La festa di Sant’Antonio Abate alla Pace

La festa più grossa delle nostre campagne ricostruita sui ricordi di Maria Landi

di Paolo Grandi

In tutte le Parrocchie rurali la festa di Sant’Antonio Abate risultava essere particolarmente importante perché legata, dalla tradizione, agli animali ed ai buoni auspici per il futuro raccolto, in un momento di stasi dei lavori agricoli che sarebbero ripartiti di lì a poco: dopo aver esaminato ed interpretato “i segn” che il cielo avrebbe mandato il 25 gennaio, festa della conversione di San Paolo ma per gli agricoltori giorno, appunto, di “San Péval di segn”. D’altronde anche il giorno di Sant’Antonio interrompeva un ciclo stagionale meteorologico avviatosi il lontano 2 dicembre, giorno di Santa Bibiana. “Par Santa Bibiana quaranta dè e una stmana” nel senso che il tempo meteorologico del 2 dicembre sarebbe proseguito, con poche variazioni, fino al 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, sempre che “la Madona u ja vess mess la firma…” ovvero sia che il meteo dell’8 dicembre avesse confermato quello del precedente 2 dicembre. E se fino ad allora il freddo pungente era stato protagonista, soccorreva la certezza dell’altro proverbio: “Sant’Antoni da la gran fardura, San Lurénz da la gran calura, l’ôn e l’eter poch i dura”. Anche se per pronosticare la fine dell’inverno occorreva attendere il 2 febbraio: “Per la santa Candelora o che nevichi o che piova dell’inverno siamo fuora. Se c’è sole o solicello dura ancora un meserello”.
Un appuntamento immancabile per i giorni attorno al 17 gennaio in tutte le case coloniche era l’uccisione del maiale, vero “capro espiatorio” di questa festa: la carne fresca sarebbe stata consumata da lì fino al martedì grasso, gli insaccati si riponevano per la stagionatura, dal cascame bollito uscivano i ciccioli, dal grasso lo strutto, mentre il sangue veniva utilizzato in parte per il ghiotto sanguinaccio, “’e barlengh” dolce tipico di queste giornate e con le ossa si ricavava un brodo ove la pasta fatta in casa dava il meglio di sé.
Questa ricorrenza quindi era sentita nelle famiglie ed in particolare nel nostro territorio la festa più grossa era presso la Parrocchia della Pace. Così ricorda Maria Landi basandosi anche su quanto di quella festa le raccontava sua nonna.
“Il 17 gennaio era veramente festa grossa: arrivava tanta gente a piedi o in bicicletta da Castello, dalle altre Parrocchie ed anche da Faenza. La piccola chiesa era gremita e per la Messa solenne si chiamavano i cantori da Faenza. La chiesa possedeva un modesto organo posto in un grande mobile di legno che al piano del pavimento della chiesa ospitava il confessionale e sopra lo strumento con una piccola ripida scala a chiocciola per raggiungerlo ed una balconata ove prendevano posto l’organista, tre, massimo quatto cantori e l’addetto alle corde del mantice. L’organo infatti non aveva la pompa elettrica per l’aria, ma un uomo forzuto doveva continuamente tirare alternativamente due corde che alzavano il mantice per inviare l’aria alle canne e far finalmente suonare lo strumento. Tutto questo lavorio faceva oscillare l’intero mobile e pensate come si dovevano sentire il Sacerdote che lì sotto confessava ma, soprattutto, il penitente che tra scossoni e rumori pareva farsi preannunciare le pene dell’Inferno….. Le celebrazioni eucaristiche proseguivano nella giornata tra messe “basse”, cioè celebrate senza canti ed anche negli altari laterali della chiesa come era usanza prima del Concilio Vaticano II, e con la solenne Funzione nel pomeriggio.
La preparazione tuttavia si iniziava giorni prima: si nominavano i Priori della festa e costoro passavano nella case a benedire gli animali nelle stalle e a raccogliere offerte. La mia nonna raccontava che un anno i Priori, uno dei quali era il colono del fondo “Gradass”, passando davanti allo spaccio di “Matì de pont” furono presi dalla impellente necessità di fumarsi un sigaro che comprarono sottraendone i soldi dalla borsa delle offerte. Ma la punizione fu solerte perché quella sera stessa la maiala di “Gradass” morì…
La festa popolare iniziava nel pomeriggio. Mentre il Parroco organizzava in Canonica il pranzo della festa al quale erano invitati i sacerdoti che avevano celebrato, i cantori, i musicanti e i Priori oltre ad amici e parenti, tanto che nell’occasione arrivavano da Faenza i cuochi per cucinarvi le pietanze, anche nelle case si festeggiava con i parenti venuti da fuori. Proprio in una di queste feste la mia nonna, che ha sempre servito in Canonica, imparò dai cuochi professionisti la ricetta degli “uccellini scapati” che ho proposto nel ricettario castellano.
Come dicevo, nel pomeriggio iniziava la festa popolare: in tutte le case si offriva ai passanti vino, ciambella e ravioli e non erano pochi coloro che affrontavano il lungo peregrinare di casa in casa per poi giungere la sera alla propria dimora ubriachi zigzagando per la Via Emilia, sicuramente molto più sgombra di traffico! Più tardi negli anni, diciamo verso gli anni ’30 del secolo scorso, arrivava da Castello la “Perecotte” a vendere brustolini, carrube, frutta secca e, naturalmente, le pere … cotte!
Nel dopoguerra la festa riprese anche se con tutte le difficoltà legate alla ricostruzione. Don Zannoni intanto aveva ricostituito la Corale della Pace che animava la Messa e la Funzione solenni e la Banda che invece intratteneva sul sagrato i festaioli. Un nipote di don Zannoni, da un tronco, ricavò la statua di Sant’Antonio Abate che tuttora si trova in chiesa, la quale è senza il maialino che campeggia in ogni iconografia del Santo perché la dimensione del legno non ne permetteva la realizzazione. Continuava, esaurendosi nel giro forse dei due successivi decenni, l’usanza di offrire nelle case vino, ciambella e ravioli ai passanti; invece, a partire dai primi anni cinquanta, iniziò la tradizione della lotteria ove nei primi anni molti premi erano costituiti da animali, tanto che un anno assieme a Lindo vincemmo due pavoni. E non vi racconto ciò che successe dopo a casa tra la sistemazione in spazi angusti di questi poveri animali che anche di notte facevano il loro sguaiato verso; con Anna, ancora bambina che li desiderava quali compagni ed infine la decisione di portarli da nostri parenti in campagna per far vivere meglio loro e noi.”

