Le tragedie belliche della famiglia Valenti
Una delle famiglie castellane più colpite dalla guerra fu quella dei Valenti. Alto fu il tributo di sangue: quattro morti e due feriti, di cui uno con lesioni permanenti. Alla fine degli anni ’30 la famiglia Valenti, originaria di Bagnara di Romagna, si era trasferita a Castel Bolognese, stabilendosi nel fondo Gabana sito in via Paoline Lesina, nella parrocchia di Casalecchio. Era una famiglia molto numerosa: dall’unione dei coniugi Battista Valenti ed Anna Placci erano già nati ben sei figli (Lino, Domenico, Nerina, Giovanni, Iliana e Tomasina), ai quali si aggiunse l’ultimogenita, Paola, nata proprio a Castel Bolognese nel dicembre del 1943. Pochi mesi dopo questo lieto evento, la vita tranquilla dei Valenti “segnata dal lavoro sereno e fecondo dei campi” fu sconvolta per sempre dalla bufera bellica e da una immane tragedia svoltasi in due atti.
Era la sera del 16 gennaio 1945. Dopo intensi tiri di artiglieria alleata, che avevano provocato la distruzione di due cannoni tedeschi posti nelle vicinanze della casa Valenti, i tedeschi avevano smobilitato per spostarsi altrove. I Valenti, che in quel periodo erano rimasti privi del rifugio (quello utilizzato abitualmente era rimasto allagato, mentre quello in costruzione, forse più esposto, era finito distrutto assieme ai due cannoni tedeschi), attrezzarono la stalla come rifugio notturno. La situazione pareva essersi tranquillizzata. Fattosi buio, tutti i componenti della famiglia si riunirono nel camerone posto al piano terra della casa Gabana. Davanti al grande focolare, assieme ai Valenti c’erano anche alcuni sfollati (fra cui Carlo Gaddoni (detto Badoglio), i coniugi Bruno Babini e Luigia (Gigina) Bandoli e la di lei sorella Gertrude assieme alla piccola figlia Adriana). Nella stalla si trovavano invece le sorelline Iliana e Tomasina che erano già andate a dormire. Dopo alcuni scoppi di granata avvenuti poco lontano dalla casa, che avevano messo in allarme tutti, Anna Placci, con la piccola Paola in braccio e forse guidata dall’istinto materno, fuggì verso la stalla per raggiungere le due figliole. Alla stalla si poteva accedere anche da una porta posta all’interno della casa, proprio di fronte a quella del camerone, per cui il breve tragitto era ritenuto sicuro, e ad Anna Placci si accodarono i figli Giovanni, il primogenito Lino e alcuni degli sfollati. Una nuova batteria di granate e, d’improvviso, avvenne la tragedia. Una granata penetrò nell’edificio sfondando il grosso muro esterno o parte di esso e l’urto la fece scoppiare: lo scoppiò investì in pieno Anna Placci e la figlioletta Paola, che in quel momento erano proprio appoggiate al muro perimetrale della casa protetto all’esterno anche dalla tettoia del pozzo. La stalla rimase completamente al buio. Si sentivano grida, pianti, rantolii e un forte odore di carne bruciata. Le piccole Iliana e Tomasina, terrorizzate, passando da un’altra porta, riuscirono, nonostante il buio, ad andare dall’altra parte della casa e raggiungere il padre. Lungo il tragitto ebbero la sensazione di aver calpestato qualcosa.
La scena che si presentò a Battista Valenti e a tutti gli altri, una volta accorsi nella stalla, fu raccapricciante. Al lume di candela furono trovate due gambe e sangue dappertutto; non c’era nessuna traccia della piccola Paola; il dodicenne Giovanni, sbalzato via dallo scoppio, fu ritrovato morto dentro una mangiatoia, martoriato dalle schegge; Lino, rantolante, era gravemente ferito al volto; una scheggia aveva raggiunto anche Gertrude Bandoli, che aveva riportato una ferita ad una gamba. Sopraggiunsero alcuni tedeschi, addetti al vettovagliamento delle prime linee, i quali caricarono Lino sul proprio mezzo per trasportarlo a Budrio dove erano diretti. Il ragazzo sembrava moribondo: la scheggia di granata, entrata dal collo, gli aveva causato la perdita dell’occhio sinistro.
