Bronzi e pietre dure nelle incisioni di Valerio Belli vicentino
Le opere di Valerio Belli, noto come Valerio Vicentino, raccolte in questo volume, rivelano con spiccata evidenza l’ispirazione classica dell’artista che fu grande maestro degli incisori contemporanei.
Apparteneva ad una famiglia di nobili merciai di origine lombarda che si trasferirono nel 1452 a Vicenza dove egli nacque nel 1468 (1), proprio nel periodo in cui era fiorente in questa città l’arte orafa, Fece le sue prime esperienze all’intaglio lavorando fin da giovane presso botteghe di oreficeria. Non si sa esattamente dove sia stato avviato a questa attività, probabilmente (come accenna il Cabianca) nella vicina Verona dove lavoravano egregi intagliatori di gemme come Nicolò Avanzi e Galeazzo Mondello. Non si può escludere che possa aver imparato l’arte a Venezia dove operavano gli orafi e maestri della Zecca: Luca Sesto, Antonello di Pietro e Alessandro Leopardi; probabilità questa più che valida poiché per anni il Belli ebbe in questa città la sua stabile dimora.
I primi lavori notevoli di quel periodo furono dodici medaglie con l’effigie di Imperatori e altre su imitazione dell’arte greca e romana. Si racconta che Valerio si vantasse con gli amici di queste sue opere; a conferma di questo fatto, il pittore portoghese Francisco de Hollanda (1517-1584), che l’aveva conosciuto a Venezia, dice che il Belli gli mostrò con orgoglio cinquanta splendide medaglie d’oro, tra le quali ricorda una bella Artemisia incisa alla maniera greca ed un Virgilio in stile romano.
Solo in età avanzata raccolse il frutto delle sue fatiche per merito dell’eclettico, umanista e filologo Pietro Bembo (Venezia 1470 – Roma 1547) e del letterato e filologo Giangiorgio Trissino (Vicenza 1478 – Roma 1550) che gli riconobbero ottime doti d’incisore.
Durante il secondo decennio del XVI secolo Valerio, portando con sé splendide opere, si recò prima a Firenze poi a Roma, dove ottenne commissioni, non identificate, da Leone X (Giovanni de’ Medici, papa dal 1513 al 1521). La conferma, comunque, di questi incarichi si trova in una lettera, datata 28 dicembre 1520, in cui risulta un pagamento di seicento ducati d’oro effettuato dal Papa al Vicentino.
Nello stesso periodo aveva stretto amicizia con Michelangelo (1475-1564) e con Raffaello (1483-1520), che lo aveva ritratto in un tondo di bosso del diametro di due palmi, dopo che Valerio gli aveva fatto da compare al battesimo di una figlia.
Anche il Buonarroti lo effigiò a mezzo busto in un bassorilievo di marmo di Carrara presente fino al secolo XVII nel Museo Gualdo di Vicenza. La loro amicizia è confermata anche da una lettera, datata 10 gennaio 1521 e spedita dalla sua città natale a Firenze, nella quale Valerio che intaglia le corniole (cosi si firmava) richiedeva a Michelangelo il disegno promesso rappresentante un Sacrificio. La sua fama divenne tale da essere chiamato (come risulta dai documenti) aurifex o excellentissimo gemmarum sculptore.
Non si conoscono molte opere d’oreficeria, è documentata l’esecuzione per la sua città di un Tabernacolo d’argento dorato, perduto probabilmente durante il saccheggio che Vicenza subì nel 1799 da parte delle truppe napoleoniche.
Sicuramente elaborò un gran numero di opere d’intaglio e d’incisione che sono riunite in questo libro. Eseguì lavori di gran pregio, ma spesso ripetitivi (stessa scena con piccole varianti) e raramente usò disegni preparatori, come facevano, invece, altri incisori contemporanei; ad esempio Giovanni Bernardi da Castel Bolognese attuò le sue più belle opere elaborando disegni di Michelangelo, Perin del Vaga ed altri famosi pittori del tempo (cfr. V. DONATI, Pietre dure e medaglie del Rinascimento – Giovanni da Castel Bolognese, 1989).
Nel 1513 Giulio de’ Medici, che dieci anni dopo divenne papa col nome di Clemente VII, era cancelliere presso il cugino, pontefice Leone X; il mecenatismo di quest’ultimo, concesso ad artisti e uomini di lettere come Raffaello, Bembo, Guicciardini, Sannazzaro ed al Belli stesso, influenzò positivamente Giulio, che, eletto papa (1523-1534), ne segui egregiamente l’esempio.
