Un garibaldino dimenticato: Giuseppe Minghetti (1846-1922)
di Andrea Soglia
E’ stato uno dei circa 300 castellani che parteciparono alle varie campagne risorgimentali. Il suo nome era finito in un lungo elenco a stampa redatto dal Comune negli anni ’20 grazie alla consultazione di documenti dell’archivio comunale ora andati completamente perduti. E in quell’elenco, pubblicato senza dati anagrafici, è impossibile distinguere i vari omonimi ed è stato inevitabile, per tanti dei garibaldini castellani, il finire dimenticati, specialmente se trasferitisi in altre città. Ma in alcuni casi c’è un discendente che si impegna per onorarne la memoria e recuperarne le radici. Ed è questo il caso del garibaldino Giuseppe Minghetti, la cui storia ci è stata fatta conoscere dal pronipote Amos Baccolini, residente a Bologna. Lo ringraziamo per averci messo a disposizione le notizie che diamo e i documenti e le immagini che seguiranno al testo.
Giuseppe Minghetti nacque a Castel Bolognese il 16 (secondo altre fonti il 12) novembre 1846 da Antonio e Paola Spada. Il padre, che negli atti di anagrafe viene qualificato come “vetturale possidente” in quanto gestiva un’attività di trasporti, soprannominato “Venezià”, aveva molto probabilmente partecipato alla Prima guerra di indipendenza, ma la mancanza di documenti chiarificatori ci lascia nell’incertezza.
Dell’infanzia di Giuseppe non sappiamo nulla, ma ben presto affiancò il padre nell’attività di famiglia. Giuseppe era un uomo minuto, alto 1,52 metri, e per questo era stato riformato dal servizio militare. La cosa non gli impedì di arruolarsi volontario nelle file garibaldine per partecipare alla campagna dell’Agro Romano del 1867: forse anche l’essere proprietario di un cavallo fu un requisito che fece dimenticare la sua giovane età e la sua bassa statura. I castellani erano accorsi numerosi anche in questa campagna e contarono un caduto (Francesco Berti), alcuni feriti (fra cui il capitano Raffaele Pirazzini) e si distinsero nel famoso scontro di Villa Glori. La campagna si concluse il 3 novembre 1867 con la battaglia di Mentana che terminò con la sconfitta dei garibaldini da parte dell’Esercito pontificio coadiuvato da un battaglione francese dotato di armi molto più moderne degli avversari. Amos Baccolini ricorda che in famiglia si raccontava che Giuseppe Minghetti aveva sempre conservato il bruciante ricordo della sconfitta subita a opera dell’esercito francese e che avrebbe voluto riprendere le ostilità ad armi pari alla prima occasione.
A seguito della sua partecipazione alla campagna dell’Agro Romano, nel 1871 gli fu conferita dapprima la medaglia dei “liberatori di Roma” e poi nel 1902, dato che solo nel 1898 il Regno d’Italia riconobbe ufficialmente la campagna, gli fu concessa anche la “medaglia commemorativa delle guerre combattute per l’indipendenza e l’unità d’Italia”.
Ritornato a Castel Bolognese dopo l’avventura garibaldina, sposò nell’aprile del 1871 la brisighellese Ersilia Bosi, che gli diede sei figli: Maria, Tommaso, Paolo, Antonio, Teodolinda e Imelde. Giuseppe, che si era sempre proclamato un “mazziniano storico”, era un avventore della altrettanto “storica” osteria del Pozzo, ritrovo abituale di tanti garibaldini castellani, dove, fra una bevuta e l’altra, si raccontavano i tanti ricordi di battaglia. E come tanti compagni di avventura, anche Giuseppe non disdegnava affatto il buon vino, soprattutto il rosso, ma, come raccontava la figlia Imelde, nessuno in famiglia l’aveva mai visto alticcio.
La famiglia Minghetti emigrò a Bologna il 20 luglio 1898. Dei figli di Giuseppe, Paolo fu membro del Corpo dei pompieri di Bologna e partecipò ai soccorsi per il terremoto di Messina: per questa sua opera gli fu conferita una menzione onorevole, il cui diploma (alla pari dei due rilasciati a Giuseppe) è ancora conservato da Amos Baccolini.
A Bologna Giuseppe seguitò ad esercitare la vecchia professione, che lo portava a girare in lungo e in largo per le campagne. Anche da anziano, ritiratosi dal lavoro, continuò a girare moltissimo, ma a piedi, per far visita alle sue conoscenze contadine; si tramanda anche che una volta, perso il treno forse apposta, si avviò a Firenze, a piedi. Mantenne sempre un certo spirito arguto e libero, come dimostra un aneddoto riportato da Amos Baccolini: in una delle innumerevoli passeggiate lontano da casa era stato notato dal figlio Paolo che era in automobile; offerto un passaggio al padre, si sentì oppure un rifiuto in dialetto con le parole “no, cl’afferi lè un s’ferma brisa agl’ustarei!” (no, quell’affare lì non si ferma mica alle osterie!).
Rimasto vedovo nel 1906, Giuseppe Minghetti morì a Bologna il 10 giugno 1922. Fino all’ultimo era rimasto socio della Società autonoma dei Garibaldini di Bologna. Il suo corpo fu cremato e l’urna fu collocata in loculo nel cimitero della Certosa. Doveva godere di una certa popolarità specie nella Bologna “più semplice”, tant’è che, e siamo alla fine degli anni ’50, qualcuno lo ricordava ancora con simpatia. Amos Baccolini fu testimone diretto di questa cosa: un carbonaio, che gli stava facendo una consegna di combustibile a domicilio, notò i grandi ritratti di Giuseppe e signora appesi in casa, riconobbe subito il vecchio garibaldino ed esclamò in dialetto: “Vee, Iusef!” (Ma guarda, Giuseppe!).
Fotografie e documenti dall’archivio di Amos Baccolini (Bologna)
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