Le Chiese Scomparse di Castel Bolognese

Ubaldo Galli, scrittore e dicitore castellano, nella novella “La dbuda” contenuta nel libro “L’ultum fulester”, in cui descrive una patagruelica mangiata con relative bevute dei facchini di Castello dice che “Badòn l’era la mei ustareia de paes, dal quatorg in attività permanente menter che dzdott agli era al cis”. Invidiabile primato dunque quello castellano: quattordici osterie, diciotto chiese. Forse il caro Ubaldo ha voluto scherzare, perchè a Castello diciotto chiese non sono mai esistite, contando anche quelle di cui si è persa traccia. Oggi a Castel Bolognese le chiese officiate sono cinque: San Petronio, San Francesco, San Giorgio dei Cappuccini, la Chiesa delle Domenicane e la chiesa dell’Ospedale. San Sebastiano, ai limiti dell’abitato è officiata e aperta saltuariamente. Vi sono poi due chiese sconsacrate: Santa Maria dello Spedale adibita a sala mostre e l’oratorio Parini, trasformato in forno. Inoltre, la Villa Centonara custodisce un proprio oratorio dedicato a San Francesco di Paola e all’interno del parco, il tempietto Bragaldi, gioiello neoclassico progettato dall’architetto Filippo Antolini. E con queste siamo a dieci… forse Ubaldo Galli aveva ragione! Scopriamo quindi queste chiese ormai scomparse e vediamo dove erano e cosa v’è rimasto di esse.

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Mappa illustrante l’ubicazione delle chiese officiate e non officiate esistenti, delle chiese scomparse,dei conventi esistenti e scomparsi, dei luoghi di ricovero e cura, e dei cimiteri (cliccare sull’immagine per ingrandirla e vederla dettagliata)

Croce Coperta de’ Griffoni

Fu fatta costruire da Matteo Griffoni, un nobile bolognese podestà del contado di Imola. Di detta chiesa non rimane che una memoria: “Il primo gennaio 1397 Matteo de’ Griffoni, quale podestà del Contado di Imola, si porta a Castel Bolognese e fa ivi costruire a proprie spese, nel borgo dello stesso Castello una Croce, coperta e murata, con suo altare, sotto il titolo di Croce dei Griffoni” Si ignora ove la chiesa fosse ubicata e, a tutt’oggi, nemmeno durante gli scavi archeologici operati nel centro cittadino se ne è trovato traccia.

Rosario vecchio

Sorse verso la metà del secolo XV all’angolo fra Via Gattamarzia (ora via Pallantieri) e Via Roma Nuova (ora via Costa). La prima memoria risale al 1518 quando un pittore, tal Mastro Michele di Mastro Giambattista di Faenza si impegnava a dipingere i quindici misteri del Rosario. La Madonna, titolare della chiesa fu affrescata da Giovanni da Riolo. L’edificio era inglobato in un angolo delle case appartenenti alla famiglia Pallantieri e misurava metri 9 x 5. L’interno era rotondo e affrescato. Nel 1591 la chiesa fu distrutta da un incendio e venne nuovamente riedificata, sembra in forma rettangolare. Ospitava i Confratelli del SS.mo Rosario. Alessandro Palantieri, governatore di roma condannato a morte da Pio V per malversazione, appropriazione indebita, crimen laesae majestais, a poche ore dall’esecuzione capitale, all’alba del 6 giugno 1571, lasciò in legato alla “Chiesa della Madonna Santissima del rosario che si trova in casa mia, da molti anni in qua a Castel Bolognese” un ofndo agricolo detto “La Casetta” che si trovava fuori dalla porta cittadina (non si sa quale, il toponimo è scomparso). Esecutori testamentari furono San Filippo Neri ed il Cardinale Ugo Boncompagni, bolognese, pio divenuto Papa col nome di Gregorio XIII. La chiesa rimase aperta al culto sino al 1644 e fu poi convertita in abitazione. Le opere d’arte contenutevi furono trasferite nella chiesa del rosario Nuovo. Ancora oggi la possiamo raffigurare all’angolo fra Via Costa e Via Pallantieri ove trovasi un negozio di alimentari. Su Via Costa si può osservare una lesena che stacca l’ultima parte della facciata di palazzo Pallantieri nel punto ove iniziava la facciata della chiesa.

