Fatti Storici Archives - La Storia di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/category/fatti-storici/ Fri, 11 Apr 2025 13:34:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 Aprile 1945: finalmente liberi! https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/aprile-1945-finalmente-liberi/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/aprile-1945-finalmente-liberi/#respond Fri, 11 Apr 2025 13:34:52 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12352 di Paolo Grandi Il giorno di Pasqua, 1 aprile, passò in relativa tranquillità e la popolazione, complice la bella e calda giornata, uscì dalle cantine ed animò il centro, tra le macerie ma osò portarsi anche fino sull’argine del fiume. Ma la calma durò poco e all’imbrunire le granate ricominciarono …

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di Paolo Grandi

Il giorno di Pasqua, 1 aprile, passò in relativa tranquillità e la popolazione, complice la bella e calda giornata, uscì dalle cantine ed animò il centro, tra le macerie ma osò portarsi anche fino sull’argine del fiume. Ma la calma durò poco e all’imbrunire le granate ricominciarono a piovere su ciò che rimaneva di Castel Bolognese e della sua campagna. Gli occupanti tedeschi intanto, ormai consci di non poter più resistere all’offensiva alleata, provocarono altri danni, assolutamente inutili, al solo scopo di rallentare l’avanzata. Nei giorni successivi furono minati i portici di levante sulla Via Emilia e solo grazie all’atto di audacia del giovane Sergio Zurlo, che tagliò i fili delle mine, si salvarono quelli della casa Solaroli. Altre gratuite distruzioni furono l’abbattimento dei tigli di viale Cairoli, degli alberi di Viale Pascoli e dei cipressi del viale del Cimitero. Racconta don Garavini: “la visione più orrenda la presenta il viale della stazione: sembra addirittura una scenda da inferno dantesco.” Poi ciò che rimaneva dell’esercito tedesco, con ogni mezzo comprese le carrozzine dei neonati o le carriole e razziando ove ancora possibile, si ritirò verso Imola; l’11 aprile numerose squadriglie di bombardieri alleati sorvolarono Castel Bolognese liberandosi del loro carico altrove, specie nella bassa.
Poi nella notte una calma irreale si distese sui resti di Castel Bolognese e nella prima mattina di giovedì 12 aprile i Fucilieri Carpatici Polacchi, provenienti da Biancanigo lungo la via Ghinotta, dopo aver attraversato il Senio sotto il fondo “Scaletta” di Casale Faentino, giunsero finalmente a liberare Castel Bolognese. In mezzo a tante distruzioni i liberatori non pensavano di trovare così numerose persone che, a frotte, uscivano dalle cantine. La festa fu grande e l’entusiasmo pure; da alcune finestre si issarono bandiere italiane e polacche, pareva la festa di Pentecoste. Così commenta don Garavini: “È un incrociarsi di saluti e di felicitazioni per aver salvato almeno la pelle. Che importa, se si è perduto masserizie, mobili, e perfino la casa? Tutto ciò è doloroso, ma di fronte alla vita è quasi un nulla. I crocchi più numerosi e più frequenti si notano nel Corso Garibaldi a ponente e nel Borgo, perché le strade ivi sono più sgombre e adatte alla circolazione. Si vedono delle facce quasi irriconoscibili, delle barbacce incolte, lasciate crescere appositamente così per mostrare un’età più avanzata e non essere accalappiati dai frequenti rastrellamenti a scopo di lavoro forzato. Il nostro Castello è irriconoscibile.”
In quella giornata in tanti accorsero alle Sante Messe che furono celebrate sia nella chiesa delle Domenicane, sia in quella della Maestre Pie ed anche in molte cantine. A mezzodì del 14 aprile la campana superstite del mutilato campaniletto della Domenicane suonò l’Angelus dopo tanti mesi di silenzio e nel pomeriggio fu riportato alla luce del sole il simulacro dell’Immacolata. La domenica 15 aprile si celebrò una giornata di ringraziamento con varie Messe, una delle quali alle nove in canto con accompagnamento d’archi. Nel pomeriggio funzione solenne con Te Deum e discorso di don Francesco Bosi Priore di Valsenio cui seguì la messa vespertina celebrata nella chiesa di Santa Maria dello Spedale che, fino all’agibilità di San Petronio riaperta il 18 marzo 1946, funse da Parrocchiale. Lì si celebrarono anche le feste votive di Pentecoste durante le quali furono fatte anche le tre processioni della domenica, lunedì e martedì.
Intanto i Castellani ritornavano alla “normalità” con una grande voglia di ricostruire e molte speranze per il futuro, così come ben descritto da Maria Landi nel suo libro “Il ritorno alla casa sul fiume Senio”. Tra il 16 ed il 20 aprile rientrarono anche le Monache sfollate a Bagnara, mentre pian piano i rifugiati nelle cantine ritornarono alle proprie abitazioni o a ciò che vi rimaneva. Ma la morte per causa della guerra colpì ancora a lungo a causa delle subdole armi: Aldo Cani, facente parte della squadra UNPA ed incaricato di sminare un passaggio sul fiume, perì sul Senio il 15 aprile a causa dello scoppio di una mina; i fratellini Assunta e Augusto Morara, rispettivamente di otto e quasi undici anni perirono tragicamente il 23 aprile a causa dello scoppio di una mina. Assieme ai genitori, di ritorno alla villa “La Capanna” di Biacanigo, che era stata la sede del comando tedesco, i bambini trovarono nella cantina il pianoforte già appartenuto ai Marabini del Camerone e che già i fratelli don Carlo e Nicio avevano provato nei giorni precedenti con l’intenzione di riportarselo a casa. Un tasto era stato minato dagli occupanti ed i bambini, suonando l’intera tastiera, ne provocarono la deflagrazione.
A conclusione di queste cronache, che ho voluto ricostruire perché non si dimentichino i patimenti dei castellani in quei lunghi mesi di guerra, voglio ricordare due episodi felici: l’esercito alleato apprestò nel camerone centrale dell’Ospedale un posto di pronto soccorso militare diretto da un Capitano medico, il quale parlava abbastanza bene l’italiano; egli presentò al dott. Bassi una medicina straordinaria che da noi era sconosciuta ma che salvava tante vite umane: la penicillina. E da quel momento anche i degenti del nostro Ospedale poterono essere curati con la penicillina. Il secondo episodio riguarda un cappellano militare cattolico al seguito dell’esercito alleato; si trattava di un Domenicano e così ebbe modo di entrare nel Monastero e confortare le suore.

La Liberazione e l’inizio della ricostruzione in un disegno di Fausto Ferlini (tratto da: Sul Senio il fronte si è fermato, di Angelo Donati)

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Marzo 1945: una primavera di speranza https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/marzo-1945-una-primavera-di-speranza/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/marzo-1945-una-primavera-di-speranza/#respond Mon, 03 Mar 2025 19:35:27 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12321 di Paolo Grandi “Le ciliegie stanno per maturare” è la frase in codice captata da qualche radio clandestina piazzata nelle cantine castellane e che significava che il fronte, a breve, si sarebbe mosso. Per questo motivo marzo fu un mese di intensa attività bellica che gli alleati usarono per fiaccare …

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di Paolo Grandi

“Le ciliegie stanno per maturare” è la frase in codice captata da qualche radio clandestina piazzata nelle cantine castellane e che significava che il fronte, a breve, si sarebbe mosso. Per questo motivo marzo fu un mese di intensa attività bellica che gli alleati usarono per fiaccare la resistenza dell’esercito tedesco; duelli a colpi di granata si susseguirono durante il giorno e spesso anche la notte per tutto il mese e Franco Ravaglia segnala solo tre giornate calme: il 4 il 18 e il 19. Notevole l’attività aerea per tutto il mese con sganci di bombe sul centro ed in campagna. Cosicché ne seguirono ulteriori distruzioni e ciò che non cancellavano bombe e granate veniva abbattuto dai tedeschi per cercare in ogni maniera di ostacolare l’avanzata nemica ma, soprattutto, la popolazione civile subì un notevole numero di morti e feriti. Il diario di Tristano Grandi registra in questo mese il maggior numero di attività svolte dalla Squadra Portaferiti C.R.I., ben 52.
Nella frazione di Biancanigo il parroco don Tambini era riuscito ad istituire una zona “neutra” che comprendeva la chiesa e la casa colonica “Furlona” posta ove ora c’è la Casa d’Accoglienza “San Giuseppe e Santa Rita”. Egli convenne con l’autorità tedesca di stabilivi una zona ospedaliera, libera da militari che non fossero feriti, innalzando sul campanile il vessillo vaticano bianco/giallo. Gli inglesi furono avvertiti ed il patto fu accettato. In Canonica e nella casa adiacente trovarono rifugio tutti gli abitanti della borgata. Ciò avvenne a pochi passi dal fronte, distando quella chiesa poco più di cento metri dal fiume. In marzo tuttavia avvenne il cambio del presidio tedesco, di stanza alla villa detta “la Capanna” e vi subentrarono i paracadutisti, sebbene tra essi vi fossero avanzi di tutte le Armi; costoro chiamarono il Parroco che trattarono come una spia e lo costrinsero ad essere un sorvegliato speciale. Intanto cominciarono a piovere le granate ed una di questa, la sera del 14 marzo, uccise un colono della “Furlona”. Tra il 19 ed il 20 marzo il comando tedesco ordinò l’evacuazione dapprima della canonica poi della “Furlona” ed il giorno 21 un convoglio di circa 40 persone tra le quali donne, bambini, ammalati, preceduti da don Tambini e dall’immagine della Immacolata posta sopra un carro nel quale presero posto le povere cose degli sfollati marciò processionalmente per Imola.
Una parte delle cieche di Bologna, già ospitate a Villa Rossi poi nella canonica di Biancanigo giunsero la mattina del 19 marzo al Monastero delle Domenicane dopo aver trascorso la notte ospitate nelle cantine dell’Ospedale. Nell’atrio del Monastero attesero le ambulanze della Croce Rossa per essere riportate a Bologna, ma queste non giunsero e perciò il comandante tedesco ordinò alla Monache di accoglierle nelle cantine per la notte. L’arciprete Sermasi in quella giornata provvide al loro sostentamento; finalmente il giorno successivo poterono partire.
La festa di San Giuseppe, il 19 marzo, era particolarmente sentita a Castel Bolognese sia perché l’Istituto delle Maestre Pie era intitolato al Patriarca ed anche perché era l’onomastico dell’Arciprete Sermasi. Nella cantina delle Domenicane fu celebrata la Messa con la partecipazione dell’Arciprete il quale impartì la benedizione assistito dal parroco della Pace e da altri sacerdoti e seminaristi. Essendo una giornata bella e calma, tanti rifugiati arrivarono da fuori e la cantina era gremita. Il 25 marzo era la Domenica delle Palme; furono benedetti ramoscelli verdi in sostituzione dei rami d’ulivo che vennero distribuiti ai numerosi fedeli che anche in questa occasione accorsero, nonostante i pericoli, nella cantine delle Domenicane. Durante la Settimana Santa furono celebrate in maniera ridotta le Funzioni del Triduo. Le Domenicane ricordano che fu celebrata la Messa fino al giovedì in cui si fece la S. Pasqua, e la sera il Parroco della Pace parlò loro con accento ispirato della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nella cantina dei rifugiati il Parroco della Pace aiutato da un altro Sacerdote sfollato e da alcuni seminaristi, compì le funzioni in modo assai ridotto.
Il nuovo mese si apriva col giorno di Pasqua. Una Pasqua di speranza.

