Le cruente lotte tra sbirri e contrabbandieri nella Castel Bolognese del XVII secolo
Col passare del tempo, la storia dei contrabbandieri di Castel Bolognese si è velata di leggenda; le imprese dell’Umazz, del Faichett e di Faina al Ponte delle Grazie di Faenza, raccontate da Ubaldo Galli, sono ormai una bella storia che risalta il valore ed il coraggio di questi furbi briganti e ridicolizza l’ordine costituito. Eppure la devozione di questi uomini rudi all’immagine della B. V. della Concezione conservata nella chiesa di San Francesco, che elessero come loro protettrice financo a donarLe un manto, sicuramente il più bello e prezioso dei tanti conservati, ci nutre un sentimento d’indulgenza nei loro confronti: fuorilegge sì, ma tutto sommato buoni Cristiani. Non dimenticando le lotte, i vituperi, gl’insulti, le parolacce le contumelie che essi facevano ai Castellani e tra loro stessi per ottenere un posto durante il trasporto a spalla della Statua della Madonna…
In qualsiasi caso, se andiamo a fondo della vicenda, che si protrasse per più secoli a Castel Bolognese, dobbiamo affermare che i Contrabbandieri altro non erano che malviventi, facili a venire alle armi e spesso dediti all’assassinio per coprire i propri loschi traffici. Ne sono prova i documenti che andremo più oltre ad esaminare. Occorre, comunque, introdurre qualche notizia sul perché queste bande si formarono proprio a Castel Bolognese.
Le ragioni del Contrabbando a Castel Bolognese
La costruzione di Castel Bolognese, enclave Bolognese in terra di Romagna, lontana dalla madre-patria e con obiettive difficoltà di comunicazione, indusse il Senato Bolognese, dopo pochi anni, a concedere al nuovo Castello una serie di benefici fiscali ed agevolazioni al commercio al fine di promuoverne lo sviluppo economico. Già nel 1432 il governatore di Bologna Fantino Dandolo esentò dal pagamento di un pedaggio gli uomini di Castel Bolognese in premio della loro costante obbedienza alla città di Bologna. Vi era pure l’esenzione della gabella per il sale, poiché ogni anno la Comunità castellana poteva ritirare dalle saline di Cervia senza sottostare al pagamento della prescritta tassa di prelevamento, duecento sacchi di sale di 360 libbre per ciascuno e cioè per una complessiva quantità annua di sale di libbre 72.000. Un altro speciale privilegio consisteva nella facilitazione, concessa agli uomini ed ai mercanti di Castel Bolognese, di poter portare i loro frumenti, le loro biade ed altre cose, in Bologna, potendovi anche esercitarne il loro commercio, favoriti da certi riguardi e da certe concessioni, che non godevano i mercanti di altri luoghi. Protetti da leggi e da decreti senatorii, i mercanti castellani avevano di conseguenza impiantato un monopolio sulla piazza di Bologna; essi, conseguentemente, non temevano troppo la concorrenza di altri commercianti che, pagando tasse non pagate da loro, dovevano vendere le loro granaglie e le loro merci ad un prezzo maggiore di quello che potevano fare i Castellani. Il commercio con la madre-patria era dunque fiorente.
Bologna era una grande città, resa ancor più popolosa dai tanti studenti che ne frequentavano l’illustre Università; di conseguenza il fabbisogno di generi alimentari, masserizie e merci varie era notevole ed in continuo aumento. A poco servivano le merci, assai economiche per i bolognesi, prodotte e vendute dai castellani. Nacque così, da parte di questi ultimi, al fine di soddisfare la crescente domanda, la necessità di aumentare l’offerta di merce sempre però da offrire a basso prezzo e, naturalmente, esentasse. Non rimaneva che la strada del contrabbando.
