Il disastro ferroviario del 1962 Archives - La Storia di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/category/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/ Tue, 11 Jun 2019 17:26:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 Il disastro ferroviario del 1962 https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/il-disastro-ferroviario-del-1962/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/il-disastro-ferroviario-del-1962/#comments Tue, 10 Sep 2013 17:53:36 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962/ Nella notte di giovedì 8 marzo 1962, alle ore 1,56, avvenne un grave disastro ferroviario a Castel Bolognese. Il Diretto 152, proveniente da Lecce e in corsa verso Milano, alla cui guida erano il macchinista Ennio Covacci e l’assistente Otello Manzi, deragliò poco prima di transitare nella stazione di Castel …

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Nella notte di giovedì 8 marzo 1962, alle ore 1,56, avvenne un grave disastro ferroviario a Castel Bolognese. Il Diretto 152, proveniente da Lecce e in corsa verso Milano, alla cui guida erano il macchinista Ennio Covacci e l’assistente Otello Manzi, deragliò poco prima di transitare nella stazione di Castel Bolognese. Sul treno viaggiavano circa 500 passeggeri, in gran parte provenienti dal Sud. Morirono 14 viaggiatori (13 nelle ore immediatamente dopo il disastro e 1 svariati giorni dopo) e altri 127 rimasero feriti, alcuni in modo grave. Sul luogo del sinistro affluirono immediatamente i ferrovieri della nostra stazione che, nonostante il buio, si resero conto della tragedia, poi i soccorsi dalle città vicine ed infine tanti castellani che aiutarono nell’estrazione dei feriti e dei morti dalle lamiere delle carrozze distrutte. La notizia del disastro fu ripresa dai giornali di tutto il mondo e occupò moltissime prime pagine dei quotidiani italiani.

Le salme di undici delle quattordici vittime vennero ricomposte nella chiesa di San Francesco, ove pure fu istituita la camera ardente. Il tempio, ancora in restauro per le ferite subite durante il secondo conflitto mondiale, veniva aperto al pubblico ed ai fedeli per la seconda volta dal 1945, pochi mesi dopo una mostra d’arte sacra tenuta nel settembre del 1961. Compiute le formalità del riconoscimento e del rientro delle salme alle rispettive città d’origine, la chiesa fu nuovamente chiusa per un triennio al fine di terminare i restauri.

Nel 2012 è ricorso il 50° anniversario di questa tragedia che è stata assai a lungo completamente dimenticata. Attingendo dai giornali dell’epoca e dalle testimonianze di alcuni castellani, si vuol fare conoscere meglio, su queste pagine, la storia del disastro, sperando di contribuire a non dimenticare. Sarebbe auspicabile, però, che anche in stazione a Castel Bolognese si ponesse una lapide commemorativa.
Alla fine del 2014 è uscito il volume “Un diretto dal Sud: il caso del disastro ferroviario di Castel Bolognese”, scritto da Daniele Pompignoli, edito da An. Walberti, al quale si rimandano tutti colori interessati ad approfondire la vicenda, e dal quale provengono alcune informazioni riportate nelle pagine di questo sito.

Immagine tratta da Il Resto del Carlino del 9 marzo 1962

Immagine tratta da Il Resto del Carlino del 9 marzo 1962

La Settimana Incom 02197, 15/03/1962, Disastro ferroviario
(filmato caricato da: castelbolognesenews)

Un filmato registrato su pellicola 8 mm davvero prezioso, ritrovato sul mercato antiquario da Sergio Poli e messo gentilmente a disposizione dopo la digitalizzazione. L’autore delle riprese è al momento ignoto. I primi 2 minuti e mezzo circa riguardano il disastro ferroviario di Castel Bolognese dell’8 marzo 1962 ed illustrano le operazioni di sgombero dei rottami. Il resto mostra il trasferimento della locomotiva a vapore “740-409” dallo scalo merci della stazione di Imola al circuito di Imola, a cura del Gruppo Ferramatori Imolese “Umberto Olivieri”. La data al momento è sconosciuta.

L’E.428.217 gravemente danneggiato nel disastro di Castel Bolognese avvenuto l’8 marzo 1962.

Agghiaccianti visioni del disastro di Castel Bolognese (dal volume: “E. 326 – E. 428”, scritto da Claudio Pedrazzini)

Agghiaccianti visioni del disastro di Castel Bolognese (dal volume: “E. 326 – E. 428”, scritto da Claudio Pedrazzini)

Agghiaccianti visioni del disastro di Castel Bolognese (dal volume: “E. 326 – E. 428”, scritto da Claudio Pedrazzini)

disastro giornale

La prima pagina del quotidiano “Stasera” dell’8 marzo 1962 (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)

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Elenco e notizie delle vittime (dai giornali dell’epoca) https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/elenco-e-notizie-delle-vittime/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/elenco-e-notizie-delle-vittime/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:35 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962-elenco-e-notizie-delle-vittime-dai-giornalidellepoca/ L’elenco delle vittime Incrociando i vari dati pubblicati dai quotidiani consultati, ecco l’elenco delle vittime perite nel disastro di Castel Bolognese. L’elenco è stato integrato con il nome della quattordicesima vittima, riportato nel volume “Un diretto dal Sud: il caso del disastro ferroviario di Castel Bolognese”, scritto da Daniele Pompignoli (ultimo aggiornamento …

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L’elenco delle vittime

Incrociando i vari dati pubblicati dai quotidiani consultati, ecco l’elenco delle vittime perite nel disastro di Castel Bolognese. L’elenco è stato integrato con il nome della quattordicesima vittima, riportato nel volume “Un diretto dal Sud: il caso del disastro ferroviario di Castel Bolognese”, scritto da Daniele Pompignoli (ultimo aggiornamento 8/1/2015)

Alberto Di Nella, 30 anni, da Paglieta (Chieti), emigrante, in possesso di passaporto per la Francia
Alfio Morolli, 26 anni, elettricista, abitante a Rimini in via Pascoli 106
Giuseppe Pasquale, 34 anni, da Lama dei Peligni (Chieti), emigrante, in possesso di passaporto per la Francia
Luigi Mozzocconi, 20 anni, perito chimico, da Montefiore dell’Aso (Ascoli Piceno).
Domenico Di Tizio, anni 23, da Miglianico (Chieti), effettivo del 40° reggimento fanteria Bologna; è stato identificato dal suo comandante, ten. col. Bolletta.
Anna Maria Ventura in Cafarelli, 21 anni, abitante a Roccamorice (Pescara).
Donato Di Marino, 31 anni, da Gessopalena (Chieti), emigrante.
Fioravante Romualdi, 40 anni, da Atri (Teramo), emigrante, in possesso di passaporto per la Germania
Alfredo Ciro, 21 anni, nato a Reggio Calabria e abitante a Padova in via Guerrini 75, marinaio (morto all’ospedale di Faenza).
Domenico De Rosa, 47 anni, da Panni (Foggia), emigrante.
Rocco Gesualdi, 37 anni, da Panni (Foggia), emigrante.
Giuseppe Caporale, 56 anni, da Notaresco (Teramo), emigrante (morto all’ospedale di Faenza).
Gian Carlo Càsoli, 19 anni, operaio meccanico da Collecchio di Parma. La sua salma fu l’ultima ad essere identificata, e rimase molte ore nell’obitorio dell’ospedale di Castel Bolognese. Capelli castano scuri, con lunghe basette; indossava un abito verde scuro rigato e una maglia color grigio chiaro, scarpe marrone. Nelle sue tasche solo due biglietti, uno da Parma a Macerata e uno da Macerata a Parma.
Antonio Di Matteo, 37 anni, da Roccamorice (Pescara). Ricoverato all’ospedale di Faenza, morì il 16 marzo successivo per sopravvenute complicazioni polmonari. Della sua morte riferì soltanto il quotidiano “L’Avanti!”.


