Vicende storiche del complesso di Santa Maria della Misericordia
A sinistra entrando in paese lungo la Via Emilia, giungendo da Imola, si trova la Chiesa di “Santa Maria della Misericordia”. Nel 1396 era ivi in costruzione l’ospedale di “Sancta Maria de Castro Bolognesio o de Misericordia” come fu poi denominata sin dai primi anni. Come suo primo rettore è ricordato Frate Pasio di Mastro Trentino da Forlì del terz’ordine di S. Francesco, il quale, essendo povero e senza mezzi per il sostentamento e dovendo condurre a compimento la fabbrica, ottenne dagli anziani del Comune di Bologna un decreto, in data 23 febbraio, con cui venne accordato il permesso di questuare in tutto il territorio bolognese. Pochi anni dopo comparve la società di “Santa Maria della Misericordia” come patrona e reggitrice dell’ospedale. Una chiesuola od oratorio sorse contemporaneamente all’ospedale, come si rileva dal decreto suddetto a Frate Pasio in cui si legge:
“ET PER PRESENTEM NOSTRUM DECRETUM LICENTIAM CONCEDIMUS DICTO FRATI PASIO RECTORI ECCLESIE PREDICTE S. MARIE POSSE LIBERE ET IMPUNE IRE ET PER TOTUM NOSTRUM COMITATUM BONANIENSEM ELEMOSINAS INQUIRERE AC QUESTUM, QUOD TOTUM CONVERTI FATIAT IN DICTI HOSPITALIS HEDIFICATIONE ET SUE VITE SUBSTENTATIONE, CUM COUSTET NOBIS PREDICTUM FRATEM PASIUM FARE PAUPEREM ET DICTUM HOSPITALE NON HABERE BONA MOBILIA NEC IMMOBILIA, QUIBUS DICTI HOSPITALIS FABRICA POSSIT EXPLERI ETC.”.
L’ospedale fu costruito nel borgo del Castello e la Chiesa, come ora, prospettava sulla Strada Regale. Quando il Borgo fu racchiuso entro le mura, la porta verso Imola si denominò non solo del Mercato, ma anche dell’Ospedale. Legati e donazioni all’ospedale ricorsero negli anni 1413,1422,1424,1428,1449, 1451, 1456 ecc. La società di S. Maria della Misericordia fu menzionata negli anni 1422, 1461, 1502, ed in seno alla medesima si venne ad una riforma degli statuti il 29 marzo 1526, escludendo tra l’altro le persone di non buona fama. La cura e la custodia degli ammalati venne affidata ad uno spedalingo che, con la moglie, avevano la cura ordinaria dell’istituto, il quale era diviso in due reparti: uno per gli uomini e uno per le donne. I pellegrini erano ricevuti in un locale a parte, ricostruito nel 1610. Due anni dopo si lastricò il porticato che dava sulla Strada Maestra e sulla facciata fu posta l’iscrizione: “HOSPITALE PER ALLOGGIARE I POVERI PELLEGRINI”.
Chiesa ed ospedale, per i copiosi doni e offerte, giunsero ben presto ad uno stato di floridezza, come attestano inventari compilati negli anni 1537,1612, 1698, 1740. La piccola chiesa, custodita da un cappellano con l’obbligo dell’assistenza religiosa verso i poveri degenti, nel 1555-1561 fu notevolmente ampliata ed abbellita e gli incarichi della nuova cappella furono affidati, il 29 maggio 1559, a Mastro Marcantonio Lamberti. Un artistico e monumentale portale di marmo, costruito nel 1538, rese più importante la facciata ed essa venne descritta negli anni 1578, 1582, 1612, 1653, molto elegante, con affreschi, decorazioni e volte. Essa misurava metri 15 x 7,91 ed alta metri 8,79, ed era ampiamente illuminata da nove vetrate. Documenti del sec. XVIII, riguardanti statue inserite nella Chiesa negli anni suddetti, si conservano nell’Archivio della Congregazione di Carità, ed attestano l’attribuzione allo scultore Alfonso Lombardi (nato a Ferrara nel 1487 e morto a Bologna nel 1536). Comunque le opere che portarono la Chiesa alla struttura attuale furono eseguite in due tempi diversi, ma vicini, nel XVIII secolo.
