Chiese Archives - La Storia di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/category/edifici-e-monumenti/chiese/ Thu, 11 Jul 2024 16:48:15 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 Riemerge l’antica porta del campanile di San Petronio https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/riemerge-lantica-porta-del-campanile-di-san-petronio/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/riemerge-lantica-porta-del-campanile-di-san-petronio/#respond Thu, 21 Sep 2023 20:11:33 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=11025 di Paolo Grandi La recente alluvione del maggio 2023 ha danneggiato anche il pavimento del campanile di San Petronio, facendolo infossare per alcuni centimetri, oltre a danneggiare l’intonaco delle pareti e la scala per la salita sia all’organo che alla cella campanaria. Per l’occasione don Marco Bassi ha pensato ad …

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di Paolo Grandi

La recente alluvione del maggio 2023 ha danneggiato anche il pavimento del campanile di San Petronio, facendolo infossare per alcuni centimetri, oltre a danneggiare l’intonaco delle pareti e la scala per la salita sia all’organo che alla cella campanaria. Per l’occasione don Marco Bassi ha pensato ad un completo restauro di quell’ambiente con relativa ridipintura che, pertanto, è stato liberato dalle suppellettili presenti ed in particolare da un grosso armadio posto di fronte al vecchio ingresso del campanile rendendolo nuovamente visibile.
Stando alle descrizioni presenti nel libro di padre Gaddoni e rapportandoci con la pianta ipotetica della precedente chiesa riportata in altra parte del presente sito nel capitolo “San Petronio – storia dell’edificio”, questa porta metteva in comunicazione l’angusta sacrestia della precedente chiesa con il campanile. Negli stipiti sono presenti due piccole nicchie che, comunque, sembra siano state modificate nel tempo: infatti quella di destra accenna ad una piccola volta superiore che in quella di sinistra pare cancellata.
Difficile ricostruire a cosa potessero servire. Due sono le ipotesi: se quel passaggio era l’unico accesso alla cella campanaria, allora forse esse servivano a nascondere le maniglie delle porte per rendere più largo il varco (peraltro abbastanza angusto); se era presente un’altra porta che offriva accesso al cortile (che potrebbe essere la medesima ancora presente oggi, seppur modificata in altezza) allora quelle nicchie potevano essere utilizzate entrambe come acquasantiere (ancora oggi è presente una nicchia con acquasantiera nello stipite della porta che collega la Sacrestia al Presbiterio) ovvero una come acquasantiera e la seconda per accogliere la maniglia della porta.
Naturalmente l’altezza del passaggio non è quella originale, poiché nel tempo, specie con la ricostruzione della chiesa avvenuta dopo il 1781 secondo il progetto del Morelli, il pavimento del campanile è stato alzato di alcune decine di centimetri per portarlo a livello di quello della Sacrestia e del Presbiterio. Infatti questa parte del campanile, fino all’incirca al piano ov’è l’accesso all’organo appartiene ancora alla costruzione quattrocentesca della precedente chiesa perché si volle preservare il campanile nella ricostruzione del nuovo tempio morelliano. La parte superiore del campanile, invece, risale al dopoguerra essendo stato bersaglio dell’artiglieria anglo-americana che lo fece crollare nella vigilia di Natale del 1944. Uno degli autori della distruzione fu Henryk Strzelecki (1925 – 2012), conosciuto anche come Henri Strzelecki, un soldato polacco facente parte dell’esercito britannico che nel dopoguerra fondò a Manchester assieme ad Angus Lloyd la famosa casa di moda Henri-Lloyd. Tra il 2000 ed il 2012 Strzelecki è venuto due volte a Castel Bolognese elargendo all’allora Arciprete mons. Dall’Osso una somma di denaro in “riparazione” dei danni al campanile.

