La Storia di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/ Mon, 10 Mar 2025 19:28:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 “Vai col liscio!”, film RAI del 1974 con l’Orchestra Casadei… e il nostro Marcellino https://www.castelbolognese.org/miscellanea/vai-col-liscio-film-rai-del-1974-con-lorchestra-casadei-e-il-nostro-marcellino/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/vai-col-liscio-film-rai-del-1974-con-lorchestra-casadei-e-il-nostro-marcellino/#comments Mon, 10 Mar 2025 19:21:37 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12325 di Andrea Soglia “Vai col liscio!” è un film per la televisione girato fra fine 1973 e inizio 1974, diretto dal regista Leandro Castellani e andato in onda in due puntate sul Secondo Canale Rai il 16 e 23 maggio 1974. Fra gli interpreti principali, nel ruolo di loro stessi, …

The post “Vai col liscio!”, film RAI del 1974 con l’Orchestra Casadei… e il nostro Marcellino appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Andrea Soglia

“Vai col liscio!” è un film per la televisione girato fra fine 1973 e inizio 1974, diretto dal regista Leandro Castellani e andato in onda in due puntate sul Secondo Canale Rai il 16 e 23 maggio 1974. Fra gli interpreti principali, nel ruolo di loro stessi, vi furono fra gli altri: Orchestra Spettacolo Casadei con in testa Raoul Casadei, Noris De Stefani, Ely Neri e la sua Orchestra, Santo & Johnny, Dino Sarti, Johnny Sax, Orchestra Castellina-Pasi, Narciso Parigi, la “regina” Nilla Pizzi e il nostro Leo Ceroni.
Così il regista Leandro Castellani ricordava il suo film con un post pubblicato nel 2023 sulla sua pagina Facebook:

“Vai col liscio!”: ha quasi mezzo secolo di vita questo allegro caleidoscopio di suoni e immagini che propose per la prima volta, perlomeno in modo così ampio e diffuso, un panorama della musica popolare, “da ballo”, dell’Italia centrale, quella a base di polke, mazurke e valzer, riprese nel corso di una rassegna ideata e organizzata da Vittorio Salvetti ma arricchita e letteralmente trasformata da me in una vetrina di vita e storia popolare arricchendola di nuove riprese realizzate, oltre che all’interno delle “Cupole” di Castel Bolognese, in vari luoghi della Romagna, con l’assistenza dell’indimenticabile Vincenzo Nonni. E come dimenticare i “ballerini” coreografati e coordinati da Bruno Malpassi? E l’ospitalità non solo gastronomica di Elvino? Il programma, girato a tambur battente perché eravamo caduti inaspettatamente nei giorni del feroce razionamento energetico, fu rielaborato con un montaggio estroso e imprevedibile, specie per l’epoca. Diviso in due parti, ebbe uno straordinario successo, sia di ascolto che di gradimento: un record!”

Tutti gli artisti si esibirono alle nostre “Cupole” e furono ospitati nell’Hotel ristorante Elvino, che all’epoca costituiva non solo un’eccellenza castellana, ma di tutta la Romagna.
Furono varie le riprese anche in esterno a Castel Bolognese. Paolo Grandi ricorda che furono girate alcune scene lungo il viale della Stazione, praticamente davanti a casa sua, con tanti castellani in bicicletta a fare le comparse, fra cui Mingò dla Turca, ma queste scene non furono montate nel prodotto finale.
Andò invece in onda un’altra scena castellana, girata lungo il nostro viale del Cimitero, allora adornato dalla vecchia Via crucis di Carlo Zauli: quella del funerale romagnolo, che, sostanzialmente conclude l’intero film, visto che è in coda alla seconda puntata. Come racconta la voce narrante “con il liscio in Romagna si nasce, si impara a camminare, ci si innamora e ci si sposa, qualche volta il liscio accompagna il romagnolo anche nell’ultimo viaggio: i vecchi lasciano scritto che vogliono questa musica, quel complesso ai loro funerali”. E nei due minuti circa della scena, lungo il nostro viale del Cimitero, accompagnato dal motivo di “Tramonto”, valzer di Secondo Casadei, si snoda un corteo funebre, animato da tanti castellani “assoldati” come comparse, uomini con la “caparela” e donne con il classico fazzoletto in testa, con bara (fornita dal falegname Paviett, Sante Dall’Oppio), portata a spalla da quattro uomini. Davanti alla bara l’Orchestra Casadei al gran completo, e davanti ad essi il sacerdote, interpretato da Vincenzo Nonni, impresario lughese, all’epoca gestore delle Cupole e socio di Casadei nella Ca’ del Liscio di Ravenna. E davanti al sacerdote, nel ruolo di sè stesso, il nostro Marcellino con la croce ad aprire il corteo funebre.
Interpellato al riguardo Marcellino mi ha raccontato diversi aneddoti. Ricorda che la scena fu girata a gennaio, in un giorno molto freddo, e vi furono varie ripetizioni prima che il regista fosse soddisfatto. Marcellino prese molto freddo, tant’è che poi si ammalò pure. A suo dire anche all’interno della bara vi era una comparsa ad interpretare il morto, ruolo che era stato proposto anche a lui, ma che aveva ovviamente rifiutato. Mi avrà preso in giro? Probabilmente la scena era molto più lunga ed era partita ben prima del viale del Cimitero, ma ne fu montata solo una parte. Marcellino ha immancabilmente concluso con un po’ di polemica, dicendomi che gli era stato promesso un piccolo compenso per la comparsa, ma non vide mai una lira!
Marcellino a parte, molti avevano perso la memoria dell’evento che doveva aver fatto abbastanza rumore in paese. Paolo Grandi ricorda che suo padre Tristano aveva invano scritto alla Rai chiedendo una copia del film.
Qualche sera fa, sfogliando online il vecchio Radiocorriere TV il cui archivio è stato digitalizzato, ho trovato notizia del film e delle scene girate alle Cupole. Ho provato a cercarlo su YouTube e con grande sorpresa ve l’ho trovato. Sono poi rimasto stupefatto nel vedere il nostro viale del Cimitero, e nel riconoscere il giovane Marcellino a interpretare sé stesso in un film andato in onda sulla Rai dei tempi d’oro e visto da milioni di persone!
Ci perdonerà quindi Marcellino se abbiamo estrapolato la scena clou dal resto del film e la pubblichiamo sul nostro canale su YouTube, è un patrimonio preziosissimo. E sotto sotto, anche se fa un po’ il recalcitrante, siamo sicuri che sarà contento pure lui.
Un grazie a Domenico Giovannini per aver ritagliato la scena del funerale dal resto del film.
Condividiamo anche i link delle due parti del film. Nella prima parte è possibile vedere anche l’esibizione del nostro Leo Ceroni con il suo complesso, nel suo periodo più splendente.

The post “Vai col liscio!”, film RAI del 1974 con l’Orchestra Casadei… e il nostro Marcellino appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/miscellanea/vai-col-liscio-film-rai-del-1974-con-lorchestra-casadei-e-il-nostro-marcellino/feed/ 1
Marzo 1945: una primavera di speranza https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/marzo-1945-una-primavera-di-speranza/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/marzo-1945-una-primavera-di-speranza/#respond Mon, 03 Mar 2025 19:35:27 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12321 di Paolo Grandi “Le ciliegie stanno per maturare” è la frase in codice captata da qualche radio clandestina piazzata nelle cantine castellane e che significava che il fronte, a breve, si sarebbe mosso. Per questo motivo marzo fu un mese di intensa attività bellica che gli alleati usarono per fiaccare …

The post Marzo 1945: una primavera di speranza appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Paolo Grandi

“Le ciliegie stanno per maturare” è la frase in codice captata da qualche radio clandestina piazzata nelle cantine castellane e che significava che il fronte, a breve, si sarebbe mosso. Per questo motivo marzo fu un mese di intensa attività bellica che gli alleati usarono per fiaccare la resistenza dell’esercito tedesco; duelli a colpi di granata si susseguirono durante il giorno e spesso anche la notte per tutto il mese e Franco Ravaglia segnala solo tre giornate calme: il 4 il 18 e il 19. Notevole l’attività aerea per tutto il mese con sganci di bombe sul centro ed in campagna. Cosicché ne seguirono ulteriori distruzioni e ciò che non cancellavano bombe e granate veniva abbattuto dai tedeschi per cercare in ogni maniera di ostacolare l’avanzata nemica ma, soprattutto, la popolazione civile subì un notevole numero di morti e feriti. Il diario di Tristano Grandi registra in questo mese il maggior numero di attività svolte dalla Squadra Portaferiti C.R.I., ben 52.
Nella frazione di Biancanigo il parroco don Tambini era riuscito ad istituire una zona “neutra” che comprendeva la chiesa e la casa colonica “Furlona” posta ove ora c’è la Casa d’Accoglienza “San Giuseppe e Santa Rita”. Egli convenne con l’autorità tedesca di stabilivi una zona ospedaliera, libera da militari che non fossero feriti, innalzando sul campanile il vessillo vaticano bianco/giallo. Gli inglesi furono avvertiti ed il patto fu accettato. In Canonica e nella casa adiacente trovarono rifugio tutti gli abitanti della borgata. Ciò avvenne a pochi passi dal fronte, distando quella chiesa poco più di cento metri dal fiume. In marzo tuttavia avvenne il cambio del presidio tedesco, di stanza alla villa detta “la Capanna” e vi subentrarono i paracadutisti, sebbene tra essi vi fossero avanzi di tutte le Armi; costoro chiamarono il Parroco che trattarono come una spia e lo costrinsero ad essere un sorvegliato speciale. Intanto cominciarono a piovere le granate ed una di questa, la sera del 14 marzo, uccise un colono della “Furlona”. Tra il 19 ed il 20 marzo il comando tedesco ordinò l’evacuazione dapprima della canonica poi della “Furlona” ed il giorno 21 un convoglio di circa 40 persone tra le quali donne, bambini, ammalati, preceduti da don Tambini e dall’immagine della Immacolata posta sopra un carro nel quale presero posto le povere cose degli sfollati marciò processionalmente per Imola.
Una parte delle cieche di Bologna, già ospitate a Villa Rossi poi nella canonica di Biancanigo giunsero la mattina del 19 marzo al Monastero delle Domenicane dopo aver trascorso la notte ospitate nelle cantine dell’Ospedale. Nell’atrio del Monastero attesero le ambulanze della Croce Rossa per essere riportate a Bologna, ma queste non giunsero e perciò il comandante tedesco ordinò alla Monache di accoglierle nelle cantine per la notte. L’arciprete Sermasi in quella giornata provvide al loro sostentamento; finalmente il giorno successivo poterono partire.
La festa di San Giuseppe, il 19 marzo, era particolarmente sentita a Castel Bolognese sia perché l’Istituto delle Maestre Pie era intitolato al Patriarca ed anche perché era l’onomastico dell’Arciprete Sermasi. Nella cantina delle Domenicane fu celebrata la Messa con la partecipazione dell’Arciprete il quale impartì la benedizione assistito dal parroco della Pace e da altri sacerdoti e seminaristi. Essendo una giornata bella e calma, tanti rifugiati arrivarono da fuori e la cantina era gremita. Il 25 marzo era la Domenica delle Palme; furono benedetti ramoscelli verdi in sostituzione dei rami d’ulivo che vennero distribuiti ai numerosi fedeli che anche in questa occasione accorsero, nonostante i pericoli, nella cantine delle Domenicane. Durante la Settimana Santa furono celebrate in maniera ridotta le Funzioni del Triduo. Le Domenicane ricordano che fu celebrata la Messa fino al giovedì in cui si fece la S. Pasqua, e la sera il Parroco della Pace parlò loro con accento ispirato della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nella cantina dei rifugiati il Parroco della Pace aiutato da un altro Sacerdote sfollato e da alcuni seminaristi, compì le funzioni in modo assai ridotto.
Il nuovo mese si apriva col giorno di Pasqua. Una Pasqua di speranza.