E quanto fosse importante la festa di Sant’Antonio alla Pace lo racconta anche il mio babbo Tristano nel libro: “Il servizio di Pronto Soccorso a Castel Bolognese 1944-1945”:
“Il 17 gennaio, in tempo normale, la Parrocchia della Pace era in festa grande: la festa di Sant’Antonio. Tanti Castellani vi si recavano ed io ricordo quel giorno come una delle attrattive caratteristiche locali. La data infatti non sfuggì all’anziano Luigi Rambelli, soprannominato “Ciulé”, ricoverato nell’Ospizio Cronici, originario di quella Parrocchia. Quel pomeriggio la Superiora era disperata perché “Ciulé” era scomparso. La sera, finalmente, si rivide. Alle insistenti domande della Superiora che desiderava sapere dove avesse trascorso il pomeriggio, rispose candidamente nel suo inconfondibile dialetto romagnolo: “Dove sono andato? Sono andato alla festa della Pace, ma non c’era nessuno.” Inutili furono le domande per avere chiarimenti, specie da parte mia e di Biancini che, nello stesso pomeriggio, avevamo vissuto un’avventura tanto burrascosa (1). “Ciulé” non disse altro. (…) Pensandoci bene, la strada da lui percorsa era molto più vicina alla linea del fronte della nostra: in alcuni tratti la costeggiava a distanza di pochi metri ma era, indubbiamente, più defilata.”

Oggi la festa di Sant’Antonio alla Pace continua con una sua sobria solennità: trasportata alla domenica più vicina al 17 gennaio vede comunque la celebrazione della Santa Messa con la partecipazione della Corale di San Petronio e Pace che esegue per l’occasione canti tradizionali in onore del Santo; ne segue un piccolo rinfresco offerto dai Priori nel cortile della canonica a tutti i partecipanti, momento nel quale inizia la vendita dei biglietti della lotteria, la cui estrazione avviene nel pomeriggio, dopo la Funzione in onore del Santo, all’interno del teatro parrocchiale. La partecipazione popolare è notevole ed occorre per questo ringraziare sia i tanti Parrocchiani che si impegnano a tener viva questa antica tradizione sia il parroco don Marco che ne appoggia l’attività, convinto anch’egli che queste feste siano una linfa vitale per l’identità di queste Comunità.

(1) Recatisi al fondo “Braghitona”, alla Pace, per soccorrere il colono Giacomo Ferniani, furono duramente attaccati in via Zanelli dall’artiglieria alleata ed ebbero il loro da fare per trasportare il ferito all’Ospedale.

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