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Da La Stampa, 9 marzo 1962

[…] C’e una cassettina posata sul pavimento, nella caserma dei carabinieri di Castel Bolognese. E’ colma di fazzoletti, annodati per le cocche, ogni involtino reca i documenti dei passeggeri e gli oggetti “di loro pertinenza”, come precisa l’inventario steso dai carabinieri. “Una mostrina bianca con filetto rosa e distintivo del 40° reggimento fanteria, appartenente a militare sconosciuto. Taccuino con annotazioni varie, numero di matricola del fucile e della baionetta in consegna, orologio da polso privo di lancette, biglietto seconda classe, pacchetto di sigarette Nazionali con filtro”. Il titolare del povero fagottino verrà poi identificato dal suo colonnello: è il soldato Domenico, Di Tizio, di Miglianico, in provincia di Chieti, in viaggio di ritorno dalla licenza. Ecco qui un passaporto per la Repubblica Federale tedesca, tutto spiegazzato. Appartiene a Domenico De Rosa, foggiano, nato nel 1915, coniugato. Nella prima pagina il documento lo qualifica “contadino”, ma poco più avanti c’è una annotazione della Questura di Foggia: “La qualifica di De Rosa Domenico è di manovale, non più di contadino”. Entro quest’altro fazzoletto sdruscito si annoda la vita di Giuseppe Pasquale, di Lana del Peligni (Chieti), di anni 32. C’è il biglietto per Parigi, il passaporto, 30 franchi di carta, 163 franchi di metallo, 2640 lire italiane, un orologio “in metallo giallo con cinturino pure in metallo giallo” — la prudente analisi del verbalizzante si limita a constatare i fatti —, due chiavi per valigia, una scatola di cerini, diciotto sigarette Nazionali semplici. Ora si apre la porta: sono parenti di viaggiatori «D 152», venuti a frugare tra .i fagottini. Cercano se non vi sia quello di qualche loro congiunto. “Vengo da Teramo, ieri sera partì mio figlio. Era su quel treno”. L’uomo parla tutto d’un fiato. Ha il cappotto nero, i capelli ondulati, completamente bianchi, l’occhio mite e sgomento. “Come si chiama?”. “Di Lelli Mario”. Il brigadiere, consulta l’inventario. “Anni?”. “Ventiquattro”. Il brigadiere esce, va in un’altra stanza, ritorna dal vecchio: “Che abito vestiva?” L’uomo è pallido, ora, più bianco dei suoi capelli bianchi. Nella lista, suo figlio non figura. Ma tra i morti ci sono persone non ancora identificate. Chi sarà mai quel cadavere che il verbale così descrive: “Civile sconosciuto, età 25-30 anni, basette lunghe, vestito marrone rigato, maglia grigia, scarpe gommate, oggetti di pertinenza, lire 400, due penne biro”? E’ una questione di righe sull’abito, di penne biro nel taschino. Il vecchio si affloscia sbigottito sulla panca. Parliamo con due scampati abruzzesi, Fìoravante Madonna, muratore, e Angelo Maria Tornesi, carpentiere, cognati di Giuseppe Pasquale e di Alberto Di Nella, morti entrambi nella prima vettura. Viaggiavano in loro compagnia e anche con altri abruzzesi, di paesi vicini. Destinazione Parigi. Non la Parigi di Place Pigalle o di Montparnasse. Un’altra Parigi, dove in bàtiments che sembrano caserme migliaia di italiani alloggiano, intenti a fabbricare belle case, con piscina e giardino, nei quartièri residenziali di Orly. Dice Fioravante Madonna: «Mio cognato Pasquale aveva incominciato proprio quest’inverno a fabbricarsi la sua casetta, al paese. Erano dieci anni che andava a Parigi. Era stato lui, anzi, a chiamare anche me. Noi siamo dì Lama dei Peligni, hai presente? Sì, proprio sotto il Corno della Maiella. Prima del terremoto, Lama aveva cinquemila abitanti; dopo venne la distruzione della guerra, e si ridusse a metà. Adesso saremo in millecinquecento. Ma appena il sole comincia a scaldare, via tutti. Chi va in Francia, chi in Belgio, chi in Olanda, chi ancora più lontano, in Caledonia, in Australia, in Canada. Ce n’è dappertutto. A casa restano donne e vecchi». Lama, dunque, ha avuto prima un terremoto, poi, per nove mesi, tedeschi e alleati che si sparavano entro le sue mu ra (erano tagliate dalla linea fortificata Ortona-Guardiagrele) e infine, ultimo pensierino dei tedeschi, mine sotto ogni casa. Con i “danni di guerra”, con un decennio di questa Parigi, fatta di cazzuole, di carriole e di nostalgia, Giuseppe Pasquale incominciava dunque a mettere un mattone sopra l’altro per casa sua. […]

I vigili del fuoco trasportano sulla barella il cadavere di un viaggiatore estratto dai rottami di una carrozza

I bagagli dei passeggeri recuperati dal treno (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)

 


Da L’Unità, 9 marzo 1962, cronache della Romagna

Il riminese morto a Castelbolognese si recava a Milano per partecipare a un concorso indetto dalle FF.SS.

Fra le vittime del disastro ferroviario di Castelbolognese estratte durante l’opera di soccorso dal groviglio di binari divelti, di rottami di ferro e di lamiere delle vetture, è stato rintracciato anche un riminese, un giovane di 26 anni. Si tratta di Alfio Morolli, abitante a Rimini in via Pascoli 106, con la moglie, la figlia di un anno e mezzo ed i genitori.
Alfio Morolli aveva preso il diretto Lecce-Milano alle ore 0,54 alla stazione di Rimini per recarsi a Milano, dove doveva sostenere gli esami per un concorso indetto dalle Ferrovie dello Stato. Aveva preferito viaggiare durante la notte per non perdere una giornata dl lavoro, e così si è trovato sul treno della morte. Neanche un’ora dopo, all’ingresso della stazione di Castelbolognese, il giovane Morolli doveva trovare la morte a causa del tragico deragliamento del treno.
Egli, nei giorni scorsi, si era recato a Torino per le stesse ragioni per cui era partito nelle prime ore di giovedì per la capitale lombarda. Da una città all’altra, partecipando al concorso indetto dalle FF.SS., inseguiva la speranza di migliorare la situazione economica della propria famiglia o, per lo meno, di migliorare la condizione in cui si trovava lavorando presso una ditta appaltatrice che eseguiva lavori per le Ferrovie dello Stato.
Prima di partire aveva detto in casa che si sentiva sicuro di superare gli esami e raggiungere la sistemazione tanto desiderata presso le FF.SS. Invece, all’1,55 dello stesso giorno, Alfio Morolli doveva dire addio definitivamente a tutte le sue speranze di una vita migliore con la famiglia. Deve essere morto con questo pensiero in testa, come numerosi altri viaqgiatori periti nel disastro, povera gente anch’essi alla ricerca di una migliore condizione di vita e di lavoro.
Alfio Morolli a Rimini era molto conosciuto e stimato. Veniva da una famiglia comunista (suo padre è stato amministratore della sezione del PCI “Di Vittorio”) ed era iscritto al partito. Il padre, comunemente chiamato “Montanari”, ha partecipato attivamente alla lotta antifascista.


Dal Corriere della Sera del 9 marzo 1962

[…] Una delle vittime del disastro è il perito chimico Luigi Mazzocconi, di ventun anni, che era alle dipendenze dello stabilimento Montecatini di Rho. Il giovane, residente a Montefiore dell’Aso di Ascoli Piceno, tornava a Rho dopo una settimana di ferie. La famiglia Mazzocconi era stata colpita qualche anno addietro da un’altra sciagura per la morte di Mario Mazzocconi, padre di Luigi, che era perito in un incidente stradale nei pressi del paese. In famiglia erano rimasti la madre Lucia e cinque figli. L’anno scorso Luigi Mazzocconi si era diplomato perito chimico presso l’istituto industriale di Fermo e aveva poi trovato lavoro presso lo stabilimento di Rho.

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Elenco e notizie sui feriti dai giornali dell’epoca https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/elenco-e-notizie-sui-feriti-dai-giornali-epoca/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/elenco-e-notizie-sui-feriti-dai-giornali-epoca/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:33 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962-elenco-e-notizie-sui-feriti-dai-giornalidellepoca/ Sui giornali dell’epoca furono riportati vari elenchi dei feriti (alcuni molto gravi), ricoverati negli ospedali di Castel Bolognese, Faenza ed Imola. Nell’impossibilità di fare un lungo lavoro di riscontro su tutti i nomi, si riporta qui quello pubblicato sul Corriere della Sera del 9 marzo 1962. Seguono poi alcune storie …

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Sui giornali dell’epoca furono riportati vari elenchi dei feriti (alcuni molto gravi), ricoverati negli ospedali di Castel Bolognese, Faenza ed Imola. Nell’impossibilità di fare un lungo lavoro di riscontro su tutti i nomi, si riporta qui quello pubblicato sul Corriere della Sera del 9 marzo 1962. Seguono poi alcune storie dei feriti, tratte da altri quotidiani.

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Amputate le gambe a un giovane ferito nel disastro ferroviario

La commovente vicenda di due emigranti morti nella sciagura

Le condizioni generali dei numerosi feriti della tragica sciagura ferroviaria di Castel Bolognese, ricoverati presso gli ospedali di Faenza, Imola e Castel Bolognese, sono sensibilmente migliorate. Nella giornata di ieri, quattro feriti sono stati dimessi dall’ospedale di Imola, mentre sette hanno lasciato il nosocomio di Faenza e cinque l’ospedale di Castel Bolognese. I feriti, tuttora ricoverati in condizioni più o meno gravi, ma comunque non preoccupanti, sono ventinove a Faenza, venticinque a Imola e venti a Castel Bolognese. Alcuni di essi verranno dimessi domattina.

Ma Lorenzo Beccio, il giovane di Tolve di Potenza, al quale i chirurghi dell’ospedale di Faenza hanno amputato una gamba, dovrà, purtroppo, per le gravi ferite riportate, essere sottoposto all’amputazione anche dell’altro arto. Ii giovane, che è sposato e ha un bambino, stava viaggiando sul “treno della speranza” diretto in Germania, ove avrebbe lavorato in qualità di muratore. All’ospedale civile di Imola, dove sono degenti assieme ad altri loro compagni di sventura, due viaggiatori del tragico direttissimo Lecce-Milano sono stati sottoposti all’amputazione di una gamba. Uno è Domenico Di Paolo di 46 anni residente a Campli (Teramo), cui i medici hanno dovuto tagliare la gamba destra; il secondo è Luigi Ferretti, di 34 anni da Atri (Teramo) al quale è stata recisa la gamba sinistra. Per entrambi è stata mantenuta la prognosi riservata. La prognosi riservata è stata tolta ad Angelo Giudice di 25 anni da Roseto Val Fortone (Chieti) che guarirà in 10 giorni; Nino Melchiorre di 30 anni da Gesso Palena (Chieti), 15 giorni; Pietro Biaggiola di 23 anni da Montecassiano (Macerata), 15 giorni.

A Castel Bolognese, Faenza e Imola sono ancora presenti molti dei parenti degli emigranti meridionali, che sono ospitati dalle generose famiglie romagnole. Attorno a loro vi è generale solidarietà ed attenzioni non solo perchè rimasti cosi duramente colpiti dalla malasorte, ma anche perchè impersonificano il dramma della miseria del Mezzogiorno d’Italia. Appare particolarmente penoso il caso dei due amici Domenico De Rosa e Rocco Gesualdi entrambi deceduti. Tutti e due erano sposati con tre figli. Abitavano a Panni, un paesino sperduto della Lucania, a 870 metri d’altezza, in provincia di Potenza, Lo scorso anno avevano trovato lavoro come manovali edili in Germania. Ritornati a casa, il padrone li aveva avvertiti, il 4 scorso, che potevano ritornare a lavorare all’estero. Sarebbero dovuti ripartire il giorno seguente. ma vollero trascorrere due giorni di carnevale insieme alla moglie e ai figlioletti. Sono morti entrambi, l’uno vicino all’altro, straziati, con le valigie fracassate, e i miseri panni sparsi fra i rottami del treno.