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Febbraio 1945: addio Torre! https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/febbraio-1945-addio-torre/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/febbraio-1945-addio-torre/#respond Mon, 03 Feb 2025 22:22:42 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12248 di Paolo Grandi Il nuovo mese di passione cominciò con la più grave offesa perpetrata dai tedeschi ai monumenti di Castel Bolognese: l’annientamento del suo simbolo cioè la medievale torre civica. Più volte colpita, smozzicata dalla parte di levante, offesa da un carro armato nelle sue basi, nella mattina di …

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di Paolo Grandi

Il nuovo mese di passione cominciò con la più grave offesa perpetrata dai tedeschi ai monumenti di Castel Bolognese: l’annientamento del suo simbolo cioè la medievale torre civica. Più volte colpita, smozzicata dalla parte di levante, offesa da un carro armato nelle sue basi, nella mattina di domenica 4 febbraio i guastatori tedeschi iniziarono a minarne la base e ad avvisare la popolazione che nel primo pomeriggio l’avrebbero abbattuta. Così alle ore 14 un tremendo boato ed una forte scossa segnarono ciò che restava del Castello, che ora aveva perduto per sempre la sua piazza dal carattere rinascimentale. Un’altra vittima di questi giorni fu il campanile della Domenicane, l’unico non ancora colpito. L’arco a mezzogiorno, dove era la campana maggiore requisita fu spaccato da una granata nel pilastro esterno: la parte inferiore si sbriciolò e il moncherino superiore si afflosciò sul pilastro mediano, restando attaccato da questo lato nella parte superiore. Rimase tuttavia intatta l’altra campana.
Centro e campagna furono tormentate da tiri di granate ed attività aerea quasi quotidianamente: Franco Ravaglia annota solo una relativa calma nei giorni 3 e 18 e nella mattina del 25. Solo nel pomeriggio del 25 vi fu un bombardamento aereo che interessò la campagna.
Meteorologicamente, si alternò un tempo invernale con anche qualche spolverata di neve sulle rovine della torre, ma si contarono anche alcune giornate di primavera precoce che invitarono i castellani ad uscire dalle cantine.
Angelo Donati riferisce che l’umore dell’esercito tedesco era mutato ed i militari stavano diventando sempre più duri ed intransigenti, segno per loro che le cose stavano volgendo al peggio. La popolazione ne era atterrita e bastava un nulla per suscitare reazioni violente, spesso omicide. In un impeto di estrema difesa i soldati reclutavano gli uomini validi sotto minaccia di morte per aprire trincee, camminamenti e costruire altri lavori di difesa.
Dalla chiesa di San Francesco, sempre dietro la direzione di don Garavini furono portate via in fretta la statua lignea di S. Antonio di Padova, rifugiata in Palazzo Ginnasi e il Crocifisso, riparato nel Monastero delle Domenicane assieme alle Reliquie del relativo altare. Intanto continuavano i saccheggi e le razzie nelle case e nelle chiese sventrate dalle granate e dalle bombe.
Arrivarono i Padri domenicani di Bologna per ritirare gli arredi sacri più preziosi della loro Basilica poiché erano stati portati nel Monastero per metterli in salvo; l’operazione avvenne con ogni cautela, girando talvolta anche di notte e dal Capoluogo qui portarono viveri e medicinali, racimolati non senza difficoltà dai castellani residenti a Bologna, in particolare Mario Santandrea e Romolo Tosi. Le Monache affidarono ai domenicani anche gli oggetti più preziosi della loro chiesa e di San Francesco oltre alle macchine da maglieria ed altre cose
Non mancarono eccidi, vittime e ferimenti. Il 12 febbraio al podere Anna nella parrocchia di Borello avvenne il secondo fatto di sangue più grave dopo quello di Villa Rossi e che costò la vita a dieci persone; questa volta fu un colpo sparato dagli alleati che cadde vicino al rifugio ove si trovavano i coloni di quel podere ed altri sfollati. Il 17 febbraio l’UNPA ebbe il suo tributo di sangue: Ariovisto Liverani, genero di Arnaldo Cavallazzi, fu ferito gravemente da una scheggia di granata mentre era all’opera per abbattere un muro pericolante; trasportato all’ospedale di Imola, morì il giorno successivo, lasciando la moglie e due figli. Andrea Casadio invece, che cercò di soccorrerlo, cadde all’istante. Infine il 26 febbraio morì sulla via Emilia, nel Borgo, l’ing. Ugo Ortolani, co-autore del nuovo pavimento della chiesa di San Petronio, colpito da una scheggia di granata. Ritornava assieme alla domestica Dorina Martelli, la quale rimase ferita ad un braccio, dalla propria casa con un carico di grano che aveva lasciato nel momento di sfollare nelle cantine delle Domenicane.

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Gennaio 1945: notte fonda https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/gennaio-1945-notte-fonda/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/gennaio-1945-notte-fonda/#respond Mon, 13 Jan 2025 18:07:53 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12223 di Paolo Grandi 1- Si prolunga la sosta del fronte Ormai il fronte si era stabilizzato sul Senio da due settimane; i due eserciti: alleato e tedesco si fronteggiavano e, con alterne vicende e perdite umane, dal primo venivano conquistati lembi di terra poi persi quasi subito. A farne le …

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di Paolo Grandi

1- Si prolunga la sosta del fronte

Ormai il fronte si era stabilizzato sul Senio da due settimane; i due eserciti: alleato e tedesco si fronteggiavano e, con alterne vicende e perdite umane, dal primo venivano conquistati lembi di terra poi persi quasi subito. A farne le spese era l’abitato di Castel Bolognese e la sua campagna, entrambi devastati dalla furia dei combattimenti. Meteorologicamente, il 1944 si era chiuso sotto una fitta nevicata che continuò anche nel giorno di Capodanno. In questa mattina, siccome nel crollo del campanile di S. Francesco era rimasto salvo un piccolo locale attiguo alla Sacrestia che conteneva parecchi arredi, con l’aiuto di alcuni sfollati questi furono estratti con grande fatica ed enormi rischi e trasportati nel Monastero delle Domenicane sotto la guida di don Garavini. Notevole attività aerea e di artiglieria si registrò senza sosta notturna- nei primi cinque giorni del mese. Poi un’altra nevicata fermò i belligeranti per alcuni giorni, salvo qualche sparo qua e là. Ma fu calma apparente e Franco Ravaglia ci elenca bombardamenti ed incursioni aeree quotidiane per tutti i restanti giorni di gennaio. Il bombardamento del 24 gennaio infierì pesantemente su Palazzo Mengoni e distrusse il teatro comunale.

