Quatar ciacar s’e’ Pont ‘d Zola
di Andrea Soglia
Era un salotto molto particolare, esauritosi alla fine degli anni ’80, quello de e Pont d’Zola. Io l’ho visto con i miei occhi e non l’ho mai dimenticato, e quando uno dei figli di Pippo ed Pilastar (morto recentemente) me l’ha rammentato, mi è venuta una botta di nostalgia, soprattutto perché tanti dei “salottieri” non ci sono più.
All’incrocio della via Casanola con la via Rezza c’è tuttora un ponticello che consente di attraversare il grande fossato che costeggia la via Casanola per alcuni chilometri. Un fossato soggetto a piene violente in caso di forti piogge, ma che generalmente vedeva o, meglio, sentiva un fiume di chiacchiere, rigorosamente in dialetto, che si alzavano soprattutto nelle sere d’estate: le chiacchiere che si facevano sul Ponte di Zola, che prendeva il nome dalla grande casa colonica che sorge al suo fianco, affacciata sul grande fosso. Per tanti anni il Ponte aveva goduto dell’ombra di un’enorme e bellissima betulla, e quindi anche di giorno poteva capitare di sostare lì a chiacchierare.
Le due spallette in cemento del Ponte erano utilizzate come panchine su cui sedevano le persone che vivevano nei dintorni. E non erano poche.
Naturalmente i primi ad animare il Ponte erano i componenti della famiglia Cani, i Zola, e soprattutto i loro “vecchi”. Ho ancora nelle orecchie la risata particolare di Fina d’Zola (Giuseppe), personaggio molto simpatico e infaticabile agricoltore. Altrettanto simpatico era Tolmito (in italiano Tolmeito), fratello di Fina, del quale però non ho troppi ricordi perché morto all’inizio degli anni ’80: mio padre diceva sempre, però, che aveva la capacità di muovere le orecchie, alla stregua di quello che faceva Stanlio in una delle tante comiche girate assieme ad Ollio, e le risate a crepapelle le strappava anche Tolmito. Per anni mi sono chiesto da dove derivasse quel nome particolare, finché non ho scoperto che in Libia esiste la città di Tolmeita e sono arrivato alla conclusione che c’entrasse la guerra di Libia, che era in corso quando nacque Tolmeito e forse suo padre o un altro familiare l’avevano combattuta. Ricordo con tanto affetto sua moglie Delinda, sempre gentile con i bimbi del vicinato, morta molto anziana e che ho rivisto tante volte in giro per Castello. Un terzo fratello, Pavlì, era già praticamente cieco all’epoca in cui frequentavo il ponte, e spesso rimaneva in casa. I figli di Pavlì e Tolmito partecipavano al salotto, soprattutto Pierino.
E poi c’erano gli abitanti della borgata di 6 case che costeggia la via Casanola, sulla sinistra, subito dopo l’incrocio con la via Rezza. La borgata veniva detta “la Piccola Russia”, come mi ha raccontato Andrea Sagrini che tuttora abita lì. E quindi sul Ponte si riversavano anche loro, a cominciare dai Gadò, che lasciando accesa la luce esterna della loro casa davano anche un po’ di illuminazione al salotto. Gigì, sua madre Maria, suo zio Carlo (che chiamavano Badoglio, ma il motivo non l’ho mai saputo e lui non gradiva nemmeno molto il soprannome) e i giovanissimi della famiglia venivano sul Ponte. Poi uno dei più assidui era Lucio Sagrini, nonno di Andrea, altra persona che ricordo con affetto per la sua enorme simpatia. Quando veniva a trovarci nella casa dei miei nonni, gli leggevo le barzellette di Gino Bramieri da un vecchio libro e lui, che era quasi cieco, rideva con un gusto che non ho mai più sentito. Leggendaria la sua gag che raccontava spesso, ossia quella di voler fare i “cosp” (gli zoccoli) con mezzi gusci di noce per le zampine della sua gatta Pirisghì (l’altra si chiamava Fufa), in modo tale che si potesse difendere dai rigori dell’inverno. Suo figlio Rino, che per fortuna c’è ancora, ha ereditato da lui il gusto per la battuta e naturalmente partecipava anche lui al ponte, assieme agli altri “piccoli russi”, fra cui “Gigiaza” e Liliana, a cui mia mamma ha continuato a fare visita per tantissimi anni.
E poi c’eravamo anche noi, quando d’estate si faceva tardi in campagna nella casa dei nonni, che tuttora, seppur malmessa, si trova in fondo alla stradina che si prende a sinistra dell’incrocio del ponte.
Non mancavano al salotto i Carampà, che abitavano più in là in via Rezza nella casa detta “del Patater” ma si erano portati dietro il soprannome del podere dove vivevano in precedenza e che ora hanno costruito la nuova casa a due passi dal ponte. E naturalmente si spingevano fino al Ponte gli abitanti dal “Quatar cà”, quelle dell’incrocio più verso Castel Bolognese fra le vie Casanola, Gradasso e Farosi: i Pilastar, i Gambarò, i Gatera.
E poi si aggregavano saltuariamente coloro che transitavano da via Casanola a cui, immancabilmente, si dava “la baia”, visto che ci si conosceva tutti. E fra i tanti che si fermarono almeno una volta al Ponte, pare che ci sia stato anche il grande politico Benigno Zaccagnini.
I Zola si trasferirono poi a Castel Bolognese e il ponte, man mano, si spopolò e perse anche la sua ombra, quando la betulla fu abbattuta non senza rammarico di diverse persone…
Altri tempi, quelli in cui bastavano due spallette di cemento per aggregare allegramente tante persone… Impossibile, per chi li ha vissuti, non averne nostalgia…
“Bôna!”, come diceva Fina quando a sera tarda si alzava dal Ponte e andava a dormire.
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