Da L’Unità, 12 marzo 1962, cronache di Bologna


Tra i feriti due sposi reduci dal viaggio di nozze

Il sottosegretario ai ‘Trasporti, onorevole Cappugi, e il direttore generale delle Ferrovie ingegner Rissone hanno visitato stasera i feriti della sciagura ferroviaria ricoverati negli ospedali di Castel Bolognese, Faenza e Imola. Quando l’onorevole Cappugi e l’ingegner Rissone hanno effettuato la visita all’ospedale di Castel Bolognese — che raccoglie per lo più feriti leggeri — sono cominciati ad affluire al nosocomio, provenienti per lo più dal Meridione, i congiunti dei viaggiatori del direttissimo 152 rimasti coinvolti nell’incidente.

Più lunga è stata la visita all’ospedale di Faenza che accoglie, con quello di Imola, i feriti più gravi. I primi feriti sono giunti nelle sale di medicazione alle 2,25 e i medici hanno medicato e operato ininterrottamente fino alle 17 del pomeriggio. Complessivamente è stata eseguita, in due distinte sale, una ventina di interventi di rilievo tra chirurgia e ortopedia.

A Faenza sono ricoverati due sposi reduci dal viaggio di nozze. I due, Carmela e Donato Muscella, rispettivamente di 24 e 30 anni, si trovano nello stesso ospedale, entrambi nella impossibilità di muoversi ma felici di esser vivi. […]

Dal Corriere della Sera, 9 marzo 1962


Fuori pericolo tutti i feriti nel disastro di Castel Bolognese

Faenza 14 marzo, notte.
A sei giorni di distanza dal disastro ferrovlario di Castel Bolognese i feriti ancora ricoverati negli ospedali della zona ammontano a 61. Dei sessantuno feriti, a Castel Bolognese ne risultano attualmente ricoverati 18 dei 25 che furono accolti in ospedale la mattina dell’8 marzo scorso; a Faenza 29 su 35; a Imola 14 su 29. I feriti gravi sono stati dichiarati fuori pericolo e vanno sempre migliorando.

Dal Corriere della Sera, del 15 marzo 1962

Una corsia dell’ospedale di Imola nel quale furono ricoverati molti feriti (foto tratta da “Stasera”, 8 marzo 1962)

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Le due bimbe che persero la mamma https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/le-due-bimbe-che-persero-la-mamma/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/le-due-bimbe-che-persero-la-mamma/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:33 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962-le-due-bimbe-che-persero-la-mamma/ “E’ assurdo in una sciagura stabilire una scala della commozione, ma quando la tragedia tocca da vicino i bambini, sembra ancora più inumana: forse per questo tutti s’interessavano delle due piccole abruzzesi rimaste senza nessuno, raccolte amorosamente, deposte in un lettino dell’ospedale di Castelbolognese. Per ore si è affannosamente cercato …

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“E’ assurdo in una sciagura stabilire una scala della commozione, ma quando la tragedia tocca da vicino i bambini, sembra ancora più inumana: forse per questo tutti s’interessavano delle due piccole abruzzesi rimaste senza nessuno, raccolte amorosamente, deposte in un lettino dell’ospedale di Castelbolognese. Per ore si è affannosamente cercato un padre o una madre. Delle due bimbe — una di un anno e mezzo l’altra di otto mesi — s’ignorava il nome e questo rendeva vana la ricerca dei genitori.

Il racconto di un ferroviere (1), che fra i primi aveva partecipato all’opera di soccorso, diede la prima e purtroppo dolorosa indicazione: correndo lungo i vagoni contorti egli aveva scorto una povera donna orribilmente ferita: una lamiera o forse la stessa rotaia divelta, presso cui la poveretta giaceva, le aveva squarciato l’addome. La donna stava morendo, si lamentava fievolmente: il ferroviere s’era pietosamente chinato, le aveva sistemato una coperta sotto il capo, quasi per renderle meno dura la fatica di morire, ed era stato allora che aveva udito la donna mormorare: “fatemi vedere le mie bambine”.

La madre delle due bimbe veniva poi identificata per la ventiduenne Anna Maria Venturo, della provincia di Chieti: con le due figlie e il marito Salvatore Caffarelli, rimasto ferito e ricoverato all’ospedale di Imola, la giovane donna andava versa il nord: ma povera famiglia d’Abruzzo delle tante che ogni notte risalgono la penisola verso la Svizzera, la Germania, il Belgio, stipata con le loro gonfie valigie di cartone, nel lunghissimo “treno della speranza”, verso una vita migliore ma spesso soltanto ingrata: scorrendo lo elenco dei feriti Si scopre che almeno una decina sono di Malloppello, il triste paese che ebbe il maggior numero di morti nella sciagura di Marcinelle.

I Caffarelli con le loro bimbe stavano tutti e quattro vicini in uno scompartimento, uniti — credevano — nella stessa sorte e ignari che lo stesso attimo li avrebbe invece divisi per sempre. I tre superstiti — dopo la amorevole opera di identificazione delle due sorelline – si sono ritrovati nel pomeriggio, quando il padre ha ottenuto che le bimbe fossero trasferite dall’ospedale di Castelbolognese nella clinica di Imola, ove si trova ricoverato”.

Testo e immagine tratti da Il Resto del Carlino del 9 marzo 1962.

(1) In realtà il soccorritore era Romano Scardovi, che abitava a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Castel Bolognese.

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Cronache dei soccorsi dai giornali dell’epoca https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/cronache-dei-soccorsi-dai-giornali-dellepoca/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/cronache-dei-soccorsi-dai-giornali-dellepoca/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:35 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962-cronache-dei-soccorsi-dai-giornali-dellepoca/ “[…] Castel Bolognese ha vissuto una giornata che rimarrà scolpita anche nel ricordo dei più giovani. Sembrava, specialmente nelle prime ore della mattina, una retrovia di guerra, con andare e venire di camion e di autoambulanze carichi di feriti e di automezzi dell’esercito, dei carabinieri, della polizia. Le strade di …

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“[…] Castel Bolognese ha vissuto una giornata che rimarrà scolpita anche nel ricordo dei più giovani. Sembrava, specialmente nelle prime ore della mattina, una retrovia di guerra, con andare e venire di camion e di autoambulanze carichi di feriti e di automezzi dell’esercito, dei carabinieri, della polizia. Le strade di accesso alla stazione erano bloccate da squadre di agenti che lasciavano passare soltanto le macchine di coloro che dovevano partecipare ai soccorsi e fermavano anche le persone a piedi. Malgrado questo, intorno alla stazione era accorsa, per vie trasverse e per i campi, gran parte della popolazione del paese. Una visione terribile. I bombardamenti aerei di tragica memoria non lasciavano uno spettacolo così desolante: scavavano buche, sventravano qualche carrozza, bucavano qua e là le pareti di lamiera. Ma oggi, qui a Castel Bolognese, il locomotore ed i sedici vagoni che componevano il convoglio, erano rovesciati, fracassati, incastrati gli uni negli altri. Sembrava che una mano enorme li avesse stretti in una poderosa morsa e li avesse gettati fra la rete dei binari dello scalo come carta da buttare nell’immondizia. E intorno a questi poveri resti di un terrificante gioco del destino, c’erano gli uomini in[tenti a scavare, a tagliare lamiere con la fiamma ossidrica per cercare i morti; v’erano uomini con le mani fasciate alla meglio, il volto sfregiato da segni insanguinati, che cercavano quelle che erano state le loro valigie. La tragedia è accaduta alle due meno qualche minuto. Il diretto 152 passa per Castel Bolognese all’una e cinquantadue, ma questa notte aveva cinque minuti di ritardo. Era un treno come tanti che correva nella notte con il suo carico umano di sofferenza, di ansia, di speranza. Molta speranza, perché c’erano, a bordo, tanti emigranti che andavano in Germania, in Svizzera, in Francia a guadagnarsi un pezzo di pane meno duro di quello che offre la loro terra del sud. Il convoglio filava alla velocità di 100 chilometri all’ora e sarebbe arrivato a Milano poco dopo l’alba, alle 6,27. I 100 chilometri all’ora dovevano ridursi, nel tratto prospiciente la stazione, a 30. […]