The post Marzo 1945: una primavera di speranza appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/marzo-1945-una-primavera-di-speranza/feed/ 0
La “quasi-alluvione” del 1978 a Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/miscellanea/storia/la-quasi-alluvione-del-1978-a-castel-bolognese/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/storia/la-quasi-alluvione-del-1978-a-castel-bolognese/#respond Thu, 20 Feb 2025 21:55:44 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12301 a cura di Andrea Soglia; con fotografie inedite di Vincenzo Zaccaria (introduzione) Dal 2016 (nel cinquantenario di una di esse) abbiamo preso a pubblicare sul sito notizie sulle varie alluvioni subite da Castel Bolognese, che qui riassumiamo: 1842, 1939, 1949, 1959 e 1966. Proprio commentando quest’ultima pagina, l’ex sindaco Franco …

The post La “quasi-alluvione” del 1978 a Castel Bolognese appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
a cura di Andrea Soglia; con fotografie inedite di Vincenzo Zaccaria

(introduzione) Dal 2016 (nel cinquantenario di una di esse) abbiamo preso a pubblicare sul sito notizie sulle varie alluvioni subite da Castel Bolognese, che qui riassumiamo: 1842, 1939, 1949, 1959 e 1966. Proprio commentando quest’ultima pagina, l’ex sindaco Franco Gaglio, purtroppo oggi scomparso, sollecitava la pubblicazione di una pagina anche su quanto avvenuto nel periodo 1978-1979, durante il quale egli era in carica.
Avremmo voluto soddisfarlo, ma solo ultimamente siamo riusciti a mettere assieme qualcosa, grazie al fondamentale contributo di Vincenzo Zaccaria (che ringraziamo sentitamente), che nel 1978 scattò alcune notevoli fotografie, e grazie ad alcuni articoli ritrovati su Vita Castellana del 1978-1979. Vi proponiamo, quindi, questa pagina che speriamo di poter implementare un giorno se tornerà disponibile l’archivio comunale o se qualcuno aggiungerà ricordi personali. Molte argomentazioni che leggiamo sono attualissime
Possiamo definirla una “quasi-alluvione”, visto che i danni furono limitati all’abitato di Biancanigo e non furono drammatici. Gli episodi risalgono al 15 aprile 1978 con una coda il 16 febbraio 1979. Seguirono molti lavori, come documentano anche alcune note che Gaglio aveva scritto nel suo libro e nel commento alla nostra pagina sul 1966. A quella crisi seguì un periodo di relativa tranquillità, interrotta dalla doppia catastrofe del 2023.
Con questo testo dovremmo aver completato la rassegna storica delle alluvioni castellane. Al momento non prevediamo di aggiungere un testo sui fatti del 2023: i ricordi sono ancora vivi in tutti e tutti hanno fotografie nei loro telefoni a rinfrescare la memoria. (Andrea Soglia)

Articolo tratto da Vita Castellana, febbraio 1979

DA BIANCANIGO Riceviamo e pubblichiamo:
Ancora sul fiume Senio

Puntualmente, più volte all’anno, i cittadini di Biancanigo, sono alle prese con le acque minacciose del fiume Senio. E’ sufficiente il prolungarsi di una perturbazione, o il rovescio più abbondante di un temporale a monte, per assistere alla valanga della piena che scende precipitosa e si arresta sulla curva del fiume retrostante la borgata. A distanza di 10 mesi, per ben due volte, abbiamo sofferto l’incubo degli allagamenti. Sabato, 15 aprile 1978, la borgata viene allagata, le acque penetrano nelle case, inquinano le acque potabili, dissestano strade e campi coltivati. Necessita l’intervento dei Vigili del Fuoco .
Venerdì, 16 febbraio 1979, dopo due giorni di intense piogge, arriva una massa d’acqua che supera ogni precedente per l’abbondanza e la violenza. Dal rigurgito del Rio Cupa, l’acqua inizia la sua marcia lungo la via provinciale; quando, fortunatamente, scattano le valvole di sicurezza: più a monte rompono gii argini e le acque invadono gli ampi catini dei saletti.
I danni sono relativi, ma gli interrogativi si fanno sempre più gravi. Fino a quando dovremo vivere con l’incubo di un fiume alle spalle che ingorga le acque e rischia di provocare disastri di imprevedibile entità per noi e per il paese?
Lunedì, 18 settembre 1978, i cittadini di Biancanigo sono convocati in assemblea per discutere il problema Senio. Sono presenti autorità comunali e tecnici della provincia. Al di sopra di ogni proposta, i cittadini di Biancanigo, unici veri conoscitori del movimento delle acque zonali, chiedono con urgenza lo sboscamento del tratto del fiume Biancanigo-Ponte di Castello, la pulizia delle frane, lo sterramento dell’alveo. L’autorità riconosce l’urgenza e si impegna a programmare un primo lotto di lavori prima dei pericoli invernali. Passano molte settimane di silenzio. Finalmente, in dicembre, viene nuovamente convocata l’assemblea a Biancanigo.
Presenti le autorità comunali e provinciali, i tecnici, inaspettatamente, presentano un nuovo progetto-soluzione, spostando la questione dal fiume Senio al Rio Cupa.
Gli abitanti di Biancanigo si ribellano, documentano l’assurdità del progetto, dicono che sono soldi buttati e ribadiscono all’unisono l’urgente necessità della pulizia dei fiume come unica salvezza. Conclusione amara e per niente diplomatica dell’autorità comunale che rifiuta i suggerimenti dell’assemblea e dichiara di porre esclusiva fiducia nell’operato dei tecnici. Poi è ritornato il silenzio generale. Sono passati tre mesi di sole: settembre, ottobre, novembre, e non si è fatto nulla. Se la colpa degli allagamenti debba scaricarsi o no sull’innocuo Rio Cupa, credo lo abbiano potuto constatare “de visu” le autorità comunali e provinciali la sera di venerdì 16 febbraio u.s. Ma è vero anche che non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Dunque, signori responsabili del Comune, siete decisi di aspettare l’acqua del fiume Senio sulle soglie dei palazzo Municipale? Signori tecnici della provincia, non è il caso di lasciare da parte certe elocubrazioni che sanno di fantasioso e scendere a livello pratico?
E’ quanto aspettiamo: a nostro vantaggio e a vantaggio del paese.

Un cittadino di Biancanigo


Articolo tratto da Vita Castellana, dicembre 1978

Divergenze sui modi di intervento sul fiume Senio

Negli ultimi mesi si sono svolte due assemblee coi cittadini della zona «Biancanigo» e recentemente anche il Consiglio comunale nella seduta del 14-12 ha espresso un parere favorevole sulla necessità di realizzare con urgenza opere di ripristino e di consolidamento agli argini di difesa del fiume Senio, che anche nel corso di questo anno ha ancora una volta allagato molte case e prodotto danni considerevoli.
Il nostro Gruppo pur valutando positivamente nel complesso il progetto dei tecnici che recentemente hanno affrontato i problemi del fiume Senio nel nostro territorio, ha comunque accompagnato il parere espresso con una precisa riserva intendendo con ciò valorizzare le risultanze emerse nell’ultima assemblea cittadina di Biancanigo ove unanimemente un folto gruppo di cittadini presenti ha indicato con competenza e praticità i modi e i tempi per avviare a definitiva soluzione i problemi in questione come segue:
1) Avvio immediato dei lavori di pulizia dell’alveo del corso d’acqua in questione nel tratto compreso tra Biancanigo e il Ponte del Castello e a valle della ferrovia procedendo contemporaneamente al ripristino delle numerose frane esistenti onde permettere un regolare scorrimento delle acque fino a riportare entro limiti di non pericolo i livelli di massima piena.
2) Congiuntamente a questi provvedimenti e fino a esaurimento del finanziamento attualmente disponibile (circa 200 milioni, IVA compresa) si dovrebbe rialzare l’argine sinistro che di fronte al centro abitato di Biancanigo risulta più basso di 80-90 cm e realizzare una saracinesca o botola automatica che in caso di piena nel fiume impedisca l’immissione di acqua ne! rio « Via Cupa » che ovviamente allagherebbe Biancanigo prima e il centro abitato di Castelbolognese poi.
3) I cittadini di Biancanigo, consapevoli che eventualmente potrebbe esistere anche un rischio pur minimo di allagamento proveniente dalle acque del rio Via Cupa, hanno proposto che si esamini la possibilità di una tombinatura dello stesso, evitando così che il rio medesimo, in caso di non ricettività del fiume Senio, tracimi e provochi allagamenti.
Il tutto in alternativa alle proposte dei tecnici e della Giunta comunale che invece hanno prospettato la tesi dì intervenire arginando il rio Via Cupa congiuntamente a un parziale lavoro di pulizia dell’alveo del fiume; si tratterebbe infatti di privilegiare l’intervento sul rio Via Cupa a tutto danno del ripristino delle frane esistenti nel fiume Senio e ciò per carenza di finanziamenti a disposizione.
Le due diverse tesi, che peraltro non contrastano ma si diversificano solo in ordine alle priorità hanno trovato il nostro Gruppo consiliare schierato con le proposte dei cittadini e bene avrebbe fatto la Giunta a dare un senso e un significato alla consultazione effettuata.


IL CONSOLIDAMENTO DEL FIUME SENIO

Il fiumie Senio, a carattere torrentizio, per il suo andamento sinuoso, con l’alveo quasi a livello di campagna, crea molti problemi in occasione di precipitazioni eccezionali. Per evitare allagamenti è necessario tenere costantemente sotto controllo le opere di contenimento, sia nel nostro territorio che nella parte a monte, ed
intervenire per regolare le sezioni di deflusso, rinforzare gli argini, riprendere le frane, disboscare l’alveo per rendere scorrevole il deflusso delle acque in piena.
La competenza diretta è della Regione, che interviene su propria iniziativa o per richiesta del Comune. I lavori vengono finanziati con piani poliennali dalla Regione stessa.
Con la legge regionale n. 27 del 1974, in dieci anni, sono stati eseguiti nel fiume Senio, nel tratto a monte della via Emilia, i lavori per i seguenti importi:
1974 £ 29.680.000
1979 £ 200.000.000
1980/82 £ 15.000.000
1981/82 £ 70.000.000
1982/83 £ 303.000.000
1983/84 £ 80.000.000
1984 £ 165.000.000
1985 £ 138.000.000

(tratto da: Franco Gaglio sindaco fra la gente, Bacchilega, 2016)


Commento di Franco Gaglio alla pagina sull’alluvione del 1966, datato 2 novembre 2016

Interessante. Sarebbe bello poter leggere della successiva alluvione degli anni 1978-80. La ricordo perché ero Sindaco e mi recai in auto col Vice Sindaco Otello Franzoni e trovammo della contestazione contro l’Amministrazione Comunale. Successivamente riuscimmo a coinvolgere il Geometra del Genio Civile e dopo un inizio di trattativa con Bartoli Gildo, proprietario della terra dove si doveva fare l’intervento, riuscimmo nella Sala del Consiglio Comunale a raggiungere l’accordo. Il Genio Civile realizzò l’intervento e da allora non vi è stata alluvione, nonostante non siano mancate grandi piene. L’intervento è stato consistente e ben fatto. Ne fu soddisfatto lo stesso Bartoli.

