2 e 3 luglio 1944: vengono bombardate le stazioni ferroviarie di Castel Bolognese

di Paolo Grandi

Passata la paura dei primi giorni di marzo la sensazione generale fu che la guerra si stesse avvicinando. Quasi quotidianamente la sirena, sistemata dal Comune sulla Torre Civica, lanciava il suo lugubre e straziante urlo, avvisando del pericolo imminente e la popolazione si rifugiava dove poteva, specie nella campagna, per timore dei bombardamenti che, tuttavia, risuonavano ancora lontani. Anche fare scuola, racconta Angelo Donati, si era fatto difficile e spesso le lezioni terminavano sotto le acacie, lontano dal centro cittadino. I militari tedeschi si impadronirono di molte case di campagna ed i residenti furono spesso costretti a sfollare. Anche in cielo appariva sempre più di frequente il ricognitore alleato che a volte mitragliava anche qua e là; la gente lo chiamava scherzosamente “Pippo”.
Ma domenica 2 luglio ed il successivo lunedì 3 un pesante bombardamento colpì le due stazioni ferroviarie di Castel Bolognese. Quella delle Ferrovie dello Stato fu resa inservibile interrompendo così sia i collegamenti con Bologna e Rimini che quelli con Ravenna; Una voragine si formò al posto dei primi due binari di corsa, il fabbricato della stazione venne pesantemente danneggiato e quello del ristorante subì notevoli danni. Anche il deposito delle locomotive e la “Casona”, un grande edificio, forse nato come deposito delle carrozze, posto in prossimità del passaggio a livello di via Lughese e destinato a deposito di materiale per l’allestimento dei treni per le truppe furono quasi rasi al suolo. Non si salvò dal fuoco dei bombardieri inglesi neppure la piccola stazione della Ferrovia di Riolo, ormai fuori servizio da un decennio e trasformata in abitazione privata, che fu colpita tanto da essere sventrata.
Anche le Monache Domenicane, rifugiatesi nelle proprie cantine ove pure spesso passavano la notte, restarono atterrite dal cupo rombo dei motori degli aerei che le sorvolavano e quel 2 luglio buona parte delle vetrate del Monastero andò in pezzi. Siccome il pericolo aumentava di giorno in giorno e la situazione delle Religiose si stava facendo piuttosto preoccupante, per consiglio e con l’aiuto della Autorità Ecclesiastica, l’8 luglio diciotto suore furono sfollate a Bagnara di Romagna; tra costoro le più giovani e alcune ammalate, bisognose di continua assistenza. Con loro partirono la Madre Priora Suor Maria Luisa Cenni e la Maestra del Noviziato Suor Maria Teresa Moro. Il dolore del distacco tra le consorelle che si rifugiavano in luoghi ritenuti più sicuri (ma di fatto non sarebbe stato così) e quelle poche che restavano nel pericolo a guardia del Monastero e delle cose ivi esistenti, fu commovente e foriero di qualche lacrima. Le consorelle sarebbero rientrate solo a guerra conclusa.
Questi primi bombardamenti poi misero in luce la necessità di organizzare un soccorso ai feriti che, in questi primi momenti, erano lasciati alle cure dei famigliari. L’Arciprete don Giuseppe Sermasi, assieme alle Opere Pie Raggruppate, promosse l’iniziativa di istituire un servizio di Pronto Soccorso feriti, al quale aderirono per lo più i giovani dell’Azione Cattolica. La Squadra, sotto la direzione di Pierino Moschetti, si costituì il giorno 20 luglio 1944; il dott. Amos Bargero, delegato locale della C.R.I., ne assunse la presidenza.
Infine, anche la gente si cominciava a preparare per salvare il salvabile: Maria Landi ricorda che in campagna, in previsione dell’avvicinarsi del fronte, in tutte le case si cominciò a scavare buche sia nei pavimenti delle stanze che all’esterno per preservare il più possibile le cose ed i ricordi di famiglia.

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