Il locomotore è uscito dal binario, si è rovesciato sul fianco destro ed è andato avanti così, sradicando le traversine, strappando dal suolo rotaie, piegandole addirittura a forma di otto, come se fossero fuscelli. E dietro, il bagagliaio, le quattordici carrozze, viaggiatori ed il carro merci che componevano il convoglio a loro volta si rovesciavano, si accavallavano, perdevano i carrelli, si sventravano in un rombo assordante, spaventoso. I fili che portavano corrente sono venuti in contatto tra di loro, hanno fatto una serie di fiammate, il corto circuito ha fatto automaticamente scattare gli interruttori di sicurezza lungo la linea e la corrente è venuta a mancare, fortunatamente prima che i fili, strappati dai pali divelti, toccassero le carrozze. Quanto è durato il disastroso evento? Sette, otto secondi, non di più. Il tempo che impiega una donna a balzare dal letto e a gridare: “Lino, c’è la fine del mondo”. La donna è Maria Dal Prato, Lino è suo marito, Sangiorgi. Hanno 38 anni, abitano in via Parini n. 2, una casa che fiancheggia la ferrovia all’altezza dello scambio fatale. Una delle carrozze, il bagagliaio, è andata a sbattere proprio contro il muro della casa e vi ha aperto una crepa. La donna è corsa nella stanza dei figli, li ha trovati alzati e spaventatissimi, si è affacciata anche alla loro finestra che dà sul retro della casa, verso il fascio dei binari. A un metro dal davanzale del primo piano c’era un angolo sventrato del bagagliaio. La donna ha assistito, in quei pochi attimi che seguivano il disastro e che erano dominati da un tragico silenzio, ad uno spettacolo quasi allucinante: le mani di cinque uomini s’aggrappavano ai bordi frantumati del carro in cerca d’una via di salvezza e contemporaneamente dal vuoto dello squarcio uscivano, con un frusciare fitto e leggero, centinaia di storni. Nel cielo livido della notte, lo sciame si è alzato in volo, come un segno di gioia, ed era invece un simbolo di morte. Le mani che si aggrappavano erano quelle di cinque ferrovieri. Gli storni viaggiavano in gabbie, destinati a una zona di ripopolamento. Gli attimi del silenzio che aveva seguito la catastrofe erano finiti. La Sangiorgi e suo marito hanno incominciato ad udire i lamenti e le invocazioni di aiuto. Voci lacerate dalla disperazione e dal terróre, di donne, uomini, bimbi. Dapprima isolate, poi più frequenti, serpeggiavano lungo tutto il convoglio. Era uno strazio sentir gridare aiuto e invocare nomi di persone che non rispondevano, che forse erano morte. Lino Sangiorgi si è vestito in fretta, è corso fra i binari mentre stavano uscendo dai loro alloggi il capostazione Carroli, i dirigenti Cattani e Zannoli e i due deviatori che erano di servizio alla cabina. L’opera di soccorso è incominciata così, nel buio, con il solo ausilio di fiammiferi e d’un paio di pile elettriche. E c’era, in tanto buio, la fioca luce dei fanali del locomotore, rimasti accesi nonostante il disastro, con la corrente delle batterie. Il Sangiorgi, che è camionista, ha messo in moto il suo “Chevrolet” e ha incominciato a caricare feriti. Il capostazione ha dato il primo allarme all’ospedale e al medico fiduciario delle ferrovie, dott. Bagnaresi, che abita in paese. L’organizzazione sanitaria è stata curata con tempestività da questo medico, il quale ha telefonato alle sedi della Croce Rossa di Castel Bolognese, Faenza, Imola e Lugo, per far accorrere ambulanze, e ha mobilitato i tre medici liberi professionisti e i cinque medici ospedalieri.

Nel giro di mezz’ora metà paese era in piedi e correva verso il luogo della sciagura. Tutti coloro che disponevano dì un automezzo si sono prestati per il trasporto dei feriti. Una delle prime ad essere portata all’ospedale di Faenza con una macchina privata, è stata Carmela Pavan, di 24 anni, una veneta che stava tornando dal viaggio di nozze Si disperava perché non trovava più suo marito; ma anche lui si è salvato. […] I morti via via ricuperati venivano portati nella camera mortuaria dell’ospedale di Castel Bolognese. Verso l’alba, quando le prime luci del giorno hanno permesso di vedere nel suo insieme la tragica scena, molti si sono chiesti come abbiano fatto tante centinaia di persone (il treno portava circa 1200 viaggiatori) ad uscire indenni da tanta rovina di materiale. […]

Poi nel pomeriggio, dopo che era stata estratta l’ultima salma ed erano stati recuperati tutti gli oggetti personali dei viaggiatori e il contenuto dell’unico carro merci (migliaia di scarpe femminili destinate a clienti del nord di una fabbrica di Porto S. Elpidio di Ascoli Piceno), è iniziato l’intervento di una potente gru che ha rimosso i rottami delle vetture. Poi, a notte inoltrata, si sono messi all’opera circa 200 operai per la ricostruzione dei binari andati distrutti. […]

Per tutta la giornata di oggi è stato un accorrere di gente anche dal Sud, in cerca dei loro parenti che erano partiti mercoledì con il tragico diretto 152; alla stazione e alla caserma dei carabinieri sono affluite centinaia di telefonate di persone che volevano conoscere i nomi dei morti e dei feriti. Le salme, molte delle quali sfigurate, nella mattinata di domani verranno composte nelle bare e trasportate nella chiesa di San Francesco, trasformata in grande camera ardente. I funerali si svolgeranno alle 16,30 partendo dalla chiesa di San Petronio. Degli 86 feriti che sono ricoverati negli ospedali (31 a Imola, 24 a Castel Bolognese, 31 a Faenza) una ventina versano in gravi condizioni. Anche oggi pomeriggio, come già stamattina, i chirurghi sono dovuti intervenire per amputare arti che minacciavano di andare in cancrena. […]”

Da La Stampa del 9 marzo 1962

Foto ANSA scattata durante la notte del disastro (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)

Foto ANSA scattata durante la notte del disastro (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)


Ho raccolto quattro morti alla luce dei fiammiferi

-Il drammatico racconto di uno dei primi soccorritori -Due sorelline erano rimaste accanto alla loro mamma morta -Nelle corsie degli ospedali, fra le decine di feriti

“Ho raccolto 4 morti alla luce di alcuni fiammiferi. Assieme ad altri li abbiamo portati sulla scarpata. Fra le braccia di una donna che stava spirando ho afferrato una bimba di 8 mesi”. Così ci racconta con un nodo alla gola Romano Scardovi, il centroattacco della squadra di calcio del Rimini. E’ accorso sul posto della sciagura forse per primo. Al momento della disgrazia si trovava in casa sua, a trenta metri, ed è giunto in un baleno.

“Avevo ancora la bimba in braccio — continua la sua drammatica testimonianza — quando ho sentito un uomo che urlava aiuto. Mi sono avvicinato nel buio ed ho trovato Un giovane che stringeva al petto una bimba di un anno e mezzo. Era il marito della donna e l’abbiamo trascinato fuori dalle ferraglie contorte. Più tardi una autoambulanza lo ha accompagnato allo ospedale. Ma la piccola è rimasta assieme alla sorellina sul ciglio della ferrovia, al fianco della mamma morta. E’ stata una notte che non dimenticherò mai”.

Come Romano Scardovi, parlano tutti coloro che sono accorsi a prestare i primi aiuti. La signora Maria Sangiorgi dormiva: “Ho sentito lo schianto”: Una carrozza è finita contro il muro della sua abitazione che fiancheggia la strada ferrata. “Ho creduto che fosse la fine del mondo — dice — ed ho abbracciato mio marito urlando”.

Mentre parlo con la signora Sangiorgi una ragazza mi tira per un braccio: “Il canale — dice indicandomi un corso d’acqua che fiancheggia la ferrovia — dicono che molti si sono buttati nel canale. Per piacere lei che è un giornalista vada dai carabinieri a chiedere che lo prosciughino”.
Più tardi l’acqua è stata tolta per un controllo: nessun annegato.

Ci vengono incontro due giovani sposi: Antonio Latini e Lucia Ricci. “Andavamo in Svizzera, lavoriamo là ed eravamo venuti a casa per una breve Vacanza”. “Io — dice la moglie — ho sentito che il treno rallentava, ma non saprei dire la velocità. Poi all’improvviso mi son sentita scaraventare dall’altra parte dello scompartimento”.

Emigranti. Ne incontriamo a decine, a centinaia. Nove persone su dieci che viaggiavano sul direttissimo 152 Lecce-Milano, sono emigranti. “Dove andavate?”: Francia, Svizzera, Germania, Belgio.
La gente si aggira qua e là. Cerca i propri bagagli. “E’ tutto quel che avevo — mi dice un ragazzo in maniche di camicia, che avrà 18 anni — come farò adesso? In Germania ha freddo!”.

Gente lacera, insanguinata. Hanno lavorato per un paio d’ore fra i rottami e mi mostrano le mani ferite dalle lamiere, i vestiti sporchi del sangue delle vittime. Andiamo a fare il giro degli ospedali. I feriti ricoverati sono 86. Ecco il quadro della situazione.

IMOLA. — Cinque persone sono gravissime. Il primario prof. Romeo Galli, sta lavorando da cinque ore con i suoi assistenti. Medici, infermieri e tutto il personale sono stati richiamati in servizio d’urgenza. Facciamo un rapido giro e all’uscita cominciamo a vedere la fila dei visitatori. Sono i passeggeri scampati al disastro. Cercano gli amici, i fratelli, i cognati che erano nel treno con loro diretti all’estero. Su 29 ricoverati, gli emigranti sono 27.

CASTELBOLOGNESE. — L’ospedale è affollato da ogni tipo di persone. I feriti sono una trentina. Incontriamo una infermiera con un bimbo in braccio; la piccina piange. “Sono quattro ore che cerco di calmarla — dice — ma non vuole star zitta. Non sappiamo chi è. C’è un’altra bimba seduta in sala d’aspetto. Anch’essa non identificata: avrà un anno e mezzo”. Purtroppo io so chi sono. Lo intuisco pensando al racconto che mi ha fatto il giovane Scardovi. Chiamo un dottore e lo informo.

Nella corsia dell’ospedale si sparge la voce che sono stato a Imola. Tutti vogliono sapere se c’è questo o quell’altro fra i ricoverati. Estraggo l’elenco del feriti. Due uomini sono là, si chiamano Pasquale Impegliatelli e Sante Polignoni, abitano a Cagnano Varano (Foggia). Purtroppo, di loro compaesani ce ne sono diversi. Comincio a leggere i nomi. “Giovanni Stefania è nostro parente”, mi dicono, e vogliono sapere se è morto. Rispondo: “Ha una gamba rotta, ma i medici dicono che se la caverà in 40 giorni”. Allora Sante Polignoni mi spiega: “Erano nello scompartimento con noi, abbiamo sentito uno schianto. Io mi sono trovato in un fosso, a fianco della ferrovia. Le lamiere della nostra carrozza si sono aperte come una scatola, staccandosi dai carrelli. C’era anche un marinaio. Con lui ho estratto dalle rovine mio cognato Stefania, aveva un braccio incastrato fra il muro e abbiamo lavorato più di mezz’ora per metterlo in salvo”.

Altri vogliono consultare il mio elenco che è ormai completo, perchè un medico delle ferrovie mi passa i nomi di quelli che si trovano a Faenza: circa 25. Dico a tutti quel che so.