Esso fu favorito, inoltre, dalla felice posizione geografica in cui Castel Bolognese fu costruito. Se si traccia un cerchio dal suo centro, di raggio pari alla distanza con Bologna, cioè 42 chilometri, si può osservare quali e quanti mercati, porti, terre, monti e vallate, vengano inclusi: città e mercati quali Imola, Faenza, Ravenna, Forlì, Cesena, Lugo; porti quali Ravenna, Cervia, Cesenatico; le saline di Cervia; i contrafforti dell’Appennino cioè la Toscana. Non si dimentichi che sino al 1923 la provincia di Firenze (e prima ancora il Governo Granducale) valicava l’Appennino con la regione della Romagna Toscana che scendeva verso la pianura sino a Modigliana, Terra del Sole, Galeata, confini tutti posti a poche ore di mulattiera da Castel Bolognese. Così pure Ferrara e la Repubblica Veneta non erano a grandissima distanza. Bologna dapprima tollerò, probabilmente attratta dall’abbondanza e dai bassi prezzi della merce offerta dai Castellani che spesso scongiurarono la carestia in città nel sec. XVI, poi passò alla repressione con assai scarsi risultati, tant’è che il Governo Pontificio non riuscì mai a debellare il contrabbando castellano né con la forza, né con il famoso Motu Proprio di Pio VI del 15 giugno 1794 che distaccò il territorio di Castel Bolognese dalla Legazione di Bologna annettendolo a quello di Ravenna, privandolo di tutti i benefici che nel corso dei secoli la madre-patria gli aveva concesso. Il fenomeno del contrabbando castellano si spense solamente nella seconda metà dell’800 con l’unità d’Italia e l’unificazione dei mercati.
I contrabbandieri di Castel Bolognese
Ma chi erano questi contrabbandieri? La fantasia popolare, raccolta da Ubaldo Galli, ci racconta che per colonizzare il nuovo Castello, Bologna non si fece scrupoli di mandarvi anche condannati e pregiudicati che, col tempo, si sarebbero poi riciclati nell’organizzazione e nella gestione del contrabbando. La cosa non è verificata né verificabile; tuttavia è pur vero che i contrabbandieri, così come gli ebrei, non si mescolarono mai con la rimanente popolazione castellana restando una comunità a parte: parlavano un dialetto con voci differenti dal castellano popolaresco, si notavano nel vestire, particolarmente le donne per i loro vestiti dai colori sgargianti. Abitavano tutti nella Contrada dei Contrabbandieri oggi Via Borghesi, a ridosso delle mura di levante a monte della via Emilia; la strada di retro era la Contrada degli Ebrei oggi via Morini. Come combinassero persone così diverse è un mistero. Forse c’entravano i cambi delle monete che i contrabbandieri adoperavano nei loro viaggi.
Pur è difficile farne un censimento. Se nel Motu Proprio di Pio VI, già citato, si parla di “buona parte degli abitanti di Castel Bolognese” dediti agli illeciti traffici, l’Emiliani, forse per orgoglio cittadino, si affretta a sostenere “che non erano molti,e tanto meno poi era allora il contrabbando, e non lo fu poi mai, un vizio, un peccato, comuni alla grandissima maggioranza degli abitanti di Castel Bolognese”. Pochi, sicuramente no. Al famoso scontro del Ponte delle Grazie di Faenza vi erano in convoglio oltre cinquanta contrabbandieri; l’occupare un’intera strada ci induce a pensare ad almeno 80, 120 uomini ad altrettante donne ed a un nugolo di figli; potremmo con buon approssimazione stimarli in una comunità di circa 300 persone che in un centro di poco più di duemila abitanti è circa il 15% della popolazione. Notizie in merito si ricavano da una lettera scritta dal Podestà di Castel Bolognese al Prefetto del Reno il 13 marzo 1803 in pieno regime napoleonico. Vi si legge che “Questa Comune conta nel suo interno una popolazione di 1887 circa individui, i quali compongono quattrocento, e più famiglie. Di queste, sessantacinque vivono col traffico risultante dall’esportazione di granaglie all’estero”.