2- Viene costituita la Consulta Comunale e si richiedono gli aiuti

Cominciava frattanto tra la popolazione a scarseggiare il cibo. Le autorità cittadine, con l’arrivo del fronte si erano praticamente dissolte poiché i loro rappresentanti, tutti legati al regime, erano fuggiti; Ravenna era irraggiungibile, i servizi comunali non funzionavano e l’Annona era scomparsa. Iniziarono quindi i contatti tra i vari rappresentanti dei rinati partiti politici per la costituzione della Consulta Comunale, promossi specialmente dal dott. Carlo Bassi. A farne parte l’arciprete don Giuseppe Sermasi, Arnaldo Cavallazzi (anarchico), Michele Bernabè (comunista) che poi lasciò a fine mese, Giuseppe Dari (repubblicano), il dottor Antonio Bosi (democristiano), Giovanni Dalprato (repubblicano), Tommaso Morini (socialista), il notaio Gustavo Gardini quale segretario ed in qualità di componenti supplenti Mons. Vincenzo Poletti e Stefano Violani (socialista). La prima necessità fu stabilire i contatti con la Provincia per cercare aiuti, medicinali, sussidi, cibo; il 2 gennaio, giorno successivo alla costituzione, su proposta del Cavallazzi, si decise di chiedere l’appartenenza temporanea alla provincia di Bologna e fu deliberato che alcuni componenti avrebbero recapitato, con mezzi di fortuna, una lettera di tal richiesta alla città madre. Dei tre designati, il giorno successivo solo Arnaldo Cavallazzi si presentò per partire, conscio dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare. Lo accompagnò nel viaggio di andata Giacomo Cani che tuttavia preferì rimanere a Bologna. In quella città Cavallazzi cercò anche oriundi castellani come il farmacista Mario Santandrea, per promuovere un aiuto alla nostra popolazione. La missione diede i suoi frutti: giunse a Castel Bolognese un mezzo della Croce Rossa con medicinali, latte, viveri e denaro e queste visite furono rese settimanali. Arnaldo Cavallazzi tuttavia ebbe notevoli difficoltà per il ritorno, in mezzo a una fitta nevicata che aveva già ricoperto la via Emilia, sfidando il gelo e allo stremo delle forze fu ospitato per qualche ora da una famiglia a Castel San Pietro prima di riprendere il cammino. Intanto la Consulta Cittadina strinse un accordo con il CLN di Imola alla ricerca, fruttuosa, di ulteriori aiuti. Da segnalare l’opera di mons. Vincenzo Poletti che ricoprì la carica di sub-commissario prefettizio e si prodigò per tenere i rapporti tra la Consulta cittadina e la Provincia di Bologna.

3- Fu un atto di collaborazionismo?

Una recentissima pubblicazione (1), facendo una fredda ricostruzione di quegli avvenimenti, accusa i componenti della Consulta Comunale di collaborazionismo. Non ritengo assolutamente giustificata questa accusa. Certamente, la decisione di richiesta di aiuto formulata alla Prefettura di Bologna, che, certamente, era Organo amministrativo della Repubblica Sociale Italiana (ma non è provato che chi ne facesse parte e chi vi operasse fosse collaborazionista), fu sofferta ma necessaria per salvare la popolazione dalla fame, dalla miseria e dalle epidemie. Ognuno può immaginarsi con che spirito uno schietto anarchico come Arnaldo Cavallazzi si possa essere presentato davanti alle autorità Repubblichine! Ma questo non ne fa un collaborazionista, anzi lui corse il rischio di essere arrestato per tradimento! Così scrive Angelo Donati: “dobbiamo collegarci con Bologna, con le autorità provinciali di un Governo esistente “de facto” senza approvarne né l’istituzione, né l’operato (…) Gli uomini che ad essa si accingono non hanno paura, anche se basta un delatore per farli imprigionare e condannare”. (2) E non si dimentichi che molti di questi castellani furono decorati al valor civile per l’opera meritoria svolta durante la sosta del fronte.
Spiace piuttosto constatare che il Comune promuovendo questa pubblicazione abbia di fatto sovvertito il giudizio delle precedenti Amministrazioni di qualsiasi colore politico, su queste specchiate persone alle quali in questi ottant’anni hanno dedicato strade, edifici pubblici, luoghi. Per coerenza, ora se ne dovrebbe revocarne la dedica a meno di una smentita che si attende, spero, a breve. Occorre quindi dire piuttosto che questo atto della Consulta Comunale, così come quello di prendere contatto col CLN di Imola furono mossi dallo stato di necessità della popolazione castellana piuttosto che da un disegno politico.

4- La vita religiosa

Intanto, i Sacerdoti presenti in città continuavano il loro servizio nelle “catacombe”; vi erano impegnati l’Arciprete don Sermasi, don Francesco Preti il parroco di Campiano, i Cappuccini e don Garavini. Nella cantina della Domenicane ogni domenica don Vincenzo Zannoni celebrava la Messa animata nel canto dalle Orfanelle della Barsana, mentre don Francesco Bosi la celebrava nella Cappella delle Maestre Pie, al momento agibile e non colpita dall’artiglieria.

5- Gli eccidi e i ferimenti

Questo mese fu funestato da tre tragici eccidi di civili, dovuti questa volta alle bombe dei liberatori. Il 5 gennaio perirono presso la casa del podere “Cassiano” in via Gradasso, nella Parrocchia della Pace sei innocenti: in quella casa, sebbene parzialmente distrutta, vivevano ancora i fratelli Poletti con le rispettive mogli ed i figli. Il fumo proveniente dal camino della casa provocò il sospetto agli anglo americani che alcuni militari tedeschi vi soggiornassero; perciò i bombardieri in zona cercarono di colpirla. Una prima bomba cadde nei campi e così le famiglie cercarono rifugio in due diverse buche scavate nell’aia e coperte da assi e terra, distanti poche decine di metri l’uno dall’altra. Una seconda bomba cadde dentro l’ingresso di uno dei rifugi, il più capiente, ove c’erano sei persone di età compresa tra i 50 ed i 2 anni. La seconda strage avvenne in pieno centro il 24 gennaio: nella cantina del macellaio Felice Borghi, sulla via Emilia lato valle, erano rifugiate numerose famiglie. Una granata colpì il cortile della casa e penetrò nella cantina uccidendo sette persone, delle quali cinque appartenenti alla famiglia Fenara, bolognesi qui rifugiatisi dai pericoli che sarebbero potuti incombere sulla città. Il terzo fatto di sangue accadde il 29 gennaio quando durante un bombardamento alleato fu colpita “la Palaza”, un palazzo di tre piani su viale Umberto I ove ora c’è Castel Verde: il bilancio fu di un morto e tre feriti.
Da segnalare, infine, il ferimento di Arnaldo Cavallazzi in Piazza Camerini il 23 gennaio, poi medicato all’Ospedale e di Nerina Monti il 26 gennaio, ragazza sedicenne che perse un piede ed alla quale il dott. Carlo Bassi dovette amputare la gamba sotto il ginocchio, praticamente da sveglia, solo con una iniezione di morfina per calmare il dolore, mancando l’Ospedale di anestetici.

(1) SUZZI R.: Politica e Amministrazione a Castel Bolognese dalla Resistenza alla ricostruzione postbellica (1943 – 1951), dicembre 2024.
(2) DONATI A.: Sul Senio il fronte si è fermato, Castel Bolognese, 1977, pag. 72.

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Dicembre 1944: quando si nasceva in cantina… https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-quando-si-nasceva-in-cantina/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-quando-si-nasceva-in-cantina/#comments Fri, 27 Dec 2024 22:50:41 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12198 di Andrea Soglia Tanti di voi conosceranno Paolo Menzolini, barbiere, per oltre 60 anni al servizio dei castellani. Molti non sapranno, invece, la storia della sua nascita, avvenuta nel pieno della sosta del fronte bellico lungo il fiume Senio. Come si è sempre raccontato, già a fine novembre-inizio dicembre 1944 …

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di Andrea Soglia

Tanti di voi conosceranno Paolo Menzolini, barbiere, per oltre 60 anni al servizio dei castellani. Molti non sapranno, invece, la storia della sua nascita, avvenuta nel pieno della sosta del fronte bellico lungo il fiume Senio.
Come si è sempre raccontato, già a fine novembre-inizio dicembre 1944 i castellani trovarono rifugio nelle tante cantine del paese. La famiglia di Paolo fu ospitata nelle cantine della famiglia Zanelli, notissima in paese per l’antica attività della loro locanda e poi per l’attività di commercio di fiori medicinali. La casa Zanelli e le relative attività erano ubicate nella zona che attualmente ospita il supermercato Despar e arrivavano ad affacciarsi sulla via Emilia con gli edifici recentemente demoliti. Sesto Menzolini, padre di Paolo, lavorava per la famiglia Zanelli e viveva nei paraggi, per cui fu abbastanza automatico per lui rifugiarsi nelle cantine Zanelli assieme alla moglie Maria Borzatta (in attesa di Paolo), al figlioletto primogenito Mario e alla madre Giulia Medri.
Le cantine Zanelli, come ricorda Mario Zanelli, erano abbastanza affollate. Vi trovarono riparo Mario con i genitori e il fratellino Piero di pochi mesi; sua zia Cornelia Zanelli e il prozio Epaminonda, l’ultimo garibaldino di Castel Bolognese, già volontario nella Prima guerra mondiale; la prozia Elettra Contavalli, da poco rimasta vedova di Oreste Zanelli, con le figlie Tinetta, Valeria e Silvana (futura moglie di Edmondo Fabbri) e una sorella.
Era il 28 dicembre 1944. Erano in corso i “soliti” bombardamenti e Maria Borzatta entrò in travaglio. La situazione pericolosa impedì ad Antonietta Guidi (Tina Bèglia) di intervenire, per cui Cornelia Zanelli si improvvisò ostetrica. Tutto andò nel migliore dei modi. Una gioia per tutti, in mezzo a tanti lutti. E Cornelia Zanelli, morta nel 2023 a 104 anni e mezzo, ha sempre considerato Paolo anche un po’ figlio suo.

