Quando c’era il servizio opinioni della RAI…
Dopo l’avvio dei programmi televisivi nel 1954, la RAI (acronimo di Radio Audizioni Italiane, società che successe alla fascista EIAR nel 1946 e che proprio nel 1954 si trasformò in RAI – Radiotelevisione Italiana) impiantò al proprio interno un servizio opinioni per avere un ritorno sulla qualità e la quantità di ascolti nel Paese, specie per i costosi programmi televisivi. Per questo motivo la RAI nella primavera del 1958 pubblicò un bando per la ricerca di intervistatori part-time in molti Comuni italiani, tra i quali Castel Bolognese, cui rispose mio padre Tristano Grandi che iniziò il suo incarico nell’ottobre dello stesso anno, pochi giorni prima della mia nascita. Sempre dal 1958 fin verso la fine degli anni ’70 si alternò con lui nel ruolo di intervistatore, ogni 15 giorni, il maestro Sergio Zurlo.
Il sistema era semplice, seppur rudimentale, ma efficace tanto che, senza troppi cambiamenti, ha resistito per quasi quarant’anni: sulla base di un elenco di maggiorenni, maschi e femmine, scelti annualmente con determinati criteri dettati dalla RAI all’anagrafe comunale, il babbo riceveva ogni quindici giorni una lista di 60 nominativi, 30 maschi e 30 femmine che nei successivi 15 giorni avrebbe dovuto contattare in numero di 2 maschi e 2 femmine al giorno. A lui era lasciata la scelta di organizzarsi su chi intervistare prima o dopo nelle varie giornate, anche perché, almeno fino alla metà degli anni ’60, in casa nostra non c’era l’automobile e pertanto i giri in campagna, anche quelli impegnativi sulle colline di Serra e Campiano erano fatti tutti dal babbo in bicicletta (..ma era stato Tenente dei Bersaglieri!) in qualsiasi stagione. Ragione per cui magari i più lontani erano raggiunti in giornate col tempo più clemente, specie d’inverno, lasciando le interviste nel paese alle giornate più rigide o con la pioggia o nelle quali altri impegni scolastici lo occupavano. Per ogni intervista il babbo riceveva un compenso e, quando si motorizzò, anche il compenso chilometrico per le trasferte in campagna, nonché l’abbonamento gratuito al “Radiocorriere-TV” che in tutti quegli anni non è mai mancato in casa nostra assieme al settimanale “La Domenica del Corriere” prima ed “Oggi” poi.
L’intervista era abbastanza breve e richiedeva pochi minuti: una prima parte riguardava l’attività svolta nel giorno precedente dall’intervistato (dormire, lavorare, mangiare ecc.) e su questa veniva modulata la richiesta di specificare se avesse ascoltato la radio o avesse visto la televisione, in quali ore e quali canali. La seconda parte dell’intervista verteva sui gradimenti dei programmi radiofonici e televisivi, la terza riguardava la proprietà di apparecchi radiofonici e/o televisivi, elettrodomestici ed altro, mentre l’ultima parte era prettamente statistica sull’intervistato ed il suo nucleo familiare. Nei primi anni esse venivano raccolte in enormi fogli bianchi che a metà degli anni ’70 furono sostituiti da una modulistica oblunga, stampata in rosso e piena di caselle rotonde e quadrate che occorreva riempire con la biro: i risultati infatti all’inizio erano raccolti manualmente dalla RAI, mentre dopo subentrò una lettura ottica. Al termine dell’incarico quindicinale il babbo riuniva tutti i moduli compilati delle interviste fatte e li spediva alla RAI con “espresso” che spesso assieme andavamo ad imbucare direttamente in stazione, la domenica sera, al treno delle 22.30 nella apposita carrozza postale, vero e proprio ufficio postale ambulante che faceva servizio pubblico da Ancona a Bologna. Con il passare del tempo e l’aumento dei canali radio e televisivi quei moduli si fecero sempre più complessi e inclusero anche i dati relativi all’ascolto di TV e radio libere: qui da noi si vedeva la famosa “Tele Capodistria” che trasmetteva in lingua italiana e (scandalo!!) anche film osè nella notte.