Abbiamo sopra parlato di donne, mogli di contrabbandieri: anche loro avevano un importantissimo ruolo negli illeciti traffici. Esse, ci racconta Ubaldo Galli “avevano certamente una funzione di primo piano nell’organizzazione, se osserviamo che erano loro, oltre che mandare avanti la casa e governare i figli, a badare pure agli affari quando gli uomini erano lontani. Non è un parto dell’immaginazione pensare che siano state loro a trasformare l’allevamento delle oche ed il commercio del piumino in una forma para-industriale per quanto lo permettevano i tempi. Dato che abitavano a contatto colle mura era possibile, a loro, portare i branchi delle oche nel fossato intorno pieno d’acqua in tutte le stagioni e avere l’acqua per i bisogni degli animali”. Ed è ancora Ubaldo Galli a ricordare che Gesualda, ultima donna di razza contrabbandiera, vissuta e morta nella “contrada”, fino all’ultimo della sua vita allevò e commerciò oche.
Ecco come Giovanni Emiliani descrive il lavoro dei nostri Contrabbandieri: “essi esercitavano il loro illecito mestiere su larga scala, per usare una frase comune, e lo esercitavano anche arditamente e non curandosi troppo delle numerose squadre di finanzieri, che continuamente davano loro la caccia. Col pretesto di doverla portare a Bologna, che, ripetiamo, quando si trovava in penuria di granaglie, invitava sempre i commercianti castellani a portargliene, e tale invito veniva fatto spesso ai nostri bisnonni anche dalle stesse bolognesi Autorità Cittadine e Governative, con simile pretesto, diciamo, raccoglievano moltissimo grano sui territori dai limitrofi e vicini Comuni; quindi, piuttosto che portarlo tutto in Bologna, dove potevano venderlo senza sottostare a Dazi di sorta alcuna, ne trasportavano una gran parte nella Toscana ed in altre Regioni, tenendo vie indirette, e sottraendosi per tal modo ai Dazi di Confine. Poi da questi luoghi trasportavano furtivamente, e sempre per vie nascoste ed impraticate, ogni sorta di oggetti commerciabili, e specialmente panni, tele e seterie, soggetti naturalmente al Dazio d’importazione, che essi contrabbandieri si risparmiavano e nascostamente ed abilmente vendevano tutti questi oggetti o in Bologna, o in Ferrara, o in altre Città della Romagna, ed anche fuori dello Stato Pontificio”.
Le lotte tra sbirri e contrabbandieri nel sec. XVII
Sfogliando i volumi del registro dei morti della Parrocchia si ha la fortuna d’imbattersi nelle chiare e precise annotazioni fatte dapprima dall’Arciprete Giovanni Ginnasi (1606-1652) poi dall’Arciprete Francesco Caglia (1653–1678) e dall’Arciprete Pier Carlo Guarini (1678–1694) che riportano sempre la causa della morte. Si scopre così che a quell’epoca morire per colpi d’arma bianca o da fuoco a Castel Bolognese era frequente e che, pertanto, si viveva in un perenne stato d’assedio per i contrasti di forze tra guardie e contrabbandieri. Tutto sommato si può affermare che oggi Castel Bolognese è una città più tranquilla di 250 anni fa. A nulla servirono i bandi dei Legati Pontifici per proibire l’ingresso in città e la detenzione di armi da fuoco ed archibugi, che pure minacciavano pene severe per i trasgressori; era troppo alto l’interesse dei Contrabbandieri per il buon andamento dei loro traffici perché potessero essere spaventati dai bandi pontifici.
Leggiamo dunque il triste resoconto di questa cronaca nera del XVII secolo.
“Adì 24 marzo 1650 – Giovanni Trari sbirro di questo nostro Castello morse senza sacramenti di morte violenta cioè d’archibugiata alli 23 et fu sepolto nella chiesa di S. Petronio.”
“Adì 21 febraro 1653 – Furno amazati nel hosteria di là dal canale Giacomo del Re detto il Grippa et il figliolo Paolo e furono portati nelle prigioni e poi furno sepolti nel cimiterio di S. Petronio.”
