Gennaio 1945: notte fonda

di Paolo Grandi

1- Si prolunga la sosta del fronte

Ormai il fronte si era stabilizzato sul Senio da due settimane; i due eserciti: alleato e tedesco si fronteggiavano e, con alterne vicende e perdite umane, dal primo venivano conquistati lembi di terra poi persi quasi subito. A farne le spese era l’abitato di Castel Bolognese e la sua campagna, entrambi devastati dalla furia dei combattimenti. Meteorologicamente, il 1944 si era chiuso sotto una fitta nevicata che continuò anche nel giorno di Capodanno. In questa mattina, siccome nel crollo del campanile di S. Francesco era rimasto salvo un piccolo locale attiguo alla Sacrestia che conteneva parecchi arredi, con l’aiuto di alcuni sfollati questi furono estratti con grande fatica ed enormi rischi e trasportati nel Monastero delle Domenicane sotto la guida di don Garavini. Notevole attività aerea e di artiglieria si registrò senza sosta notturna- nei primi cinque giorni del mese. Poi un’altra nevicata fermò i belligeranti per alcuni giorni, salvo qualche sparo qua e là. Ma fu calma apparente e Franco Ravaglia ci elenca bombardamenti ed incursioni aeree quotidiane per tutti i restanti giorni di gennaio. Il bombardamento del 24 gennaio infierì pesantemente su Palazzo Mengoni e distrusse il teatro comunale.

2- Viene costituita la Consulta Comunale e si richiedono gli aiuti

Cominciava frattanto tra la popolazione a scarseggiare il cibo. Le autorità cittadine, con l’arrivo del fronte si erano praticamente dissolte poiché i loro rappresentanti, tutti legati al regime, erano fuggiti; Ravenna era irraggiungibile, i servizi comunali non funzionavano e l’Annona era scomparsa. Iniziarono quindi i contatti tra i vari rappresentanti dei rinati partiti politici per la costituzione della Consulta Comunale, promossi specialmente dal dott. Carlo Bassi. A farne parte l’arciprete don Giuseppe Sermasi, Arnaldo Cavallazzi (anarchico), Michele Bernabè (comunista) che poi lasciò a fine mese, Giuseppe Dari (repubblicano), il dottor Antonio Bosi (democristiano), Giovanni Dalprato (repubblicano), Tommaso Morini (socialista), il notaio Gustavo Gardini quale segretario ed in qualità di componenti supplenti Mons. Vincenzo Poletti e Stefano Violani (socialista). La prima necessità fu stabilire i contatti con la Provincia per cercare aiuti, medicinali, sussidi, cibo; il 2 gennaio, giorno successivo alla costituzione, su proposta del Cavallazzi, si decise di chiedere l’appartenenza temporanea alla provincia di Bologna e fu deliberato che alcuni componenti avrebbero recapitato, con mezzi di fortuna, una lettera di tal richiesta alla città madre. Dei tre designati, il giorno successivo solo Arnaldo Cavallazzi si presentò per partire, conscio dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare. Lo accompagnò nel viaggio di andata Giacomo Cani che tuttavia preferì rimanere a Bologna. In quella città Cavallazzi cercò anche oriundi castellani come il farmacista Mario Santandrea, per promuovere un aiuto alla nostra popolazione. La missione diede i suoi frutti: giunse a Castel Bolognese un mezzo della Croce Rossa con medicinali, latte, viveri e denaro e queste visite furono rese settimanali. Arnaldo Cavallazzi tuttavia ebbe notevoli difficoltà per il ritorno, in mezzo a una fitta nevicata che aveva già ricoperto la via Emilia, sfidando il gelo e allo stremo delle forze fu ospitato per qualche ora da una famiglia a Castel San Pietro prima di riprendere il cammino. Intanto la Consulta Cittadina strinse un accordo con il CLN di Imola alla ricerca, fruttuosa, di ulteriori aiuti. Da segnalare l’opera di mons. Vincenzo Poletti che ricoprì la carica di sub-commissario prefettizio e si prodigò per tenere i rapporti tra la Consulta cittadina e la Provincia di Bologna.

3- Fu un atto di collaborazionismo?

