi interrogò Cesare Cristofori al quale chiese come mai si trovasse a capo di un’altra guardia detta dei contrabbandieri. L’interpellato riferì che tale incarico gli fu dato dal senatore Bragaldi e che riteneva servisse a mantenere l’ordine in paese e per difendersi dai “papalini”. Soggiunse che in effetti, nel momento, costoro non rappresentavano più un pericolo; che, in fondo, la guardia civica sarebbe bastata in ogni evenienza e si augurava che la guardia dei contrabbandieri non si facesse vedere armata, come era accaduto il giorno avanti, 12 Febbraio 1797, a pattugliare il paese a gruppi di dieci o dodici uomini. L’inchiesta si chiuse con l’invito agli interessati di agire in maniera non si ripetesse l’accaduto, salvo casi eccezionali riconosciuti dalla municipalità e previo avviso al comandante la piazza.
Episodi attraverso i quali si ha un quadro dell’ambiente, della turbolenza di alcuni contrabbandieri e del contegno contradditorio di certe autorità, si trovano in un rapporto presentato – 1° Marzo 1797 – dalla Municipalità castellana ad Imola da parte di Giuseppe Favolini, console. Vi si legge che Angelo Biancini, guardia civica ricevette un calcio da Michele Borghesi, contrabbandiere, e che, mentre il colpito raccontava l’accaduto al capitano comandante interinale, Matteo Contoli, intervenne lo stesso Borghesi gridando insulti e ribellandosi poscia alle guardie che volevano arrestarlo, dietro ordine del Contoli, ripetendo che “voleva prima fare della carne “. Intervennero alcuni amici contrabbandieri: “Giuseppe Barbieri saltò in mezzo alla strada con le armi alla mano sotto il tabarro “ed a lui si unirono “Paolo Panazza ed Agostino suo fratello tutti minacciando la Pattuglia civica e particolarmente il detto Agostino che stese un’arma da foco in petto ad Antonio Casoni, uno della Pattuglia, esprimendosi “non ti muovere o sei morto”. Incoraggiato da questo appoggio il Borghesi riuscì a sottrarsi alla guardia civica.
Dopo di che i quattro si tolsero il mantello e si mostrarono con le armi in mano, dileggiando i civici. Testimoni della scena furono Antonio Casoni, Giovanni Valdré, Felice Carnevali, Sebastiano Casoni, Francesco Forbicini, Tomaso Guadagnini, tutti della citata pattuglia e così pure Battista Garravini, Nicola Rossi e Carlo Bianconcini. Dopo avere chieste istruzioni riferisce che “l’istesso corpo dei contrabbandieri si era a Noi portato, e addimostrando il rincrescimento provato per le prepotenze di questi quattro da essi medesimi chiamati: eterno loro disonore”, si erano essi stessi prestati per arrestarli e consegnarli a Chi spettava. “Nonostante i buoni propositi le violenze non cessarono, tanto che il giorno seguente un’altra lettera informò che nella notte osarono ingiuriare persino la sentinella che faceva la guardia all’albero della libertà “, minacciandola di bastonarla e di toglierle il fucile “finché esso fucile facesse la stoppa”. Non si sapeva a chi affidare l’arresto di costoro. Avevano disposto che il civico comandante d’accordo col comandante la piazza, vi avessero provveduto, ma i quattro erano fuggiti, forse avvertiti da coloro che avrebbero dovuto arrestarli. Proseguiva affermando che “quando si cercava il Morelli era in casa del Barbieri; vedute le consorti dei medesemi Barbieri por-tarsi in casa del podestà da cui sono sortite consolatissime”.Il Morelli e il podestà non usano che nella casa di questi fratelli contrabbandieri. Animati da queste protezioni qual meraviglia se tutto si fanno lecito? Anche il vice podestà, Luigi Secreti, in una lettera del 3 Marzo si lamentava della libertà che si lasciava ai contrabbandieri. Lo stesso Senato di Bologna indirizzandosi ai senatori commissari di Imola ricordava il contrabbando che si svolgeva per la Toscana da Castel Bolognese e da altri luoghi di Romagna. Veniva ricordato l’uso che si faceva di “moneta erosa” col conio del papa per l’acquisto dei generi che si trasportavano illegalmente. Intervenne anche il generale di Divisione, Victor Perrin, dal quartiere generale di Foligno, con uno scritto diretto al comandante la nostra piazza con l’ordine di impedire l’esportazione dei grani.