“Adì 4 marzo 1654 – Giovanni detto Casetto, contrabandiero, essendo stato ferito in capo al molino d’Imola d’archibugiata portato nel spedale, confessato e comunicato e ricetto l’olio santo morse e fu sepolto nel cimitero di S. Petronio.”
“Adì 13 novembre 1683 – Sig. Tomaso Zotti figliolo del Sig. Alessandro Zotti e della Sig.ra Madalena Erani d’anni 35 in circa percosso da un archibugiata doppo otto giorni morse avendo ricevuto tutti i ss.mi Sacramenti, Penitenza, Sacro Viatico, et Estrema Unzione, e fu sepolto nella Chiesa de PP. Minori di S. Francesco nella sua propria arca.”
“Adì 22 ottobre 1684 – Giovanni Querzola sbirro di questo Castello d’anni 26 in circa ha le 4 ore di notte percosso d’un archibugiata morse senza potere ricevere alcun sacramento, perché dopo ricevuta la botta morse come si suol dire in aria e fu sepolto nel Cemeterio di S. Petronio di detto Castello doppo 2 giorni. Gratis. Item nella stessa medesima notte Pietro detto Il Fiorentino pure egli sbirro d’anni 30 in circa percosso egli mortalmente d’un’archibugiata vicino al pozzo della Chiesa stessa passò da questa all’altra vita avendo ricevuto il Sacramento della penitenza dal Sig. Rev. don Carolo Gotterelli e fu ancor egli doppo 2 giorni sepolto nel Cemeterio di S.Petronio di detto Castello. Item nella medesima notte Andrea Morsiani detto vulgo Magnolivo d’anni 38 in circa fra le 4 hore di notte percosso è da un’archibugiata e molti colpi di pugnale ricevuti sotto il portico delle Suore di S. Agostino, avendo ancor egli ricevuta dal Sig. Rev.do Pier Carlo Guarini Arciprete l’assoluzione doppo un hora fu portato in prigione et ivi finì miseramente i suoi giorni, e doppo 2 giorni fù sepolto gratis nel Cimiterio di S. Petronio di detto Castello. Item nella medesima notte fù colpito da una palla nella schiena per disgrazia Domenico Fantozzi figlio di Domenico Fantozzi detto Il Cieco e di Gentile Menni, avendo ricevuti li SS.mi Sacramenti cioè Penitenza, Sacro Viatico er Estrema Unzione passò da questa a miglior vita alli 25 suddetto mese e fù sepolto nella Chiesa di S. Petronio. Gratis.”
“Adì 12 marzo 1685 – Il Sig. Benedetto Rovetti d’anni 26 in circa percosso adì 11 detto d’archibugiata morse avendo prima ricevuto il Sacramento della Penitenza, e fu sepolto il giorno seguente nella Chiesa dei RR. PP. Minori Convenutali di San Francesco.”
“Adì 16 di ottobre 1686 – Domenico di anni 17 figlio di Domenico Lanconelli, et di Laura sua moglie fu ucciso con un pugnale del Borgho di notte tempo e fù sepolto nel Cimiterio di San Petronio di Castel Bolognese gratis avendo ricevuto solamente il Sacramento della Penitenza dal Rev.do Sig. Don Domenico Bersani Sacerdote di questo Castello.”
“Adì 26 dicembre 1686 – Antonio Renzi di anni 40 in circa essendo stato colpito di notte tempo con un archibugiata morse, avendo ricevuto il Sacramento della Penitenza et Estrema Unzione, e fù sepolto nel Cimitero di S. Petronio di Castel Bolognese. Gratis.”
“Adì 31 dicembre 1686 – Benedetto de Christofari figlio del già Antonio Maria de Christofari d’anni 32 in circa fù ferito con una archibugiata nelle Cortazze avendo ricevuto li SS.mi Sacramenti della Chiesa cioè Penitenza, Sacro Viatico et Estrema Unzione morse, e fù sepolto adì 2 genaro 1687 nella Chiesa dei RR. PP. Francescani di detto Castello.”
Paolo Grandi
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