Una recentissima pubblicazione (1), facendo una fredda ricostruzione di quegli avvenimenti, accusa i componenti della Consulta Comunale di collaborazionismo. Non ritengo assolutamente giustificata questa accusa. Certamente, la decisione di richiesta di aiuto formulata alla Prefettura di Bologna, che, certamente, era Organo amministrativo della Repubblica Sociale Italiana (ma non è provato che chi ne facesse parte e chi vi operasse fosse collaborazionista), fu sofferta ma necessaria per salvare la popolazione dalla fame, dalla miseria e dalle epidemie. Ognuno può immaginarsi con che spirito uno schietto anarchico come Arnaldo Cavallazzi si possa essere presentato davanti alle autorità Repubblichine! Ma questo non ne fa un collaborazionista, anzi lui corse il rischio di essere arrestato per tradimento! Così scrive Angelo Donati: “dobbiamo collegarci con Bologna, con le autorità provinciali di un Governo esistente “de facto” senza approvarne né l’istituzione, né l’operato (…) Gli uomini che ad essa si accingono non hanno paura, anche se basta un delatore per farli imprigionare e condannare”. (2) E non si dimentichi che molti di questi castellani furono decorati al valor civile per l’opera meritoria svolta durante la sosta del fronte.
Spiace piuttosto constatare che il Comune promuovendo questa pubblicazione abbia di fatto sovvertito il giudizio delle precedenti Amministrazioni di qualsiasi colore politico, su queste specchiate persone alle quali in questi ottant’anni hanno dedicato strade, edifici pubblici, luoghi. Per coerenza, ora se ne dovrebbe revocarne la dedica a meno di una smentita che si attende, spero, a breve. Occorre quindi dire piuttosto che questo atto della Consulta Comunale, così come quello di prendere contatto col CLN di Imola furono mossi dallo stato di necessità della popolazione castellana piuttosto che da un disegno politico.

4- La vita religiosa

Intanto, i Sacerdoti presenti in città continuavano il loro servizio nelle “catacombe”; vi erano impegnati l’Arciprete don Sermasi, don Francesco Preti il parroco di Campiano, i Cappuccini e don Garavini. Nella cantina della Domenicane ogni domenica don Vincenzo Zannoni celebrava la Messa animata nel canto dalle Orfanelle della Barsana, mentre don Francesco Bosi la celebrava nella Cappella delle Maestre Pie, al momento agibile e non colpita dall’artiglieria.

5- Gli eccidi e i ferimenti

Questo mese fu funestato da tre tragici eccidi di civili, dovuti questa volta alle bombe dei liberatori. Il 5 gennaio perirono presso la casa del podere “Cassiano” in via Gradasso, nella Parrocchia della Pace sei innocenti: in quella casa, sebbene parzialmente distrutta, vivevano ancora i fratelli Poletti con le rispettive mogli ed i figli. Il fumo proveniente dal camino della casa provocò il sospetto agli anglo americani che alcuni militari tedeschi vi soggiornassero; perciò i bombardieri in zona cercarono di colpirla. Una prima bomba cadde nei campi e così le famiglie cercarono rifugio in due diverse buche scavate nell’aia e coperte da assi e terra, distanti poche decine di metri l’uno dall’altra. Una seconda bomba cadde dentro l’ingresso di uno dei rifugi, il più capiente, ove c’erano sei persone di età compresa tra i 50 ed i 2 anni. La seconda strage avvenne in pieno centro il 24 gennaio: nella cantina del macellaio Felice Borghi, sulla via Emilia lato valle, erano rifugiate numerose famiglie. Una granata colpì il cortile della casa e penetrò nella cantina uccidendo sette persone, delle quali cinque appartenenti alla famiglia Fenara, bolognesi qui rifugiatisi dai pericoli che sarebbero potuti incombere sulla città. Il terzo fatto di sangue accadde il 29 gennaio quando durante un bombardamento alleato fu colpita “la Palaza”, un palazzo di tre piani su viale Umberto I ove ora c’è Castel Verde: il bilancio fu di un morto e tre feriti.
Da segnalare, infine, il ferimento di Arnaldo Cavallazzi in Piazza Camerini il 23 gennaio, poi medicato all’Ospedale e di Nerina Monti il 26 gennaio, ragazza sedicenne che perse un piede ed alla quale il dott. Carlo Bassi dovette amputare la gamba sotto il ginocchio, praticamente da sveglia, solo con una iniezione di morfina per calmare il dolore, mancando l’Ospedale di anestetici.

(1) SUZZI R.: Politica e Amministrazione a Castel Bolognese dalla Resistenza alla ricostruzione postbellica (1943 – 1951), dicembre 2024.
(2) DONATI A.: Sul Senio il fronte si è fermato, Castel Bolognese, 1977, pag. 72.

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