Album fotografico inedito di Vincenzo Zaccaria (che si ringrazia sentitamente)

 

The post La “quasi-alluvione” del 1978 a Castel Bolognese appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/miscellanea/storia/la-quasi-alluvione-del-1978-a-castel-bolognese/feed/ 0
Febbraio 1945: addio Torre! https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/febbraio-1945-addio-torre/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/febbraio-1945-addio-torre/#respond Mon, 03 Feb 2025 22:22:42 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12248 di Paolo Grandi Il nuovo mese di passione cominciò con la più grave offesa perpetrata dai tedeschi ai monumenti di Castel Bolognese: l’annientamento del suo simbolo cioè la medievale torre civica. Più volte colpita, smozzicata dalla parte di levante, offesa da un carro armato nelle sue basi, nella mattina di …

The post Febbraio 1945: addio Torre! appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Paolo Grandi

Il nuovo mese di passione cominciò con la più grave offesa perpetrata dai tedeschi ai monumenti di Castel Bolognese: l’annientamento del suo simbolo cioè la medievale torre civica. Più volte colpita, smozzicata dalla parte di levante, offesa da un carro armato nelle sue basi, nella mattina di domenica 4 febbraio i guastatori tedeschi iniziarono a minarne la base e ad avvisare la popolazione che nel primo pomeriggio l’avrebbero abbattuta. Così alle ore 14 un tremendo boato ed una forte scossa segnarono ciò che restava del Castello, che ora aveva perduto per sempre la sua piazza dal carattere rinascimentale. Un’altra vittima di questi giorni fu il campanile della Domenicane, l’unico non ancora colpito. L’arco a mezzogiorno, dove era la campana maggiore requisita fu spaccato da una granata nel pilastro esterno: la parte inferiore si sbriciolò e il moncherino superiore si afflosciò sul pilastro mediano, restando attaccato da questo lato nella parte superiore. Rimase tuttavia intatta l’altra campana.
Centro e campagna furono tormentate da tiri di granate ed attività aerea quasi quotidianamente: Franco Ravaglia annota solo una relativa calma nei giorni 3 e 18 e nella mattina del 25. Solo nel pomeriggio del 25 vi fu un bombardamento aereo che interessò la campagna.
Meteorologicamente, si alternò un tempo invernale con anche qualche spolverata di neve sulle rovine della torre, ma si contarono anche alcune giornate di primavera precoce che invitarono i castellani ad uscire dalle cantine.
Angelo Donati riferisce che l’umore dell’esercito tedesco era mutato ed i militari stavano diventando sempre più duri ed intransigenti, segno per loro che le cose stavano volgendo al peggio. La popolazione ne era atterrita e bastava un nulla per suscitare reazioni violente, spesso omicide. In un impeto di estrema difesa i soldati reclutavano gli uomini validi sotto minaccia di morte per aprire trincee, camminamenti e costruire altri lavori di difesa.
Dalla chiesa di San Francesco, sempre dietro la direzione di don Garavini furono portate via in fretta la statua lignea di S. Antonio di Padova, rifugiata in Palazzo Ginnasi e il Crocifisso, riparato nel Monastero delle Domenicane assieme alle Reliquie del relativo altare. Intanto continuavano i saccheggi e le razzie nelle case e nelle chiese sventrate dalle granate e dalle bombe.
Arrivarono i Padri domenicani di Bologna per ritirare gli arredi sacri più preziosi della loro Basilica poiché erano stati portati nel Monastero per metterli in salvo; l’operazione avvenne con ogni cautela, girando talvolta anche di notte e dal Capoluogo qui portarono viveri e medicinali, racimolati non senza difficoltà dai castellani residenti a Bologna, in particolare Mario Santandrea e Romolo Tosi. Le Monache affidarono ai domenicani anche gli oggetti più preziosi della loro chiesa e di San Francesco oltre alle macchine da maglieria ed altre cose
Non mancarono eccidi, vittime e ferimenti. Il 12 febbraio al podere Anna nella parrocchia di Borello avvenne il secondo fatto di sangue più grave dopo quello di Villa Rossi e che costò la vita a dieci persone; questa volta fu un colpo sparato dagli alleati che cadde vicino al rifugio ove si trovavano i coloni di quel podere ed altri sfollati. Il 17 febbraio l’UNPA ebbe il suo tributo di sangue: Ariovisto Liverani, genero di Arnaldo Cavallazzi, fu ferito gravemente da una scheggia di granata mentre era all’opera per abbattere un muro pericolante; trasportato all’ospedale di Imola, morì il giorno successivo, lasciando la moglie e due figli. Andrea Casadio invece, che cercò di soccorrerlo, cadde all’istante. Infine il 26 febbraio morì sulla via Emilia, nel Borgo, l’ing. Ugo Ortolani, co-autore del nuovo pavimento della chiesa di San Petronio, colpito da una scheggia di granata. Ritornava assieme alla domestica Dorina Martelli, la quale rimase ferita ad un braccio, dalla propria casa con un carico di grano che aveva lasciato nel momento di sfollare nelle cantine delle Domenicane.

The post Febbraio 1945: addio Torre! appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/febbraio-1945-addio-torre/feed/ 0
S. Antonio a S. Maria della Pace https://www.castelbolognese.org/miscellanea/s-antonio-a-s-maria-della-pace/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/s-antonio-a-s-maria-della-pace/#respond Thu, 16 Jan 2025 20:05:51 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12229 da una memoria edita di Giovanni Bagnaresi Bacocco ripubblicata su Vita Castellana del gennaio 1976 Quando eravamo giovani si desiderava che il 17 di Gennaio cadesse in una bella giornata, perché ci dava modo di godere un pomeriggio di svago, anche se la neve fosse stata alta sul terreno. Si …

The post S. Antonio a S. Maria della Pace appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
da una memoria edita di Giovanni Bagnaresi Bacocco ripubblicata su Vita Castellana del gennaio 1976