Un’altra storia a lieto fine ebbe luogo in una delle cantine quasi di fronte alla chiesa di San Petronio, dove il 22 dicembre 1944 è nato Gabriele Martelli. E’ stato straordinario, per me, nel marzo del 2024, sentire raccontare questa storia direttamente dalla principale protagonista, ossia Zaura Zaccherini, madre di Gabriele. Alessia e Cristiana Bruni l’avevano conosciuta casualmente qualche mese prima al cimitero di Castel Bolognese, quando erano in visita alle tombe dei rispettivi congiunti. Zaura era accompagnata dal figlio Gianpaolo, che già conosceva Cristiana, e quindi fu immediata la decisione di rivedersi tutti, con me presente, per raccogliere la straordinaria testimonianza nella sua casa di Faenza. Purtroppo Zaura, classe 1925, è scomparsa nel settembre 2024 a 99 anni di età (riposa nel cimitero di Castel Bolognese, ndr). Quando, alla presenza del figlio Gianpaolo, l’abbiamo intervistata, aveva più volte scherzato sull’arrivo della “Giacomina”, nomignolo con cui i romagnoli, e specialmente i faentini, chiamano la morte.
La storia di Zaura (il cui particolare nome di battesimo fu dovuto ad un errore di comunicazione del padre all’anagrafe di Imola: avrebbe dovuto chiamarsi Zaira, al padre veniva in mente Laura, ma ricordava che il nome cominciava con la Z) era iniziata nella vicina frazione di Selva di Imola, dove il padre Domenico gestiva l’osteria–sali tabacchi tuttora presente. Lì si fermava spesso Antonio Martelli (Tonino di Furlot) che dalla natia Castel Bolognese si recava quotidianamente a Imola dove lavorava come meccanico presso la Fiat. Nacque una reciproca simpatia e Tonino, che aveva 13 anni più di Zaura, le chiese di fidanzarsi. Zaura, dopo una lunga riflessione, accettò e il 26 dicembre 1943, nella chiesa di Zello, Tonino e Zaura si sposarono. Zaura ricordava ancora divertita l’aneddoto che, a suo dire, era quello che aveva fatto innamorare definitivamente Tonino. Un giorno, mentre Zaura aiutava i genitori nell’osteria, un signore le chiese se avessero una ritirata. Zaura, ricordandosi le raccomandazioni di suo babbo Minghì (“Quando un signore richiede qualcosa che non abbiamo, rispondete sempre che l’abbiamo appena terminata”) rispose proprio così, perché non sapeva che la ritirata altro non era che la toilette. Tonino era presente e per anni lui e Zaura ridevano moltissimo nel ricordare l’episodio.
Dopo il matrimonio Tonino e Zaura si trasferirono a Imola. Il 13 maggio 1944 Zaura si trovava in stazione a Imola per ritirare delle tomaie e fu testimone del grande bombardamento della città che portò alla distruzione della stazione (ove morì Lodovico Galeati, capostazione, originario di Castel Bolognese). Zaura e Tonino decisero di sfollare, dapprima a Riolo e poi a Castello, appoggiandosi ai genitori di Tonino. Speravano di “andare incontro agli alleati” e invece si trovarono in prima linea. Si rifugiarono quindi in cantina (dove in totale vi erano 18 persone), e quel che accadde lo lasciamo raccontare da Zaura in una testimonianza rilasciata alle pronipoti:

“Gabriele è nato in una cantina di una casa di fronte alla Chiesa di San Petronio, a Castel Bolognese. In quella casa c’erano anche tre o quattro tedeschi al piano di sopra. Noi invece stavamo sempre giù in cantina.
A metà scala c’era una cucina economica dove, a turno, si poteva cucinare quel poco che avevamo e tutto senza sale (questa cosa mi dava molto fastidio).
I tedeschi sapevano bene che noi c’eravamo… bisognava stare attenti quando avevano bisogno di fare dei lavori pesanti. In qual caso, se vedevano degli uomini, li “prendevano” e li “usavano”. Comunque non erano “cattivi”. Ormai erano “messi male”, non avevano neppure i calzini… ( che impressione quando era così freddo!!). E da mangiare glielo portavano solo ogni tre giorni…
Le case intorno erano tutte distrutte… Ogni notte lanciavano tredici granate… Le contavamo… Spesso c’era un polverone che si faticava a respirare.
La casa dove era la nostra cantina aveva il portico. La finestra della cantina permetteva di avere un po’ di luce, ma faceva entrare anche tanta sporcizia, tanta polvere.
In cantina non c’erano topi… forse qualcuno li mangiava (non sarebbe poi così strano: alla Selva c’era uno che li caccia con le trappole e poi li mangiava!!!).
Quando è stato il momento per Gabriele di venire al mondo, c’era in corso un bombardamento… Per fortuna poté venire ad aiutarmi un’ostetrica. Riuscì ad arrivare senza troppi pericoli perché le cantine/rifugi erano state collegate con dei tunnel sotto terra.
Tonino faceva luce con una bici (cosa che si usava solo in casi urgenti). Una bimba che era nel rifugio aveva detto a Tonino: “Fatti coraggio, Tonino”. Tutti erano andati poi sulle scale fino alle 13:45: ora della nascita di Gabriele!
Avevo preparato qualche cosina per vestirlo usando maglie vecchie. Poi avevo qualche vestitino vecchio che mi avevano regalato. In quei giorni con noi c’era zio Mino (che mi fece andare in chiesa per una benedizione di cui non ho capito il significato), c’erano anche Camilla, Carlì e Ghina (che ci avevano ceduto i loro letti e così avevano dovuto dormire, molto sacrificati, in sedie a sdraio).
Siamo rimasti lì fino a metà febbraio, con poco cibo, poca pulizia, con i pidocchi in testa, fitti, fitti… Ogni tanto Marina (sorella di Zaura, ndr), a piedi o in bici, riusciva a portarci un po’ di latte: la ringrazio ancora. Non ne potevamo più. C’erano persone che, in cambio di denaro, portavano notizie a Imola o da Imola. Tramite queste persone, chiedemmo aiuto ai miei. Allora la mamma e mia sorella Rosa vennero a prenderci con un carretto. Per fortuna nessuno ci fermò. Fu molto difficile perché ovunque c’erano macerie. Arrivammo faticosamente alla Selva dove c’erano dei tedeschi; ci fermammo forse perché Elda doveva prendere qualcosa da casa sua. Arrivammo a Imola e oltrepassammo il ponte sul Santerno; noi eravamo impauriti mentre qui le persone erano fuori tranquilli!! Tonino aveva la barba lunga e incolta e “me aiera ardotta!!” Mi vengono in mente quelle scene, è difficile togliersele dalla testa”.

Aggiungiamo che nel tragitto da Castel Bolognese a Imola, con Tonino nascosto in un armadio per sfuggire al lavoro coatto per l’esercito tedesco, si trovarono per strada assieme ad un frate (o presunto tale, purtroppo pare impossibile accertarsi della sua identità) su un somaro, che fu con loro fino a Selva quando Zaura e gli altri si fermarono per presentare Gabriele al resto della famiglia. Riprendendo il cammino, qualche centinaio di metri più avanti trovarono il frate e il somaro morti lungo la strada, colpiti da una bomba. La sosta a Selva aveva salvato la vita a Zaura e a tutti gli altri.
Storie a lieto fine quelle che raccontiamo, in mezzo a tanta desolazione portata dalla guerra. A Castel Bolognese, 80 anni fa, nei giorni di fine dicembre 1944 (e anche successivamente) i bambini venivano al mondo in abituri anche peggiori di quello di Betlemme… Purtroppo, però, la storia non ha insegnato niente e ancora oggi, in altre parti del mondo, queste storie si stanno ripetendo.

Si ringraziano Paolo Menzolini, Mario Zanelli, Alessia e Cristiana Bruni.
Un ringraziamento particolare alla famiglia Martelli

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Dicembre 1944: cala la lunga notte https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-cala-la-lunga-notte/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/dicembre-1944-cala-la-lunga-notte/#respond Thu, 12 Dec 2024 17:49:32 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12138 di Paolo Grandi 1. La prima quindicina del mese 1a L’evolversi del fronte e la conta dei danni Il fronte stava avanzando verso ovest lungo la via Emilia, ma ogni fiume era un ostacolo: gli argini, spesso molto alti, servivano ai tedeschi come trincea difensiva ed imponevano agli alleati di …