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L’Oratorio di S. Antonio da Padova (Oratorio Galeati) nella parrocchia di Borello di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/loratorio-di-s-antonio-da-padova-oratorio-galeati-nella-parrocchia-di-borello-di-castel-bolognese/ Fri, 07 Jul 2023 20:22:50 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=10836 a cura di Maura Galdini Villa La storia di questo Sacro edificio è riportata nel primo volume delle Chiese della diocesi di Imola, frutto delle ricerche di Padre Serafino Gaddoni e dei suoi collaboratori, dato alle stampe nel 1927 “A breve distanza dalla chiesa del Borello, verso ovest, sul podere …

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a cura di Maura Galdini Villa

La storia di questo Sacro edificio è riportata nel primo volume delle Chiese della diocesi di Imola, frutto delle ricerche di Padre Serafino Gaddoni e dei suoi collaboratori, dato alle stampe nel 1927

“A breve distanza dalla chiesa del Borello, verso ovest, sul podere Casino Galeati e lungo la strada che va a Zello ed a Imola, si trova un piccolo oratorio (m. 6×4,50), a volta, di forma slanciata, con facciata a levante, dedicato a S. Antonio da Padova.
La sua erezione risale al 1692.
Due antiche e distinte famiglie della villa del Borello, i Galeati ed i Baldini, unite fra loro con vincoli di stretta parentela e molto devote di S. Antonio da Padova, sono quelle che lasciarono beni perchè venisse costruito sui propri possedimenti.
Domenico Galeati ed i fratelli Antonio e Giovanni Baldini fanno tutti e tre testamento il 26 agosto 1675 lasciando eredi Sebastiano e Francesco Galeati, con l’obbligo “di edificare ed erigere una chiesa sotto il titolo di S. Antonio da Padova nel comune del Borello sul podere delli detti meser Antonio e Giovanni in fondo il Passo della Volpe, sopra il crociato delle vie pubbliche, di lunghezza piedi 10 (m. 4,39), coll’esporre l’effigie di S. Antonio da Padova”.
Eleggono nella nuova chiesa la loro sepoltura, se pur sarà già costruita, altrimenti in quella del Borello, e dispongono di vari legati da soddisfarsi nel nuovo oratorio.
Don Domenico Maria Minarelli, parroco di Zello, amico dalla famiglia Galeati, con facoltà dell’ordinario, nonostante le proteste del rettore Bernardi del Borello, benedice la nuova chiesuola il 18 febbraio 1692.
Era denominato l’oratorio dei Baldini, e nel 1697 si celebravano in esso quattro messe la settimana e con solennità si festeggiava S. Antonio da Padova (inv. 1697). Francesco Galeati, uno degli eredi che ne curò l’erezione, trovandosi in punto di morte, il 26 marzo 1713 ottiene dal card. Gozzadini, vescovo d’Imola, d’essere sepolto nel proprio oratorio.
Don Pio Galeati fa collocare sopra il medesimo una piccola campana, fusa da Serafino Golfieri, e benedetta l’8 novembre 1833 dal vescovo Mastai Ferretti, la quale oggi si conserva sul vicino casino padronale.
Lo stesso Mastai visita il 19 giugno 1834 l’oratorio, dove trova il tumulo gentilizio della famiglia Galeati (V, P). Nel 1844 vi celebrò la prima messa don Sebastiano Galeati, che divenne poi arcivescovo di Ravenna e Cardinale.
L’ing. Giacomo (m. 1898), fratello del cardinale (m. 1901), è l’ultimo ivi sepolto.
Dopo la morte dell’uno e dell’altro l’oratorio passò in proprietà ai fratelli dott. Angelo, dott. Domenico e Bianca, figli di Giacomo i quali nel 1901 ne fecero vendita al loro cugino cav. avv. Giuseppe Tassoni in Bologna, figlio d’una zia paterna”.

A completamento delle notizie storiche possiamo aggiungere i ricordi di un parrocchiano, Carlo Galdini Villa: fino agli anni ’40 del secolo scorso erano in uso, il 13 giugno, la processione e la celebrazione in onore del Santo a cura dei giovani della parrocchia. La seconda guerra mondiale cambiò tutto: i giovani furono costretti a partire come soldati.
L’evento bellico provocò lutti in molte famiglie, il momento più drammatico fu negli ultimi mesi del 1944 fino alla liberazione del 12 aprile 1945: in molte case erano presenti i tedeschi e si era sotto continui bombardamenti da parte degli Alleati attestati lungo la Linea Gotica. In questo periodo la zona sepolcrale sita nell’oratorio venne usata come nascondiglio per il grano affinché i soldati tedeschi in ritirata non lo requisissero. I bombardamenti non lasciarono indenne l’oratorio: il tetto fu gravemente danneggato e, finita la guerra, l’ingegnere Francesco Tassoni ne curò il restauro, ma l’edificio non venne più utilizzato.
Nel 2018, su interessamento del parroco don Marco Bassi e della Comunità del Borello e grazie alla disponibilità dei proprietari si è ripreso nuovamente a celebrare la Santa Messa annuale in onore di S.
Antonio; ciò ha destato molto interesse nei parrocchiani più adulti che ricordavano le celebrazioni che vi si svolgevano. In questi ultimi anni i proprietari hanno fatto eseguire un accurato restauro per preservare questa piccola chiesa.