Quando eravamo giovani si desiderava che il 17 di Gennaio cadesse in una bella giornata, perché ci dava modo di godere un pomeriggio di svago, anche se la neve fosse stata alta sul terreno. Si era sicuri di trovare la via Emilia nel mezzo e tutto il sagrato di Santa Maria della Pace spazzati. Se poi le vie erano libere dalla neve e la giornata soleggiata, era un piacere vedere la strada Maestra andare salda di gente dalle porte del Castello fino al Ponte. L’attrattiva maggiore era data dalla consuetudine, antica, che offriva agli intervenuti lo spettacolo della estrazione a sorte di due maialetti, mercé una lotteria, che si iniziava e si compiva coram populo, senza bisogno di carta e di registri bollati, ma fiduciaria ed allegra.
Non vi era l’osteria al Ponte: ma la gente si spargeva presso i contadini ed il villaggio del Ponte, dove erano sicuri di trovare larga ospitalità: un buon bicchiere di vino e una migliore merenda. Noi non sentivamo bisogno né di bere, né di mangiare. Una melarancia o un po’ di castagna e di anseri (cucciarul), presi da una di quelle bancherelle, che si allineavano ai lati della Chiesa, bastavano a farci contenti. Le giovani, vestite con maggiore semplicità di adesso, senza belletti ed altri cosmetici, col volto un po’ acceso dall’aria frizzante e accaldate dal camminare, ci parevano tanto belle e tanto necessarie al compimento della festa. Ma, mentre esse entravano nella Chiesa ad assistere alla benedizione, noi andavamo al Ponte a fare leggere, a chi non la conosceva, la iscrizione romana, trascritta in una lastra di arenaria posta sotto l’antico ponte: Q.F. Pol. = P.B.O.L.D.D.I.P.Z., iscrizione che venne poi coperta, quando il Ponte, che dicevano antichissimo, fu allargato.
La festa di Sant’Antonio per i parrocchiani della Pace è riconosciuta come la maggiore dell’annata: pochi giorni prima i contadini, i casanti e i carrettieri della località uccidono il maiale per avere la soddisfazione di farsi mangiare dagli invitati il giorno diciassette i ciccioli (grassul), di fegato, la salciccia e l’altra roba insaccata.
La mattina si vedevano venire in paese i contadini e le loro donne, vestiti a festa, acquistare i panini benedetti, che davano per devozione poi da mangiare alle loro bestie, quando ritornavano a casa. Ed era una festa cosi rispettata che ricordo quest’episodio. Un campagnolo aveva un impegno abbastanza importante a Faenza; ma avverti la persona, con cui doveva trovarsi, che non sarebbe andato, perché il cavallo doveva riposare il giorno di Sant’Antonio.
Nel contado anche adesso non vi è casa che nella stalla non abbia murato in una nicchia la sacra immagine. Anche l’uscio d’entrata e gli assiti delle porte ne vanno adorni. Questi della Pace si lamentavano di non aver un vistoso simulacro del protettore del loro bestiame e finalmente, una quarantina di anni fa, il loro padrino, ancor vivo e vegeto, nei suoi 85 anni, poté accontentarli, acquistando nell’argentano una statua grande al naturale.
Nell’antico tempo l’anacoreta della Tebaide si figurava accompagnato soltanto dal porco, che simboleggiava la castità contro l’impurità; ma col volgere del tempo si aggiunsero le fiamme, rappresentanti il fuoco sacro, detto anche di Sant’Antonio, quando verso il Mille una grave epidemia corse a devastare l’Europa. Sotto la protezione di esso santo al porco si unì prima il cavallo, poi il bue, la pecora e gli altri animali da cortile. Anche l’iconografia moderna lo rappresenta colla sua asta pastorale e colla sua grande barba bianca in atto di proteggere il bestiame che ha d’intorno. Così sembra di riprodurre la bella scena, che ogni giorno si rinnova, quando la reggitora verso sera richiama l’innumerevole schiera di pennuti e dà loro il becchime. Il periodo della festa di sant’Antonio comincia dopo l’Epifania detta anche la Pasquetta, e continua per tutto il carnevale. Questa spezzatura della festa nelle diverse domeniche di carnevale dà il modo di dimostrare la grande venerazione che il Santo gode presso i contadini, ma anche l’occasione da dare principio allo scambio dei pranzi e dei ritrovi invernali fra di loro. Infatti comincia l’epoca del maggior passatempo e una parrocchia invita l’altra e la gioventù dei due sessi affronta il freddo e il lungo cammino per ritrovarsi a queste riunioni, che sanno di sacro e di profano. La chiesa, nella sua lunga esperienza secolare, ha assecondato questa umana tendenza di allegrare lo spirito durante il riposo della stagione invernale. Comincia Casalecchio l’11 gennaio, il 17 la Pace e Campiano, poi Biancanigo, indi Casanola. La domenica «galinera», cioè quella penultima di carnevale, ha luogo sant’Antonio al Borello e la domenica precedente la quaresima, detta Lova, la stessa festa ha luogo alla Serra… Questo periodo godereccio pare adatto, perché avviene durante il riposo invernale e nelle giornate più fredde della annata.
Si comincia con San Mauro, che avviene il 15 Gennaio: San Meuver, che fa tarmè e cadever; poi al diciassette Sant’Antonio: Sant Antogni dalla berba bianca; al venti cade San Bas-cian che fa tarmè la coda e can, e così tutti gli altri Santi del freddo. A vincere il freddo niente è piu giovevole di una vita sana, movimentata, con cibo nutriente, condito con qualche bicchiere di vino buono.
La compagnia di Sant’Antonio, della quale fanno parte i reggitori delle case coloniche della parrocchia, elegge ogni anno due priori, incaricati di raccogliere le offerte in denaro e in natura, che devono sopperire alle spese della festa. Essi accompagnano il Padrino nel giro della parrocchia e, mentre il parroco benedice la stalla, i priori ritirano le offerte. Poi combinano le modalità del pranzo, il numero delle persone e quali autorità da invitare il giorno della festa. Mi contò Pirita d’Caldarè, che una volta riuscì priore con Ciurlò. Essi accompagnavano don Leopoldo Savini nel giro. L’uno teneva il paniere delle uova e l’altro il calice e l’aspersorio, ma tenevano in custodia anche il denaro raccolto. Passando dallo spaccio dei sali e tabacchi del Ponte, mentre don Poldino era entrato a benedire alcune stalle di quei birrocciai, essi pensarono che potevano prelevarsi dal denaro raccolto due soldi per uno per l’acquisto di un toscano. Poi tutti assieme proseguirono nelle visite, ma, per il fatto di aver defraudato S. Antonio di quattro soldi, ebbero nell’annata a patire la perdita l’uno di un vitello e l’altro di due maiali.
La mattina del 17 accorrono tutte le famiglie alla chiesa di Santa Maria della Pace ad assistere alle funzioni propiziatrici e, quando ne escono, portano seco uno o più invitati. Tutte le piccole strade sono allora percorse da questa gente indomenicata, che non sente il freddo e che sa che si va avvicinando il mezzogiorno. Parenti ed amici s’assidono attorno al fuoco nella grande stanza, che serve anche da cucina, la quale da un lato ha due cassoni di noce massiccia ripuliti per l’occasione, dall’altro il buratto per cernere la farina e da un terzo lato il tagliere affisso al muro, con sopra l’asse del pane, due panchette, oltre ad un certo numero di sedie che servono per sedere: le panche per quelli di casa e le sedie per i parenti. Gli uomini stanno chiacchierando, mentre le donne finiscono di cuocere i cappelletti nel grande paiuolo pieno di brodo. Sopra la loro testa da una pertica pendono i codeghini e le salciccie ed il resto della roba insaccata. Quando la minestra è in tavola e le fondine sono piene, la reggitrice invita tutti a mettersi a tavola. Adesso comincia la prova dei buoni stomaci, che si servono due o tre volte dalle terrine che sempre si riempiono. Dopo la minestra viene il lesso composto di varie carni; segue l’arrosto di pollo e di coniglio e si finisce con la zuppa inglese e la ciambella dolce. Fra ciarle e discorsi allegri gli uomini si mettono a giocare al fotecchio o alla bestia, e le donne accudiscono alla pulizia degli oggetti da cucina ed alle altre faccende.
Da quest’ora la casa è una specie di corte imbandita e viene il fabbro, il falegname, il calzolaio, e gli amici a bere e a mangiare un pezzo di ciambella. Anche la canonica accoglie ospiti. I priori vi hanno portato ognuno due fascine e un mezzo quintale di schiappa per riscaldare l’ambiente; inoltre ognuno una damigiana di vino per dare da bere a chi verrà nel pomeriggio. Essi sono stati a pranzo dal padrino cogli invitati, fra cui il comandante la stazione dei carabinieri, il medico ecc. Durante il pomeriggio sono essi che fanno il servizio d’ordine e sanno mettere a posto, se bisogna, qualche sfaccendato, che volesse non tenersi al suo posto. La benedizione la sbrigavano presto per dare il tempo necessario allo svolgimento della lotteria, giacché in gennaio le giornate sono corte e viene presto la sera. Due o tre tavolini con un giovanetto seduto accanto, tenevano un registro aperto e segnavano le poste di quelli che giocavano ai maialini. Per concorrervi si scrivevano le cosiddette voci. Si dicevano voci i cartellini o schedine concorrenti al premio, perché rievocavano con esse i nomi cari di persone defunte. Una madre, che avesse avuto la disgrazia di perdere un figlio o una figlia fai ava scrivete il nome del defunto col segno della morta cosi: Maria Callegari messa da Callegari Antonia della parrocchia di Casanola. Cosi una figlia il nome del padre, un figlio quello della madre, un fratello il nome del fratello. Ricordando il nome dei loro cari, che non erano più, speravano che, per il bene che si erano voluti in vita, i cari defunti potessero dall’al di là aiutarli a vincere anche il piccolo premio.
Ma non tutti mettevano parenti: chi si raccomandava alla Madonna, chi ai Santi, persino alle anime benedette del Purgatorio. Altri lasciando in pace i morti ed i Santi mettevano nelle voci cose allegre. Una giovane si raccomanda a San Antonio che le prepari la dote: Ann ch’am uvleva maridè, / a mes a e porz e in me vus d’è; / S’un m’aiuta Sant’Antogni / um va da mel e matrimogni. / Un altro scrive la sciocchezza seguente: E tira la boffa, / E scosa la cocla, / Mamma la breva, / e bab us arroffa. / Un altro, se non vince, fa il proponimento di non giuocare mai più: A met a e porz e mei an l’ho, / se in me dà, anmi met piò.
Ma ad un tratto si aprono le imposte verdi della finestra del piano superiore della casa parrocchiale e s’affaccia il viso roseo e rubicondo di Antonio Landi, il cuoco del pranzo, che continua a rendere giuliva la giornata. Tutto pulito, mentre si ferma gli occhiali sul naso e fa una riverenza al pubblico, pronunzia una specie di zirudella. Si vede la figura ben portante con la giubba nera, il corpetto verde, gesticolare; ma la voce viene accolta da fischi ed ironiche esclamazioni. Egli rimane impassibile e compie le ultime operazioni preliminari della lotteria. In una federetta bianca di bucato sono contenute tutte le voci che concorrono al premio. Egli addita una scatoletta posata sul davanzale della finestra, in cui, misti a molti cartellini bianchi, se ne trovano pochi altri, che hanno scritto la parola «Grazia». La folla si riversa e continua a convenire sotto la finestra ed il Landi a rallegrarla tra i fischi e le urla. Non per nulla egli faceva la parte di Dulcamara in una ricordevole mascherata ideata dal Maggiore Leonida Marzari e che si produsse qui e nei paesi vicini. Fra un relativo silenzio una bambina estrae dalla federetta la prima voce e il Landi legge forte: Quatter ragazzi in t’una nosa, / S’ai ho e porz am faz la sposa. / S’un m’aiuta Sant’ Antogni, / Um va da mel e matrimogni, messo da me Sante Bacchilega della parrocchia di Tebano.
Una bambina, sempre in vista del popolo, toglie la schedina, che il Laudi guarda e dice: — Bianca —. Indi estrae un’altra voce: Sant’Antogni e sta là drett. / cun la panza pina d’caplett, / ma i dis, che un è vera gnint, / i caplett ui ha magnè i prit. / Poi un’altra voce: E pont de Castel, / e pont dla Turretta, / e ai ho e porz / ai e met a la vetta. Da osservarsi che sono i due ponti estremi nel territorio di Castel Bolognese. Poi un’altra voce: Quatter cochel int una nosa, se ai ho e porz am faz e spos /. Finalmente si estrae quella che è accompagnata dalla schedina portante la parola «Grazia». Allora il Landi dice il nume della persona che ha vinto il primo maiale. L’estrazione prosegue finché un’altra voce è seguita dalla parola «Grazia». Detto il nome che ha vinto il secondo maialetto, il Landi pronunzia un discorso in versi col quale si ringrazia il popolo dell’onore fatto a Sant’Antonio. Le ultime parole sono urlate e fischiate e la festa è finita. La gente sfolla verso il paese, mentre i ragazzi, abbandonati a ve stessi, cantano in coro:
Sant Antogni, becca l’ova, / l’è imbariegh cum è una troia: / l’è imbariegh cum è un guten; / Sant’Antogni ballaren /.
Castel Bolognese, 17 gennaio 1931.

The post S. Antonio a S. Maria della Pace appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/miscellanea/s-antonio-a-s-maria-della-pace/feed/ 0
Gennaio 1945: notte fonda https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/gennaio-1945-notte-fonda/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/gennaio-1945-notte-fonda/#respond Mon, 13 Jan 2025 18:07:53 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12223 di Paolo Grandi 1- Si prolunga la sosta del fronte Ormai il fronte si era stabilizzato sul Senio da due settimane; i due eserciti: alleato e tedesco si fronteggiavano e, con alterne vicende e perdite umane, dal primo venivano conquistati lembi di terra poi persi quasi subito. A farne le …

The post Gennaio 1945: notte fonda appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Paolo Grandi

1- Si prolunga la sosta del fronte

Ormai il fronte si era stabilizzato sul Senio da due settimane; i due eserciti: alleato e tedesco si fronteggiavano e, con alterne vicende e perdite umane, dal primo venivano conquistati lembi di terra poi persi quasi subito. A farne le spese era l’abitato di Castel Bolognese e la sua campagna, entrambi devastati dalla furia dei combattimenti. Meteorologicamente, il 1944 si era chiuso sotto una fitta nevicata che continuò anche nel giorno di Capodanno. In questa mattina, siccome nel crollo del campanile di S. Francesco era rimasto salvo un piccolo locale attiguo alla Sacrestia che conteneva parecchi arredi, con l’aiuto di alcuni sfollati questi furono estratti con grande fatica ed enormi rischi e trasportati nel Monastero delle Domenicane sotto la guida di don Garavini. Notevole attività aerea e di artiglieria si registrò senza sosta notturna- nei primi cinque giorni del mese. Poi un’altra nevicata fermò i belligeranti per alcuni giorni, salvo qualche sparo qua e là. Ma fu calma apparente e Franco Ravaglia ci elenca bombardamenti ed incursioni aeree quotidiane per tutti i restanti giorni di gennaio. Il bombardamento del 24 gennaio infierì pesantemente su Palazzo Mengoni e distrusse il teatro comunale.

2- Viene costituita la Consulta Comunale e si richiedono gli aiuti

Cominciava frattanto tra la popolazione a scarseggiare il cibo. Le autorità cittadine, con l’arrivo del fronte si erano praticamente dissolte poiché i loro rappresentanti, tutti legati al regime, erano fuggiti; Ravenna era irraggiungibile, i servizi comunali non funzionavano e l’Annona era scomparsa. Iniziarono quindi i contatti tra i vari rappresentanti dei rinati partiti politici per la costituzione della Consulta Comunale, promossi specialmente dal dott. Carlo Bassi. A farne parte l’arciprete don Giuseppe Sermasi, Arnaldo Cavallazzi (anarchico), Michele Bernabè (comunista) che poi lasciò a fine mese, Giuseppe Dari (repubblicano), il dottor Antonio Bosi (democristiano), Giovanni Dalprato (repubblicano), Tommaso Morini (socialista), il notaio Gustavo Gardini quale segretario ed in qualità di componenti supplenti Mons. Vincenzo Poletti e Stefano Violani (socialista). La prima necessità fu stabilire i contatti con la Provincia per cercare aiuti, medicinali, sussidi, cibo; il 2 gennaio, giorno successivo alla costituzione, su proposta del Cavallazzi, si decise di chiedere l’appartenenza temporanea alla provincia di Bologna e fu deliberato che alcuni componenti avrebbero recapitato, con mezzi di fortuna, una lettera di tal richiesta alla città madre. Dei tre designati, il giorno successivo solo Arnaldo Cavallazzi si presentò per partire, conscio dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare. Lo accompagnò nel viaggio di andata Giacomo Cani che tuttavia preferì rimanere a Bologna. In quella città Cavallazzi cercò anche oriundi castellani come il farmacista Mario Santandrea, per promuovere un aiuto alla nostra popolazione. La missione diede i suoi frutti: giunse a Castel Bolognese un mezzo della Croce Rossa con medicinali, latte, viveri e denaro e queste visite furono rese settimanali. Arnaldo Cavallazzi tuttavia ebbe notevoli difficoltà per il ritorno, in mezzo a una fitta nevicata che aveva già ricoperto la via Emilia, sfidando il gelo e allo stremo delle forze fu ospitato per qualche ora da una famiglia a Castel San Pietro prima di riprendere il cammino. Intanto la Consulta Cittadina strinse un accordo con il CLN di Imola alla ricerca, fruttuosa, di ulteriori aiuti. Da segnalare l’opera di mons. Vincenzo Poletti che ricoprì la carica di sub-commissario prefettizio e si prodigò per tenere i rapporti tra la Consulta cittadina e la Provincia di Bologna.

