Aprile 1945: finalmente liberi!

di Paolo Grandi

Il giorno di Pasqua, 1 aprile, passò in relativa tranquillità e la popolazione, complice la bella e calda giornata, uscì dalle cantine ed animò il centro, tra le macerie ma osò portarsi anche fino sull’argine del fiume. Ma la calma durò poco e all’imbrunire le granate ricominciarono a piovere su ciò che rimaneva di Castel Bolognese e della sua campagna. Gli occupanti tedeschi intanto, ormai consci di non poter più resistere all’offensiva alleata, provocarono altri danni, assolutamente inutili, al solo scopo di rallentare l’avanzata. Nei giorni successivi furono minati i portici di levante sulla Via Emilia e solo grazie all’atto di audacia del giovane Sergio Zurlo, che tagliò i fili delle mine, si salvarono quelli della casa Solaroli. Altre gratuite distruzioni furono l’abbattimento dei tigli di viale Cairoli, degli alberi di Viale Pascoli e dei cipressi del viale del Cimitero. Racconta don Garavini: “la visione più orrenda la presenta il viale della stazione: sembra addirittura una scenda da inferno dantesco.” Poi ciò che rimaneva dell’esercito tedesco, con ogni mezzo comprese le carrozzine dei neonati o le carriole e razziando ove ancora possibile, si ritirò verso Imola; l’11 aprile numerose squadriglie di bombardieri alleati sorvolarono Castel Bolognese liberandosi del loro carico altrove, specie nella bassa.
Poi nella notte una calma irreale si distese sui resti di Castel Bolognese e nella prima mattina di giovedì 12 aprile i Fucilieri Carpatici Polacchi, provenienti da Biancanigo lungo la via Ghinotta, dopo aver attraversato il Senio sotto il fondo “Scaletta” di Casale Faentino, giunsero finalmente a liberare Castel Bolognese. In mezzo a tante distruzioni i liberatori non pensavano di trovare così numerose persone che, a frotte, uscivano dalle cantine. La festa fu grande e l’entusiasmo pure; da alcune finestre si issarono bandiere italiane e polacche, pareva la festa di Pentecoste. Così commenta don Garavini: “È un incrociarsi di saluti e di felicitazioni per aver salvato almeno la pelle. Che importa, se si è perduto masserizie, mobili, e perfino la casa? Tutto ciò è doloroso, ma di fronte alla vita è quasi un nulla. I crocchi più numerosi e più frequenti si notano nel Corso Garibaldi a ponente e nel Borgo, perché le strade ivi sono più sgombre e adatte alla circolazione. Si vedono delle facce quasi irriconoscibili, delle barbacce incolte, lasciate crescere appositamente così per mostrare un’età più avanzata e non essere accalappiati dai frequenti rastrellamenti a scopo di lavoro forzato. Il nostro Castello è irriconoscibile.”
In quella giornata in tanti accorsero alle Sante Messe che furono celebrate sia nella chiesa delle Domenicane, sia in quella della Maestre Pie ed anche in molte cantine. A mezzodì del 14 aprile la campana superstite del mutilato campaniletto della Domenicane suonò l’Angelus dopo tanti mesi di silenzio e nel pomeriggio fu riportato alla luce del sole il simulacro dell’Immacolata. La domenica 15 aprile si celebrò una giornata di ringraziamento con varie Messe, una delle quali alle nove in canto con accompagnamento d’archi. Nel pomeriggio funzione solenne con Te Deum e discorso di don Francesco Bosi Priore di Valsenio cui seguì la messa vespertina celebrata nella chiesa di Santa Maria dello Spedale che, fino all’agibilità di San Petronio riaperta il 18 marzo 1946, funse da Parrocchiale. Lì si celebrarono anche le feste votive di Pentecoste durante le quali furono fatte anche le tre processioni della domenica, lunedì e martedì.
Intanto i Castellani ritornavano alla “normalità” con una grande voglia di ricostruire e molte speranze per il futuro, così come ben descritto da Maria Landi nel suo libro “Il ritorno alla casa sul fiume Senio”. Tra il 16 ed il 20 aprile rientrarono anche le Monache sfollate a Bagnara, mentre pian piano i rifugiati nelle cantine ritornarono alle proprie abitazioni o a ciò che vi rimaneva. Ma la morte per causa della guerra colpì ancora a lungo a causa delle subdole armi: Aldo Cani, facente parte della squadra UNPA ed incaricato di sminare un passaggio sul fiume, perì sul Senio il 15 aprile a causa dello scoppio di una mina; i fratellini Assunta e Augusto Morara, rispettivamente di otto e quasi undici anni perirono tragicamente il 23 aprile a causa dello scoppio di una mina. Assieme ai genitori, di ritorno alla villa “La Capanna” di Biacanigo, che era stata la sede del comando tedesco, i bambini trovarono nella cantina il pianoforte già appartenuto ai Marabini del Camerone e che già i fratelli don Carlo e Nicio avevano provato nei giorni precedenti con l’intenzione di riportarselo a casa. Un tasto era stato minato dagli occupanti ed i bambini, suonando l’intera tastiera, ne provocarono la deflagrazione.
A conclusione di queste cronache, che ho voluto ricostruire perché non si dimentichino i patimenti dei castellani in quei lunghi mesi di guerra, voglio ricordare due episodi felici: l’esercito alleato apprestò nel camerone centrale dell’Ospedale un posto di pronto soccorso militare diretto da un Capitano medico, il quale parlava abbastanza bene l’italiano; egli presentò al dott. Bassi una medicina straordinaria che da noi era sconosciuta ma che salvava tante vite umane: la penicillina. E da quel momento anche i degenti del nostro Ospedale poterono essere curati con la penicillina. Il secondo episodio riguarda un cappellano militare cattolico al seguito dell’esercito alleato; si trattava di un Domenicano e così ebbe modo di entrare nel Monastero e confortare le suore.

La Liberazione e l’inizio della ricostruzione in un disegno di Fausto Ferlini (tratto da: Sul Senio il fronte si è fermato, di Angelo Donati)

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