Nel 1751 iniziarono i lavori di ampliamento su disegno dell’architetto Ottavio Toselli, che nel 1749 redarguì un progetto per lo studio di rifacimento della prima parte dell’edificio comprendente il presbiterio con la cappella dell’Altar Maggiore. Come capimastri parteciparono ai lavori Francesco Rossi e Sebastiano Lazzari mentre le tariffe per la mano d’opera vennero stabilite da Domenico Morelli, padre di Cosimo, e da Guido Naldi di Castel Bolognese. A Domenico Trifogli spettava il compito di esaminare il lavoro compiuto e di controllare la contabilità. Il materiale fu fornito dal fornaciaio Giuseppe Dalmonte e scelto come fabbro Paolo Antonio Dalmonte, entrambi di Imola. Delle spese dei vari materiali usati per questa opera sono ancora conservati i manoscritti nell’archivio comunale di Castel Bolognese. Sia la cappella che l’altare maggiore si innestarono nel corpo della navata preesistente, ove l’architetto ricollocò le antiche e preziose statue del Lombardi, già facenti parte della Chiesa. Il Toselli realizzò un vano rettangolare, con angoli smussati da doppie pilastrate ioniche molto esili, il tutto dipinto con effetti marmorei. Una cornice di archeggiature a sesto ribassato si svolge a circuire le due finestre laterali e l’incavo del muro sopra l’altare con la prospettiva dipinta.
Il coperto è una volta a velario architettonicamente senza pretese, su struttura crociata, naturalmente consenziente con l’impostazione della pianta . Questa volta, rigata da nervature perimetrali che si indirizzano verso le pilastrature ioniche, è finemente ornata da leggeri stucchi, con cartelle, volute, fogliami, angeli, serafini ed un ovato a conchiglia nel centro. Le lunette delle pareti laterali si aprono in finestre controcurvate a svasatura volte verso il basso, ed il tutto rivela l’inclinazione dell’Architetto verso l’aspetto plastico-decorativo. Oltre bravo Architetto, il Toselli, fu anche affermato scultore e collaborò, insieme al fratello Nicolò, nello svolgimento delle decorazioni plastiche e statuarie che arricchiscono la Cappella Maggiore.
Una sosta di circa venti anni causata, più che da difficoltà finanziarie, da difficoltà tecniche, cioè dal problema non facile di includere l’avancorpo della Chiesa fra due edifici laterali di uguale altezza, senza danneggiare l’illuminazione dell’interno, fece disputare due valenti architetti in un regolare concorso. La pianta della vecchia Chiesa infatti, arretrava rispetto agli edifici limitrofi ed il prolungamento si pensa sia stato fatto per collocarvi la cantoria e l’organo. Per cui nel 1772 i due architetti, uno di Faenza G. B. Boschi detto Carloncino ed il Ticinese imolese Cosimo Morelli (1732-1812), si contesero il lavoro.
Il Morelli prevalse e, partendo dal tratto già costruito, vi congiunse la nuova navata, indi alzò la facciata a filo netto del margine della Via Emilia. Finse all’interno una croce greca dai bracci recisi ed occlusi da finte ancone di stucco, che stanno come se fossero altari isolati sotto il riparo dell’arco. Nei bracci sviluppati della croce collocò, alla tipica maniera settecentesca, quattro porte sormontate da poggioli che accedevano: uno negli uffici della Congregazione, un altro nel palazzo della nobile famiglia dei Marchesi Zacchia-Rondinini, la quale ottenne il coretto a proprio uso nel 1820. Un altro poggiolo, precisamente il primo situato sulla parte sinistra dell’ingresso alla navata, accede, tramite una caratteristica scala a chiocciola in olmo, al vano coro. Nella parte centrale della navata, in corrispondenza delle due ancone laterali, quattro solenni pilastrate conferiscono una forte ossatura al minuscolo ambiente che, con la luce riflessa dall’alto, imprimono plasticità rendendolo monumentale più del vero. Sul quadrato ottenuto impostò la cupola, emisferica, il cui peso viene distribuito tramite quattro volte sulle quattro pilastrate laterali. Essa è rigata da meridiani e paralleli in rilievo, con formelle quadrate inclusevi a tagliare gli angoli della cavità. Sopra la cupola impiantò la lanterna ampiamente finestrata da quattro aperture con la copertura di piombo e rame, alta sul tamburo quadrato costruito a spigoli tronchi, in una composizione di massa che si presenta con eleganza rara nella sua semplicità. Il Morelli, ripreso il carattere delle finestre a linea mista del Toselli, lo ridusse ad una specie di serliana che si riprende sia nelle ancone di stucco, sia nel finestrone della facciata e che riecheggia nel ciglio delle finestre a poggiolo.