Sembra che molti vasi di cristallo facenti pane del corredo di casa Medici fossero stati ordinati da Leone X e da Clemente VII; i migliori artisti del tempo e sicuramente anche Valerio contribuirono ad arricchire detto corredo. Alcuni di questi vasi, utilizzati per conservare reliquie di Santi, vennero poi collocati nella chiesa di San Lorenzo a Firenze, dove si possono ammirare tuttora. Non è da escludere che il piatto d’argento smaltato (eseguito per papa Leone X), datato attorno e 1515 e attribuito al Belli, appartenente alle collezioni della Schatzkammer di Monaco (n. 33 del catalogo), facesse parte di tali commissioni.
Un Crocifisso e tre medaglioni in cristallo di rocca, eseguiti per papa Clemente VII nel 1524 circa e attualmente esposti nel Museo Cristiano in Vaticano, sono una testimonianza dell’abilità raggiunta dal principe degli incisori (così Valerio veniva denominato). Si suppone che i tre medaglioni fossero in origine montati nel triangolo di base di una croce d’altare e che il Crocifisso stesso ne facesse parte. Considerando valida tale ipotesi, due possono essere i motivi della separazione dei cristalli dalla loro sede: che la croce di metallo prezioso dopo il sacco di Roma (1527) sia stata fusa per far fronte alle richieste d’oro e d’argento dei Lanzichenecchi, oppure che sia stata depredata durante l’occupazione francese del 1796-97 ed in seguito smembrata. La prima ipotesi dovrebbe essere la più valida poiché, se il Vasari avesse visto o anche avuto sentore della compiutezza della croce, non si sarebbe limitato a scrivere semplicemente Fece Valerio per il medesimo papa (Clemente) alcune paci bellissime ed una croce di cristallo divina…, ma avrebbe probabilmente ricordato i cristalli ovali, che non erano certamente da meno. Resta cerro che questi furono trafugati da Roma sul finire del XVIII secolo e rintracciati poi a Bologna circa cinquant’anni dopo. Fin dal 1525 il Belli aveva ripetutamente chiesto a Clemente VII una commissione della quale il Papa a mezzo del cardinal Ridolfi scriveva a Giangiorgio Trissino Piacemene che Valerio sia risanato: per hora non gli si manda quella misura che ci chiedete. Finisca la prima opera nostra (la Croce) poi, parendoci, si farà quest’altra. L’incarico riguardava quasi certamente la famosa cassettina oggi presente nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti in Firenze.
Il 10 marzo 1530 si trasferì con la famiglia da Venezia a Vicenza dove iniziò l’opera più importante della sua carriera. Infatti nel giro di due anni la splendida cassettina era terminata con il compiacimento del cardinale Bembo (cfr. P. BEMBO, Opere, 1729, Vol. III, lib. III, pp. 215 e ss. lettera del Bembo a Valerio in data 12 marzo 1532). In merito a questo lavoro lo Zorzi scrive: …in quest’opera Valerio seppe essere d’una accuratezza e d’una finezza di disegno che non si riscontra in nessun altra, avendo egli messo particolarmente in evidenza quella grande specialità sua di racchiudere in breve spazio un numero straordinario di figure.
In quel periodo effigiò papa Clemente in una medaglia d’oro, sul cui rovescio era raffigurata una palla di cristallo oltrepassata dai raggi del sole con la scritta CANDOR ILLAESVS, che stava a significare l’integrità del Pontefice (giudizio non condiviso dai fiorentini) durante il suo governo in Firenze. Questa composizione fu tanto apprezzata dal Papa da essere ripetuta nella cassettina e scolpita, con l’aggiunta delle palle medicee, sulla base del suo monumento sepolcrale nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva in Roma. Incise inoltre coni per medaglie ritraendo a mezzo busto l’umanista Pietro Bembo e Carlo V imperatore.
Nel 1533 deve fare per Clemente VII …una croce et dei candelieri et una pace tuti de cristallo (da una lettera del Belli trascritta in Archivio Storico Lombardo, XV, [1888], p. 1014). Probabilmente dette opere sono state portate a termine solo nel 1546 (anno della sua morte) poiché il 29 luglio risulta un pagamento di 1155 scudi al figlio Elio, effettuato da Paolo III, (Alessandro Farnese, papa dal 1534 al 1549). Forse per questo il Vasari scrive: Fece a papa Paolo III una croce e due candelieri pur di cristallo, intagliandovi dentro storie della Passione di Gesù Cristo in vari spartimenti di quell’opera…. Se i lavori fossero stati tutti di cristallo non potrebbero essere certo identificati, nella croce e nei due candelieri (d’argento dorato) attualmente custoditi presso il Victoria and Albert Museum di Londra. E’ probabile che l’insieme d’altare sia stato in seguito smembrato, spiegando così l’esistenza di tanti cristalli trapezoidali che, per questa forma, erano quasi certamente destinati a tale uso.