Poi vado verso l’obitorio, che è dietro l’ospedale: sembra una capanna da giardiniere, con vecchi tavoli sui quali si allineano le prime salme. Corpi laceri, maciullati, irriconoscibili. Uno spettacolo da non dimenticare mai più. Alcuni agenti della polizia ferroviaria stanno frugando tra gli indumenti per trovare i nomi. Mi fermo una mezz’ora. Cinque, sei, otto salme. Poi telefonano perchè due feriti sono morti. Ed ecco che arriva la salma di un soldato. Poi nel primo scompartimento dell’ultima carrozza i vigili del fuoco hanno trovato altri due cadaveri. Ci vorrà un paio di ore per toglierli dalla morsa del ferro. E finalmente la lista sembra chiusa.

Incontro il senatore Carvellà. “Un disastro — mi dice — una cosa d’altro mondo”. Allontanandomi dalla camera ardente vedo colleghi, funzionari del comune di Castelbolognese. “Quanti sono i morti?” sento chiedere. C’è chi risponde 15, chi 7, chi addirittura 20, no sono 12. E speriamo che i feriti più gravi migliorino. Ma sono già tanti. Troppi.

Giorgio Bettini

Da “Stasera” dell’8 marzo 1962


“[…]Difficile dire chi maggiormente si sia prodigato a Castelbolognese. Tutti hanno dato, tutti si sono sacrificati, tutti generosamente hanno cercato di offrire qualcosa per rendere meno spaventosa la tragedia. I donatori di sangue, ad esempio, fra cui Ubaldo Cassiani e Nino Monti, si sono immediatamente sottoposti a trasfusioni per complessivi 3.500 grammi. […]

Sono pure accorsi per prodigarsi nell’opera di soccorso il signor Goffredo Dardi e il signor Domenico Scardovi, che abitano nei pressi della stazione, assieme alla famiglia e ad alcuni fratelli […]”

Da L’Unità del 9 marzo 1962

 Foto ANSA scatta la mattina dopo il disastro (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)


Foto ANSA scatta la mattina dopo il disastro (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)


Lutti a Castel Bolognese

Dopo la spontanea, magnifica prova di emulazione data da tutti i dipendenti comunali, da tutti i sanitari e da numerosi cittadini che volontariamente hanno prestato la loro opera nella gravissima circostanza dell’immane disastro ferroviario verificatosi alla nostra stazione la notte del giorno 8 marzo corr., l’Amministrazione Comunale ha pubblicato il seguente manifesto:

“Castellani, dopo il doloroso incidente ferroviario che è costato la vita a tredici viaggiatori ed il ferimento di altri cento circa, l’Amministrazione comunale rivolge i più vivi elogi al personale dipendente, ai medici e a quei cittadini che hanno contribuito in varie forme all’opera di soccorso dei feriti, di raccolta delle salme e di assistenza ai familiari qui accorsi.
Degna di menzione la pronta e generosa offerta di sangue compiuta dai donatori locali.
Castel Bolognese, assunta alla notorietà nazionale per così triste avvenimento, si è fatto onore grazie allo spirito di abnegazione di tanti suoi figli.
Va pure dato atto con compiacimento della prontezza con cui i soccorsi sono stati organizzati e curati, sia da parte dell’Amministrazione Ferroviaria, che dalla Croce Rossa ed Autorità di Pubblica Sicurezza e Polizia Stradale.
L’opera del personale dirigente e inservienti degli Ospedali è stata superiore ad ogni elogio ed è indubbiamente servita ad evitare la perdita di altre vite umane”

Da Il Lamone del 17 marzo 1962

Foto tratta da Il Resto del Carlino, cronaca di Ravenna, 9 marzo 1962

Foto tratta da Il Resto del Carlino, cronaca di Ravenna, 9 marzo 1962

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Il manovale Giuseppe Mammarella, di Pescara, diretto in Svizzera con la moglie Lucia Dimeisi, ha raccontato: “Ci eravamo sposati l’undici febbraio scorso e io mi recavo con mia moglie a Berna dove avevo trovato lavoro. Al momento del sinistro sonnecchiavo. Di colpo uno scossone tremendo, poi la terrificante sensazione che il treno volasse in alto al di sopra delle rotaie! Mi sono trovato compresso fra due corpi, con la testa in giù e i piedi in sù. Era buio pesto, e udivo solo urla, lamenti. Ho chiamato mia moglie e non ho sentito la sua voce. Allora allungo una mano e, inorridito, m’accorgo di toccare una gamba sfracellata. Finalmente riesco a trovare nel buio, fra il groviglio di quei corpi inanimati e dei feriti che urlavano, mia moglie: era soltanto svenuta. L’ho presa fra le braccia e sono riuscito a trascinarla fuori. Altri viaggiatori feriti, miei compagni di scompartimento, anche loro diretti in Svizzera, tendevano le mani implorando perchè li salvassi. Ma cosa poteva fare? Appena uscito da quel groviglio di ferraglie con mia moglie, sono svenuto ed ho ripreso conoscenza soltanto all’ospedale”.

La signora Anna Borneo, da Milano, che viaggiava col figlioletto Franco, di quattro anni, ha avuto anche lei un drammatico quarto d’ora. “L’urto tremendo mi ha stordita. Sono svenuta, e quando ho ripreso i sensi il mio bambino non c’era più! Ero ferita a una gamba. Guardandomi attorno distinsi nel buio un uomo con la testa orrendamente schiacciata contro il finestrino. Urlai, e mi misi a cercare, a tentoni, al buio, il mio bambino. Un agente mi soccorse e mi disse di star calma: mio figlio era stato salvato. Difatti lo ritrovai più tardi all’ospedale”.

Un giovane di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, Antonio Lausdei, ha narrato: “Mi trovavo sulla seconda vettura dopo il bagagliaio, ero diretto a Milano per ragioni di lavoro. A un certo punto, erano circa le due di notte, sentii uno schianto tremendo. Accanto a me c’era una bambina che stava dormendo: siamo riusciti a farla scendere da un finestrino insieme alla sua mamma. Udivamo frattanto le urla e i lamenti dei feriti e di persone rimaste incastrate nel treno che non riuscivano a divincolarsi dalla morsa dei rottami. Fra queste, un uomo stava lì con la gola compressa fra due lamiere. Che potevamo fare per lui? Non dimenticherò mai la sua fine straziante!”

Una sola persona, rimasta quasi incolume, ha matematicamente previsto (sia pure nel breve lasso di pochi secondi) la catastrofe: è il ferroviere Aristodemo Mercurioli di Faenza il quale, seduto in uno scompartimento di seconda, stava raggiungendo Bologna ove avrebbe preso servizio. Il macchinista faentino — che giace ora leggermente contuso in un letto dell’ospedale della sua città — era salito a Faenza, pochi chilometri prima del tremendo epilogo del suo viaggio. “Avevo già fatto questa linea, sapevo del rallentamento di Castelbolognese e aspettavo la frenata: era un atteggiamento istintivo, di uno abituato a condurre treni su questa linea: come un vecchio pescatore che sente la tirata della lenza. Quando mi sono accorto che la frenata non arrivava, ho chiuso gli occhi ho aspettato lo schianto: c’è poco da sperare con un treno che sfiori i cento nella manovra della brusca deviazione da un binario all’altro.

Nel suo volto, appena graffiato, è ancora impressa quella drammatica attesa di pochi secondi, uno sconvolgimento che si fonde con l’incredula gioia di sentirsi vivo.

Da Il Resto del Carlino del 9 marzo 1962


Il calzolaio Lino Canestrari di Porto San Giorgio, ancora in preda a grande emozione, ha dichiarato: “Sono giunto qualche momento fa con un’auto di passaggio, assieme ad altre tre persone, che sono già ripartite alla volta di milano. Ero salito a Porto San Giorgio con una decina di altri passeggeri, diretto a Milano per ragioni di lavoro. Ad Ancona sono passato, assieme ad altri, da una vettura centrale, che era superaffollata, in una delle carrozze che erano state poste in testa al convoglio. Devo forse a questo se mi sono salvata la vita. Al momento del deragliamento mi trovavo sulla carrozza situata prima della vettura postale. Si è sentito prima uno sbandamento, poi due grossi strappi. Nella vettura in cui viaggiavamo si trovavano circa novanta persone, che sono rimaste tutte pressoché illese. Il locomotore e le altre vetture davanti e dietro di noi erano tutte rovesciate. Io ed alcuni altri, superato il primo momento di choc, abbiamo cominciato a trarre fuori dai finestrini (le porte della vettura erano rimaste bloccate) alcuni passeggeri. Fra questi una bambina, che lamentava un forte dolore ad una gamba, ed una donna in stato interessante. Un mio amico è corso subito verso la stazione a dare il primo allarme”.

Il ventunenne Giuseppe Aventino, residente a Milano e attualmente militare a Napoli, ha detto: “Ero salito, con altri, a San Benedetto del Tronto. Al momento della sciagura stavo dormendo. Sono stato scosso nel sonno da un forte strappo ed ho intuito che il treno doveva essere uscito dai binari. Mi sono aggrappato con tutte le mie forze ad un sedile; poi altri si sono aggrappati a me, mentre addosso ci stavano piovendo valige e pacchi, scaraventati giù dalle reticelle a causa del tremendo urto. Si sentivano urla di dolore e di terrore: la nostra vettura era tutta rovesciata sulla destra. Non potevamo scendere, ci trovavamo ad una considerevole altezza sopra un ponticello. Dopo molti sforzi siamo riusciti a saltare su un’altra carrozza e finalmente a toccare terra. Mi sono ritrovato ad un tratto davanti ai piedi, senta sapere come, le due mie valige che avevo smarrito nel trambusto”.