Alcune volte, sia in bicicletta che con l’automobile, seguivo il babbo nel suo peregrinare; si pensi che fino alla metà degli anni ’70 una vasta zona della Serra era ancora priva di corrente elettrica e lì le radio (chi l’aveva) erano a pile. Nelle case di campagna, ove ancora erano molte le famiglie coloniche, l’arrivo del babbo, conosciuto da tutti anche per il suo lavoro di insegnante, era spesso una festa: non mancavano a volte il vino e gli zuccherini fatti in casa, anche perché di solito il dopo intervista si trasformava in una serie di richieste al babbo, vuoi perché magari era capitato nella casa di un suo scolaro, oppure perché gli venivano chiesti chiarimenti sul pagamento del canone televisivo ed altro. In paese, con famiglie più ristrette, l’accoglienza era sempre calorosa, ma diversa. Poi arrivò l’immigrazione, ed entrare nelle case si fece man mano sempre più difficile. Non mancarono gli incidenti: nella sua lettera di dimissioni il babbo ricorda “due morsi di cane: uno ad un polpaccio nella gamba sinistra, l’altro all’avambraccio sinistro, oltre a qualche vestito strappato” tuttavia egli afferma che “un importante aspetto positivo di questo lavoro è stato quello che mi ha permesso di entrare in contatto con tutte le realtà sociali del mio paese, mi ha permesso di visitare tuguri dove la miseria e anche la limitata igiene imperavano, così come in ville dove tutto manifestava splendore e ricchezza.” E prosegue: “un episodio mi è rimasto impresso in modo particolare: un giorno entrai in una casa che, vista dall’esterno, era sufficientemente accogliente e cercavo un componente di quella famiglia che abitava una stanza a pian terreno: erano imigrati dal meridione. Pochi arredi adornavano la stanza, c’era una tavola illuminata da una fioca luce a petrolio, attorno alla tavola una decina di persone: vecchi, giovani, bambini; tre generazioni. Sulla tavola una grande padella dalla quale ogni persona prelevava un po’ di cibo, lo portava alla bocca con la forchetta, unico piatto per tutta la famiglia riunita per la cena“.
Poi la necessità di avere sempre più in fretta informazioni sul gradimento dei programmi si fece pressante con l’arrivo delle TV commerciali. La RAI quindi d’un canto mantenne il servizio opinioni, ma richiese dai suoi intervistatori notizie più “fresche”; per questo motivo il babbo iniziò a trasmettere telefonicamente ogni sera, tra le 20 e le 21, i risultati delle interviste svolte nella giornata, poi arrivò nel 1988 un primitivo computer per la trasmissione telematica degli esiti. Dall’altro canto, la RAI sperimentò un marchingegno che, collegato alla TV di casa, e personalizzato per ogni componente di quella famiglia, raccoglieva in tempo reale e trasferiva a Viale Mazzini le notizie sui programmi visti nella giornata, insomma il babbo dell’AUDITEL.
Nel 1989, anche a causa di alcuni inasprimenti fiscali su questi lavori part-time, il babbo decise di rassegnare le dimissioni a partire dal 1° novembre di quell’anno. Gli successe per un breve periodo Luigi Simoni, ma già nel 1994 il meccanismo delle interviste era tramontato ed aveva lasciato il posto totalmente all’AUDITEL che tuttora imperversa e regna sovrano ed inappellabile sui destini dei programmi televisivi.
Il babbo, con orgoglio, ha potuto lavorare col “nonno” dell’AUDITEL per ben 36 anni ed ha sempre conservato di quell’impegno un graditissimo ricordo considerandolo sempre una matura ed edificante esperienza.
Paolo Grandi
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, Quando c’era il servizio opinioni della RAI…, in https://www.castelbolognese.org
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