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di Paolo Grandi

1. La prima quindicina del mese

1a L’evolversi del fronte e la conta dei danni

Il fronte stava avanzando verso ovest lungo la via Emilia, ma ogni fiume era un ostacolo: gli argini, spesso molto alti, servivano ai tedeschi come trincea difensiva ed imponevano agli alleati di esporsi al fuoco nemico per avanzare. Grande fu il tributo di sangue, reso per lo più dai soldati inglesi facenti parte del Commonwealth. Dal 3 al 15 dicembre infuriò la battaglia per la conquista di Faenza che fu liberata il 17 dicembre dalle truppe neozelandesi, mentre i tedeschi già da due giorni si erano ritirati al di qua del Senio, ove, lungo il suo corso, si sarebbe stabilizzato il fronte. Certamente l’esercito tedesco era ridotto quasi allo stremo ma essi erano consapevoli che se si fosse rotto qui il fronte non sarebbe stato per loro possibile creare una valida difesa fino al Po. Si parlava del basso morale delle truppe, Maria Landi racconta che, addirittura, i tedeschi avevano requisito quasi tutti i veicoli a due ruote e li avevano stesi per le campagne con un palo centrale messo in maniera che sembrasse un cannone per far credere agli Alleati in una potente batteria di difesa! Ma i Tedeschi erano fermamente convinti che Hitler avrebbe di lì a poco adoperato la “nuova arma” che avrebbe invertito le sorti delle guerra.
Il centro di Castel Bolognese fu oggetto di tiri di artiglieria e bombardamenti quasi quotidiani a partire dal 1 dicembre. Franco Ravaglia nel suo diario annota incursioni aeree alleate con bombardamenti in centro nei giorni 1, 4, 10 e 15 dicembre e caduta di granate il 2, 5, 6, 7, 8, 9, 11 e 15 sul centro abitato, il 3 al Ponte del Castello ed il 9 nelle campagne. L’8 dicembre, solitamente festa grande per l’Immacolata, furono danneggiate le chiese di San Petronio per la prima volta, di San Francesco e del Suffragio. Colpiti anche tutti i campanili. Il Suffragio fu addirittura crivellato, mentre San Francesco fu colpita in tutte le sue parti in modo orribile. I tedeschi, che affollavano il centro, intanto facevano razzia nelle case, asportando tutto ciò che capitava utile, mentre nelle chiese arrivarono pure a gesti sacrileghi sfondando tutte le mense degli altari in San Francesco immaginando trovarvi chissà quali tesori e violando anche il grande armadio del Reliquiario; nella chiesa del Suffragio razziarono tutta la cera per illuminare i loro rifugi. A metà del mese la cella campanaria di San Francesco crollò trascinando nella rovina il presbiterio ed il settecentesco coro ligneo, mentre più di un terzo dell’abside dell’Arcipretale precipitò sotto i colpi di artiglieria devastando parte dell’altare maggiore e la bancate del coro. Anche gli edifici privati e pubblici del centro e del Borgo subirono in questo periodo danni anche ingenti.
Qua e là negli immediati dintorni del centro si vedevano grandi fuochi ardere le case saccheggiate o bruciate per rappresaglia. In ogni dove continuavano le razzie e furono visti i soldati germanici impacchettare stoviglie, bicchieri, posate o piccole cose d’arredo per spedirle a casa.

1b La vita dei civili

Pian piano, già a partire dagli ultimi mesi di novembre, tutte le cantine del centro storico poste sulla via Emilia, su via Garavini e sulle altre strade laterali si riempirono di sfollati. La gente si rifugiava là con ciò che poteva servirgli e che aveva di più caro, abbandonando al loro destino le proprie case. L’opinione generale, tuttavia, era che nel giro di una settimana, dieci giorni al massimo la buriana sarebbe passata. Tra le cantine più gremite vi erano quelle delle Monache Domenicane poste verso la via Emilia; qui già da metà novembre si erano rifugiati molti abitanti della Pace fuggiti dalle case poste a ridosso del fiume e a metà dicembre giunse pure il parroco don Vincenzo Zannoni con la propria famiglia e altri parrocchiani. L’8 dicembre i tedeschi portarono nella medesima cantina su interessamento di Mons. Sermasi, con l’inganno perché era stato promesso loro il ritorno a casa, sette Ancelle del Sacro Cuore di Faenza con trenta orfanelle della Piccola Opera della Divina Provvidenza di età compresa tra i 2 ed i 18 anni, tutte sfollate a Celle. Per propria sicurezza, i tedeschi misero in comunicazione tutte le cantine tra l’8 ed il 15 dicembre. Nelle cantine si viveva di stenti cercando tuttavia una possibile normalità, qualche famiglia aveva portato la cucina che condivideva con altri; la luce era assicurata da lumi a petrolio o a carburo oppure dalle candele; acqua e servizi igienici non esistevano ed occorreva uscire col pericolo sempre in agguato.

1c L’ospedale e il sacrificio di Moschetti e Donati

Il 7 dicembre il dott. Carlo Bassi decise di trasportare nelle cantine centrali dell’Ospedale tutte le attività di cura, degenza ed operatorie. Nella cantina posta sotto l’ala sud furono ospitati i Cronici, le Orfanelle dell’Orfanotrofio Ginnasi, le partorienti e gli infettivi. Nella cantina centrale furono ospitati i degenti, il tavolo operatorio ed un a stufa ove erano messi a sterilizzare i ferri chirurgici e le siringhe, mentre in quella adibita a cucina stavano il Cappellano, le Suore di Carità, oltre alla Squadra di Pronto Soccorso che ebbe in quei giorni il suo tributo di sangue. Il 15 dicembre, mentre alcuni di loro si soffermavano nell’atrio della porta d’ingresso dell’Ospedale, osservando un aeroplano alleato che volteggiava nel cielo, dal medesimo fu sganciata una bomba che cadde proprio nel mezzo della strada non lontano dal luogo dove essi sostavano. Due di essi un po’ più esposti furono colpiti in pieno dalle schegge: Antonio Donati e Pierino Moschetti (quest’ultimo era il capo squadra) decedettero all’istante.

1d La vita religiosa

Don Garavini nella sua cronaca descrive questi frangenti come il periodo delle Catacombe. Infatti, il 2 dicembre fu celebrata l’ultima funzione in San Petronio: il funerale di Francesco Paolo Liverani. Poi tutte le celebrazioni religiose si trasferirono nelle cantine. Quasi tutti gli abitanti rifugiati là sotto facevano a gara per avere la Santa Messa che naturalmente si celebrava or qua or là solo a turno, dovendo portare pure ogni volta tutto l’occorrente. Per queste si prestavano continuamente l’Arciprete mons. Sermasi, il parroco della Pace e il padre Damiano Cappuccino. Nelle cantine poi vi era un certo numero di sacerdoti rifugiatisi dalle parrocchie di campagna che collaboravano con l’Arciprete, come don Francesco Preti parroco di Campiano che ebbe chiesa e canonica bombardate, il Priore di Valsenio Don Bosi, Don Pasquale Budini, Don Pasquale Cani, don Cleto Venturi della diocesi di Faenza, alcuni seminaristi come Italo Drei, Carlo Marabini e Giuseppe Dal Pozzo. I frati Cappuccini erano rifugiati in una delle loro cantine, mentre le altre erano state requisite dai tedeschi.

2. Un triste Natale

2a La sosta sul Senio e gli ulteriori danni; addio ai campanili

Tra il 15 e il 19 dicembre il fronte si attestò definitivamente sul Senio; il giorno 16, come ricorda Maria Landi, toccò al ponte della Via Emilia sul Senio, che da secoli valicava il fiume ed aveva inglobato lacerti romani, essere vittima della distruzione e poco dopo fu anche fatto saltare il vicino ponte ferroviario. Intanto in centro continuavano i tiri alle chiese, ai campanili e le distruzioni di case e palazzi. Franco Ravaglia informa che in questa seconda parte del mese non vi furono incursioni aeree ma solo tiri incrociati di granate quasi quotidianamente ed a volte anche nella notte. Naturalmente gli obiettivi principali erano i campanili e la torre, possibili luoghi di vedetta.
Il 24 dicembre, giorno solitamente dedicato ai preparativi del Natale, verso mezzogiorno crollò per un buon terzo il campanile di S. Petronio distruggendo il cornicione, l’organo (un prezioso Traeri), il parapetto dell’orchestra, e sprofondando nei gradini dell’altare e nel presbiterio. Il colpo ferale al campanile di San Petronio fu sparato da un militare di origine polacca: Henryk Strzelecki (1925-2012). Costui, disegnatore di moda in tempo di pace, abbandonata l’idea di tornare nella natia Polonia piombata nel comunismo, si trasferì in Gran Bretagna e lì, mutato il nome in Henri Strzelecki fondò nel 1963 a Manchester insieme ad Angus Lloyd la famosa firma di moda Henri Lloyd. Lo Strzelecki tornò due volte a Castel Bolognese tra gli anni ’90 ed i primi del presente secolo recandosi dall’allora Arciprete per consegnare una somma “in riparazione” dei danni da lui causati al campanile. Anche la chiesa delle Domenicane, in una notte di poco precedente al Natale, subì una grave offesa restando in parte scoperchiata. Nella notte del 29 dicembre i tedeschi minarono e fecero saltare in aria campanile e sacrestia di San Francesco; la notte seguente toccò al Suffragio. La Torre civica, ferita e in parte smozzicata, rimase al momento l’unica guardiana di Piazza Bernardi.

2b La vita dei civili e l’eccidio di Biancanigo

Così racconta Maria Landi “Nel buio più assoluto caricammo su un carretto di fortuna le nostre povere cose: la stufa, quattro reti per il letto con i materassi, pentole, tegami e tutto quello che avevamo in casa di commestibile, qualche fagotto con lenzuola e vestiti, il maiale ucciso al momento, le galline dentro un sacco. Noi avevamo indossato un doppio cambio di indumenti ed in una tasca nascosta avevamo i soldi: i risparmi di una vita. E così ci incamminammo verso Castello”. Così descrive la cantina delle Domenicane don Garavini: “La cantina rigurgita di tutte le sorti: oltre i giacigli per gli sfollati, e un po’ di bottame con relativo vino, reti, brande, sofà, sedie, attrezzi da cucina, gli scarsi viveri che sinora si sono potuti salvare, l’ingombrano in gran parte valige e involti che si celano un po’ dappertutto. Non c’è altro che un piccolo passaggio in mezzo per consumare i magri pasti”.
Il parroco di Biancanigo, don Tambini, aveva issato sul campanile il vessillo giallo/rosso vaticano e, in una qualche maniera, riuscì a salvare chiesa e canonica benché fossero a due passi dal Senio. Non fu così invece per i rifugiati nelle cantine di Villa Rossi, a pochi metri dall’argine del Senio. Lì vi erano rifugiate in due cantine non comunicanti, nella prima un certo numero di cieche con la Direttrice ed alcune inservienti provenienti dall’Istituto Ciechi di Bologna, dall’altra le famiglie Montanari. Cristoferi e Lama, le prime due coloni dei poderi annessi alla villa. Quando i tedeschi decisero di far saltar il complesso, avvisarono le cieche, che si rifugiarono in fretta e furia nella canonica di Biancanigo, ma non i coloni che, solo per caso, si accorsero all’alba che la villa era stata minata ed un Montanari tagliò i fili delle mine cosa che tuttavia non fu sufficiente a salvare i rifugiati: poco dopo la villa saltò in aria seppellendo ventuno innocenti di età compresa tra gli 84 ed i 2 anni.
Poco prima di Natale i tedeschi minacciarono lo sfollamento delle Via Garavini, Borghesi e Roma dal macello fino alla Filippina. Ma su interessamento e con l’insistenza dell’Arciprete Sermasi presso il comandante della Piazza fu sventato il pericolo, perché una volta sfollate le case, i tedeschi vi sarebbero entrati facendo man bassa di tutto.