Rosario Nuovo

Nel 1636 la Confraternita del Santo rosario entrò in possesso di una casa sulla Strada Maestra e est di Palazzo Mazzolani (ora Cassa di Risparmio). Nel 1642 si pose mano alla fabbrica della chiesa ultimata l’anno successivo. Infatti il 14 maggio 1643 giorno dell’Ascensione fu ivi trasportata l’immagine della Madonna di Giovanni da Riolo che si trovava nell’altra chiesa del Rosario che da allora prese ‘appellativo di “Vecchio”. Nel 1645 fu costruita la facciata; l’interno era a volta e oltre l’altare principale conteneva quattro cappelle con altari laterali. Sopra il portico trovava posto l’oratorio per i Confratelli. Nel 1796, il governo napoleonico la requisì e due anni dopo anche la Confraternita fu soppressa. L’edificio venne trasformato da allora in abitazione ed è tuttora facilmente identificabile sulla Via Emilia verso Faenza dal portico a tre luci di cui la mezzana notevolmente più ampia, con paraste che dividono in tre parti la facciata. La bella Madonna non andò dispersa: fu portata in san Petronio ove si trova tuttora, nella cappella centrale della navata sinistra.

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L’abitazione ricavata dalla scomparsa Chiesa del Rosario Nuovo

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L’edicio all’angolo via Costa/via Pallantieri in cui possiamo raffigurare la Chiesa del Rosario Vecchio

Santa Croce

La chiesa fu eretta nel XV secolo dalla Società della Santa Croce, già fiorente nel 1502. I confratelli, scrive il Padre Gaddoni, “vestivano cappe nere con croce rossa sul petto (…) e loro scopo principale era la difesa della chiesa cattolica contro le eresie”. Aveva la facciata porticata rivolta verso est, in origine la chiesa era a travi ed aveva le pareti affrescate con raffigurazioni della storia della invenzione della Santa Croce, eseguita probabilmente fra il 1525 ed il 1532. Da documenti risultano pagate varie lire a Carlo Mengari di Faenza e a Girolamo Pennacchi da Treviso (Girolamo da Treviso il Giovane). Alfonso Lombardi modellò invece alcune splendide statue in cotto, ispirate al vero sullo stile del gruppo del Compianto del Cristo Morto in San Pietro – Cappella Aldrovandi – a Bologna, raffiguranti la scena in cui Cristo, crocifisso, affida l’Apostolo Giovanni alla Madonna, presente la Maddalena. Nel 1612 fu trasformato il soffitto, nell’occasione dorato da alcuni doratori bolognesi. Dal lato del Vangelo dell’Altare Maggiore venne costruito un secondo altare dedicato a San Pietro Martire. Il quadro, dipinto nel 1646/47, era del Guercino (Giovanni Francesco Barbieri). Di fronte a questo ne fu innalzato un altro detto dell’Angelo Custode con un dipinto della scuola del Guercino. Crescendo il numero dei confratelli e mancando essi di un oratorio particolare, dietro la chiesa questi costruirono una casa nella quale lo ricavarono. Viene riferito “vasto ed elegante, dietro l’altare maggiore a guisa di coro”. Ai lati del presbiterio sorgevano due cantorie di cui una fornita di organo, non si ha memoria delle campane. La chiesa fu spogliata nel 1796 e successivamente (1798) chiusa al culto per la soppressione della confraternita. L’edificio, che misurava mt. 13 x 8 ed aveva cinque finestre, fu trasformato in casa di abitazione ed è tutt’oggi individuabile all’angolo fra Via Garavini, Piazza Bernardi e Via Ginnasi e nel tempo i locali ospitarono un caffè, l’ufficio postale ed oggi un negozio di abbigliamento. Le opere d’arte subirono sorte alquanto differente. Il gruppo statuario del Lombardi venne trasportato in San Petronio e collocato nell’altare maggiore. La tela del Guercino fu portata a Parigi poi, caduto Napoleone, restituita alla città di Bologna ove trovasi nella Pinacoteca Civica. Il quadro dell’Angelo Custode, da notizie tratte dal libro del Padre Gaddoni “Le chiese della Diocesi di Imola” sarebbe conservato nella Parrocchiale di Mazzolano.