3- Fu un atto di collaborazionismo?

Una recentissima pubblicazione (1), facendo una fredda ricostruzione di quegli avvenimenti, accusa i componenti della Consulta Comunale di collaborazionismo. Non ritengo assolutamente giustificata questa accusa. Certamente, la decisione di richiesta di aiuto formulata alla Prefettura di Bologna, che, certamente, era Organo amministrativo della Repubblica Sociale Italiana (ma non è provato che chi ne facesse parte e chi vi operasse fosse collaborazionista), fu sofferta ma necessaria per salvare la popolazione dalla fame, dalla miseria e dalle epidemie. Ognuno può immaginarsi con che spirito uno schietto anarchico come Arnaldo Cavallazzi si possa essere presentato davanti alle autorità Repubblichine! Ma questo non ne fa un collaborazionista, anzi lui corse il rischio di essere arrestato per tradimento! Così scrive Angelo Donati: “dobbiamo collegarci con Bologna, con le autorità provinciali di un Governo esistente “de facto” senza approvarne né l’istituzione, né l’operato (…) Gli uomini che ad essa si accingono non hanno paura, anche se basta un delatore per farli imprigionare e condannare”. (2) E non si dimentichi che molti di questi castellani furono decorati al valor civile per l’opera meritoria svolta durante la sosta del fronte.
Spiace piuttosto constatare che il Comune promuovendo questa pubblicazione abbia di fatto sovvertito il giudizio delle precedenti Amministrazioni di qualsiasi colore politico, su queste specchiate persone alle quali in questi ottant’anni hanno dedicato strade, edifici pubblici, luoghi. Per coerenza, ora se ne dovrebbe revocarne la dedica a meno di una smentita che si attende, spero, a breve. Occorre quindi dire piuttosto che questo atto della Consulta Comunale, così come quello di prendere contatto col CLN di Imola furono mossi dallo stato di necessità della popolazione castellana piuttosto che da un disegno politico.

4- La vita religiosa

Intanto, i Sacerdoti presenti in città continuavano il loro servizio nelle “catacombe”; vi erano impegnati l’Arciprete don Sermasi, don Francesco Preti il parroco di Campiano, i Cappuccini e don Garavini. Nella cantina della Domenicane ogni domenica don Vincenzo Zannoni celebrava la Messa animata nel canto dalle Orfanelle della Barsana, mentre don Francesco Bosi la celebrava nella Cappella delle Maestre Pie, al momento agibile e non colpita dall’artiglieria.

5- Gli eccidi e i ferimenti

Questo mese fu funestato da tre tragici eccidi di civili, dovuti questa volta alle bombe dei liberatori. Il 5 gennaio perirono presso la casa del podere “Cassiano” in via Gradasso, nella Parrocchia della Pace sei innocenti: in quella casa, sebbene parzialmente distrutta, vivevano ancora i fratelli Poletti con le rispettive mogli ed i figli. Il fumo proveniente dal camino della casa provocò il sospetto agli anglo americani che alcuni militari tedeschi vi soggiornassero; perciò i bombardieri in zona cercarono di colpirla. Una prima bomba cadde nei campi e così le famiglie cercarono rifugio in due diverse buche scavate nell’aia e coperte da assi e terra, distanti poche decine di metri l’uno dall’altra. Una seconda bomba cadde dentro l’ingresso di uno dei rifugi, il più capiente, ove c’erano sei persone di età compresa tra i 50 ed i 2 anni. La seconda strage avvenne in pieno centro il 24 gennaio: nella cantina del macellaio Felice Borghi, sulla via Emilia lato valle, erano rifugiate numerose famiglie. Una granata colpì il cortile della casa e penetrò nella cantina uccidendo sette persone, delle quali cinque appartenenti alla famiglia Fenara, bolognesi qui rifugiatisi dai pericoli che sarebbero potuti incombere sulla città. Il terzo fatto di sangue accadde il 29 gennaio quando durante un bombardamento alleato fu colpita “la Palaza”, un palazzo di tre piani su viale Umberto I ove ora c’è Castel Verde: il bilancio fu di un morto e tre feriti.
Da segnalare, infine, il ferimento di Arnaldo Cavallazzi in Piazza Camerini il 23 gennaio, poi medicato all’Ospedale e di Nerina Monti il 26 gennaio, ragazza sedicenne che perse un piede ed alla quale il dott. Carlo Bassi dovette amputare la gamba sotto il ginocchio, praticamente da sveglia, solo con una iniezione di morfina per calmare il dolore, mancando l’Ospedale di anestetici.

(1) SUZZI R.: Politica e Amministrazione a Castel Bolognese dalla Resistenza alla ricostruzione postbellica (1943 – 1951), dicembre 2024.
(2) DONATI A.: Sul Senio il fronte si è fermato, Castel Bolognese, 1977, pag. 72.

The post Gennaio 1945: notte fonda appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/gennaio-1945-notte-fonda/feed/ 0
Dicembre 1944: quando si nasceva in cantina… https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-quando-si-nasceva-in-cantina/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-quando-si-nasceva-in-cantina/#comments Fri, 27 Dec 2024 22:50:41 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12198 di Andrea Soglia Tanti di voi conosceranno Paolo Menzolini, barbiere, per oltre 60 anni al servizio dei castellani. Molti non sapranno, invece, la storia della sua nascita, avvenuta nel pieno della sosta del fronte bellico lungo il fiume Senio. Come si è sempre raccontato, già a fine novembre-inizio dicembre 1944 …

The post Dicembre 1944: quando si nasceva in cantina… appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Andrea Soglia

Tanti di voi conosceranno Paolo Menzolini, barbiere, per oltre 60 anni al servizio dei castellani. Molti non sapranno, invece, la storia della sua nascita, avvenuta nel pieno della sosta del fronte bellico lungo il fiume Senio.
Come si è sempre raccontato, già a fine novembre-inizio dicembre 1944 i castellani trovarono rifugio nelle tante cantine del paese. La famiglia di Paolo fu ospitata nelle cantine della famiglia Zanelli, notissima in paese per l’antica attività della loro locanda e poi per l’attività di commercio di fiori medicinali. La casa Zanelli e le relative attività erano ubicate nella zona che attualmente ospita il supermercato Despar e arrivavano ad affacciarsi sulla via Emilia con gli edifici recentemente demoliti. Sesto Menzolini, padre di Paolo, lavorava per la famiglia Zanelli e viveva nei paraggi, per cui fu abbastanza automatico per lui rifugiarsi nelle cantine Zanelli assieme alla moglie Maria Borzatta (in attesa di Paolo), al figlioletto primogenito Mario e alla madre Giulia Medri.
Le cantine Zanelli, come ricorda Mario Zanelli, erano abbastanza affollate. Vi trovarono riparo Mario con i genitori e il fratellino Piero di pochi mesi; sua zia Cornelia Zanelli e il prozio Epaminonda, l’ultimo garibaldino di Castel Bolognese, già volontario nella Prima guerra mondiale; la prozia Elettra Contavalli, da poco rimasta vedova di Oreste Zanelli, con le figlie Tinetta, Valeria e Silvana (futura moglie di Edmondo Fabbri) e una sorella.
Era il 28 dicembre 1944. Erano in corso i “soliti” bombardamenti e Maria Borzatta entrò in travaglio. La situazione pericolosa impedì ad Antonietta Guidi (Tina Bèglia) di intervenire, per cui Cornelia Zanelli si improvvisò ostetrica. Tutto andò nel migliore dei modi. Una gioia per tutti, in mezzo a tanti lutti. E Cornelia Zanelli, morta nel 2023 a 104 anni e mezzo, ha sempre considerato Paolo anche un po’ figlio suo.

Un’altra storia a lieto fine ebbe luogo in una delle cantine quasi di fronte alla chiesa di San Petronio, dove il 22 dicembre 1944 è nato Gabriele Martelli. E’ stato straordinario, per me, nel marzo del 2024, sentire raccontare questa storia direttamente dalla principale protagonista, ossia Zaura Zaccherini, madre di Gabriele. Alessia e Cristiana Bruni l’avevano conosciuta casualmente qualche mese prima al cimitero di Castel Bolognese, quando erano in visita alle tombe dei rispettivi congiunti. Zaura era accompagnata dal figlio Gianpaolo, che già conosceva Cristiana, e quindi fu immediata la decisione di rivedersi tutti, con me presente, per raccogliere la straordinaria testimonianza nella sua casa di Faenza. Purtroppo Zaura, classe 1925, è scomparsa nel settembre 2024 a 99 anni di età (riposa nel cimitero di Castel Bolognese, ndr). Quando, alla presenza del figlio Gianpaolo, l’abbiamo intervistata, aveva più volte scherzato sull’arrivo della “Giacomina”, nomignolo con cui i romagnoli, e specialmente i faentini, chiamano la morte.
La storia di Zaura (il cui particolare nome di battesimo fu dovuto ad un errore di comunicazione del padre all’anagrafe di Imola: avrebbe dovuto chiamarsi Zaira, al padre veniva in mente Laura, ma ricordava che il nome cominciava con la Z) era iniziata nella vicina frazione di Selva di Imola, dove il padre Domenico gestiva l’osteria–sali tabacchi tuttora presente. Lì si fermava spesso Antonio Martelli (Tonino di Furlot) che dalla natia Castel Bolognese si recava quotidianamente a Imola dove lavorava come meccanico presso la Fiat. Nacque una reciproca simpatia e Tonino, che aveva 13 anni più di Zaura, le chiese di fidanzarsi. Zaura, dopo una lunga riflessione, accettò e il 26 dicembre 1943, nella chiesa di Zello, Tonino e Zaura si sposarono. Zaura ricordava ancora divertita l’aneddoto che, a suo dire, era quello che aveva fatto innamorare definitivamente Tonino. Un giorno, mentre Zaura aiutava i genitori nell’osteria, un signore le chiese se avessero una ritirata. Zaura, ricordandosi le raccomandazioni di suo babbo Minghì (“Quando un signore richiede qualcosa che non abbiamo, rispondete sempre che l’abbiamo appena terminata”) rispose proprio così, perché non sapeva che la ritirata altro non era che la toilette. Tonino era presente e per anni lui e Zaura ridevano moltissimo nel ricordare l’episodio.
Dopo il matrimonio Tonino e Zaura si trasferirono a Imola. Il 13 maggio 1944 Zaura si trovava in stazione a Imola per ritirare delle tomaie e fu testimone del grande bombardamento della città che portò alla distruzione della stazione (ove morì Lodovico Galeati, capostazione, originario di Castel Bolognese). Zaura e Tonino decisero di sfollare, dapprima a Riolo e poi a Castello, appoggiandosi ai genitori di Tonino. Speravano di “andare incontro agli alleati” e invece si trovarono in prima linea. Si rifugiarono quindi in cantina (dove in totale vi erano 18 persone), e quel che accadde lo lasciamo raccontare da Zaura in una testimonianza rilasciata alle pronipoti:

“Gabriele è nato in una cantina di una casa di fronte alla Chiesa di San Petronio, a Castel Bolognese. In quella casa c’erano anche tre o quattro tedeschi al piano di sopra. Noi invece stavamo sempre giù in cantina.
A metà scala c’era una cucina economica dove, a turno, si poteva cucinare quel poco che avevamo e tutto senza sale (questa cosa mi dava molto fastidio).
I tedeschi sapevano bene che noi c’eravamo… bisognava stare attenti quando avevano bisogno di fare dei lavori pesanti. In qual caso, se vedevano degli uomini, li “prendevano” e li “usavano”. Comunque non erano “cattivi”. Ormai erano “messi male”, non avevano neppure i calzini… ( che impressione quando era così freddo!!). E da mangiare glielo portavano solo ogni tre giorni…
Le case intorno erano tutte distrutte… Ogni notte lanciavano tredici granate… Le contavamo… Spesso c’era un polverone che si faticava a respirare.
La casa dove era la nostra cantina aveva il portico. La finestra della cantina permetteva di avere un po’ di luce, ma faceva entrare anche tanta sporcizia, tanta polvere.
In cantina non c’erano topi… forse qualcuno li mangiava (non sarebbe poi così strano: alla Selva c’era uno che li caccia con le trappole e poi li mangiava!!!).
Quando è stato il momento per Gabriele di venire al mondo, c’era in corso un bombardamento… Per fortuna poté venire ad aiutarmi un’ostetrica. Riuscì ad arrivare senza troppi pericoli perché le cantine/rifugi erano state collegate con dei tunnel sotto terra.
Tonino faceva luce con una bici (cosa che si usava solo in casi urgenti). Una bimba che era nel rifugio aveva detto a Tonino: “Fatti coraggio, Tonino”. Tutti erano andati poi sulle scale fino alle 13:45: ora della nascita di Gabriele!
Avevo preparato qualche cosina per vestirlo usando maglie vecchie. Poi avevo qualche vestitino vecchio che mi avevano regalato. In quei giorni con noi c’era zio Mino (che mi fece andare in chiesa per una benedizione di cui non ho capito il significato), c’erano anche Camilla, Carlì e Ghina (che ci avevano ceduto i loro letti e così avevano dovuto dormire, molto sacrificati, in sedie a sdraio).
Siamo rimasti lì fino a metà febbraio, con poco cibo, poca pulizia, con i pidocchi in testa, fitti, fitti… Ogni tanto Marina (sorella di Zaura, ndr), a piedi o in bici, riusciva a portarci un po’ di latte: la ringrazio ancora. Non ne potevamo più. C’erano persone che, in cambio di denaro, portavano notizie a Imola o da Imola. Tramite queste persone, chiedemmo aiuto ai miei. Allora la mamma e mia sorella Rosa vennero a prenderci con un carretto. Per fortuna nessuno ci fermò. Fu molto difficile perché ovunque c’erano macerie. Arrivammo faticosamente alla Selva dove c’erano dei tedeschi; ci fermammo forse perché Elda doveva prendere qualcosa da casa sua. Arrivammo a Imola e oltrepassammo il ponte sul Santerno; noi eravamo impauriti mentre qui le persone erano fuori tranquilli!! Tonino aveva la barba lunga e incolta e “me aiera ardotta!!” Mi vengono in mente quelle scene, è difficile togliersele dalla testa”.

Aggiungiamo che nel tragitto da Castel Bolognese a Imola, con Tonino nascosto in un armadio per sfuggire al lavoro coatto per l’esercito tedesco, si trovarono per strada assieme ad un frate (o presunto tale, purtroppo pare impossibile accertarsi della sua identità) su un somaro, che fu con loro fino a Selva quando Zaura e gli altri si fermarono per presentare Gabriele al resto della famiglia. Riprendendo il cammino, qualche centinaio di metri più avanti trovarono il frate e il somaro morti lungo la strada, colpiti da una bomba. La sosta a Selva aveva salvato la vita a Zaura e a tutti gli altri.
Storie a lieto fine quelle che raccontiamo, in mezzo a tanta desolazione portata dalla guerra. A Castel Bolognese, 80 anni fa, nei giorni di fine dicembre 1944 (e anche successivamente) i bambini venivano al mondo in abituri anche peggiori di quello di Betlemme… Purtroppo, però, la storia non ha insegnato niente e ancora oggi, in altre parti del mondo, queste storie si stanno ripetendo.

Si ringraziano Paolo Menzolini, Mario Zanelli, Alessia e Cristiana Bruni.
Un ringraziamento particolare alla famiglia Martelli

The post Dicembre 1944: quando si nasceva in cantina… appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-quando-si-nasceva-in-cantina/feed/ 1
Giovanna Caroli, l’ultima custode dello Scodellino https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/giovanna-caroli-lultima-custode-dello-scodellino/ https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/giovanna-caroli-lultima-custode-dello-scodellino/#respond Tue, 24 Dec 2024 15:02:10 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12164 (introduzione) Il 23 dicembre 2024 è scomparsa a 91 anni Giovanna Caroli. La ricordiamo con questa intervista che risale al 2022. Un grazie a Lorenzo Raccagna per aver messo cortesemente a disposizione il testo che pubblichiamo per ricordare Giovanna. Alcune fotografie che illustrano il testo sono tratte dalla pagina Facebook …

The post Giovanna Caroli, l’ultima custode dello Scodellino appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
(introduzione) Il 23 dicembre 2024 è scomparsa a 91 anni Giovanna Caroli. La ricordiamo con questa intervista che risale al 2022. Un grazie a Lorenzo Raccagna per aver messo cortesemente a disposizione il testo che pubblichiamo per ricordare Giovanna. Alcune fotografie che illustrano il testo sono tratte dalla pagina Facebook del Mulino Scodellino. (A.S.)

di Lorenzo Raccagna
(tratto da Il Nuovo Diario Messaggero, 10 marzo 2022)

La storia dimora nei luoghi, ma a farla sono sempre le persone che quei luoghi li hanno animati. E la storia della castellana Giovanna Caroli è indissolubilmente legata a quella del mulino Scodellino, e viceversa. Per 60 anni, infatti, la sua famiglia ha custodito uno dei luoghi più importanti e simbolici di Castel Bolognese. Sei decenni durante i quali il mulino è stato la loro casa, la loro fonte di reddito, il centro di tutta la loro vita. Ce lo ha raccontato direttamente la signora Giovanna accogliendoci in casa sua assieme a Rosanna Pasi, presidente dell’associazione Amici del Mulino Scodellino, che forte dell’amicizia con la Caroli e delle conoscenze sulla vita di una volta nei mulini ci ha gentilmente accompagnato.
Classe 1933, con una memoria ancora lucidissima, Giovanna racconta che la sua famiglia arrivò al mulino nel 1938, quando lei doveva compiere ancora cinque anni. «Siccome io sono figlia unica, eravamo in tre: io, mio babbo Enrico (Piraja per tutti i castellani) e mia mamma Ninetta. Prima abitavamo a Brisighella, dove mio padre lavorava già in un mulino. Poi decise di scendere in pianura e di prendere in affitto il mulino Scodellino».

Nemmeno l’acqua potabile

I primi tempi furono molto duri, Giovanna non lo nasconde. «Non avevamo nemmeno l’acqua da bere, perché qualcuno per dispetto aveva buttato del letame nel pozzo e quindi non si poteva usare. Domandammo tante volte al Comune di bonificarlo ma non vennero mai. C’era l’acqua del canale, ma quella non era potabile, la usavamo soltanto per lavare. Alla fine l’acqua che ci serviva per bere e cucinare ce l’hanno sempre data i vicini. Il fatto è che i precedenti proprietari erano andati via “alla chetichella”, senza avvisare nessuno, e quando arrivammo noi il mulino era messo male. Mio padre dovette lavorare parecchio per renderlo di nuovo funzionante.
Un altro problema erano i ratti e le tope d’acqua (al tupadûr); babbo ci tirava con il fucile e metteva di continuo delle trappole. Freddo e umidità? Nei mesi freddi compravamo la legna e facevamo sempre andare le stufe della casa a pieno regime, perciò anche se avevamo il canale praticamente sotto i piedi un gran freddo non l’abbiamo mai sofferto».

La guerra vista dal mulino

Nel 1944 il fronte bellico si fermò sul Senio e Castel Bolognese fu investita in pieno dal turbine della guerra. Un comando di soldati si stabilì proprio a poca distanza dal mulino, senza però gravi conseguenze. «I tedeschi con noi si sono sempre comportati abbastanza bene. C’era un sergente maggiore dell’esercito che aveva fatto amicizia con babbo e ci trattava con un occhio di riguardo. E infatti finché ci fu il comando vicino a casa, grossi problemi non ne abbiamo mai avuti. C’era sempre un reciproco rispetto». Una notte però alle due fu proprio il sergente che li andò a svegliare all’improvviso. «Noi ci spaventammo, ma in realtà voleva soltanto salutarci. Ci spiegò che con la ritirata del fronte li facevano partire. Volle il nostro indirizzo e disse a mio padre: “Se mi salvo, torno”. Ma non ritornò mai. Qualche giorno dopo ci fu un grande combattimento sul Po, chissà che non sia caduto lì» ipotizza Giovanna.
Anche durante gli anni del conflitto il mulino non cessò mai di funzionare, se non per un breve periodo. «Lo chiusero perché dissero che dovevano lavorare soltanto i mulini grandi – racconta Giovanna –, ma il vero motivo era che mio babbo non aveva la tessera di partito. Così vennero le guardie a piombare le macine. Per un po’ mio padre andò a lavorare da alcuni contadini e dal mulino di Ezio Giovannini. In seguito gli fecero riprendere l’attività».

Il lavoro fino alla chiusura

Grano, granturco, fave e orzo erano le principali colture che i contadini della zona portavano dai Caroli a macinare. Due erano invece le macine: una per il granturco (e formintön) e una per il grano. La pietra per il grano era infatti più tenera, mentre per il granturco si usava una pietra più dura. «Era faticoso – sottolinea – allora non c’erano macchine e si faceva tutto a mano. Il grano doveva essere portato nella tramoggia in spalla tutte le volte». La macinazione era fatta unicamente con l’ausilio dell’acqua del canale, e richiedeva tempo: «quasi un’ora per un quintale di grano – ricorda – e spesso i contadini di quintali ce ne portavano anche tre alla volta. Per questo si vedevano soprattutto dei vecchi. I giovani restavano nel campo a lavorare, non potevano permettersi di perdere mezza giornata al mulino. Ad alcuni il macinato lo portava direttamente mio padre con un cavallo, che poi in seguito rimpiazzammo con una somarina».
Nel 1964 Giovanna si sposò e lasciò il mulino per andare a vivere a Lugo, ma due anni più tardi un grave incidente d’auto le portò via il marito. Rimasta vedova, decise di tornare a vivere al mulino con il figlio Giacomo. Nel 1982, la malattia di Piraja da una parte e il calo del lavoro dall’altra (con i grandi mulini
industriali che stavano gradualmente buttando fuori dal mercato i piccoli artigiani) spinsero i Caroli a cessare l’attività molitoria. Continuarono ad abitare il mulino pagando l’affitto al Comune fino al 1998, anno in cui «ci costrinsero ad andare via – sospira Giovanna -. Dicevano che l’edificio non era più abitabile, e ce ne siamo dovuti fare una ragione».
Il Comune le propose un appartamento in via I Maggio sopra l’officina comunale, ma lei rifiutò la proposta. Rimase a vivere in campagna a Casalecchio e comprò una piccola casa lungo via Lughese (dove abita tuttora insieme al figlio), a poche centinaia di metri di distanza dal suo amato mulino. «Sì, il mulino mi manca. Ci ho vissuto una buona parte della mia esistenza e i miei ricordi sono lì. La casa era brutta, e non era certo una vita agiata – conclude -, ma io ci sono sempre stata bene».