2c Natale in cantina

Parecchie Messe furono celebrate nell’altarino della sacrestia dalla Domenicane, una delle quali dal parroco della Pace, cantata dalle Suore e dalle orfanelle rifugiate in cantina una delle quali, racconta Maria Landi, aveva una bellissima voce. L’ultima delle 10 fu celebrata da don Garavini all’altare maggiore della Chiesa, sfidando i pericoli del caso. In tante cantine di Castel Bolognese fu celebrato il Natale dai vari Sacerdoti presenti in città con partecipazione e devozione, riferisce Angelo Donati, i cui figli prepararono anche il Presepe in cantina.

2d Una Rifugiata particolare

Don Antonio Garavini era sordo, perciò non sentiva i rumori dei bombardamenti e per questo motivo li sfidò cercando di salvare il più possibile arredi sacri e opere d’arte presenti nelle chiese castellane. A lui si deve la messa in salvo di tutti i reliquiari presenti nel grande armadio dell’altare di San Francesco, poi devastato dalle bombe. Non riuscì tuttavia a salvare le opere d’arte presenti nella chiesa del Suffragio, in particolare la grande tela del Cignani.
Ma il 31 dicembre una rifugiata d’eccezione andò ad aggiungersi alla folla presente nelle cantine delle Domenicane: verso le ore 14 fu prelevata dalla chiesa di San Francesco l’Immagine della Madonna della Concezione, Patrona principale di Castel Bolognese e del suo territorio e fu portata nella cantina delle Domenicane, a fianco dell’altare posticcio, qui posta sopra il basamento processionale. Davanti a Lei don Zannoni, all’imbrunire cantò il Te Deum con la Benedizione Eucaristica e tutti quella notte si coricarono con la speranza che il nuovo anno portasse l’alba del nuovo giorno.

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Novembre 1944: l’inizio dell’apocalisse https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/novembre-1944-linizio-dellapocalisse/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/novembre-1944-linizio-dellapocalisse/#respond Wed, 20 Nov 2024 14:30:36 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12048 di Paolo Grandi Ai primi di novembre 1944 il fronte finalmente raggiunse a Forlì ma per liberare la città ci vollero addirittura alcuni giorni e così mentre l’aeroporto fu conquistato nella notte tra il 7 e l’8 novembre, i carri armati della North Irish Horse entrarono in Piazza Saffi solo …

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di Paolo Grandi

Ai primi di novembre 1944 il fronte finalmente raggiunse a Forlì ma per liberare la città ci vollero addirittura alcuni giorni e così mentre l’aeroporto fu conquistato nella notte tra il 7 e l’8 novembre, i carri armati della North Irish Horse entrarono in Piazza Saffi solo sabato 11. Il meteo non aiutò sicuramente l’avanzata: dopo l’esondazione del Senio a fine ottobre, sono segnalate piogge abbondanti per tutta la prima decade e poi tutto il mese continuò con brevi sprazzi di sereno e tanto maltempo.
Nelle campagne di Castel Bolognese i tedeschi erano in piena attività per rafforzare le difese, piazzando ovunque pezzi di artiglieria e sparando pesantemente a lunghi intervalli verso levante; ad ogni tiro rispondeva l’artiglieria inglese. Le case di campagna lungo il Senio furono in gran parte state fatte sfollare ed i contadini si rifugiarono dove possibile, ma essendo autunno inoltrato e in previsione dell’inverno cercarono riparo nelle cantine cittadine. I guastatori tedeschi seminarono le mine e scavarono ovunque buche e trincee per posizionarvi cannoni e mitragliatrici. Angelo Donati tuttavia segnala che il morale della truppa era basso, spesso questi soldati erano laceri ed affamati ed assieme agli Ufficiali dediti al vino e alle ubriacature. La popolazione di campagna era atterrita: gli animali da cortile furono facile preda per gli oppressori e le povere “Arzdore” costrette, anche sotto il tiro delle armi a cucinarli per la truppa. In città invece i maschi presenti, specie i più giovani non ancora atti al servizio militare o gli anziani ancora attivi erano oggetto di rastrellamento da parte degli occupanti ed erano costretti al lavoro forzato per esigenze militari.
Mezzi corazzati furono posizionati anche nel centro urbano. Angelo Donati riferisce che un carro armato si muoveva in città sparando da punti diversi per non farsi individuare. Secondo don Garavini ve n’era più d’uno, rifugiati sia sotto i loggiati di Palazzo Mengoni che sotto quelli della via Emilia ed uno, manovrando, urtò la Torre civica, quasi ai piedi dell’arco verso la piazza producendovi una grave lesione. Qualche testimone riferisce che un carro armato sprofondò nella cantina dell’osteria di Badò sulla via Emilia.
“Pippo” intanto continuava a volare quasi quotidianamente, segnando la linea del fronte e gli obiettivi da colpire; di giorno fioccavano le granate inglesi che caddero in gran parte nelle campagne. La notte, i riflettori germanici puntavano sulle colline vicine al Senio facendo tutto il giro della cerchia fino alla Vena del gesso e verso Bologna; e perciò spesso non c’era pace per i castellani, svegliati dalla sirena perché giungevano sempre numerose le granate inglesi; quindi molti preferirono iniziare a trascorrere la notte nelle cantine. I tiri incrociati di artiglieria si intensificarono nella seconda metà del mese ed il giorno 28 novembre, come annota il giovane Franco Ravaglia nel suo diario, caddero le prime due granate nel centro di Castel Bolognese. L’attività si ripeté anche nei giorni seguenti ove vi furono pure bombardamenti che provocarono gravi danni specialmente nel Borgo, e qualche ferito. I primi feriti del centro, trasportati dalla Squadra di Pronto Soccorso, furono Igino Sgalaberni ed Aldo Castellari. Curioso il loro ferimento: lo Sgalaberni gestiva assieme alla moglie Romana Zannoni una tabaccheria sotto il portico della Via Emilia, adiacente all’attuale Farmacia Ghiselli. Lo spaccio era chiuso ed i gestori assieme al Castellari si trovavano in cucina, posta nel retrobottega. Cadde una granata sulla via Emilia ed una scheggia trapassò la saracinesca e la vetrina della tabaccheria, si diresse in cucina sfondandone la porta, si piantò nella coscia dello Sgalaberni, trapassandola e poi fermandosi nella gamba del Castellari. Ma le schegge provocarono anche una vittima, seppur non umana: il maiale che le Monache Domenicane avevano ingrassato nel loro cortile e che contavano di macellare per Sant’Antonio.
Dato che il centro urbano era diventato un bersaglio per i bombardieri e quindi era necessario liberare i luoghi colpiti dalle macerie, salvare i feriti, recuperare i morti e mettere in sicurezza le rovine, il 30 novembre il Commissario Prefettizio del Comune mobilitò Arnaldo Cavallazzi perché costituisse e dirigesse la squadra di soccorso dell’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), che senza alcun compenso si occupò di dare questi soccorsi e inoltre svolse servizio antincendio e anticrollo, tra molti pericoli (lo stesso Cavallazzi restò ferito a un piede da una scheggia di granata, e due componenti della squadra, tra cui suo genero Ariovisto Liverani, morirono). Salvò inoltre dalla completa distruzione l’Archivio comunale e l’affresco di Girolamo da Treviso della Chiesa di S. Sebastiano, colpita dai bombardamenti. La Squadra UNPA operò fino al 15 maggio 1945.
Anche l’Ospedale, pur tra enormi difficoltà, continuava a rendere il suo servizio sotto la direzione del dott. Carlo Bassi, il quale, così riferiva mio padre, non disdegnò di salvare qualche sospetto collaborazionista e/o antifascista ricoverandolo in Ospedale e facendolo poi trasferire a Imola per maggior sicurezza, naturalmente rischiando anche la vita. E sempre mio padre riferiva che capitò una di queste persone che occorreva trasferire in fretta a Imola, compito in quel momento ancora riservato alle ambulanze dell’Esercito Tedesco. Il Capo Posto Militare tuttavia, vedendo il (finto) ammalato, non ne ritenne così urgente il trasferimento ed ebbe un alterco col dott. Bassi, il quale, di tutto punto, vergò un certificato medico ove lo si diceva affetto da una malattia contagiosa (ed i Tedeschi erano terrorizzati di essere contagiati da qualsiasi malattia) e grave che clinicamente si nominava cutis anserina (pelle d’oca!). Il soldato non capì l’inganno e tosto un’ambulanza partì di gran carriera per l’Ospedale di Imola con il finto ammalato.
In novembre continuarono anche i saccheggi promossi dai tedeschi ma seguiti dalla popolazione: il primo novembre toccò alla villa Centonara, sul viale Cairoli e alla segheria dei fratelli Villa al Serraglio; il giorno seguente fu preso di mira il laboratorio di maglieria della ditta “Sgarbanti” di Bologna, posto nel Palazzo Ginnasi sulla via Emilia. Prima cominciarono a svaligiare i tedeschi, in seguito sempre in base al principio che “se non la prendo io la portano via o la distruggono i tedeschi” una vera folla imbestialita diede l’assalto al residuo.
Nonostante l’incombente pericolo si tennero ugualmente le Funzioni per il giorno dei Santi e dei Morti e nella chiesa del Suffragio, riparata e tamponata nelle varie parti lesionate la notte del 28 settembre, si celebrò anche l’Ottavario dei Defunti. La terza domenica di novembre si fece l’ultima festa in San Petronio: quella di Sant’Omobono e la sera del 28 novembre in un San Francesco già lesionato iniziò la Novena dell’Immacolata, che tuttavia si interruppe dopo tre giorni a causa dei bombardamenti.
Verso fine mese Brisighella fu liberata ed il comando alleato stava pensando ad una sosta del fronte per far passare l’inverno. I Castellani ricevettero la notizia tramite “Radio Londra” che si ascoltava nelle cantine e sperarono che ciò avvenisse dopo la liberazione della nostra città. Ma non fu così e l’apocalisse maturò nei mesi successivi.