Aggiornamento luglio 2024. Per onorare Sant’Antonio da Padova, rinnovare la devozione che la comunità di San Cristoforo di Borello gli ha dimostrato negli anni come protettore dei giovani della Parrocchia e grazie all’ospitalità dei proprietari, sabato 13 luglio 2024 alle ore 19,00 sarà celebrata la Santa Messa nell’Oratorio Galeati.
Nota storica: 170 anni fa, il 21 settembre 1844 Sebastiano Galeati (Imola, 8 febbraio 1822–Ravenna, 25 gennaio 1901) fu consacrato Sacerdote dal Vescovo di Imola Giovanni Maria Mastai Ferretti (futuro Papa Pio IX) e celebrò la sua prima Santa Messa proprio in questo Oratorio; proseguì gli studi ecclesiali a Roma, ricoprì importanti incarichi in questa Diocesi, venne nominato da Papa Leone XIII Vescovo della Diocesi di Macerata e Tolentino il 4 agosto 1881, fu poi promosso alla sede metropolitana di Ravenna il 23 maggio 1887 e creato Cardinale il 23 giugno 1890.

Fotografie scattate da Francesco Minarini in occasione della Messa celebrata il 16 luglio 2022

Fotografie scattate da Maura Galdini Villa in occasione della Messa celebrata il 15 luglio 2023

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Francesco Fontana non fu l’architetto di San Francesco? Un’affermazione che attende ulteriori studi https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-francesco/francesco-fontana-non-fu-larchitetto-di-san-francesco-unaffermazione-che-attende-ulteriori-studi/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-francesco/francesco-fontana-non-fu-larchitetto-di-san-francesco-unaffermazione-che-attende-ulteriori-studi/#respond Tue, 27 Dec 2022 22:39:39 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=10192 di Paolo Grandi La recente pubblicazione, a firma di Andrea Ferri e di Mario Giberti “La chiesa di San Francesco e i minori conventuali a Castel Bolognese – Il rapporto con Santa Maria dei Suffragi di Ravenna” rappresenta senza dubbio una preziosa fonte di notizie inedite su quella chiesa e …