The post Giovanna Caroli, l’ultima custode dello Scodellino appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/giovanna-caroli-lultima-custode-dello-scodellino/feed/ 0
Le carte di Paola https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/le-carte-di-paola/ https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/le-carte-di-paola/#respond Sat, 14 Dec 2024 15:33:55 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12155 (introduzione) Il 13 dicembre 2024 è mancata Paolina Pini. Era nota anche come “Paolina formaggiaia”, perché i genitori, Evaristo e Leontina, per lungo tempo, furono commercianti in formaggi. Cresciuta nelle Cortacce, vi ha abitato per lungo tempo prima di trasferirsi in via 1° Maggio. Nel suo soggiorno ha esercitato, per …

The post Le carte di Paola appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
(introduzione) Il 13 dicembre 2024 è mancata Paolina Pini. Era nota anche come “Paolina formaggiaia”, perché i genitori, Evaristo e Leontina, per lungo tempo, furono commercianti in formaggi. Cresciuta nelle Cortacce, vi ha abitato per lungo tempo prima di trasferirsi in via 1° Maggio. Nel suo soggiorno ha esercitato, per moltissimi decenni, l’attività di cartomante, ereditata dalla suocera Domenica, per la quale era notissima non solo a Castel Bolognese, ma anche nei dintorni, e tanti si rivolgevano a lei per trovare nelle carte una risposta ai propri problemi esistenziali. A questa attività è dedicato l’articolo di Oda De Sisti, pubblicato su “Qui” del 6 maggio 1993, che vi proponiamo qui di seguito.
Tanti la ricorderanno in giro per il paese sulla sua “Graziella”. Qualcuno la ricorda anche “radioamatrice”, con il nome in codice di “Palla di neve”, assieme al marito Carlo Cortecchia “Camoscio”. Chioma rossa e grintosa pari alla sua graffiante ironia, applicata anche su sé stessa (come nel caso del suo nome radioamatoriale), Paolina era una donna molto forte che aveva superato prove difficili nella sua vita, costellata da gravi lutti.
Paolina aveva sempre avuto interesse per la scrittura e negli ultimi anni, uscendo poco, aveva riordinato tanti vecchi quaderni di ricordi e aveva scritto anche altre cose, sia ricordi che poesie. Aveva partecipato ad alcuni concorsi ricevendo anche premi, come la menzione speciale della giuria al 5. concorso nazionale di poesia online “Dino Campana” del 2018 per la la poesia “La farfalla bianca”. Pubblichiamo il testo di quella poesia e la riproduzione dell’attestato di merito, che mostrava con orgoglio a tutti coloro che le facevano visita. Sul nostro sito è già presente un suo scritto con i ricordi del tempo di guerra dove Paolina riviveva quel periodo con gli occhi della bambina di allora: vengono descritti i primi bombardamenti, lo sfollamento in campagna, la vita in cantina, i soprusi tedeschi, la ricostruzione.
Paolina aveva 88 anni. Ricordava sempre con ironia la diagnosi terribile di un medico di fama che, tanti anni fa, parlando dei suoi problemi di salute, le aveva pronosticato una vita molto breve, al massimo di 40 anni. E invece fino a un paio di anni fa ha vissuto da sola (dopo la scomparsa del marito Carlo), convivendo con tenacia con gli antichi problemi che aveva alle gambe. Curiosamente è morta a due anni esatti di distanza dalla caduta che le ha minato definitivamente la salute. Siamo certi che Paolina avrebbe ricavato da questa circostanza degli ottimi numeri da giocare al lotto, altra passione in cui era piuttosto abile.
Un grazie alla sorella Giovanna e alla nipote Elisa Marzocchi per aver messo gentilmente a disposizione le numerose fotografie con la quale ricordiamo Paolina. Un grazie anche a Maurizio Strappaveccia per un’ulteriore fotografia. (Andrea Soglia)

Le carte di Paola
Interroga il destino più per vocazione che per mestiere, guarda i problemi della gente con occhi saggi, ama la cucina e i colori vivaci. Ecco il ritratto inedito di una “veggente” di Castel Bolognese

di Oda De Sisti

Castel Bolognese. Cartomanzia, astrologia, numerologia, rune, i-ching, chiromanzia e altro ancora: le millenarie arti mantiche sono sempre attuali. Che cosa spinge moltissime persone a consultare coloro che le esercitano? Desiderio o ansia di conoscere il futuro? Bisogno di speranze o di rassicurazione? E poi, esiste un destino inevitabile e inesorabile o possiamo modificare e scegliere la nostra esistenza? Gli eventi ci cadono addosso o sono la conseguenza delle nostre predisposizioni caratteriali e genetiche? A queste domande non c’è mai risposta certa e così ognuno può credere, alla fine, a ciò che vuole.
Paola di Castel Bolognese legge, anzi come dice lei, “dialoga” con le carte da diciotto anni. Le carte che usa sono dei primi del secolo, piccole e strette, i colori ormai sbiaditi, appartenevano a sua suocera ed è da lei che ha imparato a interpretarle, ereditandole alla sua morte.
Sono nell’insolito numero di quarantacinque, “scelte” dall’antica cartomante tra gli arcani maggiori (tarocchi) e gli arcani minori (“le bolognesi”) e rappresentano la vita nei suoi molteplici, anche se invariati, aspetti. Ci sono i vari personaggi, le quattro coppie “regolari” e “irregolari”, i rivali, la malinconia, le lacrime, la speranza, la giustizia e gli atti legali, le invidie, i “diavoleri”, i viaggi, le malattie e la morte, gli interessi, la fortuna, le “fioriture” e gli “incagli”. Paola, piccola e grassa (“Mi piace mangiare, nella mia famiglia si è sempre guardato con sospetto alla magrezza!”), capelli rossi, bel viso, abiti colorati, lavora nel soggiorno di casa sua. E’ un ambiente per niente esoterico, dove non c’è nessun oggetto simbolico caro ai chiaroveggenti. Non ci sono che quadri dai colori vivaci, molti libri, una cyclette e, in un angolo, un’asse da stiro (ridendo dice: “E’ il mio altare!”) con una pila di panni appena stirati. Nell’adiacente cucina qualcosa bolle sul fuoco, spandendo gustosi aromi, che promettono una cena saporosa. Paola dialoga con la stesa delle carte dall’alto al basso e dal basso all’alto, la carta scoperta dal taglio del mazzo effettuato dal consultante, darà la prima indicazione sul filo da seguire durante il colloquio. Paola fa questo lavoro con disponibilità, senza pregiudizi nei confronti della natura umana e senza nessuna venalità. Si ritiene solo un tramite, il gioco – dice – lo conduce il consultante. A volte può capitare che le carte restino mute e allora vuol dire che la situazione è immobile, non c’è nessun evento. Altre volte compare una carta “forte”, così forte da condurre da sola il gioco, oscurando e trascinando tutte le altre. I clienti sono in maggioranza donne, ma gli uomini sono in aumento; i problemi sono sempre gli stessi: amore, affari, salute, lavoro, figli, molto richiesti i numeri del lotto e relative ruote. Paola trova che le donne sono molto cambiate, sono diventate molto competitive, mentre gli uomini sono sempre gli stessi: “dei bambini con i pantaloni lunghi. Mi sento molto materna con loro”. Durante le consultazioni, si parla molto d’amore, ma, secondo Paola, in giro ce n’è poco, l’uomo e la donna non si comprendono, si usano e la prova è che l’argomento amore è molto richiesto d’estate: “Quante volte, in quella stagione, mi chiedono: avrò un’avventura?”. Comunque pare che l’amore, nella lettura delle carte, sia spesso difficile da interpretare, è un argomento sfuggente e fragile, è molto più facile indovinare i problemi di salute. Anche il sesso di un nascituro è a volte difficile da prevedere, perché la madre che desidera molto o un maschio o una femmina, secondo Paola, interferisce con il pensiero. “Paola, ci sono momenti durante la lettura delle carte, in cui lei prova difficoltà nel comunicare ciò che le carte dicono?” “Quando compare la carta della “persona tradita”, che significa malattia grave, è un momento difficile, ma spesso so che può essere solo un avvertimento che può aiutare la persona. Una bella carta è “l’uomo che porta malinconia”, perché potrò dire alla cliente che “lui” la porta sempre nel cuore”. Paola non crede al malocchio: “ai clienti che ci credono, dico che il male è nelle loro menti”. “E al destino ci crede?” “In parte sì, penso, come altri, che la vita sia paragonabile a un gioco d’azzardo, in cui vengono distribuite carte buone e carte cattive. Bisogna imparare a giocare bene le proprie carte!”.

La farfalla

di Paolina Pini

Bianca farfalla
che voli felice
godendo nel vento
ma cosa ti dice?
ti parla forse
di prati fioriti
di cieli sereni
di risa di bimbi?
Sembri una stella
di neve smarrita
sopra la terra
ormai rifiorita.
Bianca farfalla
tu sei il fiore del cielo
senza profumo
e senza stelo
Bianca sei la messaggera
della primavera

 

The post Le carte di Paola appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/storie-di-persone/le-carte-di-paola/feed/ 0
Dicembre 1944: cala la lunga notte https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-cala-la-lunga-notte/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-cala-la-lunga-notte/#respond Thu, 12 Dec 2024 17:49:32 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12138 di Paolo Grandi 1. La prima quindicina del mese 1a L’evolversi del fronte e la conta dei danni Il fronte stava avanzando verso ovest lungo la via Emilia, ma ogni fiume era un ostacolo: gli argini, spesso molto alti, servivano ai tedeschi come trincea difensiva ed imponevano agli alleati di …

The post Dicembre 1944: cala la lunga notte appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
di Paolo Grandi

1. La prima quindicina del mese

1a L’evolversi del fronte e la conta dei danni

Il fronte stava avanzando verso ovest lungo la via Emilia, ma ogni fiume era un ostacolo: gli argini, spesso molto alti, servivano ai tedeschi come trincea difensiva ed imponevano agli alleati di esporsi al fuoco nemico per avanzare. Grande fu il tributo di sangue, reso per lo più dai soldati inglesi facenti parte del Commonwealth. Dal 3 al 15 dicembre infuriò la battaglia per la conquista di Faenza che fu liberata il 17 dicembre dalle truppe neozelandesi, mentre i tedeschi già da due giorni si erano ritirati al di qua del Senio, ove, lungo il suo corso, si sarebbe stabilizzato il fronte. Certamente l’esercito tedesco era ridotto quasi allo stremo ma essi erano consapevoli che se si fosse rotto qui il fronte non sarebbe stato per loro possibile creare una valida difesa fino al Po. Si parlava del basso morale delle truppe, Maria Landi racconta che, addirittura, i tedeschi avevano requisito quasi tutti i veicoli a due ruote e li avevano stesi per le campagne con un palo centrale messo in maniera che sembrasse un cannone per far credere agli Alleati in una potente batteria di difesa! Ma i Tedeschi erano fermamente convinti che Hitler avrebbe di lì a poco adoperato la “nuova arma” che avrebbe invertito le sorti delle guerra.
Il centro di Castel Bolognese fu oggetto di tiri di artiglieria e bombardamenti quasi quotidiani a partire dal 1 dicembre. Franco Ravaglia nel suo diario annota incursioni aeree alleate con bombardamenti in centro nei giorni 1, 4, 10 e 15 dicembre e caduta di granate il 2, 5, 6, 7, 8, 9, 11 e 15 sul centro abitato, il 3 al Ponte del Castello ed il 9 nelle campagne. L’8 dicembre, solitamente festa grande per l’Immacolata, furono danneggiate le chiese di San Petronio per la prima volta, di San Francesco e del Suffragio. Colpiti anche tutti i campanili. Il Suffragio fu addirittura crivellato, mentre San Francesco fu colpita in tutte le sue parti in modo orribile. I tedeschi, che affollavano il centro, intanto facevano razzia nelle case, asportando tutto ciò che capitava utile, mentre nelle chiese arrivarono pure a gesti sacrileghi sfondando tutte le mense degli altari in San Francesco immaginando trovarvi chissà quali tesori e violando anche il grande armadio del Reliquiario; nella chiesa del Suffragio razziarono tutta la cera per illuminare i loro rifugi. A metà del mese la cella campanaria di San Francesco crollò trascinando nella rovina il presbiterio ed il settecentesco coro ligneo, mentre più di un terzo dell’abside dell’Arcipretale precipitò sotto i colpi di artiglieria devastando parte dell’altare maggiore e la bancate del coro. Anche gli edifici privati e pubblici del centro e del Borgo subirono in questo periodo danni anche ingenti.
Qua e là negli immediati dintorni del centro si vedevano grandi fuochi ardere le case saccheggiate o bruciate per rappresaglia. In ogni dove continuavano le razzie e furono visti i soldati germanici impacchettare stoviglie, bicchieri, posate o piccole cose d’arredo per spedirle a casa.