Chiesanova (Corpus Domini)

Costruita nella metà del secolo XVI nella Rocca, era isolata e vi fronteggiava un vasto piazzale. Fu eretta dalla Confraternita del Corpo di Cristo costituitasi in città nel 1541. I confratelli vestivano in rosso e avevano come simbolo il Calice con l’ostia. Essi nel 1563 edificarono un modesto oratorio che già l’anno successivo era visitato dal Vescovo; nel 1573 iniziarono la costruzione della chiesa vera e propria, ultimata nell’anno successivo. Le pareti vennero affrescate con sante immagini e nel 1582 furono dipinti nel soffitto episodi del Vecchio e del Novo Testamento ed allegorie dei quattro evangelisti. Nel 1585 i confratelli commissionarono al pittore faentino Giambattista Bertucci una tela raffigurante la passione di Cristo, da collocare sull’altare maggiore. Una ulteriore miglioria venne eseguita nel 1619 con la costruzione ai lati del presbiterio di due cantorie. Anche questa chiesa venne spogliata dei beni nel 1796 con la soppressione della Confraternita a causa delle leggi eversive napoleoniche, ma fu chiusa definitivamente al culto nel 1811 quando venne venduta e trasformata in magazzino poi in abitazione. Il patrimonio artistico fu completamente disperso. Oggi possiamo individuare il sito in cui sorgeva la chiesa, che misurava mt. 14 x 7, nell’edificio prospiciente Piazza Camerini con la scritta “Figli di Lodovico Santandrea”; la facciata della chiesa, divenuta ora il lato corto dell’edificio, prospettava su Via Fornasari.

La Chiesa del Suffragio o del Nome di Maria

La piazza di Castel Bolognese conobbe agli inizi del XVIII secolo un fervore costruttivo religioso che non ebbe pari in altre epoche. Così, mentre i frati francescani edificavano la loro grandiosa chiesa nell’angolo a ponente verso la via Emilia, dalla parte opposta la Confraternita del Pio Suffragio innalzava la propria all’ombra della torre civica.

Questa Confraternita nacque per opera dell’Arciprete Sebastiano Caglia nel 1701, quando questi ne compilò il regolamento, approvato dalla Curia Vescovile il primo dicembre dello stesso anno. Essa veniva eretta sotto l’invocazione della Madonna all’altare dei santi Carlo Borromeo e Filippo Neri nella chiesa di San Petronio, di giuspatronato della famiglia Tabanelli e dove si trovavano pitture rappresentanti le anime del purgatorio. La Confraternita divenne presto fiorente e raccolse molte elemosine, pensando così all’erezione di un proprio oratorio da costruirsi “a canto la torre, dove era il macello vecchio”. La Comunità deliberò in data 11 febbraio 1703 di cedere gratuitamente quel terreno ed il 29 agosto dell’anno successivo il Senato di Bologna ratificò la decisione. Sul luogo restavano ancora le macerie del vecchio macello e nei pressi v’erano alcuni gelsi ed alcune casupole che furono acquistate ed atterrate. Il 21 settembre 1704 vi fu la posa della prima pietra fatta dal Vicario Generale Mons. Amonio, che pure benedisse la nuova chiesa il 10 settembre del 1708, sebbene non fosse ultimata che nel 1711. L’arciprete Caglia vi celebrò messa per la prima volta. “Di questa chiesa, con cupola ben condotta, senza pergamena, che posa su quattordici colonne piane non sappiamo – dice il Gaddoni, che riprende l’Emiliani – chi sia stato l’architetto, il cui nome avremmo scritto con piacere su queste pagine. Difatti riuscì opera degna dell’arte del tempo”.