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di Paolo Grandi

La recente pubblicazione, a firma di Andrea Ferri e di Mario Giberti “La chiesa di San Francesco e i minori conventuali a Castel Bolognese – Il rapporto con Santa Maria dei Suffragi di Ravenna” rappresenta senza dubbio una preziosa fonte di notizie inedite su quella chiesa e sui Minori Conventuali che furono presenti a Castel Bolognese per oltre trecento anni ed in particolare tali sono le notizie sul primo tempio dedicato a Santa Lucia e la pubblicazione del cabreo relativo ai possedimenti nel 1760.
Lascia invece molti dubbi la contestazione dell’attribuzione architettonica della nuova ed attuale chiesa di San Francesco all’architetto Francesco Fontana, così non condividendo e anzi criticando lo studio del dott. Antonio Corbara fatto sui manoscritti dell’architetto romano ritrovati nell’Archivio Parrocchiale di San Petronio, attribuendo la paternità dell’opera ad un misconosciuto Cesare Fabri di Lugo. Ma chi è questo Cesare Fabri da Lugo? Gli autori non lo chiariscono e neppure tracciano di lui una biografia dalla quale possa trarsi la fonte di una così felice intuizione quale quella di adottare la pianta ottagonale, fino ad allora mai adoperata in Romagna: San Francesco di Castel Bolognese è infatti la prima chiesa in Romagna costruita a pianta centrale.
Cesare Fabri da Lugo lo si conosce solo come ebanista quale realizzatore dell’armadio dell’Altare della Reliquie in base alle ricerche fatte all’epoca da Pietro Costa. E tale lo definiscono anche gli autori. E in qualsiasi enciclopedia di Cesare Fabri si parla solo ed esclusivamente come ebanista. Quindi chi era questo Cesare Fabri, peraltro pure lui, stante le affermazioni dell’Autore, lughese? Si tratta del medesimo Cesare Fabri? Oppure in Lugo vi erano due omonimi? Quali altre opere architettoniche così originali come la chiesa di San Francesco ha realizzato questo Cesare Fabri?. Su queste legittime domande gli Autori tacciono.
Ora è da chiedersi quale fonte abbiano utilizzato gli Autori per giungere a tale conclusione. Questa la si trova in un memoriale del padre Ricci relativo alla sua opera di guardiano del Convento di Castel Bolognese tra il 1702 ed il 1704 depositato durante il processo che lo vide imputato di danneggiamento nei confronti del conte Giovanni Ginnasi. In realtà il Ricci qui fa riferimento ad un “disegno fatto fare dal perito ingegno del signor Cesare Fabri di Lugo”. Ebbene, premesso che si parla di disegno e non di progetto, ergo sarebbe potuto anche essere stato una sorta di “progetto esecutivo” sopra però il disegno inviato dal Fontana a Castel Bolognese il quale, è giusto ricordare, lasciò solo tre disegni ai frati per come costruire la nuova chiesa secondo i loro desideri.
L’architetto Francesco Fontana, figlio del più celebre Carlo ricostruisce negli stessi anni del nostro San Francesco la chiesa dei Santi Apostoli a Roma (chiesa generalizia dei francescani minori conventuali) e curiosa è la circostanza che sia la chiesa dei Santi Apostoli che quella di San Francesco siano da innalzare in uno spazio predeterminato già occupato da una precedente chiesa e secondo esigenze dettate dai frati ed inoltre che la pianta della basilica romana, ad una sola navata con profonde cappelle laterali comunicanti, corrisponda ad una delle soluzioni suggerite ai frati castellani per la loro nuova chiesa.
Gli autori invece, partendo appunto dalla labile traccia del Ricci non solo smentiscono il Corbara (il quale, non si dimentichi, basa la sua ipotesi su un atto scritto) ma acriticamente attribuiscono la paternità di San Francesco al Fabri, smentiscono la precedenti ipotesi di attribuzione al Fontana della chiesa di Santa Maria dei Suffragi di Ravenna arrivando addirittura a negare qualsiasi presenza del Fontana in Romagna, dimenticando tra l’altro un’altra opera importante del Fontana a Ravenna: Palazzo Spreti.
Così argomentando, gli autori non considerano un evento importantissimo avvenuto in Romagna nella seconda metà del XVII secolo: la fondazione della nuova Cervia. Infatti con un Chirografo del 1697 il papa Innocenzo XII prese la decisione di fondare la nuova città di Cervia affidandone l’incarico al card. Lorenzo Corsini, fiorentino d’origine ma romano di cultura (poi papa col nome di Clemente XII) il quale richiamò in Romagna il fiore degli architetti romani per la costruzione della nuova città. Afferma il Foschi: “nei documenti sono citati numerosi architetti che si susseguono alla direzione dei lavori, (di edificazione della città di Cervia ndr), da Girolamo Caccia a Francesco Fontana, da Sebastiano Cipriani ad Abramo Paris, da Antonio Farini a Cosimo Morelli, da Francesco Navone a Bellardino Petri”. (1) Naturalmente anche in questo cantiere, come in tutti i cantieri, v’era chi dirigeva il lavoro delle maestranze e costui non era quasi mai l’architetto o ideatore dell’opera specie se costui era forestiero. Il Foschi cita i nomi dei primi capi mastri muratori e dei primi capi muratori, tutti del posto.
Anzi si attribuisce la probabile paternità della pianta della nuova città da edificare, che è la Cervia che oggi ammiriamo, proprio a Francesco Fontana e sempre il Fontana è l’architetto del Palazzo Priorale (comunale) (2) il quale, afferma il Foschi “deve essere venuto in Romagna proprio per il nostro Palazzo Priorale (comunale)(3).
Uno sguardo infine merita la Cattedrale. Non si conosce il progettista ma la si fa risalire ad “architettura di gusto romano(4). Entrando ed osservandone bene la struttura questa ricorda molto una delle ipotesi avanzate da Francesco Fontana per il nuovo San Francesco, con pianta basilicale, cappelle profonde con passaggio “per il comodo dei celebranti”, stretto e profondo presbiterio, cioè la medesima pianta dei Santi Apostoli.
Per giustificare i loro asserti, gli Autori scrivono che “di entrambi (Carlo e Francesco Fontana) si conoscono altri interventi, ma non chiese e viene da pensare che se uno dei due se fosse stato presente in Santa Maria dei Suffragi da qualche parte ed in qualche documento in qualche pagamento sarebbe risultato.”. Al di là dei pagamenti, si annoverano nell’elenco delle opere dei due Fontana: di Carlo, la chiesa di Santa Rita da Cascia in Campitelli e la chiesa di Santa Maria dei Miracoli in Piazza del Popolo a Roma oltre a Cappelle e facciate di altre chiese romane; di Francesco, oltre alla chiesa dei Santi Apostoli, si ricorda la chiesa di Santa Scolastica a Rieti e la chiesa di Santa Maria della Neve al Colosseo in Roma, oltre ad altri progetti alcuni dei quali, come quello per l’Abbazia di Fulda in Germania, non realizzato.
Infine uno sguardo agli ornati delle chiese: l’ordine composito della chiesa dei Santi Apostoli è assai simile a quella di San Francesco di Castel Bolognese (ed anche alla Cattedrale di Cervia); e l’ornato è un po’ la “firma” dell’architetto.
Ciò premesso, per far sì che si aprisse almeno un dibattito tra lo scrivente e gli Autori, al fine anche di maggiormente approfondire le ricerche storiche sull’argomento ho inviato agli Autori il 29 agosto 2022 la presente lettera contestando punto su punto le affermazioni errate ovvero non dimostrate.
L’offesa maggiore, più per la storia di Castel Bolognese piuttosto che per lo scrivente, è che nessun riscontro sia, al momento, pervenuto.

