Cinquant’anni di trenini

di Paolo Grandi

Il prologo

Estate 1974; siamo in tre amici sedicenni comodi sul dondolo a programmare che cosa si possa fare in queste vacanze scolastiche appena iniziate. Uno di noi, Fabio Camerini, possiede una cantina attrezzatissima e fresca per mitigare la canicola e lì ha inchiodato sopra un asse i binari della sua ferrovia in scala H0; io ho una modesta collezione di treni H0 Rivarossi provenienti da un regalo della Befana di nove anni prima che si sono aggiunti alle scatole di mio fratello mettendo assieme le quali si può fare un grande ovale con stazione; Filippo Bosi ha una discreta mano nel dipingere. Poi ci passano per le mani un catalogo Faller, costruttore di edifici e stazioni in scala per i plastici, e un residuo di polistirolo comprendente un pezzo cilindrico; quel polistirolo così in un pomeriggio si trasforma nelle rovine del castello presentate dal catalogo Faller. Ma la domanda ora è: cosa ce ne facciamo? Io da tempo avevo pensato di costruirmi un plastico ferroviario e ne avevo già scelto uno, modesto nelle dimensioni, dal “Manuale dei circuiti e dei tracciati” di Rivarossi. Ed ecco cosa fare quest’estate: costruiremo quel plastico nella mia stanza da studio avvalendoci delle competenze che ognuno di noi tre ha e con la minor spesa possibile.

Il primo plastico

Acquistato il piano di legno truciolato della misura richiesta dai “fratelli Villa” che ancora tenevano l’attività al Serraglio di Castel Bolognese, e appoggiatolo al mio tavolo da studio, con gli avanzi in polistirolo delle confezioni realizzammo case e paesaggio (alberi e monti compresi…), con i refill vuoti delle penne biro, una lampadina dell’albero di Natale (i famosi “pisellini”) ed un cono di cartoncino vennero autocostruiti i lampioni e presso un negozio della vicina Faenza, il rimpianto Re Artù che noi tre raggiungemmo in bicicletta, comprai la stazione in rigoroso stile germanico: Zeven. Dal babbo di Fabio Camerini, Giovanni, che allora lavorava in Comune, ottenemmo dei manifesti scaduti che riutilizzammo, incollandoli assieme, per dipingervi con i colori a tempera lo sfondo montuoso che poi fu riutilizzato anche nei plastici successivi, adattandolo alle pareti. Mancava qualche spezzone di binario? La cara Cleofe nel suo negozio/emporio aveva anche quelli Rivarossi e lì mi recavo a comprarne. Il nuovo plastico era l’attrazione di tutto il vicinato e noi tre passavamo interi pomeriggi ad affinarlo, abbellirlo e a far girare i modelli disponibili. Ma alla fine dell’estate però la stanza mi serviva per studiare e… quindi? Ecco venirmi in aiuto la zia Virginia, prima finanziatrice del nuovo arrivo sui binari: la gr 740-233 acquistata a Bologna presso il negozio “Fratelli Pesaro”, che allora si trovava in via Manzoni nell’ex Seminario e dove compravi i trenini sotto le volte affrescate da Guido Reni; la zia si offrì di ospitare il plastico in una stanzetta che, salvo un armadio, era vuota. Il plastico venne portato là e appoggiato a terra, ma subito mi resi conto che occorreva sollevarlo per giocarci meglio ed intervenire nell’impianto elettrico in caso di guasti. Chiesi perciò al falegname Celso Poletti di fabbricarmi tre cavalletti, tuttora in uso, per appoggiarvi il plastico e nel frattempo lo ingrandii con uno scalo merci ed una linea secondaria che portava in un’altra località. La zia, insegnante di italiano, latino, storia e geografia mi impartiva almeno una volta la settimana una lezione di latino e questa terminava, ovviamente, davanti al plastico; anche la domenica mattina, dalle 9 fino alle 11 era tempo dedicato a far muovere i treni, poi seguiva la Messa alle 11.15 in San Petronio, chiesa che era a fianco della casa della zia. La prima “flotta” di materiale rotabile comprendeva una locomotiva gr 835-296 Rivarossi, il locomotore elettrico E424-241 Lima e un locomotore diesel SNCF BB67000 sempre Lima. Le carrozze passeggeri: 2 centoporte a due assi Rivarossi, con relativo bagagliaio a due assi, 2 “Corbellini” Lima. Carri merce: 2 pianali Rivarossi di cui uno con carico di legna, un carro a sponde alte, altri due carri chiusi, il tutto Rivarossi.