Prendiamo ora in considerazione l’insieme citato presente a Londra ed attribuito al Belli. Pur riconoscendo che le strutture metalliche hanno lo stesso stile si differenziano in diversi particolari. Se esaminiamo attentamente gli intagli della croce e del relativo triangolo di base noteremo che la forza impressa alle figure ricordano più lo stile di G. Bernardi che quello del Belli; inoltre sono privi di firma, cosa che quest’ultimo raramente trascurava di fare, ed infine fra i tanti cristalli di forma trapezoidale (noti) da Lui incisi, nessuno ha misure tali da poter essere inserito nelle imposte ricurve vuote dei candelieri (larg.sup. mm 30 e inf. mm 46, alt. mm 55). Per queste ragioni si è più che mai convinti che i cristalli della croce citata siano opere del Bernardi (vedere volume, precedentemente nominato, sulle opere di questi).
Nel 1539 venne chiamato a Roma da Paolo III per ricevere la nomina di coniatore della Zecca Pontificia; lo conferma un documento scoperto dallo Zorzi nel 1920 presso l’archivio notarile di Vicenza datato 3 novembre 1539 (Not. Gio. Biagio Malclavelli).
Il Morsolin ritiene che nel 1542 Valerio fosse ritornato nella sua città natale, poiché il Vasari che in quell’anno si portò da Mantova a Venezia, deve avergli fatto visita per poter descrivere così minutamente nelle Vite… lo studio e tutto ciò che esso conteneva.
Nel luglio del 1546 Valerio incontrò la morte nella sua residenza sita in contrada Santa Corona, di fronte alla chiesa dei Domenicani.
Ciò che conservava nel suo studio fa meglio comprendere quale fosse la fonte principale di ispirazione per i suoi lavori: opere d’arte, marmi, calchi antichi, libri, disegni e scene riprodotte dalla colonna Traiana, che erano senza dubbio il patrimonio iconografico dal quale traeva spunto.
Possedeva il famoso ritratto del Parmigianino detto “dello specchio”, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Non è da escludere, considerando l’amicizia intercorsa con Michelangelo, Raffaello e i suoi allievi, anche l’esistenza di schizzi di questi sommi artisti, certo è che tutto il materiale di studio e molte delle sue opere passarono in eredità al figlio naturale Marcantonio (2), che dopo pochi mesi le alienò per appena 470 scudi al cardinale Cristoforo Madruzzo di Trento; intermediario dell’affare (così è giusto definire la cosa) fu l’arcivescovo di Antivari, Lodovico Chiericati amico del Madruzzo. Tutto ciò rimase a Trento per un breve periodo, e non se ne conosce la successiva destinazione; non si sa inoltre quali opere siano passate in eredità per la mancanza di scritti o atti notarili con l’elenco di detto materiale. E’ noto soltanto che fino al XVII secolo erano presenti nel Museo Gualdo di Vicenza le seguenti opere: due Paci in oro (alte complessivamente mm 300 circa) rappresentanti una Adorazione dei Magi e una Presentazione al Tempio, due medaglie d’oro con allegorie della Pace e dell’Abbondanza, un S. Francesco in madreperla, vari cristalli di rocca raffiguranti un Sacrificio, Giuditta, Dafne, due Fetonti, Le tre Grazie, il Giudizio di Paride e Amaltea; inoltre vari cammei, corniole e lapislazzuli, un’ametista con la testa di Giulio Cesare e due tavolette piene di medaglie greche e romane.
Si ha pure notizia di uno splendido cristallo firmato VALE.VI.FE. posseduto nel 1700 dallo studioso A.F. Gori rappresentante l’Oracolo di Delfo e di una Pace (o ostensorio) in oro appartenuta fino al 1864 al signor Pasquale del Chiaro di Lucca raffigurante (sembra) un Cristo deposto.
Ventiquattro cristalli di rocca incisi, di piccole dimensioni, rappresentanti Sibille e Profeti e sei più grandi, di forma trapezoidale, con scene della Passione di Cristo, tutti montati in oro, furono aggiudicati nel febbraio del 1865 ad un ricco collezionista inglese per 13.000 franchi in una vendita all’asta presso l’Hotel Pourtalès di Parigi (queste trenta opere sono conservate presso il Taft Museum di Cincinnati nell’Ohio).
Note:
(1) Alcuni biografi, fra cui il Cabianca e il Molinier, dichiarano sia nato nel 1465.
(2) Valerio ebbe tre maschi e nove femmine. Alcuni morirono in giovane età; il figlio Elio fu l’unico che continuò la stirpe.
Testo e immagini tratti da: Valentino Donati, Rosanna Casadio, Bronzi e pietre dure nelle incisioni di Valerio Belli vicentino, Belriguardo, 2004
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