Ed ecco quanto ha raccontato un altro viaggiatore, il giovane Gabriele Zullo, di Ariano Irpino: “Io ritornavo in Svizzera per riprendere il mio lavoro, dopo aver trascorso dieci giorni a casa. Mi trovavo nella terza vettura e stavo riposando, quando ad un tratto sono stato destato da un terribile scossone. Ho preso le mie valige e sono saltato fuori da un finestrino: le porte erano rimaste tutte bloccate. Ho visto davanti a me uno spettacolo spaventoso, straziante: sono fuggito via; in preda al terrore. Sono riuscito a prendere una corriera e ad arrivare fin qui con una cinquantina di persone, tutte scampate al disastro”.

Da La Stampa Sera del 9 marzo 1962


Alla Centrale gli scampati al disastro

Sono arrivati con un treno straordinario da Castelbolognese

STAZIONE CENTRALE, MARCIAPIEDE 3
Ore 13,05: entra in stazione il treno straordinario “450 bis”, che ha lasciato Bologna alle 9,05. Partito come diretto, ha effettuato il percorso come accelerato, dando la precedenza, lungo la linea, persino ai “merci”. Da questo treno scende buona parte di coloro che stanotte si trovavano sul treno deragliato a Castelbolognese.

E’ povera gente per la maggior parte, meridionali che provengono da ogni paese del Sud, in cerca di lavoro al Nord, con le solite valigie legate con lo spago, ora più che mai quasi inservibili.
Ci avviciniamo a Matteo Stefanini, 35 anni, da Foggia. Viaggiava nella terza vettura, sfasciatasi completamente: “Sono vivo per miracolo, dormivo. Mi sono svegliato con una gamba fuori del finestrino e non ci vedevo. Il sangue mi colava lungo il viso e sentivo gridare la gente”. Se l’è cavata con una contusione cranica.

Molti sono diretti in Svizzera. Fra essi Giovanni Campanella, 34 anni, da Potenza; Saverio Natuzzi, 47 anni, da Bari, Nicola Forcini, 29 anni, da Notaresco (Teramo).

Costui è con la figlia Simonetta, 14 [sic!] anni, e la moglie Amalia, 26 anni. Sono tutti salvi, poche ammaccature e molto spavento. E ancora Maria Russo, 27 anni, col marito, Angelo Andretta, e la figlioletta Rosetta, 5 anni, da Avellino.

La bambina è malconcia ma sta bene. Una valanga di bagagli l’ha sepolta, mentre dormiva in grembo alla mamma. Lo spavento per l’improvviso, doloroso risveglio l’ha resa momentaneamente muta. Nemmeno la mamma sa dire come si sia salvata. Erano nella quarta vettura, completamente rovesciata.

C’ê un geometra, Luigi Bosca, 24 anni, che viaggiava con la madre Cesira Catassa, 50 anni, e la fidanzata Sandra Ferri, 18. Andavano in viaggio di piacere in Svizzera, ed erano partiti da Pesaro.
Giuseppe Barucca, 42 anni, manovale che ritornava in Svizzera, viaggiava con la moglie Edvige Fabbri, 41 anni, la figlia Norma 12, e un amico, Carlo Andreini, 42 anni. Un palo della rete elettrica ha trattenuto la vettura che è rimasta in bilico sul binario, senza ribaltarsi. Per uscire han dovuto fracassare i vetri, passando per i finestrini. I loro bagagli sono impregnati di sangue dei feriti. “Un bimbo — ci racconta il marinaio nocchiere Ernesto Comini, 21 anni, da Romano Lombardo — stava sui binari e piangeva. Poteva avere sì e no due mesi, era sporco di sangue e nella confusione creatasi sul momento, qualcuno cercava affannosamente i genitori. Non so dove si trovassero, se erano fra i morti o i feriti. Poi una signora lo ha preso in braccio coccolandolo.

Testo e immagini da “Stasera”, 8 marzo 1962

La signora Maria Russo, 27 anni, da Avellino, con la figlioletta Rosetta in braccio di due anni. Ha salvato la bambina, producendosi alcune contusioni

Da sinistra: Edvige Fabbri, 41 anni, con la figlia Norma, dodicenne, e il marito Giuseppe Barucca, 42 anni, tutti da Pesaro. Andavano in Svizzera dove il capo-famiglia lavora come manovale. Si sono salvati uscendo dal finestrino, dopo aver fracassato i vetri.

Matteo Stefaini, 35 anni, da Cagnano Varano (Foggia). Veniva a Milano con il compaesano Michele Polignoni in cerca di lavoro

Il marinaio Ernesto Comini, 21 anni, da Romano Lombardo.
Proveniva da Taranto, e andava a casa in licenza

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Cronache dei funerali dai giornali dell’epoca https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/cronache-dei-funerali-dai-giornali-dellepoca/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/cronache-dei-funerali-dai-giornali-dellepoca/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:34 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962-cronache-dei-funerali-dai-giornali-dellepoca/ Da Il Nuovo Diario del 17 marzo 1962 Castelbolognese ha reso commosse onoranze alle vittime della tragica sciagura ferroviaria Nella mattinata di venerdì 9 Marzo una interminabile folla ha reso pietoso omaggio alle undici bare allineate nella Chiesa di S. Francesco, trasformata in camera ardente. Purtroppo 13 sono state le vittime dell’immane …

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Da Il Nuovo Diario del 17 marzo 1962

Castelbolognese ha reso commosse onoranze alle vittime della tragica sciagura ferroviaria

Nella mattinata di venerdì 9 Marzo una interminabile folla ha reso pietoso omaggio alle undici bare allineate nella Chiesa di S. Francesco, trasformata in camera ardente. Purtroppo 13 sono state le vittime dell’immane disastro ferroviario; ma due feriti sono deceduti all’Ospedale di Faenza e le loro salme si trovavano in quella città.
Nel tempio di S. Francesco su ogni bara si leggeva una semplice dicitura con un numero, il nome della vittima e l’indicazione “morto l’8 marzo 1962”. Tutto attorno le corone di fiori: oltre una cinquantina. Per ogni vittima una corona delle Ferrovie dello Stato ed una del Comune di Castelbolognese. Oltre a queste spiccavano quelle inviate dal ministro dei Trasporti on. Mattarella, dalla Direzione Generale e dalla direzione compartimentale delle Ferrovie, dall’Amministrazione provinciale di Ravenna, dal 40° Reggimento fanteria di Bologna, cui apparteneva una delle vittime (il 23enne Domenico Di Tizio, di Chieti, che al momento della sciagura stava rientrando al proprio reparto dopo una breve licenza), dalla D.C. di Ravenna. Ai piedi dell’altare un gran mazzo di garofani rossi recanti la scritta “Le operaie della ditta Scardovi di Castelbolognese”.
L’Amministrazione comunale aveva proclamato il lutto cittadino.
Nel pomeriggio di venerdì dieci bare sono state trasportate in mesto corteo fra due ali di popolo dalla Chiesa di S. Francesco all’Arcipretale di S. Petronio per le esequie solenni. Una delle undici salme, quella del giovane Luigi Mazzocconi, di 21 anni, di Montefiore dell’Aso (Ascoli Piceno), era stata prelevata in mattinata dai familiari e trasportata direttamente nel paesino dell’Ascolano.
Il cielo era grigio e l’atmosfera pesante.
Nella prima bara, ricoperta dal Tricolore e portata a braccia da quattro militari della seconda compagnia del 40° Reggimento fanteria di Bologna, era la salma del soldato Domenico di Tizio. Dietro questa venivano le altre bare, sorrette tutte da ferrovieri in divisa e alternate dalle corone di fiori. Ogni feretro era accompagnato dai familiari. Venivano quindi le autorità.
Il Governo era rappresentato dal Sottosegretario ai trasporti on. Angrisani che ha avuto espressioni di Solidarietà per i familiari degli scomparsi. L’on. Angrisani era giunto da Roma accompagnato dal vicedirettore generale delle ferrovie, dott. Luigi Branca, e da altri quattro direttori centrali, in rappresentanza dei vari servizi dell’esercizio. Con loro era anche l’ing. Giovanni Robert, direttore del compartimento di Bologna. Fra le personalità intervenute alla mesta cerimonia i sen. Donati, Cervellati, Balboni e Sacchetti, il prefetto di Ravenna dott. Zappia, il gen. Simonetti, comandante la Brigata carabinieri di Bologna, il generale di Brigata medaglia d’oro, Massa Gallucci in rappresentanza del gen. Beolchini, comandante la regione tosco-emiliana, il commissario straordinario del comune di Ravenna dott. Santini, il sindaco di Castelbolognese Dal Pane, con la Giunta al completo e i sindaci di tutti i Comuni della zona, compreso dello di Imola, giunti con i gonfaloni abbrunati. La Messa funebre è stata celebrata dal Vicario generale della Diocesi di Imola Mons. Proni, presenti l’Arcivescovo di Ravenna, Mons. Baldassarri, e il nostro Ecc.mo Vescovo Mons. Carrara, il quale, al termine del rito, ha impartito l’assoluzione alle salme pronunciando commosse parole di cordoglio e di solidarietà per tutti coloro che sono stati colpiti dalla sciagura, cercando di ravvivare in essi lo spirito della fede e della speranza. Durante il rito funebre sono state eseguite musiche del Perosi.