La facciata, rivolta verso la collina, poggia su tre archi dorici che si inseriscono nella serie di portici degli edifici adiacenti. La parte superiore della facciata è lineata da leggere nervature murarie, e presenta come motivo centrale una grande finestra a serliana ionica posta fra due nicchie frontonate. Ne risulta un prospetto ricco di profilature, inquadrature e sobri elementi plastici. Per la finitura della muratura esterna è stato usato un tipo di intonaco propriamente detto “sagramatura”, tipico del bolognese in quel secolo, che, diminuendo la porosità del mattone e conferendo idrorepellenza alla superficie, costituiva una protezione contro l’umidità ed il tempo. Nel 1773 la Chiesa venne inaugurata e benedetta dal Vescovo Bandi nel 1774. L’Ospedale, che si trovava a ponente di essa, fu costruito più ampio sul retro della stessa, avendo così la possibilità di ospitare un numero superiore di ammalati e bisognosi. La nuova costruzione del Morelli, che qui si presenta ancora con propensioni barocche, ma che più tardi si rivolgerà ad un puro neoclassicismo, si sposa felicemente con l’intervento del Toselli sì che la piccola Chiesa ci appare come una delle migliori opere del barocco. Il campanile con due campane ricostruito nel 1680 da Mastro Carlo Codrignani, fu modificato e reso più armonico secondo lo stile della Chiesa negli anni 1772/1773. Un fulmine lo danneggiò il 17 aprile del 1819 e durante il secondo conflitto mondiale fu completamente distrutto. All’interno, sopra la porta d’ingresso, si trova la seguente iscrizione:
ANNEVENTE AC FAVENTE
JOANNE CAROLO BANDIO EPISC. IMOLE
AEDES HAEC SODALITII
ELEGANTIUS RESTITUTA FUIT A.R.S. MDCCLXXIII
Ivi appresso, a destra di chi entra, si leggono in una lapide in marmo le disposizioni testamentarie della nobildonna Contessa Caterina Ginnasi, nipote del Card. Domenico, la quale in data 9/8/1643, legava 3.000 scudi alla Confraternita di S. Maria, affinchè coi frutti vi dotassero ogni anno 4 fanciulle povere del Comune di Castel Bolognese, dando ad ognuna 25 scudi. Pure a destra in una targhetta di marmo, collocata nella colonna presso il presbiterio, si legge:
PONE PARIETEM
LOCUS PROFANUS
La pavimentazione della Chiesa era in cotto, che, montato trasversalmente, la rendeva illusionisticamente più ampia. Fu asportato poi, e sostituito con lastre di marmo chiaro di cm. 40 x 40. Sotto il piancito di questa Chiesa, tanto settariamente profanata, riposano in vari sepolcreti i confratelli della Misericordia, a cui appartennero le persone più distinte e facoltose del paese. La benemerita Confraternita della Misericordia fu soppressa dal Governo repubblicano il 3 luglio 1798. Ripristinata il 31 maggio del 1817, ebbe regolamenti e prescrizioni per l’amministrazione interna ed esterna dell’Ospedale, approvate dal Cardinale Rusconi il 9 dicembre del 1818.
Fu di nuovo soppressa nel 1859, e ad essa subentrò una commissione municipale e, poco dopo, la Congregazione di Carità. L’Ospedale, nel 1798, fu trasportato nel convento di S. Francesco dove rimase fino al 1813, anno in cui venne aperto il nuovo a levante del paese. Giovanni Antolini di Castel Bolognese, architetto rinomato, presentò il disegno e diresse i lavori; facendo per quei tempi uno degli ospedali più comodi ed eleganti di Romagna.
La Chiesa, rimasta aperta al culto nel 1798, nonostante la soppressione francese, sostituì ancora nel 1861/1865 la Chiesa di S. Francesco, durante il rifacimento della cupola di quest’ultima. Fu chiusa lo stesso anno ed i preziosi arredi sacri con le antiche argenterie vennero venduti a prezzi irrisori dalla Congregazione di Carità. Solo le statue del Lombardi ed una tela raffigurante “la natività di Maria” datata 1614, opera del pittore faentino Ferraù Fenzoni, furono trasportate nelle Chiese di S. Francesco e S. Petronio di Castel Bolognese.
Le mense degli altari e le balaustre in sasso di Meldola levigato che separavano l’altar maggiore col resto della Chiesa invece furono buttate nel cortiletto adiacente e ben presto si dissolsero sotto le intemperie. La Chiesa fu usata come deposito di granaglia, trasformata in cinema e poi in palestra. Oggi è internamente lesionata e presenta forti tracce di umidità poichè nel 1949, per far fronte ai danni subiti durante il secondo evento bellico, le venne asportato il tetto, lasciando scoperte le volte in mattoni che per parecchio furono soggette alle intemperie.
Testo tratto da: Il complesso architettonico di S. Maria della Misericordia a Castelbolognese: ipotesi di adattamento e consolidamento, tesi di laurea in Architettura, Università degli Studi di Firenze; laureanda Paola Malucelli, relatore L. Nizzi Grifi, correlatore S. Van Riel.
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