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Ottobre 1944: la guerra inesorabilmente si avvicina https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/ottobre-1944-la-guerra-inesorabilmente-si-avvicina/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/ottobre-1944-la-guerra-inesorabilmente-si-avvicina/#comments Thu, 17 Oct 2024 16:07:24 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=12003 di Paolo Grandi Nell’ottobre 1944 il fronte stava lentamente avanzando sulla via Emilia, mentre nel nostro Appennino i Tedeschi erano stati cacciati dalle alte valli del Lamone, del Senio e del Santerno e procedevano, anche qui molto lentamente, verso la pianura. Così Firenzuola fu liberata il 19 settembre ma a …

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di Paolo Grandi

Nell’ottobre 1944 il fronte stava lentamente avanzando sulla via Emilia, mentre nel nostro Appennino i Tedeschi erano stati cacciati dalle alte valli del Lamone, del Senio e del Santerno e procedevano, anche qui molto lentamente, verso la pianura. Così Firenzuola fu liberata il 19 settembre ma a causa del bombardamento anglo americano del precedente giorno 12 il centro venne quasi raso al suolo; Palazzuolo su Senio fu liberato il 24 settembre ed il giorno successivo toccò a Marradi. L’obiettivo principale delle forze anglo-americane era in questo momento conquistare Forlì. La città romagnola aveva un duplice significato: era la città del Duce e la sua liberazione era un segnale forte nei confronti dell’oppressore ma anche verso gli italiani: liberando la città di Mussolini, si sarebbe liberata l’Italia tutta. L’altro, forse più importante obiettivo era quello di impadronirsi del suo aeroporto che con la pista in cemento poteva essere usato in qualsiasi stagione; inoltre era il primo aeroporto disponibile nella pianura padana. Tuttavia, gli alleati incontrarono una strenua resistenza dell’esercito germanico che fu cacciato da Forlì solo nei primi giorni di novembre.
Castel Bolognese quindi si trovava nelle retrovie, a poco meno di 30 kilometri dal fronte e doveva ora fare i conti con un nemico germanico sempre più agguerrito e maldisposto nei confronti della popolazione inerme e alle Brigate Nere che andavano rastrellando le campagne in cerca di renitenti alla leva, collaboratori e partigiani.
Durante i primi giorni d’ottobre a Tebano vi furono scene di terrore: persone fucilate sommariamente, case saccheggiate e incendiate, abitanti prelevati e trasportati come delinquenti alla villa di San Prospero, che si trova all’inizio della strada di Castel Raniero, dov’era il comando delle Brigate Nere agli ordini del famigerato faentino Raffaele Raffaeli; qui restarono in attesa di giudizio e di condanna. Tra i prigionieri c’era pure don Antonio Lanzoni parroco di Montecchio sopra la Pideura, in Diocesi di Faenza, ottantenne, accusato di aver dato rifugio in Canonica a partigiani; nelle settimane successive fu portato a Bologna e là venne fucilato. Anche a Biancanigo il 6 ottobre parecchi uomini e donne furono prelevati dalle loro case e internati nel cortile della chiesa con la scusa del controllo dei documenti. Solo verso l’imbrunire, dopo una giornata passata sotto la pioggia e a digiuno, il Raffaeli arrivò per il controllo, tuttavia alcuni, con la complicità di don Tambini, il parroco, riuscirono a fuggire, mentre altri vennero trasportati alla villa San Prospero.
Il 28 settembre, verso le 23 tutta la città fu svegliata da ripetuti e furiosi rimbombi. Da un apparecchio alleato proveniente da ovest e diretto verso est furono sganciate tre bombe: una in Piazzale Poggi, una davanti alla Torre dell’orologio che colpì il Caffè della Torre, una terza presso la casa detta dei “Camerini” di là dagli orti. Il terrore fu indescrivibile. Gli abitanti e gli sfollati fuggirono all’aperto e molti cercarono rifugio nelle trombe dei due campanili di San Petronio e di San Francesco. Si interruppe anche la corrente elettrica. Per fortuna non vi fu alcuna vittima, ma danni gravissimi specialmente ai fabbricati della “Fonda” (ove sorge oggi la Biblioteca Comunale, allora Convento delle Agostiniane), in Piazza Bernardi e in Via Garavini. La chiesa del Pio Suffragio ebbe la porta e tutte le imposte spalancate per la violenza dello scoppio e tutto il porticato della facciata fu tempestato dalle schegge che forarono persino i muri interni e i quadri della chiesa. Una di queste andò a conficcarsi tra lo stipite e la porta maggiore dell’Arcipretale. Tutte le vetrate delle altre chiese e di tanti edifici pubblici e privati si frantumarono.
Il 15 ottobre nel pomeriggio fecero irruzione in centro i militi delle Brigate Nere, bastonando e rastrellando a più non posso, mentre in serata venne saccheggiata barbaramente e quasi con ferocia inaudita dai civili, su istigazione dei tedeschi, la stazione ferroviaria; qui infatti era stato rifugiato del materiale dalla stazione di Bologna: soda, lampadine elettriche, filo metallico e altro. Di tutto si fece tabula rasa. Nei giorni seguenti passarono i guastatori tedeschi e distrussero tutti i pubblici servizi: telegrafi, telefoni ecc. Anche l’edificio della stazione ferroviaria fu fatto saltare con un’esplosione terribile.
Infine, il 21 ottobre le Brigate Nere arrestarono un barbiere del centro assieme al figlio; i due furono portati a Faenza e con loro furono arrestate anche le sorelle Cavallazzi, proprietarie di una tipografia, accusate di propaganda sovversiva forse solo perché figlie dell’anarchico Raffaele. Ma anche sul barbiere i fascisti fecero un errore: invece di prelevare Luigi Baldrati, Lissorum, noto comunista, che aveva la bottega sulla via Emilia sotto i portici a monte, portarono via dalla sua bottega nei portici a valle il barbiere Ernesto Rani assieme al figlio adolescente. Mentre le due donne ed il giovane furono rilasciati quasi subito, Ernesto Rani fu a lungo interrogato, bastonato e torturato, ma essendo la persona sbagliata non rilasciò alcuna dichiarazione. Fu liberato una settimana dopo.
Maria Landi ricorda che a settembre non riaprirono le scuole. I contadini provvidero comunque a vendemmiare e a seminare con grave rischio e pericolo. Durante il mese di ottobre piovve oltre ogni norma ed il Senio tracimò nei pressi del Ponte del Castello allagando campi ed alcune case di quella frazione. Purtroppo molti abitanti del luogo, che avevano scavato buche per seppellire le loro cose più care, magari anche di parenti lontani e di amici, le persero perché quelle buche si riempirono di mota che rovinò ogni cosa, subendo così la beffa di non aver perso i propri beni per la guerra ma per un’alluvione.

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2 e 3 luglio 1944: vengono bombardate le stazioni ferroviarie di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/2-e-3-luglio-1944-vengono-bombardate-le-stazioni-ferroviarie-di-castel-bolognese/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/2-e-3-luglio-1944-vengono-bombardate-le-stazioni-ferroviarie-di-castel-bolognese/#respond Fri, 12 Jul 2024 16:39:34 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=11782 di Paolo Grandi Passata la paura dei primi giorni di marzo la sensazione generale fu che la guerra si stesse avvicinando. Quasi quotidianamente la sirena, sistemata dal Comune sulla Torre Civica, lanciava il suo lugubre e straziante urlo, avvisando del pericolo imminente e la popolazione si rifugiava dove poteva, specie …