Nel 1780 con la ricostruzione della Cappella Maggiore e la sacrestia, la chiesa divenne alquanto più ampia, raggiungendo le dimensioni tenute sino al suo abbattimento. Il terremoto dell’anno successivo (4 aprile 1781) la rese collabente, ma fu ben presto restaurata dopo una breve chiusura. La facciata della chiesa, orientata ad ovest, aveva un portico con tre arcate anteriori e due laterali. L’interno, a pianta ovale, misurava m. 12,10 x 11,80 oltre il presbiterio di m. 6,27 x 5. Sul primo altare a destra entrando si trovava l’altare dedicato a San Francesco di Paola e San Nicola da Tolentino; aveva una bella pala del pittore Bolognese Carlo Cignani (1628-1719), ove erano ritratti i due santi in venerazione della Madonna e del Bambino. Il dipinto fu donato dalla contessa Laura Moroni in Ginnasi; la famiglia, mentre la chiesa fu chiusa per gli eventi legati alla discesa di Napoleone, lo conservò in San Francesco per ritornare nel suo antico sito, processionalmente, nel 1816.

L’altare di sinistra fu dedicato a San Francesco d’Assisi e fu fatto costruire ai primi del 1732 da Baldassarre Tabanelli, dottore in utroque, per volontà della sua famiglia, molto devota a quella chiesa, ma particolarmente del fratello monsignor Filippo Dionigio, Uditore Apostolico in Spagna, morto a Madrid l’8 luglio 1728. V’era pure un’iscrizione posta il 25 marzo 1732 a ricordo del personaggio. All’altare maggiore era esposto un grandioso dipinto, opera delle scuola del Franceschini, di forma ovale, che raffigurava la Vergine trasportata in Cielo dagli Angeli; nella parte inferiore erano ritratti San Giuseppe e San Gregorio papa in atto di pregare per le anime purganti. La chiesa era impreziosita di decorazioni settecentesche a stucco, tra le quali vi erano quattro statue degli Evangelisti collocate in apposite nicchie. Nella parete interna della facciata, a destra entrando, fu dipinta nel 1781 un’epigrafe in memoria dell’origine della chiesa, mentre nel pavimento vi erano tre lapidi sepolcrali che racchiudevano altrettante tombe. Ampia l’orchestra, posta sopra il portico d’ingresso.
Un piccolo campanile, costruito nel 1836 dal capomastro Francesco Savelli, fu innalzato nella parte posteriore e venne munito di quattro piccole campane fuse da Serafino Golfieri. La banderuola della croce porta la data: 1836.

La Confraternita, che vestiva cappa bianca con mozzetta nera, aveva affidato l’officiatura della chiesa a due sacerdoti secolari e solo nel breve periodo dal 1767 al 1773 li sostituì con padri della Compagnia di Gesù che in numero di 28, espulsi dalla Spagna, si erano rifugiati nella Diocesi di Imola. Alla stessa compagnia apparteneva, in quegli stessi anni, il padre castellano Francesco Saverio Camerini, morto nel Tonchino in concetto di santità. Nel 1796, con l’arrivo dei francesi, la chiesa fu spogliata degli oggetti preziosi; soppressa il 30 maggio 1798, venne chiusa al culto il successivo 29 luglio. L’immobile però non fu venduto come bene demaniale, perchè giudicato dagli occupanti come locale adatto a pubblici uffici, come di posta o di scuole. Con il ritorno degli austriaci, la chiesa venne solennemente riaperta nel 1799 e tra le poesie di circostanza pubblicate si trova un sonetto di don Francesco Contoli. Cambiatosi di nuovo il regime la chiesa fu chiusa al culto per la seconda volta con ordinanza del Prefetto di Bologna in data 30 agosto 1800 e poco dopo fu venduta ad Angelo Contoli di Castel Bolognese.