Al termine della funzione religiosa, le bare sono state portate a spalla fuori dal tempio, dove attendevano quattro autocarri militari, su cui sono state caricate. Il corteo funebre ha percorso lentamente il centro di Castelbolognese e ha raggiunto la via Emilia, dirigendosi verso Faenza, da dove i feretri sono stati fatti proseguire, in treno, per le località di residenza degli scomparsi.
Tutti i familiari delle vittime hanno espresso il loro ringraziamento per le amorevoli cure ricevute sia dal Comune, che aveva messo a disposizione dei parenti degli scomparsi alcuni assistenti sociali, sia dal personale delle Ferrovie, prodigatosi generosamente in ogni forma di assistenza. Numerosi manifesti sono stati fatti affiggere sui muri cittadini dal Comune di Castelbolognese, dall’amministrazione provinciale di Ravenna e dalla D.C. Telegrammi di cordoglio sono pervenuti al Sindaco di Castelbolognese dal ministro Macrelli e dall’on. Benigno Zaccagnini a nome del gruppo parlamentare della D.C.
Meritano poi una particolare segnalazione di gratitudine tutti i generosi soccorritori che al momento del disastro e dopo hanno prontamente prestato la loro opera per alleviare le sofferenze dei feriti, mentre nell’ospedale medici, infermieri, donatori di sangue si sono prodigati in ogni modo e senza sosta per assistere e confortare i 25 colpiti ivi ricoverati. […]

La camera ardente dentro la chiesa di S. Francesco (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)

Il corteo dei funerali delle vittime in partenza dalla piazza di Castel Bolognese (Archivio Paolo Grandi)

Il corteo all’ingresso della chiesa di S. Petronio (Archivio Pier Paolo Sangiorgi)


Da La Stampa del 10 marzo 1962

Le donne di Castel Bolognese si sono strette attorno alle mogli degli emigranti morti

“Castel Bolognese, 9 marzo. Nel tempio di S. Francesco, da dove è partito il corteo per la chiesa arcipretale di S. Petronio, erano allineate ai lati della navata dieci bare, fra decine e decine di corone di fiori e una folla impressionante. L’undicesima bara che conteneva le spoglie di Luigi Mazzucconi da Montefiore, era stata prelevata al mattino dai familiari. Tutta Castel Bolognese ha tributato solenni onoranze alle dieci delle 13 vittime della sciagura ferroviaria in uno slancio commovente di solidarietà; domattina, a Faenza, si svolgeranno le esequie degli altri due viaggiatori del treno Lecce-Milano, morti in quell’ospedale. Accanto a qualcuna di quelle bare saranno i familiari. Donne anziane, dimessamente vestite, con lo scialle nero sulle spalle, il velo nero sui capelli, immote come statue. Uomini segaligni, dal volto cupo e olivastro. E’ la gente del Sud che è venuta quassù a ricevere in consegna le bare che contengono le spoglie dei loro cari. Una donna anziana abbraccia il legno della bara e vi appoggia la fronte. Ed ecco all’improvviso si ode una sorta di cantilena: “Maritu mio bellu, – che viaggio facisti lu treno ti uccise”. E’ il lamento della moglie di Domenico De Rosa, da Panni, in provincia di Foggia, uno dei tanti emigranti saliti sul treno che doveva portarli verso la speranza di una vita migliore. C’è pure il fratello di Gesualdo Rocco, anche lui di Panni (un paese in cui in certi periodi tutti gli uomini validi emigrano) e il fratello di Fioravante Romualdo, da Atri in provincia di Teramo, che a Senigallia, aprendo un giornale, ha appreso la tragica notizia. E’ l’incontro tra la gente del Nord e quella del Sud nella piccola chiesa di Castel Bolognese; le donne si stringono attorno alla moglie di Domenico De Rosa; mentre entrano od escono dalla chiesa le dicono qualche parola di conforto. Finite le onoranze funebri, partite le salme per i loro paesi, rimane ora più pressante che mai l’interrogativo: come è potuta accadere una simile tragedia? […]”

Castelbolognese. La madre di una delle vittime piange disperata accanto alla bara del figlio (da Il Resto del Carlino del 10 marzo 1962)

Da un quotidiano dell’11 marzo 1962

I due lavoratori morti nella sciagura di Castelbolognese.
Sono tornati a Panni per non ripartire più.
Tutto il paese ha partecipato in lacrime ai funerali – Commosse parole del sindaco Bianco

Dal nostro inviato
Panni, 10 marzo
Sotto un cielo pallidissimo, tutta Panni ha pianto oggi i suoi due figli morti nella sciagura ferroviaria di Castelbolognese. La salme, giunte a Foggia alle ore 5,30 di questa mattina col diretto Torino-Bari, dopo una sosta di circa 4 ore, hanno proseguito su due furgoni verso Panni, dove sono arrivate poco dopo le 11.
Allo scalo ferroviario del paese erano a ricevere i due feretri il sindaco di Panni, prof. Francesco Bianco, i dirigenti del compartimento ferroviario di Napoli, ingegneri Rattazzi e Correra, il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro di Foggia, dr. Rebuzzi, ed il comandante la stazione dei carabinieri di Bovino, cav. La Rocca. Nel cielo sempre pallidissimo il sole spandeva una tremula corona di raggi, “un sole di passione” come usano chiamarlo i contadini del Sud.
Intanto, dalla chiesa matrice giungevano i primi rintocchi funebri che sembravano scandire i nomi dei due lavoratori, quattro giorni fa ancora vivi e pieni di tante speranze. All’ingresso del paese c’era una folla di uomini, donne, ragazzi e, quasi staccati sullo sfondo di questa massa, i gruppi dei familiari impietriti dal dolore. Appena sono comparsi i due furgoni con le bare, c’è stato un attimo di profondissimo silenzio. Tutti sembravano ammutoliti. L’unica voce, triste e pesante, era quella delle campane. Poi è sorto un bisbiglio, si sono intesi del singhiozzi e qualcuno ha gridato: “Ecco che sono tornati per sempre, i nostri Lavoratori. Ora sì che non partiranno più”.
Composto il mesto corteo, le due salme, portate a spalla ciascuna da quattro amici dei morti, anch’essi lavoratori, hanno fatto il loro ingresso nella vicina chiesa madre, dove si è svolto il rito funebre, celebrato dal vice parroco don Michele De Michele (l’Arciprete monsignor Giovanni Senerchia era assente perchè malato). Dopo la benedizione, il corteo è sfilato lungo il corso Regina Margherita e via Vittorio Veneto. Precedevano le bare 9 corone: due del Comune di Castelbolognese, due del Comune di Panni, due del Compartimento ferroviario di Napoli e tre dell’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato. Presso il monumento ai Caduti c’è stata una breve sosta durante la quale il sindaco ha pronunziato un discorso.
“Un’atmosfera di tristezza avvolge il nostro paese e invade i nostri cuori — ha detto il prof. Bianco -: è come svegliarsi di soprassalto da un incubo, da un sogno crudele; è come cercare disperatamente la luce, per non lasciarsi sopraffare dalle tenebre. Ci troviamo di fronte alla dura realtà di due esistenze prematuramente stroncate, di due padri di famiglia ai quali la fatalità ha voluto riservare un crudelissimo destino. Erano due onesti lavoratori che, consapevoli dei propri doveri verso i familiari, si accingevano a raggiungere i loro posti di lavoro lontani dalla madre-patria e dal paese cui erano legati da un amore tenace. Sicuri di portare in terra straniera l’onestà, lo spirito di sacrificio, l’attaccamento al lavoro — virtù che contraddistinguono l’umile bracciante meridionale — erano partiti con la certezza di procurare un po’ dl serenità alle loro famiglie che vivevano, e ancor più vivranno, in ristrettezze economiche. La morte forse li ha colti nel sonno rendendone il trapasso meno straziante con la immagine delle loro consorti e il dolce sorriso delle loro creature.
“Caro Domenico De Rosa, caro Rocco Gesualdi, dormite in pace il sonno eterno. Voi mamme, voi spose, avete ben ragione di piangere, ma siate fiere dei vostri morti che saranno esempio di onestà e di laborosità per tutta Panni. Ma abbiate soprattutto fiducia nel Signore. Egli, nella sua immensa bontà, saprà rendere meno duro il doloroso calvario della vostra vita”.
La parole del Sindaco hanno strappato lacrime silenziose dell’intera popolazione (tutte le case del paese erano rimaste deserte); poi il corteo si è mosso verso il cimitero, dove le bare sono state tumulate. Tra i telegrammi inviati, da segnalare quelli del senatore Di Giovine, dell’on. Cavaliere, del Sindaco di Castelbolognese e di due pannesi, Raffaele Di Giovine ed Emilia Di Giovine-Rainone, residenti a Roma da molti anni.
Si è conclusa così la più triste, la più drammatica giornata di uno dei tanti paeselli del Sud, i cui nomi insignificanti e sconosciuti hanno la possibilità di essere citati solo in occasioni di cronache dolorose. Nel cimitero, mentre risuonano gli ultimi colpi di martello che incassano l’ultimo mattone sui loculi di due oscuri lavoratori, qualcuno ci informa che Rocco Gesualdi, proprio domenica scorsa aveva stipulato il contratto di acquisto di una casa nuova. Aveva versato già 800 mila lire e ne doveva versare altre 400 mila: per questo era partito, per poter raggranellare la somma col suo sacrificio in terra straniera. Sarebbe stato l’ultimo anno di lontananza dal suo paese, poi non si sarebbe più mosso.
Mentre apprendiamo quest’ultimo episodio fra i cipressi del piccolo cimitero su cui la pioggia ora batte malinconica, scorgiamo poco distante, Angelo, il figlio di Rocco Gesualdi, inginocchiato davanti alla tomba del padre. Gli occhi arrossati sono fissi sulle corone. Sta lì, solo. Quando ci avviciniamo, ci guarda con le pupille smarrite e poi ci chiede: “Ma dunque papà è veramente morto?”