Il secondo plastico

Autunno 1977: cominciai l’Università scoprendo gli allora tanti negozi di Bologna che vendevano modellismo ferroviario e per tutto il quadriennio di Giurisprudenza iniziai un acquisto compulsivo che mi portò prima ad ampliare il plastico, a sostituire gli edifici con scatole di montaggio Faller o Vollmer, dando così all’abitato quello stile d’oltralpe che, volendolo ambientare in Italia, mi convinse poi ad intitolare la stazione “Fortezza”. Poi rifeci il plastico completamente, con un nuovo tracciato, sempre preso dal manuale Rivarossi, mentre non si fermava l’acquisizione di modelli per arricchire il “deposito” di casa che era anche materialmente cresciuto con la piattaforma girevole e quattro rimesse Rivarossi. Tra gli edifici, era posta davanti alla stazione una fontana con monumento che funzionava con l’acqua vera; ma, tuttavia, fu foriera molto spesso di allagamenti!
Nel secondo plastico spiccava una stazione con tre binari e possibilità di precedenze ed incroci; comprai una nuova stazione: Altenstein, ed il primo edificio, Zeven, divenne il capolinea della linea secondaria. Per realizzare i rilevati, dopo l’esperimento del polistirolo e poi del gesso, questa volta utilizzai colla e carta da giornale con buon esito. In un primo tempo montai anche una funivia, funzionante, i cui meccanismi furono ricavati dalla mia scatola del “meccano” e le cabine vennero realizzate in polistirolo. Essendo il tracciato tutto formato con materiale Rivarossi, posai i binari sulla massicciata in gommapiuma della stessa Rivarossi ma, tuttavia, dopo alcuni anni, ebbi la sgradita sorpresa di vederla sgretolarsi e così deformare il tracciato.
Ma ciò non bastava; la passione si allargò alla storia ferroviaria ed alle riviste di modellismo; acquistai libri e mi abbonai all’indimenticabile “Italmodel Ferrovie” e quando quella rivista cessò la pubblicazione, di buon grado acquistai il numero 1 di “I Treni – oggi”, e da allora ne sono abbonato. Nei primi anni ’80 feci una modifica importante: scoperti gli scambi in curva riuscii ad allungare il primo binario della stazione; trovai banchine e pensiline compatibili col ridotto spazio lasciato nell’interbinario e, finalmente, acquistai la riproduzione Faller della stazione di Bonn, che ben si adattava ad un plastico in stile italiano e la ribattezzai “Fortezza”; questa è da allora la protagonista dei miei impianti.
Terminata anche l’Università cominciai la pratica forense in uno Studio Legale di Faenza che, ahimè (…o per fortuna!), era distante pochi metri dal negozio di Re Artù che visitavo così quasi quotidianamente; e nella stanza della zia i treni stavano sempre più stretti… Quindi venni assunto al Ministero della Giustizia, cominciai a lavorare nelle piccole Preture della campagna bolognese, poi nel Capoluogo; non mi sembrava vero di ricevere mensilmente uno stipendio parte del quale avrebbe potuto finanziare la ferrovia di casa: fino ad allora, infatti, gli acquisti avvenivano dopo aver opportunamente risparmiato sulla magra paghetta, dagli introiti di un lavoretto che mi occupava non più di un’oretta al giorno e dalla bontà infinita di mia zia Virginia.