Con la luce del giorno si operò, usando una cazzuola, il triste recupero dei resti mortali di Anna Placci, sparsi ovunque, che vennero posti in una bara di fortuna e trasportati al cimitero di Casalecchio assieme al corpo di Giovanni. Gertrude, la cui ferita rischiava di infettarsi, fu portata all’ospedale di Imola. Solo qualche giorno dopo, fra le travi del soffitto della stalla, fu notato qualcosa: era un braccino (secondo altre versioni un orecchino) della piccola Paola, triste conferma (se ce ne fosse stato bisogno) che lo scoppio aveva ridotto in brandelli anche lei.
I membri superstiti della famiglia si separarono. Le piccole Tomasina e Iliana, dopo qualche giorno trascorso nella casa della nonna, vennero affidate allo zio Augusto Valenti, col quale raggiunsero a piedi, fra mille pericoli e camminando nei fossati, la natia Bagnara. A presidiare la loro casa erano rimasti Battista, il figlio quindicenne Domenico (Minghì) e Nerina, la terzogenita, quattordicenne, afflitta da sordità, che sostituì la mamma nel disbrigo dei lavori domestici. I due uomini non furono lasciati affatto tranquilli dai tedeschi, che li costrinsero con la forza a trasportare alla casa Carnazò (posta in via Gradasso, a pochi metri dalla prima linea) due casse di granate usando una scala a pioli come portantina. Arrivò almeno la buona notizia che Lino era sopravvissuto: in ospedale con lui a Budrio si trovava Simone Dal Pane, pure egli della parrocchia di Casalecchio, e la di lui moglie si era preoccupata di avvertire i Valenti delle condizioni di Lino.
E il 26 febbraio 1945, circa un mese e mezzo dopo, all’esterno della casa Gabana, avvenne il secondo atto della tragedia. La mattina di quel giorno Domenico, sfidando i pericoli, si recò in centro a Castel Bolognese per ritirare presso il municipio la razione di cibo che veniva distribuita a chi ne aveva più bisogno. Gli fu anche consegnata una lettera dello zio Giovanni Placci, che era prigioniero in Germania. Tornò a casa sano e salvo e mostrò contento la lettera al padre e allo zio Francesco Placci (Cechino). Attesero con ansia il passaggio di qualche soldato tedesco per farsi spiegare meglio dove si trovasse il loro congiunto. E proprio mentre interloquivano con un paio di soldati, ecco uno scoppio improvviso e la solita pioggia di schegge a seminare terrore. Battista Valenti fu colpito alla fronte; Domenico rimase ferito ad una gamba; un soldato tedesco all’addome; rimasero illesi il Placci e l’altro soldato.
Alle grida accorse Primo Valenti, fratello di Battista, che abitava non molto lontano, il quale prese in consegna Nerina (che, dopo qualche giorno, si trasferì a Bagnara per ricongiungersi alle sorelline), mentre i feriti furono caricati su un carro e trasportati (non senza gravi pericoli) all’ospedale di Castel Bolognese dove fu deciso di trasferirli all’ospedale di Imola. Battista era rimasto lucido e, resosi conto della fine imminente, raccomandò le sorti del resto della famiglia al figlio Domenico (la cui ferita era stata curata con successo, scongiurando una possibile infezione) ed al cognato Francesco Placci. I tentativi di salvare Battista furono vani, ed egli spirò il giorno 7 marzo (10 giorni dopo il ferimento).
Rimasero così 5 giovani orfani (fra cui una portatrice di handicap e un mutilato di guerra) che furono accuditi premurosamente dagli zii finchè non raggiunsero l’età adulta.
(testo redatto da Andrea Soglia sulla base delle testimonianze orali di Iliana e Tomasina Valenti e sulle testimonianze filmate di Domenico Valenti, Gertrude Bandoli e Bruno Babini; si ringraziano Maria Soglia per le fotografie e Francesco Minarini per la visione delle testimonianze filmate)
Pagina creata il 17 settembre 2012 e aggiornata il 2 settembre 2013. La pagina è dedicata a Tomasina Valenti, venuta a mancare il 21 luglio 2013.
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Andrea Soglia, Le tragedie belliche della famiglia Valenti, in https://www.castelbolognese.org
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