Anacleto Lupo

pagina implementata il 19 luglio 2014 (si ringrazia Daniele Pompignoli)

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Come ha potuto accadere la tragedia di Castelbolognese
Quindici giorni fa era stato tolto il semaforo che indicava pericolo

La sciagura ferroviaria stando all’attuale equivoca segnaletica era inevitabile. Questo il parere di un gruppo di ferrovieri che conoscono la linea si può dire metro per metro, giacchè la percorrono di frequente. “Avrebbe potuto — ci hanno assicurato — capitare anche a noi. I treni da Rimini a Bologna sono affidati ad un foglio di carta e sempre meno ad una precisa segnaletica. Ma cominciamo dal principio. Dopo la precedente sciagura, quella di Sant’Arcangelo, si “scopri” la vetustà e la inadeguatezza della linea Rimini-Bologna, ricostruita dopo la guerra e mai più revisionata se si fa eccezione della normale manutenzione. Si decise così, da parte delle competenti autorità ferroviarie, di mettere in atto una vasta opera di risanamento. Si scoprirono allora rotaie incrinate dall’usura del tempo e tutta un’altra serie di “acciacchi” che determinano incredibili riduzioni della ve1ocità massima sulla linea. L’opera di revisione era per l’appunto giunta a Castel Bolognese. I lavori in corso sul primo binario imponevano la cosiddetta “deviata” sul binario dispari. Da Castelbolognese a Imola uno dei due binari era fuori servizio per eseguire più celermente i lavori di risanamento.

Quanto alla segnaletica, fino a 15 giorni fa le cose stavano in questo modo: 1500 metri prima dello scambio un semaforo giallo richiamava il macchinista all’attenzione; segnalava cioè la presenza di un secondo semaforo che avrebbe indicato al conduttore del convoglio il da farsi. Se il segnale di preannuncio con la sua posizione a luci gialle avesse indicato a 1200 la “deviata” avrebbe anche voluto dire in modo inequivocabile che occorreva iniziare l’azione di frenatura, poichè anche il secondo semaforo avrebbe detto sicuramente “via chiusa”.

L’azione di frenaggio comportava un minuto di tempo, tanto da consentire al convoglio, lanciato oltre i 100 chilometri orari, di giungere allo scambio alla velocità prescritta di 30 chilometri. Questo sistema segnaletico, assai rigoroso, è stato sostituito 15 giorni fa dal modulo M 40: un foglio bianco che viene consegnato al macchinista alla stazione prima della “deviata” e sul quale ci si limita a dire “che in applicazione di un ordine di servizio è stata attuata la circolazione su binario semplice”. In questi termini si esprimeva anche il modulo consegnato alle 1,46 a Faenza al macchinista Covacci (1). Davanti al primo semaforo, a 1500 metri dallo scambio fatale, è rimasta una tabella bianca che porta contrassegnato il numero 30 (il limite di velocità) che di notte non si vede perchè non è illuminato. Il tragico AT 152 è giunto a tutta velocità a semaforo che segnava il via libera, sicchè il macchinista, probabilmente dimentico dello “M 40”, o forse credendo di non essere ancora in prossimità di Castelbolognese, ha proseguito la drammatica corsa giungendo sullo scambio a fortissima velocità.
“Siamo di fronte a un gioco d’azzardo” ci ripetono esperti macchinisti. Basta un momento di amnesia e un po’ di confusione con tutti quel fogli bianchi che ti rifilano e sei rovinato per tutta la vita. Il semaforo segna via libera e tu sei indotto a continuare la tua corsa. Ecco ciò che è capitato al disgraziato collega di Ancona”.

Da questa ricostruzione balza evidente una paurosa carenza di segnaletica. Di chi la colpa? Non certo dei ferrovieri. Che cosa ha suggerito la messa in disuso del doppio semaforo per portare alla ribalta il modulo “M 40”? Una cosa soltanto: il mito dell’orario e “il sacrosanto rispetto” delle tabelle di Velocità. Per eliminare alcune frenate che ritardavano la corsa dei convogli si espongono gli utenti all’alea di continue sciagure.

Il direttore compartimentale di Bologna dott. ing. Robert ha dichiarato ad un radio cronista: “Il treno doveva percorrere un certo tracciato e l’ha percorso, si tratta di vedere in che modo”. Ecco il punto. Molti giornali della sera hanno gridato ai quattro venti che il macchinista ha “confessato” la propria colpevolezza. Non sappiamo se ciò corrisponde a verità, ma, sicuramente, il macchinista Covacci si sarà riferito al modulo 40; avrà detto, in altre parole, di esserselo dimenticato, di non averlo rispettato.
Ma è possibile — è lecito chiedersi — affidare la sorte di centinaia, di migliaia di viaggiatori ad un misero foglietto, anzichè garantire efficacemente gli utenti dell’Amministrazione ferroviaria con i mezzi che la tecnica moderna ci mette a disposizione?”

Da L’Unità 9 marzo 1962

(1) N.B. Altri giornali affermarono invece che il modulo M40 era stato consegnato alla stazione di Rimini. La procedura standard, fra l’altro, prevedeva proprio questo e solo in casi particolari veniva consegnato in una stazione successiva.

Il cartello ad oltre un chilometro dalla stazione di Castel Bolognese che indicava la velocità prescritta di 30 km all’ora (foto tratta da Il Nuovo Diario del 17 marzo 1962)

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Foto tratte dal fascicolo processuale https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/foto-tratte-dal-fascicolo-processuale/ https://www.castelbolognese.org/miscellanea/trasporti/il-disastro-ferroviario-del-1962/foto-tratte-dal-fascicolo-processuale/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:53:36 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/il-disastro-ferroviario-del-1962-foto-tratte-dal-fascicolo-processuale/ Le 18 foto che seguono sono tratte dal fascicolo processuale che la Procura della Repubblica di Ravenna aprì sull’accaduto. Si tratta di foto inedite che, assieme alle altre, illustrano chiaramente l’enorme gravità dell’accaduto. a cura di Paolo Grandi

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Le 18 foto che seguono sono tratte dal fascicolo processuale che la Procura della Repubblica di Ravenna aprì sull’accaduto. Si tratta di foto inedite che, assieme alle altre, illustrano chiaramente l’enorme gravità dell’accaduto.

a cura di Paolo Grandi

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Giovanni Tarlazzi (1915 – 1999) era il capo – gestione della stazione di Castel Bolognese, conosciuto da tutti poichè chiunque arrivava in stazione vedeva la sua figura alta, sempre coperta con un grembiule nero, al di là dello sportello di vendita dei biglietti.

Fu uno dei primi ad accorrere sul luogo del disastro ferroviario quella notte dell’8 marzo 1962 e volle fermare i ricordi di quella tragedia sul retro di alcune fotografie che la figlia Tiziana gentilmente ha messo a disposizione per la pubblicazione.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi1.jpg (78907 byte) Foto 1 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Locomotore E 428-217 macchinista Ennio Covacci, aiuto macchinista Otello Manzi del Deposito Locomotive di Ancona. Capotreno Bizzarri. Locomotore rovesciatosi sulla destra nell’affrontare la controcurva del 1° deviatoio dal 1° al 2° binario. Il locomotore stesso rovesciandosi è finito in posizione orizzontale sull’attiguo binario di Ravenna ed in questa posizione è slittato per circa 100 metri arrestandosi all’altezza della colonna idraulica del 2° binario. Il Caposquadra Manovratori Romano Corelli accorso per primo presso il locomotore ha dovuto infrangere con una pietra il vetro anteriore di destra al fine di dare la possibilità al personale di uscire dalla cabina.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi2.jpg (84442 byte) Foto 2 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Bagagliaio a 4 assi rovesciatosi sulla sinistra e con la parte anteriore appoggiata sul muro di una casa di proprietà Masotti Francesco. Da ricordare il profumo dei tartufi e la libertà di pollame vivo contenuto in gabbie sfasciatesi.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi3.jpg (89396 byte) Foto 3 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Carrozza “Corbellini” catapultata per metà nel campo attiguo del podere “Borgo” successivamente rimossa da potente gru ed adagiata senza carrelli sulla carraia del podere stesso. Fu necessario un binario di fortuna per riportarla in sede munendola di carrelli rastrellati un po’ ovunque.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi4.jpg (111297 byte)Foto 4 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Altra vettura “Corbellini” posta di traverso. Una rotaia, infilzatasi in posizione longitudinale lungo una carrozza come una spada ha causato morte e ferimenti. Vedere la rotaia parzialmente fuori della vettura.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi5.jpg (87332 byte)Foto 5 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Gli operai dell’armamento che cercano di rabberciare il binario sul quale doveva circolare il treno. Sulla destra in fondo è visibile il posto di lavoro degli incaricati (Balestrazzi Germano e Dante Monti) che dovettero lasciare il posto per le minacce da parte dei viaggiatori che li ritenevano responsabili. Dirigenti in stazione Cattani Feneù e Zannoli Fernando.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi6.jpg (78769 byte)Foto 6 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Un collo a bagaglio registrato che porta il “h. 19” consolato da una scarpetta bianca che ha smarrito la compagna. In alto emerge una fiancata distrutta del carro F stracarico di calzature marchigiane.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi7.jpg (104038 byte)Foto 7 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Stritolato dalle vetture si notano i resti di un carro tipo F in sussidio al bagagliaio pieno di cartoni contenenti calzature che andarono completamente sfasciati e schiacciati.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi8.jpg (88357 byte)Foto 8 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Bagagliaio rovesciato visibili su di esso le merci contenute (calzature).
Furono compilati oltre 150 CH100, furono vendute all’asta molte merci: pesce fresco, carni macellate, conigli uccisi, tutte le merci deperibili compresi i tartufi. Tarlazzi dovette comprare da Franco Marchi 60 sacchi di tela di juta per insaccare le scarpe che erano alla rinfusa e furono inviate al magazzino compartimentale oggetti smarriti.

https://www.castelbolognese.org/wp-content/uploads/2013/09/tarlazzi9.jpg (89744 byte)Foto 9 – 8 marzo 1962 – Deragliamento treno 152 ore 1.57
Il macchinista Ennio Covacci assistito da un noto penalista di Bologna fu in seguito condannato a 5 anni per omicidio plurimo colposo, comunque le F.S. non lo licenziarono anzi fu rimesso a circolare sui treni dopo che ebbe a scontare le sanzioni amministrative (non aveva letto bene l’M40).
Le F.S. comunque non hanno mai più dato luogo a quei tipi di segnalamenti, cioè tutto verde con M40 di ridurre la velocità in certi punti. L’amnesia umana è sempre pronta.

a cura di Paolo Grandi

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