La porzione del frate

Accadeva in tante case delle nostre campagne…

di Paolo Grandi

La tipica figura del frate questuante con sacco, borsa e bastone (da un ritaglio di stampa conservato da Pierina Martelli e digitalizzato da Carlo Bruni)

Durante la visita guidata dell’1 maggio 2021 al Convento dei Cappuccini ho ricordato la figura del frate questuante o, come tutti lo apostrofavano “il frate cercone”. Egli era presente in tutti i conventi, poiché di elemosina, oltre che dei frutti della terra che il loro orto poteva offrire, vivevano i Cappuccini. E quella elemosina non era solo per loro, ma anche per i poveri che bussavano al loro convento o che il “cercone” incontrava nel suo quotidiano vagare.
Si trattava quasi sempre di frati laici, che quindi non avevano l’obbligo di celebrare la Messa quotidiana e perciò potevano uscire e restare lontani dal convento fino al tramonto; sacco in spalla, iniziavano presto il loro vagare, a piedi, in bicicletta specie in pianura o accompagnati da un animale da soma, più raramente o quando sapevano di poter raccogliere un abbondante “bottino”.
A questo punto lascio la parola a mio suocero Paolo che, pur essendo nato e cresciuto a Casola Valsenio, precisamente nella valle della Cestina in parrocchia di Trario, racconta episodi di vita quotidiana che si svolgevano identici in tutte le nostre campagne.
“Pareva lo sapesse… trebbiavi e spuntava il frate, vendemmiavi, ed il frate era lì, raccoglievi i marroni e arrivava il frate! Noi vivevamo a Granara, una casa posta sul versante del rio che attraversa Mercatale, ma per raggiungerla occorreva salire dalla valle della Cestina fino alla casa chiamata “la Collina” e da lì scendere una ripida carrareccia per alcune centinaia di metri. Eravamo in tanti, dodici figli, babbo, mamma, nonni, zio e poi c’era sempre qualche bracciante; forse complice la buona cucina, chissà perché il frate “cercone” arrivava a casa nostra sempre verso mezzogiorno. “Vi volete fermare a pranzo?” era la domanda di cortesia “Mah, se non disturbo…” rispondeva il frate; “Via, rimanete con noi, si condivide ciò che c’è”, insisteva il capo famiglia “Sì, va bene, ma non disturbatevi per me…” ribatteva il cappuccino.
Nel frattempo, le “arzdore” di casa aggiungevano una sedia e un piatto (…. se c’era avanzato…) attorno alla grande tavola e ultimavano la preparazione del pasto, mai abbondante e sempre a misura del numero dei commensali (cioè frate escluso…). Per gesto di cortesia la pentola piena veniva offerta all’ospite il quale la rifiutava “no, no, io mangio quello che avanza … prendete voi e fate come se non ci fossi…!” A questo punto ogni commensale si tratteneva nella quantità (..peraltro mai abbondante in quella casa!) di pietanza da versare nel proprio piatto perché qualcosa rimanesse al frate. Così, concluso il giro, al “povero” cappuccino restava la porzione più abbondante nel fondo della pentola ove s’annida sempre la gran parte del condimento: ecco la porzione del frate…!
Terminato il pranzo, satollo, il frate non lesinava la sua benedizione alla casa ed ai suoi abitanti e risaliva la carrareccia per spostarsi altrove o ritornare al convento carico del raccolto.
E alla numerosa famiglia era rimasta, oltre la benedizione, anche un po’ di fame…..

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, La porzione del frate, in https://www.castelbolognese.org

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