(1) FOSCHI U.: La costruzione di Cervia Nuova (1697-1750), Ravenna, 1997.
(2) FOSCHI U.: ibidem.
(3) FOSCHI U.: ibidem.
(4) FOSCHI U.: ibidem.




Castel Bolognese, 29 agosto 2022

Preg.mo Dott.
ANDREA FERRI
Presso Edizioni
Il Nuovo Diario – Messaggero
Via Emilia, 77
IMOLA

Preg.mo Arch.
MARIO GIBERTI
Presso Edizioni
Il Nuovo Diario – Messaggero
Via Emilia, 77
IMOLA

OGGETTO: Volume: “La chiesa di San Francesco e i minori conventuali a Castel Bolognese”. Imprecisioni storiche, errori valutativi e travisamento di citazioni da altri testi. Richiesta di incontro.

Ho letto con attenzione la pubblicazione indicata in oggetto trovandola molto interessante per il contributo dato alla storia della presenza del frati Minori Conventuali a Castel Bolognese e a quella della loro bella chiesa che resta, pur dopo le sciagurate ricostruzioni ed omissioni del dopoguerra, l’edificio di culto ai quali i Castellani sono più affezionati, per via della presenza della Patrona, l’Immacolata Concezione. Tuttavia vi ho trovato errori, anche grossolani, errori valutativi ed addirittura travisamento di un mio scritto per svalutarne la validità per i quali chiedo spiegazione ed un incontro affinché si possano chiarire queste vicende.
Quale collaboratore, fin dalla nascita, della pagina di Castel Bolognese del settimanale “Nuovo Diario”, archivista di una della maggiori Parrocchie della Diocesi ed infine quale autore di volumi ed opere anche pubblicate da codesta Casa Editrice non mi sarei mai aspettato un attacco simile, in un caso offensivo e diretto al mio lavoro.