Quando i francesi dovettero lasciare temporaneamente la Romagna, la Regia Cesarea Reggenza di Ravenna, subentrata, si occupò anch’essa dell’esportazione dei grani”, proibendola con delibera del 31 Luglio 1799. S interessò, allora, la locale Magistratura Cesarea affinché fossero ritirate le disposizioni restrittive e lasciato libero il traffico delle granaglie poiché diversamente sarebbe stata ridotta all’estrema mendicità buona parte della popolazione, con pregiudizio dell’ordine pubblico.
I disordini che ogni tanto esplodevano a causa delle intemperanze dei contrabbandieri ed i reiterati reclami provenienti da diverse parti, specie dalle località confinarie, avevano in seguito posto le autorità nella necessità di agire.
Dalla corrispondenza che la nostra Municipalità inviò al Forense legale di Prefettura del Dipartimento del Reno il 28 Febbraio 1803 e alla stessa data al Vice prefetto del Distretto di Imola, si nota un allarmato stato d’ animo delle autorità locali per gli arresti eseguiti nelle persone di contrabbandieri. Gli accenti sono drammatici e si usano le espressioni più commoventi per descrivere la desolazione e la miseria delle famiglie colpite ed il pericolo per l’ordine pubblico che poteva nascere dagli arresti e dalla previsione che altri ne potessero seguire. Una lettera venne inoltrata pure al cittadino Prefetto deI Reno, 13 Marzo 1803, con altri e più diffusi dettagli sulla precaria situazione del paese, e le raccomandazioni alla tolleranza si fecero ancor più pressanti.
“Questa Comune di Castel Bolognese – è detto fra l’altro conta nel suo interno una popolazione di milleottocentoottantasette circa individui, i quali compongono quattrocento, e più famiglie. Di queste, sessantacinque vivono col traffico risultante dall’esportazione delle granaglie all’estero…”. “La legge proibitiva del libero commercio fuori Stato ha tolto a questi infelici l’unico mezzo per guadagnarsi il vitto, e li ha piombati in un abisso di desolazione e di mali. Essi non conoscono, e non hanno mai conosciuto altro mestiere che questo, a ciò avvezzi dai suoi genitori e dai suoi più remoti parenti”.. “Per non infrangere una Legge che essi rispettano, perché emanata da un Governo, che amano, ed a cui sono attaccatissimi per genio, e per sistema, potrebbonsi procurare una qualche tratta: ma con quali mezzi? “Dopo avere descritti i vantaggi che tale commercio procurava ad altre categorie, fra le quali quella dei poveri che raccoglievano l’estate la “svernaglia” per i cavalli dei contrabbandieri, prospettava i pericoli di una rivolta che avrebbe potuto costringere gli amministratori a lasciare il loro posto. Proseguiva affermando che “il Governo pontificio conobbe anch’esso l’infelice situazione di questa Comune e sebbene da una vecchia Legge venisse proibita l’esportazione delle granaglie all’estero, pure dovette cedere all’impero delle circostanze e permettere a costoro (2) il trasporto per non vedere distrutta una intera popolazione”. E va ancora avanti con l’informare il cittadino Prefetto del Reno che le granàglie venivano acquistate nel Distretto del Rubicone da dove nei tempi andati ne uscivano circa “diecimilla corbe”. Ricordava pure che in momenti difficili – carestia del 1800 i nostri concittadini avevano esposto anche la loro vita rifornendo Bologna, bloccata dagli austriaci e dagli insorgenti, meritando dal Comitato di Governo il decreto di Benemerito della Patria, avendo gli stessi contrabbandieri composto, essi soli, la gendarmeria bolognese (3).
Difesa migliore non poteva essere fatta, e così reiterata, anche verso la minore autorità, pur sempre valida, del Vice prefetto del Distretto del Senio, il 18 Marzo 1803. In essa si riassumevano i motivi sopraccennati, insistendo sulla miseria dei “trecentoquarantacinque individui componenti sessantacinque famiglie” e chiedendo l’autorizzazione ad inviare al Prefetto due “deputati” per prospettare a viva voce la difficile e pericolosa situazione. Ne seguì un’altra indirizzata al cittadino Prefetto del Rubicone e al Regolatore di Finanza del Rubicone – 25 Marzo 1803 – per implorare protezione e soccorso, ripetendo le benemerenze di “questi infelici “. Uguali raccomandazioni vennero inoltrate all’avvocato Baldini per interessarlo ai diversi processi di Forlì e di Brisighella.
Una schiarita fra tante tenebre apparve con la “scarcerazione seguita nel Rubicone (…) dei nostri contrabbandieri” che “ha prodotto un ottimo effetto”.