Dopo la caduta di Napoleone, al ripristinarsi delle Confraternite, quella del Corpus Domini, già nella Chiesanova, sostituendosi nei diritti e negli obblighi alla Confraternita del Suffragio, ottenne dal proprietario la cessione dell’edificio. Riaperta solennemente al culto la chiesa, la pala del Cignani fu posta nell’altare di fronte perchè la nuova Confraternita preferì esporre il quadro della Cena degli Apostoli, opera di Marcantonio Franceschini (1648-1729), già appartenuto alla Chiesanova. Sotto, in una nicchia costruita nel 1819, si trovava la statuetta dell’Addolorata con il Cristo morto sulle ginocchia, terracotta opera dei Ballanti-Graziani donata da don Michele Favolini.

“La chiesa sino al 1860 servì per la Congregazione degli alunni delle pubbliche scuole, che in essa apprendevano la dottrina cristiana, ascoltavano messa ed attendevano ad altre pratiche di pietà. Oggi invece – scrive il Gaddoni a metà degli anni ’20 del secolo scorso – nonostante il risveglio religioso, particolarmente nelle scuole, c’è ancora in paese chi pretende di trasformare chiese in palestre ginnastiche o pubbliche piazze!”. Ciò di cui si doleva il Gaddoni rispondeva purtroppo a verità: più volte il Consiglio Comunale deliberò, senza peraltro riuscirci, di trasformare in palestra la chiesa di San Francesco e di demolire il Suffragio, divenuto peraltro collabente e bisognoso di restauro negli anni ’30, per allargare la piazza. Ma quello che non ottennero gli amministratori del Comune si realizzò, purtroppo, con l’infuriare della seconda guerra mondiale, Dapprima venne colpito il campanile, indi torre civica e chiesa furono minate dai tedeschi nel febbraio del 1945. La perdita per la comunità castellana fu enorme ed irreparabile. Dalla chiesa l’instancabile don Antonio Garavini salvò poche suppellettili, ma il quadro del Cignani, sicuramente l’opera più preziosa, venne perduto per sempre. A guerra terminata, liberato il sito dalle macerie, lo slargo creato dalla perdita della chiesa del Suffragio fu trasformato in piazza, allargando la piazza Fanti che precedentemente si estendeva solo sino all’abside della chiesa, ottenendo così un prolungamento ad “L” tra piazza Bernardi e Piazza Fanti. Dei muri del vecchio Suffragio non rimane oggi che un piccolo lembo: una modesta costruzione in piazza Fanti, un tempo sede della Cassa Rurale, indi riutilizzata con attività commerciale, che fu parte della sacrestia della chiesa.

(tratto in gran parte da “Le chiese della Diocesi di Imola” di p. Serafino Gaddoni)

Sono dunque sei le chiese scomparse di Castello, che aggiunte alle dieci ancora presenti fanno salire a sedici il numero dei luoghi di culto dei castellani. In fondo, Ubaldo Galli non s’era sbagliato di molto e, comunque, il numero delle chiese superava quello delle osterie: un bel primato!

PAOLO GRANDI

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Parte anteriore della Chiesa del Suffragio

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Abside della Chiesa del Suffragio

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La pala d’altare di Carlo Cignani, raffigurante San Francesco di Paola e San Nicola da Tolentino in venerazione della Madonna e del Bambino. E’ andata distrutta nel 1945, quando i Tedeschi fecero saltare la Chiesa del Suffragio.

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