Pag. 11: nell’elenco dei vescovi della Regione provenienti dalle file del Minori Conventuali mancano i vescovi Girolamo e Gian Paolo Pallantieri, castellani, il primo vescovo a Bitonto e morto in odore di santità, il secondo vescovo di Lacedonia. Entrambi sono ricordati con i relativi monumenti nella Cappella dell’Immacolata Concezione proprio nella chiesa di San Francesco e per entrambi vi sono pubblicazioni che li ricordano.
Pag. 18: mentre si illustrano i rapporti, non sempre idilliaci tra il clero secolare ed i frati di San Francesco relativamente all’ordine del clero nelle processioni dell’Immacolata, si parla di statua lignea dell’Immacolata Concezione risalente al XV secolo. In realtà è risaputo, ampiamente illustrato in varie pubblicazioni, ricordata anche nelle cronache del settimanale “Il Nuovo Diario” per le vicende relative alla caduta di quell’Immagine dal proprio altare negli anni ’80 del secolo scorso, che si tratta di una terracotta policroma del XV secolo attribuita alla scuola di Iacopo Della Quercia.
Pag. 26: qui si parla di Cesare Fabri, realizzatore dell’altare delle Reliquie indicandolo quale ebanista, descrivendone poi le attività in nota 58. Qui sorge una prima contradictio in terminis: è lo stesso Cesare Fabri che nella seconda parte del volume lo si indica quale presunto realizzatore della chiesa?
Pag. 38: il convento francescano soppresso sarebbe stato trasformato in ospedale civico. Ciò non risulta: infatti, leggendo don Italo Drei (1) si ricava che i religiosi rimasti a Castel Bolognese avrebbero dovuto prestare servizio nell’erigendo nuovo Ospedale (quello dell’Antolini tuttora esistente) e che forse il convento fu utilizzato solo provvisoriamente quale Ospedale durante la battaglia del Senio del 2 febbraio 1799. Esiste effettivamente il progetto di Giovanni Antonio Antolini per trasformare il convento in ospedale, ma non si attuò preferendosi costruire ex novo in sede più idonea e salubre il nosocomio.
Pag. 47: scrive l’Autore “e senza aggiunger niente a questo scritto del grande frate francescano (2), conviene riportare direttamente le parti salienti della sua documentata ricerca e non usarla come ha fatto qualcuno per scrivere la storia castellana che ne ha, in vari scritti, riportato dei capitoli interi come propri senza riportarne, come d’obbligo, le citazioni: a Cesare quel che è di Cesare!” Questo attacco assolutamente diretto e poco corretto alla mia persona non rende giustizia alla mia lunga attività di ricercatore storico e autore di pubblicazioni scientifiche ove di ogni passo o notizia ne viene certificata la fonte. Non così appare questa parte di pubblicazione curata dal Giberti, spesso proprio carente della citazione di fonti o della dimostrazione di affermazioni che ne contraddicono altre anche sostenute da adeguata fonte. Il dubbio è che il Giberti si sia limitato a leggere solo ciò che appare in internet anche solo sul sito www.castelbolognese.org. Questo sito è un ausilio alla diffusione della storia di Castel Bolognese e, salvo non vi sia scritto che trattasi di articolo originale, riporta scritti diretti ad un pubblico più generalista e comunque anche qui tali scritti sono sempre sorretti da adeguata bibliografia o rimando ai testi dai quali sono stati tratti.
Pag. 52: padre Ricci viene definito “cappuccino” in realtà era Minore Conventuale.
Pag. 52: Sui diplomi rilasciati al Ginnasi dal Re Sole non è da sottovalutare la presenza a Corte del castellano Domenico Amonio, medico personale del Re, che si prodigò per i concittadini bolognesi e castellani (3).
Pag. 52: Caterina Ginnasi viene definita “celibe”; semmai era “nubile” (celibe, riferito ad una femmina è senz’altro obsoleto) come moderna definizione. Se invece ci si voleva riferire al fatto che la stessa, colpita dalla propensione mistica, vivesse ritirata e solitaria, vestita da monaca, nel Monastero delle “Ginnasie”, occorreva forse chiarirlo. (qualche fonte non confermata riferisce che ella prese anche i voti nelle “Ginnasie”)
Pag. 55: nota 103: la chiesa di San Sebastiano non fu mai destinata a refugium viatorum o a piccolo ospedale. Semmai era prevista la realizzazione di un lazzaretto che non fu mai costruito.(4) Addirittura, per evitare qualsiasi equivoco relativo alla immunità, poiché la chiesa era per gran parte dell’anno chiusa al culto, è scolpita sulla facciata la lapide: “il solo interno di questa chiesa gode dell’immunità”.
