La Torre di Castel Bolognese
In fondo alla piazza di Castel Bolognese c’è un’antica torre medioevale che fa la guardia, chissà da quanti secoli, eretta a cavalcioni di una caratteristica porta a sesto acuto e vigilante davanti e di dietro col doppio monocolo di un quadrante d’orologio: e suona fedelmente le ore ed i quarti ai buoni castellani ed è l’asilo prediletto di una garrula colonia di rondoni, fantasiosi ricamatori del cielo nei tramonti primaverili.
Un anno fa, o circa, una miserevole catapecchia dell’altezza pressapoco dell’arco portale si appoggiava a guisa di un ubbriaco al fianco destro della torre, deturpando così l’austera compostezza e simmetria della figura del gigante ed ostruendo quasi il passaggio alla gente da quella parte. Come fare a liberare il gigante dal parassita inestetico, che copriva subdolamente sotto il suo cappuccio di vecchie tegole sgretolate l’unica e più sgretolata scala di accesso alle viscere del secolare banditore del tempo? Senza la scala l’orologio si sarebbe fermato, la campana non avrebbe più cantato le ore e così i buoni castellani miei amici avrebbero smarrito l’ora del desinare e gli scolarelli quella di andare alla scuola.
Ma per fortuna a Castel Bolognese, oltre alla torre ed ai rondoni e ad altre ottime cose, c’è anche e soprattutto Nicola, quello dei violini: che sa trovar rimedio per ogni difficile occorrenza, a somiglianza di quei nostri artefici italiani di un tempo, autodidatti e dall’ingegno multiforme, i quali solevano e potevano improvvisare i più geniali ed insospettati congegni, secondo il bisogno e nel campo dell’arte e della scienza applicata: dei quali Nicola è l’ultimo esemplare superstite. Nicola ha detto: “Faccio io, lasciate fare a me”.
Giù la catapecchia, giù la scala: Nicola s’improvvisa disegnatore, meccanico, fabbro, archeologo. Timori e dubbi d’increduli, ironie e proteste d’ingegneri, accorrere di sovrintendenti alla conservazione dei pubblici monumenti, peregrinazioni burocratiche di scartafacci. Ma Nicola ha detto: ” Faccio io, lasciate fare a me”. E per la verità Nicola ha fatto e magnificamente.
Per lui solo, oggi, l’antico gigante non patisce più l’onta di dover sostenere e sopportare un vile nano parassita, possiede una bella porticina stilizzata nel fianco alto, che non gli compromette minimamente la dignità del portamento. Sotto la porticina, da un lato, si vede uno sportellino. Aperto questo con una chiavetta, si ritrova una manovella innestata in un perno girevole: può manovrarla anche un fanciullo, tanto è agile. Girando la manovella con una sola mano, la porticina di sopra si muove, si abbassa ed a poco a poco si ribalta e da essa si snoda una leggera scaletta di ferro e legno, che arriva a toccar terra.
Il custode dell’orologio può salire: i due monocoli hanno assicurata la vita per il moto delle loro lancette, le ore trovano sempre pronta la voce per annunziarsi ai buoni castellani: è l’ora del desinare, è l’ora di andare alla scuola. Ed i rondoni, nei tramonti primaverili, ricamano nel cielo d’oro il nome di Nicola con un mobile geroglifico d’ali.
Francesco Balilla Pratella
Tratto da La Piè n.11, novembre 1927
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