Ottobre 1944: la guerra inesorabilmente si avvicina

di Paolo Grandi

Nell’ottobre 1944 il fronte stava lentamente avanzando sulla via Emilia, mentre nel nostro Appennino i Tedeschi erano stati cacciati dalle alte valli del Lamone, del Senio e del Santerno e procedevano, anche qui molto lentamente, verso la pianura. Così Firenzuola fu liberata il 19 settembre ma a causa del bombardamento anglo americano del precedente giorno 12 il centro venne quasi raso al suolo; Palazzuolo su Senio fu liberato il 24 settembre ed il giorno successivo toccò a Marradi. L’obiettivo principale delle forze anglo-americane era in questo momento conquistare Forlì. La città romagnola aveva un duplice significato: era la città del Duce e la sua liberazione era un segnale forte nei confronti dell’oppressore ma anche verso gli italiani: liberando la città di Mussolini, si sarebbe liberata l’Italia tutta. L’altro, forse più importante obiettivo era quello di impadronirsi del suo aeroporto che con la pista in cemento poteva essere usato in qualsiasi stagione; inoltre era il primo aeroporto disponibile nella pianura padana. Tuttavia, gli alleati incontrarono una strenua resistenza dell’esercito germanico che fu cacciato da Forlì solo nei primi giorni di novembre.
Castel Bolognese quindi si trovava nelle retrovie, a poco meno di 30 kilometri dal fronte e doveva ora fare i conti con un nemico germanico sempre più agguerrito e maldisposto nei confronti della popolazione inerme e alle Brigate Nere che andavano rastrellando le campagne in cerca di renitenti alla leva, collaboratori e partigiani.
Durante i primi giorni d’ottobre a Tebano vi furono scene di terrore: persone fucilate sommariamente, case saccheggiate e incendiate, abitanti prelevati e trasportati come delinquenti alla villa di San Prospero, che si trova all’inizio della strada di Castel Raniero, dov’era il comando delle Brigate Nere agli ordini del famigerato faentino Raffaele Raffaeli; qui restarono in attesa di giudizio e di condanna. Tra i prigionieri c’era pure don Antonio Lanzoni parroco di Montecchio sopra la Pideura, in Diocesi di Faenza, ottantenne, accusato di aver dato rifugio in Canonica a partigiani; nelle settimane successive fu portato a Bologna e là venne fucilato. Anche a Biancanigo il 6 ottobre parecchi uomini e donne furono prelevati dalle loro case e internati nel cortile della chiesa con la scusa del controllo dei documenti. Solo verso l’imbrunire, dopo una giornata passata sotto la pioggia e a digiuno, il Raffaeli arrivò per il controllo, tuttavia alcuni, con la complicità di don Tambini, il parroco, riuscirono a fuggire, mentre altri vennero trasportati alla villa San Prospero.
Il 28 settembre, verso le 23 tutta la città fu svegliata da ripetuti e furiosi rimbombi. Da un apparecchio alleato proveniente da ovest e diretto verso est furono sganciate tre bombe: una in Piazzale Poggi, una davanti alla Torre dell’orologio che colpì il Caffè della Torre, una terza presso la casa detta dei “Camerini” di là dagli orti. Il terrore fu indescrivibile. Gli abitanti e gli sfollati fuggirono all’aperto e molti cercarono rifugio nelle trombe dei due campanili di San Petronio e di San Francesco. Si interruppe anche la corrente elettrica. Per fortuna non vi fu alcuna vittima, ma danni gravissimi specialmente ai fabbricati della “Fonda” (ove sorge oggi la Biblioteca Comunale, allora Convento delle Agostiniane), in Piazza Bernardi e in Via Garavini. La chiesa del Pio Suffragio ebbe la porta e tutte le imposte spalancate per la violenza dello scoppio e tutto il porticato della facciata fu tempestato dalle schegge che forarono persino i muri interni e i quadri della chiesa. Una di queste andò a conficcarsi tra lo stipite e la porta maggiore dell’Arcipretale. Tutte le vetrate delle altre chiese e di tanti edifici pubblici e privati si frantumarono.
Il 15 ottobre nel pomeriggio fecero irruzione in centro i militi delle Brigate Nere, bastonando e rastrellando a più non posso, mentre in serata venne saccheggiata barbaramente e quasi con ferocia inaudita dai civili, su istigazione dei tedeschi, la stazione ferroviaria; qui infatti era stato rifugiato del materiale dalla stazione di Bologna: soda, lampadine elettriche, filo metallico e altro. Di tutto si fece tabula rasa. Nei giorni seguenti passarono i guastatori tedeschi e distrussero tutti i pubblici servizi: telegrafi, telefoni ecc. Anche l’edificio della stazione ferroviaria fu fatto saltare con un’esplosione terribile.
Infine, il 21 ottobre le Brigate Nere arrestarono un barbiere del centro assieme al figlio; i due furono portati a Faenza e con loro furono arrestate anche le sorelle Cavallazzi, proprietarie di una tipografia, accusate di propaganda sovversiva forse solo perché figlie dell’anarchico Raffaele. Ma anche sul barbiere i fascisti fecero un errore: invece di prelevare Luigi Baldrati, Lissorum, noto comunista, che aveva la bottega sulla via Emilia sotto i portici a monte, portarono via dalla sua bottega nei portici a valle il barbiere Ernesto Rani assieme al figlio adolescente. Mentre le due donne ed il giovane furono rilasciati quasi subito, Ernesto Rani fu a lungo interrogato, bastonato e torturato, ma essendo la persona sbagliata non rilasciò alcuna dichiarazione. Fu liberato una settimana dopo.
Maria Landi ricorda che a settembre non riaprirono le scuole. I contadini provvidero comunque a vendemmiare e a seminare con grave rischio e pericolo. Durante il mese di ottobre piovve oltre ogni norma ed il Senio tracimò nei pressi del Ponte del Castello allagando campi ed alcune case di quella frazione. Purtroppo molti abitanti del luogo, che avevano scavato buche per seppellire le loro cose più care, magari anche di parenti lontani e di amici, le persero perché quelle buche si riempirono di mota che rovinò ogni cosa, subendo così la beffa di non aver perso i propri beni per la guerra ma per un’alluvione.

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