A questo proposito la Municipalità spediva al cittadino Luogotenente legale di Prefettura, e Commissario presso il Tribunale del Reno – 19 Aprile 1803 – una missiva per “implorare l’autorevole mediazione onde sia mantenuta la buona armonia che regna attualmente tra gli abitanti di Castel Bolognese e quelli di Brisighella”. Che questa armonia si rendesse ormai, e da tempo, necessaria ce lo confermano i continui reclami presentati dai brisighellesi a causa del contegno a dir poco intollerabile dei “mulattieri ” di Castel Bolognese i quali, armati di tut-to punto, nel portarsi in Toscana con le gra-naglie e con il bestiame, investivano quei cittadini con contumelie, bastonature e sassate. Ciò avveniva prima e durante l’occupazione francese ed ogni tentativo di porre freno a queste prepotenze era riuscito sempre vano.
I brisighellesi avevano provato ad opporsi con alcuni soldati ma ci sarebbe voluto un esercito considerati i tanti sentieri e passi attraverso i quali i contrabbandieri potevano introdursi ugualmente oltre il confine. Si continuò a scrivere alla Municipalità nostra, al governo dell’Emilia in Bologna, a Faenza ottenendo in risposta solo buone parole mentre non cessavano gli insulti e le bastonature non solo a Brisighella, ma anche lungo la strada che conduceva a Faenza. Quella popolazione ricordava ancora un episodio avvenuto nel 1749 quando una notte un buon numero di contrabbandieri si dirigeva verso la Toscana. Costoro, arrivati a Pontelungo, vennero sorpresi da un forte temporale, per cui si fecero aprire una piccola chiesa, ove si venerava la Madonna dell’ Annunziata, per trovarvi rifugio insieme ai muli, fino al cessare della bufera. Gli abitanti del luogo furono indignati per questo sacrilegio ma impotenti ad impedirlo. Si consolarono, in seguito, ravvisando il segno di una divina punizione, nelle notizie secondo le quali uno di quei contrabbandieri era morto dopo qualche anno e che un secondo era rimasto ucciso da una coltellata. Finalmente con gli arresti citati, dopo che ancora una volta le autorità brisighellesi si erano rivolte al magistrato di Forlì, le vessazioni e le violenze ebbero fine.
Così finirono anche le angustie della popolazione ed i timori delle nostre autorità municipali sorti la notte del 28 Febbraio 1803 quando si verificarono alcuni arresti di contrabbandieri, mentre altri erano fuggiti per timore di essere presi, nonostante avessero il permesso della Regolatoria di Finanza del Rubicone di trasportare granaglie in Toscana. Il contrabbando, certo, non cessò ed ancora nel 1835 si ha notizia di editti e di notificazioni a questo proposito. La cronaca narra, anzi, che il 23 Settembre 1840, in una località fra Casola e Tossignano, mentre i contrabbandieri attendevano gli spalloni che percorrevano i sentieri dell’ Appennino tosco-romagnolo, furono sorpresi dai finanzieri. Ne venne uno scontro a fuoco, ma disgrazia volle che un nostro concittadino, Domenico Mondini, persona onesta e benvolura, trovatosi colà per caso perché cacciatore, venisse coinvolto nella sparatoria e, proprio lui, restasse ferito tanto gravemente da morirne in seguito, fra il compianto di tutti.
Solo con l’unità d’Italia e la conseguente scomparsa di ogni confine interno, cessarono i traffici illegali ed i contrabbandieri, le cui file erano venute assottigliandosi, senza dubbio, cambiarono mestiere.
Pietro Costa
tratto da “La Piè”, n. 3, 1969, pp. 105-109
(1) A causa di una serie di tali delitti la polizia papale, nel 1786, arrestò una ventina di contrabbandieri che operavano ai confini del Montefeltro. Alcuni di essi vennero condannati alla forca, poscia decapitati e posti in mostra al pubblico. Fra questi vi era Giovanni Baldrati di Vincenzo, detto Tremone, di Castel Bolognese. Cfr. Antonio Mambelli, Alcune note intorno a Castel Bolognese e al suo distacco dalla Legazione di Bologna, in Studi Romagnoli, vol. XIV-1963.
(2) In questa occasione, ed in altre, si evita di scrivere la parola “contrabbandiere”, tanto che la parola stessa scritta nella minuta viene poi cancellata e sostituita da altra.
(3) Si era arrivati al punto che il mestiere di contrabbandiere era riconosciuto anche negli atti pubblici, tanto che, ad esempio, venne rilasciato un documento a Francesco Panazza di Castel Bolognese, di professione contrabbandiere.
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