Il plastico “matrimoniale”

Nel 1991, nella nuova casa di Viale Cairoli 11/A che sarebbe diventata la casa coniugale dopo il matrimonio del giugno 1992, presi possesso di una stanza di sufficiente ampiezza, era stato lo studio medico di mio fratello, ed iniziai un nuovo plastico, liberando definitivamente la zia Virginia. Questo fu studiato da me per sfruttare l’intera stanza oblunga ed abbandonando il sistema Rivarossi orientandomi verso l’armamento Peco che dopo questa esperienza ho sempre adottato. Al centro del plastico una grande stazione di diramazione con cinque binari per i passeggeri e tre per il fascio merci, attraversata da una linea a doppio binario che poi si dipanava in un grande ovale lungo la stanza e dalla stazione partivano due linee a semplice binario che si concludevano, la prima in una stazione secondaria, la seconda all’interno di una galleria; alla stazione era collegato il deposito delle locomotive con piattaforma girevole e quattro depositi. Ed il plastico fu terminato in occasione di un secondo trasloco.

Nella casa di via Bargero 80

Anche nella nuova casa acquistata nel 1996 c’era una stanza, seppure più piccola e quadrata, da dedicare al modellismo ferroviario e lì nacque un nuovo plastico adattando nelle misure quello precedente. Recuperai la stazione, il deposito delle locomotive e lo impostai come il precedente. La diversa dimensione della stanza, tuttavia, mi obbligò a modellare un percorso a spirale per conservare modeste le pendenze. Questo plastico è immortalato nel “corto” realizzato dall’amico Francesco Minarini dal titolo: “Grandi…piccoli”.

E oggi in Viale della Repubblica

Ma i traslochi non erano finiti: infatti dal 2006 la nuova casa ha una ampia mansarda con due enormi stanze, la prima delle quali è dedicata a studio e la seconda al nuovo, quinto plastico, talmente enorme che dopo tanti anni non è ancora completato anche perché da un lato ci sono tanti impegni da assolvere, dall’altro la voglia di fare tutto con precisione quasi maniacale. Anche quest’ultimo plastico conserva la stazione così come impostata nel 1991 con cinque binari per i passeggeri e tre per il fascio merci, anche qui attraversata da una linea a doppio binario che poi si dipana in un grande ovale lungo la stanza e dalla stazione partono due linee a semplice binario che si concludono, la prima in una stazione secondaria, la seconda all’interno di una galleria; alla stazione è collegato il deposito delle locomotive con piattaforma girevole e quattro depositi. Dall’altro lato della stazione v’è il deposito diesel con le macchine in sosta. Novità di questo plastico sono due stazioni nascoste con cinque binari che permettono così di far circolare più treni impostando un orario, oppure, manovrando opportunamente gli scambi non visibili, di trasformarlo in un ovale. Una sola cosa non muta in tutti plastici finora realizzati: la prima torre di polistirolo che svetta tuttora sopra uno dei rilievi di cartapesta.
Di pari passo la collezione dei modelli è cresciuta fino ad oggi raggiungendo, per ora, i 1.328 modelli. Il materiale motore: locomotori elettrici, locomotive a vapore, locomotori diesel, automotrici ed elettromotrici sono, salvo qualche unità, tutti appartenenti alle ferrovie italiane, con predilezione per gli anni del secolo scorso. Vetture passeggeri e carri merci invece appartengono alle più disparate compagnie ferroviarie europee, con maggior attenzione ai veicoli italiani.
In particolare, il deposito conta 91 locomotive a vapore, 100 locomotori elettrici, 33 locomotori termici, 27 locomotive da manovra, 181 automotrici termiche, elettriche e rimorchi, 592 vetture passeggeri e 304 carri merce.
Quando qualcuno, sentendo ciò, mi dice che sono malato di treni rispondo che effettivamente sono un malato cronico ed ormai incurabile, destinato a conviverci, spero ancora per lungo tempo, con il vantaggio che poi questa malattia non provoca dolore, anzi ti rende felice e ti riserva tante soddisfazioni.

Galleria fotografica

1974 (fotografie di Giovanni e/o Fabio Camerini)

1975 (fotografie di Giovanni e/o Fabio Camerini)

1978 (fotografie di Giovanni e/o Fabio Camerini)

1985 (fotografie di Giovanni e/o Fabio Camerini)

1993 (fotografie di Paolo Grandi)

1994 (fotografie di Paolo Grandi)

2005 (fotografie di Paolo Grandi)

2021 (fotografie di Paolo Grandi)

2022 (fotografie di Paolo Grandi)

2024 (fotografie di Paolo Grandi)

 

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