1b La vita dei civili

Pian piano, già a partire dagli ultimi mesi di novembre, tutte le cantine del centro storico poste sulla via Emilia, su via Garavini e sulle altre strade laterali si riempirono di sfollati. La gente si rifugiava là con ciò che poteva servirgli e che aveva di più caro, abbandonando al loro destino le proprie case. L’opinione generale, tuttavia, era che nel giro di una settimana, dieci giorni al massimo la buriana sarebbe passata. Tra le cantine più gremite vi erano quelle delle Monache Domenicane poste verso la via Emilia; qui già da metà novembre si erano rifugiati molti abitanti della Pace fuggiti dalle case poste a ridosso del fiume e a metà dicembre giunse pure il parroco don Vincenzo Zannoni con la propria famiglia e altri parrocchiani. L’8 dicembre i tedeschi portarono nella medesima cantina su interessamento di Mons. Sermasi, con l’inganno perché era stato promesso loro il ritorno a casa, sette Ancelle del Sacro Cuore di Faenza con trenta orfanelle della Piccola Opera della Divina Provvidenza di età compresa tra i 2 ed i 18 anni, tutte sfollate a Celle. Per propria sicurezza, i tedeschi misero in comunicazione tutte le cantine tra l’8 ed il 15 dicembre. Nelle cantine si viveva di stenti cercando tuttavia una possibile normalità, qualche famiglia aveva portato la cucina che condivideva con altri; la luce era assicurata da lumi a petrolio o a carburo oppure dalle candele; acqua e servizi igienici non esistevano ed occorreva uscire col pericolo sempre in agguato.

1c L’ospedale e il sacrificio di Moschetti e Donati

Il 7 dicembre il dott. Carlo Bassi decise di trasportare nelle cantine centrali dell’Ospedale tutte le attività di cura, degenza ed operatorie. Nella cantina posta sotto l’ala sud furono ospitati i Cronici, le Orfanelle dell’Orfanotrofio Ginnasi, le partorienti e gli infettivi. Nella cantina centrale furono ospitati i degenti, il tavolo operatorio ed un a stufa ove erano messi a sterilizzare i ferri chirurgici e le siringhe, mentre in quella adibita a cucina stavano il Cappellano, le Suore di Carità, oltre alla Squadra di Pronto Soccorso che ebbe in quei giorni il suo tributo di sangue. Il 15 dicembre, mentre alcuni di loro si soffermavano nell’atrio della porta d’ingresso dell’Ospedale, osservando un aeroplano alleato che volteggiava nel cielo, dal medesimo fu sganciata una bomba che cadde proprio nel mezzo della strada non lontano dal luogo dove essi sostavano. Due di essi un po’ più esposti furono colpiti in pieno dalle schegge: Antonio Donati e Pierino Moschetti (quest’ultimo era il capo squadra) decedettero all’istante.

1d La vita religiosa

Don Garavini nella sua cronaca descrive questi frangenti come il periodo delle Catacombe. Infatti, il 2 dicembre fu celebrata l’ultima funzione in San Petronio: il funerale di Francesco Paolo Liverani. Poi tutte le celebrazioni religiose si trasferirono nelle cantine. Quasi tutti gli abitanti rifugiati là sotto facevano a gara per avere la Santa Messa che naturalmente si celebrava or qua or là solo a turno, dovendo portare pure ogni volta tutto l’occorrente. Per queste si prestavano continuamente l’Arciprete mons. Sermasi, il parroco della Pace e il padre Damiano Cappuccino. Nelle cantine poi vi era un certo numero di sacerdoti rifugiatisi dalle parrocchie di campagna che collaboravano con l’Arciprete, come don Francesco Preti parroco di Campiano che ebbe chiesa e canonica bombardate, il Priore di Valsenio Don Bosi, Don Pasquale Budini, Don Pasquale Cani, don Cleto Venturi della diocesi di Faenza, alcuni seminaristi come Italo Drei, Carlo Marabini e Giuseppe Dal Pozzo. I frati Cappuccini erano rifugiati in una delle loro cantine, mentre le altre erano state requisite dai tedeschi.

2. Un triste Natale

2a La sosta sul Senio e gli ulteriori danni; addio ai campanili

Tra il 15 e il 19 dicembre il fronte si attestò definitivamente sul Senio; il giorno 16, come ricorda Maria Landi, toccò al ponte della Via Emilia sul Senio, che da secoli valicava il fiume ed aveva inglobato lacerti romani, essere vittima della distruzione e poco dopo fu anche fatto saltare il vicino ponte ferroviario. Intanto in centro continuavano i tiri alle chiese, ai campanili e le distruzioni di case e palazzi. Franco Ravaglia informa che in questa seconda parte del mese non vi furono incursioni aeree ma solo tiri incrociati di granate quasi quotidianamente ed a volte anche nella notte. Naturalmente gli obiettivi principali erano i campanili e la torre, possibili luoghi di vedetta.
Il 24 dicembre, giorno solitamente dedicato ai preparativi del Natale, verso mezzogiorno crollò per un buon terzo il campanile di S. Petronio distruggendo il cornicione, l’organo (un prezioso Traeri), il parapetto dell’orchestra, e sprofondando nei gradini dell’altare e nel presbiterio. Il colpo ferale al campanile di San Petronio fu sparato da un militare di origine polacca: Henryk Strzelecki (1925-2012). Costui, disegnatore di moda in tempo di pace, abbandonata l’idea di tornare nella natia Polonia piombata nel comunismo, si trasferì in Gran Bretagna e lì, mutato il nome in Henri Strzelecki fondò nel 1963 a Manchester insieme ad Angus Lloyd la famosa firma di moda Henri Lloyd. Lo Strzelecki tornò due volte a Castel Bolognese tra gli anni ’90 ed i primi del presente secolo recandosi dall’allora Arciprete per consegnare una somma “in riparazione” dei danni da lui causati al campanile. Anche la chiesa delle Domenicane, in una notte di poco precedente al Natale, subì una grave offesa restando in parte scoperchiata. Nella notte del 29 dicembre i tedeschi minarono e fecero saltare in aria campanile e sacrestia di San Francesco; la notte seguente toccò al Suffragio. La Torre civica, ferita e in parte smozzicata, rimase al momento l’unica guardiana di Piazza Bernardi.

2b La vita dei civili e l’eccidio di Biancanigo

Così racconta Maria Landi “Nel buio più assoluto caricammo su un carretto di fortuna le nostre povere cose: la stufa, quattro reti per il letto con i materassi, pentole, tegami e tutto quello che avevamo in casa di commestibile, qualche fagotto con lenzuola e vestiti, il maiale ucciso al momento, le galline dentro un sacco. Noi avevamo indossato un doppio cambio di indumenti ed in una tasca nascosta avevamo i soldi: i risparmi di una vita. E così ci incamminammo verso Castello”. Così descrive la cantina delle Domenicane don Garavini: “La cantina rigurgita di tutte le sorti: oltre i giacigli per gli sfollati, e un po’ di bottame con relativo vino, reti, brande, sofà, sedie, attrezzi da cucina, gli scarsi viveri che sinora si sono potuti salvare, l’ingombrano in gran parte valige e involti che si celano un po’ dappertutto. Non c’è altro che un piccolo passaggio in mezzo per consumare i magri pasti”.
Il parroco di Biancanigo, don Tambini, aveva issato sul campanile il vessillo giallo/rosso vaticano e, in una qualche maniera, riuscì a salvare chiesa e canonica benché fossero a due passi dal Senio. Non fu così invece per i rifugiati nelle cantine di Villa Rossi, a pochi metri dall’argine del Senio. Lì vi erano rifugiate in due cantine non comunicanti, nella prima un certo numero di cieche con la Direttrice ed alcune inservienti provenienti dall’Istituto Ciechi di Bologna, dall’altra le famiglie Montanari. Cristoferi e Lama, le prime due coloni dei poderi annessi alla villa. Quando i tedeschi decisero di far saltar il complesso, avvisarono le cieche, che si rifugiarono in fretta e furia nella canonica di Biancanigo, ma non i coloni che, solo per caso, si accorsero all’alba che la villa era stata minata ed un Montanari tagliò i fili delle mine cosa che tuttavia non fu sufficiente a salvare i rifugiati: poco dopo la villa saltò in aria seppellendo ventuno innocenti di età compresa tra gli 84 ed i 2 anni.
Poco prima di Natale i tedeschi minacciarono lo sfollamento delle Via Garavini, Borghesi e Roma dal macello fino alla Filippina. Ma su interessamento e con l’insistenza dell’Arciprete Sermasi presso il comandante della Piazza fu sventato il pericolo, perché una volta sfollate le case, i tedeschi vi sarebbero entrati facendo man bassa di tutto.

2c Natale in cantina

Parecchie Messe furono celebrate nell’altarino della sacrestia dalla Domenicane, una delle quali dal parroco della Pace, cantata dalle Suore e dalle orfanelle rifugiate in cantina una delle quali, racconta Maria Landi, aveva una bellissima voce. L’ultima delle 10 fu celebrata da don Garavini all’altare maggiore della Chiesa, sfidando i pericoli del caso. In tante cantine di Castel Bolognese fu celebrato il Natale dai vari Sacerdoti presenti in città con partecipazione e devozione, riferisce Angelo Donati, i cui figli prepararono anche il Presepe in cantina.

2d Una Rifugiata particolare

Don Antonio Garavini era sordo, perciò non sentiva i rumori dei bombardamenti e per questo motivo li sfidò cercando di salvare il più possibile arredi sacri e opere d’arte presenti nelle chiese castellane. A lui si deve la messa in salvo di tutti i reliquiari presenti nel grande armadio dell’altare di San Francesco, poi devastato dalle bombe. Non riuscì tuttavia a salvare le opere d’arte presenti nella chiesa del Suffragio, in particolare la grande tela del Cignani.
Ma il 31 dicembre una rifugiata d’eccezione andò ad aggiungersi alla folla presente nelle cantine delle Domenicane: verso le ore 14 fu prelevata dalla chiesa di San Francesco l’Immagine della Madonna della Concezione, Patrona principale di Castel Bolognese e del suo territorio e fu portata nella cantina delle Domenicane, a fianco dell’altare posticcio, qui posta sopra il basamento processionale. Davanti a Lei don Zannoni, all’imbrunire cantò il Te Deum con la Benedizione Eucaristica e tutti quella notte si coricarono con la speranza che il nuovo anno portasse l’alba del nuovo giorno.

The post Dicembre 1944: cala la lunga notte appeared first on La Storia di Castel Bolognese.

]]>
https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-cala-la-lunga-notte/feed/ 0