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di Paolo Grandi

Passata la paura dei primi giorni di marzo la sensazione generale fu che la guerra si stesse avvicinando. Quasi quotidianamente la sirena, sistemata dal Comune sulla Torre Civica, lanciava il suo lugubre e straziante urlo, avvisando del pericolo imminente e la popolazione si rifugiava dove poteva, specie nella campagna, per timore dei bombardamenti che, tuttavia, risuonavano ancora lontani. Anche fare scuola, racconta Angelo Donati, si era fatto difficile e spesso le lezioni terminavano sotto le acacie, lontano dal centro cittadino. I militari tedeschi si impadronirono di molte case di campagna ed i residenti furono spesso costretti a sfollare. Anche in cielo appariva sempre più di frequente il ricognitore alleato che a volte mitragliava anche qua e là; la gente lo chiamava scherzosamente “Pippo”.
Ma domenica 2 luglio ed il successivo lunedì 3 un pesante bombardamento colpì le due stazioni ferroviarie di Castel Bolognese. Quella delle Ferrovie dello Stato fu resa inservibile interrompendo così sia i collegamenti con Bologna e Rimini che quelli con Ravenna; Una voragine si formò al posto dei primi due binari di corsa, il fabbricato della stazione venne pesantemente danneggiato e quello del ristorante subì notevoli danni. Anche il deposito delle locomotive e la “Casona”, un grande edificio, forse nato come deposito delle carrozze, posto in prossimità del passaggio a livello di via Lughese e destinato a deposito di materiale per l’allestimento dei treni per le truppe furono quasi rasi al suolo. Non si salvò dal fuoco dei bombardieri inglesi neppure la piccola stazione della Ferrovia di Riolo, ormai fuori servizio da un decennio e trasformata in abitazione privata, che fu colpita tanto da essere sventrata.
Anche le Monache Domenicane, rifugiatesi nelle proprie cantine ove pure spesso passavano la notte, restarono atterrite dal cupo rombo dei motori degli aerei che le sorvolavano e quel 2 luglio buona parte delle vetrate del Monastero andò in pezzi. Siccome il pericolo aumentava di giorno in giorno e la situazione delle Religiose si stava facendo piuttosto preoccupante, per consiglio e con l’aiuto della Autorità Ecclesiastica, l’8 luglio diciotto suore furono sfollate a Bagnara di Romagna; tra costoro le più giovani e alcune ammalate, bisognose di continua assistenza. Con loro partirono la Madre Priora Suor Maria Luisa Cenni e la Maestra del Noviziato Suor Maria Teresa Moro. Il dolore del distacco tra le consorelle che si rifugiavano in luoghi ritenuti più sicuri (ma di fatto non sarebbe stato così) e quelle poche che restavano nel pericolo a guardia del Monastero e delle cose ivi esistenti, fu commovente e foriero di qualche lacrima. Le consorelle sarebbero rientrate solo a guerra conclusa.
Questi primi bombardamenti poi misero in luce la necessità di organizzare un soccorso ai feriti che, in questi primi momenti, erano lasciati alle cure dei famigliari. L’Arciprete don Giuseppe Sermasi, assieme alle Opere Pie Raggruppate, promosse l’iniziativa di istituire un servizio di Pronto Soccorso feriti, al quale aderirono per lo più i giovani dell’Azione Cattolica. La Squadra, sotto la direzione di Pierino Moschetti, si costituì il giorno 20 luglio 1944; il dott. Amos Bargero, delegato locale della C.R.I., ne assunse la presidenza.
Infine, anche la gente si cominciava a preparare per salvare il salvabile: Maria Landi ricorda che in campagna, in previsione dell’avvicinarsi del fronte, in tutte le case si cominciò a scavare buche sia nei pavimenti delle stanze che all’esterno per preservare il più possibile le cose ed i ricordi di famiglia.

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10 marzo 1944: 80 anni fa il primo bombardamento di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/10-marzo-1944-80-anni-fa-il-primo-bombardamento-di-castel-bolognese/ https://www.castelbolognese.org/fatti-storici/xx-secolo/seconda-guerra-mondiale/10-marzo-1944-80-anni-fa-il-primo-bombardamento-di-castel-bolognese/#respond Wed, 13 Mar 2024 19:27:21 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=11498 di Paolo Grandi Fino all’autunno del 1943 la guerra, che pur infuriava da più di tre anni, rimase lontano da Castel Bolognese. Quell’8 settembre nel quale gli altoparlanti e la radio annunciarono l’armistizio diede alla popolazione la speranza in una prossima fine del conflitto; ma il peggio per l’Italia tutta …

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di Paolo Grandi

Fino all’autunno del 1943 la guerra, che pur infuriava da più di tre anni, rimase lontano da Castel Bolognese. Quell’8 settembre nel quale gli altoparlanti e la radio annunciarono l’armistizio diede alla popolazione la speranza in una prossima fine del conflitto; ma il peggio per l’Italia tutta doveva ancora arrivare e quella gioia durò quanto un fuoco di paglia.
Anche a Castel Bolognese negli anni della guerra uomini e donne avevano donato le “fedi” di matrimonio per l’oro alla Patria poi gli oggetti di rame per uso domestico; infine nel maggio del 1943 toccò alle campane delle chiese che furono requisite per fonderne il bronzo a favore dell’industria bellica.
Proprio in quel settembre 1943 dal nord Italia scesero molti soldati tedeschi che si impossessarono delle città ed anche Castel Bolognese. Qui, racconta Maria Landi: arrivarono un’automobile ed una motocicletta con alcuni ufficiali i quali diedero le consegne e condizioni al Podestà, ai Carabinieri, al personale della ferrovia. Era la prima volta che gli elmetti germanici apparivano tra di noi e poco a poco occuparono ogni spazio ed ogni casa.
Fu imposto il coprifuoco, cosicché la Messa di Natale fu celebrata in un San Petronio semibuio alle diciassette del 24 dicembre, seppur animata dai soldati tedeschi che cantarono Stille Nacht, fra le reminiscenze del “Sant’Ambrogio” di Giuseppe Giusti. Ma il nuovo anno era carico di venti di guerra.
Il 14 febbraio 1944, poco dopo le ore 13, preceduto dal passaggio di un nugolo di aeroplani anglo-americani, si udì un formidabile scoppio che terrorizzò tutta la popolazione. Per sfuggire alla caccia tedesca essi liberarono nove bombe che caddero e scoppiarono in mezzo ai campi presso la località “La Selva” in comune di Imola, poco oltre la Torretta, senza apportare danni all’infuori di qualche vetro frantumato.
Ma il 10 marzo, come ricorda don Antonio Garavini nella cronaca parrocchiale (1), Castel Bolognese ebbe il suo battesimo del fuoco: la sera verso le 22.20 si udì uno scoppio che fece tremare tutti i vetri e dopo dieci minuti un altro più forte e più prossimo. Il primo era avvenuto nella vicina stazione ferroviaria di Faenza, il secondo nel nostro Borgo, quest’ultimo fortunatamente senza vittime. Un autocarro che stazionava nel Borgo coi fari accesi fu mitragliato da un aereo alleato; il bersaglio fallì perché il camion restò illeso ma i proiettili caddero sopra le ultime case del Viale dei Cappuccini abitate tutte da operai. Le schegge si conficcarono nei muri e si sparsero un po’ dovunque. L’unico danno un po’ sensibile, oltre una buona dose di spavento, fu la caduta di alcune pietre dentro la stanza del giovane barbiere Peppino Roda, degente a letto da parecchi mesi per il mal di cuore. Esse caddero proprio vicino al letto, senza minimamente toccarlo. Da quella notte le poche luci pubbliche schermate furono spente, e il buio più completo regnò in tutto la città.
Pochi giorni dopo, il 22 marzo e per la prima volta, verso le 14,30 suonò l’allarme anche a Castel Bolognese mediante la campana maggiore dell’Arcipretale, salvatasi dalla requisizione. Poco dopo, proveniente da est, passò in più ondate a quota altissima una fitta formazione di apparecchi anglo – americani in direzione ovest, valutata tra i 200 ed i 400 velivoli. Si accese sul cielo della città una lotta tra un apparecchio alleato ed un caccia tedesco che ebbe la peggio, fu abbattuto e precipitò in aperta campagna presso il monte della Giovannina vicino a Campiano. Il pilota si salvò col paracadute, andando a finire alla Serra. La popolazione, terrorizzata, in parte fuggì in aperta campagna, altra si rifugiò nei sotterranei. I negozi rimasero chiusi per più ore e rari passanti si videro per le strade. Poi, allontanatisi gli apparecchi, come se fossero a poca distanza, rintronarono i colpi delle bombe, scuotendo fragorosamente le vetrate e perfino il suolo. Sulle 17 vi fu il ritorno della formazione aerea che attraversò il cielo senza conseguenze, così la popolazione con un senso di sollievo ma sempre in preda a un certo panico tornò alle case e alle proprie occupazioni. Di lì a poco il campanone di San Petronio a distesa diede il segnale del cessato allarme.

(1) In realtà nella cronaca parrocchiale, probabilmente scritta qualche tempo dopo nel marasma che stava travolgendo il paese, don Garavini data il primo bombardamento all’11 marzo 1944. La vera data è il 10, come riporta Il Piccolo del 19 marzo che descrive la parte dell’episodio avvenuta a Faenza:
Faenza subisce la prima incursione aerea.
Circa le ore 22,15 di venerdì 10 corrente un aereo nemico [sic!] sorvolando la stazione ferroviaria lasciava cadere una bomba sul deposito macchine colpendo una locomotiva in pressione che scoppiava di schianto. Si sono avuti danni materiali, crollo di parte del fabbricato e del muro di cinta di fronte alla strada di San Silvestro e rottura di vetri e porte in stabili prospicienti e retrostanti la stazione stessa. Soprattutto si sono avuti a lamentare otto feriti e tre morti nelle persone dei ferrovieri Calderoni Domenico, Cecotti Armando e Maraci Enrico. Alle rimpiante vittime del dovere la cittadinanza, raccogliendo l’invito fattole con pubblico manifesto dal Commissario Prefettizio, ha tributato funerali imponentissimi”.
Domenico Calderoni è sepolto nel cimitero di Castel Bolognese. Nativo di Ravenna, risultava residente a Bologna ma, probabilmente, era domiciliato a Castel Bolognese
(nota a cura di Andrea Soglia)

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