Ricordo di Luigi Domenico Tampieri
Il guanto del nonno
di Francesca Tampieri
Mi ricordo di mio nonno, Luigi Domenico Tampieri, detto Minghinè di Lazarè.
Sempre, fin da piccola, osservavo il suo gesto quando, prima di andare a lavorare, staccava dal chiodo dietro la porta, sopra “la salarola” un guanto di pelle: era la protezione per la mano destra rimasta ferita nella grande guerra. Quando notava il mio sguardo, lui mi rivolgeva un mezzo sorriso. Ricordo che anch’io provavo a infilare la mia mano in quel grosso mezzo-guanto, quando lo trovavo.
Ma… guai se il nonno non vedeva il guanto al suo posto!
La nostra famiglia Tampieri, dopo varie vicende, decise di sfollare in località Gaiana di Castel S. Pietro, dove la contessa Gottarelli aveva delle proprietà e una grande casa, rimasta nel mio ricordo come una torre. I miei famigliari andarono lontano dalla ferrovia e dal fiume Senio perchè zone pericolose, ma in seguito, alla Gaiana, si trovarono in mezzo ad una cruenta battaglia.
Il giorno dell’ultimo scontro tra Tedeschi ed Alleati, noi eravamo chiusi in un rifugio.
Improvvisamente io vidi fuori dalla finestrella le fiamme e gridai: “E fug! E fug!”
Senza esitare tutti balzarono fuori: il mio babbo afferrò la mia sorellina Angelina che purtroppo fu toccata dal fuoco nel viso e nelle gambe (1). Io fui salvata dal mio prozio Mario Tampieri che mi avvolse nella sua giacca e rimasi indenne.
Ci rifugiammo in una stalla, lì vicino. Poi i miei genitori, noi due bambine e mia zia Olga tutti fuori e tutti insieme dentro una buca (della contraerea?), uno addosso all’altro, mentre intorno cadeva una pioggia di schegge, di pallottole di mortaio, in mezzo al frastuono di spari e mitragliate.
Ricordo poi la corsa lungo una strada in mezzo alla battaglia, con uno straccio bianco agitato in alto come estrema difesa contro i carri armati, che avanzavano attraverso i campi, lì, a pochi metri.
Mi ricordo la sera, tutti in uno stanzone, in un silenzio rotto solo dal pianto di Angelina. E io che chiedevo: “E nunè… E nunè?” Nessuno mi rispondeva.
Era il 19 aprile 1945.
Avevo allora sette anni e non avrei mai più rivisto mio nonno. Dal rifugio lui aveva cercato riparo con altri sotto un ponte, dove era stato ucciso da una mitragliata sparata da un carro armato alleato.
Così Luigi Domenico Tampieri, reduce e mutilato della I guerra mondiale, cadde vittima della II guerra mondiale: una settimana dopo la liberazione di Castel Bolognese.
(1) Per quando riguarda mia sorella Angelina, che aveva allora circa tre anni, per le ustioni, fu portata prima all’ospedale di Imola, inutilmente; poi nostra madre, per disperazione, la trasportò con una carriola al campo militare di soldati alleati (forse indiani o indonesiani), campo stanziato nella zone di Borello o Casalecchio. Lì un medico ricoprì con uno strano unguento di colore blu tutte le ustioni. Dopo un paio di medicazioni Angelina guarì perfettamente.
Due immagini di Luigi Domenico Tampieri.
A sinistra è ritratto durante la Prima guerra mondiale,
quando già aveva subito la ferita alla mano destra.
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