Pag. 59: relativamente alla possibilità di assistere dal proprio Palazzo alla Santa Messa, senza scomodare esempi imolesi, un’analoga possibilità a Castel Bolognese era stata data al marchese Zacchia-Rondinini di affacciarsi sulla chiesa di Santa Maria dell’Ospedale (finestra tuttora esistente), ed analogamente era stato concesso al conte Mazzolani per affacciarsi dal suo palazzo nella chiesa del Rosario Nuovo (oggi chiesa e palazzo sono scomparsi: la prima è stata trasformata ad uso profano, il secondo è perito durante la seconda guerra mondiale) Ne parla il Gaddoni (5).
Pag. 60: si parla di permuta di un negozio data in uso al Ginnasi. In realtà, guardando la pianta del Palazzo Ginnasi contenuta nel volume “In presentia mei notarii: Piante e disegni nei protocolli dei Notai Capitolini (1605-1875)” edito nel 2009, ove sono stati pubblicati due importanti e finora inediti disegni relativi a Palazzo Ginnasi, risalenti al 1652, appaiono tre negozi che sembrano appartenere ai Ginnasi. I locali sovrastanti tali tre negozi erano tuttavia di proprietà dei frati Minori. Per maggiore informazione all’Autore queste piante, benché contenute in atti notarili rogati in Roma, portano le misure in piedi di Castel Bolognese. Esse sono da qualche tempo pubblicate sul sito www.castelbolognese.org alla voce: Palazzo Ginnasi.
Pag. 62: scrive l’Autore: “il perito ingegno del sig. Cesare Fabri di Lugo per uniformarsi alle Sacre Costituzioni” e da qui l’autore ricava e fonda tutta l’architettura della sua ricerca sulla attribuzione a Cesare Fabri del disegno della chiesa di San Francesco. L’Autore non ci dà ulteriori notizie, neppure nel seguito dell’opera, su questo Cesare Fabri, né ci descrive la sua attività di architetto, né ce ne offre una biografia. La contradictio in terminis sta che poche pagine prima Cesare Fabri è definito “ebanista” (pag. 26) e realizzatore dell’altare delle reliquie, descrivendone le attività in nota 58. In una breve ricerca non ho rinvenuto alcuna notizia su un Cesare Fabri architetto ma solo sull’ebanista autore dell’altare delle Reliquie.
Quindi chi era questo Cesare Fabri, peraltro pure lui, stante le affermazioni dell’Autore, lughese? Si tratta del medesimo Cesare Fabri? Oppure in Lugo vi erano due omonimi? Quali altre opere architettoniche così originali come la chiesa di San Francesco ha realizzato questo Cesare Fabri?. Su queste legittime domande l’Autore tace.
Sembra quindi alquanto azzardato basare una teoria simile su un solo labile riferimento trovato in un atto difensivo del P. Ricci e privo di ulteriori supporti, mentre dall’altro lato abbiamo una lettera scritta dall’architetto Fontana ed elementi inconfutabili sulla novità di questa costruzione (con la “gemella” Santa Maria dei Suffragi di Ravenna) e sulla presenza di architetti romani in Romagna alla fine del XVII secolo.
Occorre osservare come la chiesa del Suffragio di Ravenna e San Francesco di Castel Bolognese siano cronologicamente le prime chiese a pianta centrale realizzate in Romagna dopo quelle paleocristiane. Mentre fino a tutta la Toscana si era iniziata la costruzione di chiese a siffatta pianta già da almeno due secoli a firma dei più grandi architetti dell’epoca, qualcuno da fuori (e non un misconosciuto “architetto”) deve aver portato in Romagna questo nuovo stile di costruzione che non può essere nato come Minerva dalla testa di Giove!
Non si trascurino poi alcuni effetti scenografici della chiesa tipici del tardo barocco romano: l’ingresso dalla via Emilia coperto dalla cantoria che rilascia ad un tratto la maestosità della chiesa con la grande cupola; la presenza di una lanterna (mai realizzata) per ulteriormente illuminare l’aula; la fattura dell’altare maggiore che sembra angusto nel suo primo apparire ma che nasconde dietro l’altare marmoreo l’allargarsi del coro per accogliere appunto gli stalli dei frati per le preghiere comunitarie.
Pag. 65: relativamente alla pianta della chiesa ritrovata a Rimini: perché scartare a priori l’ipotesi che il disegno non sia uno di quelli del Fontana? Dov’è la dimostrazione a contrariis? Tra l’altro la chiesa non è stata realizzata in quella maniera: la scala C non porta ad alcuna cantoria (che è sempre stata sull’ingresso della via Emilia) ma solo al convento; il cortile M non fu mai realizzato ma inglobato nella Sacrestia, le nicchie per i confessionali G non furono mai realizzate; la scala per il pulpito ed il pulpito stesso furono innalzati dalla parte opposta, gli ingressi dalla Piazza furono e sono tuttora due e non uno, l’ingresso dalla via Emilia non presenta alcuna nicchia. E se fosse il disegno di qualche tecnico locale (fatto appunto in piedi di Castel Bolognese) che così ha tradotto l’idea del Fontana? Non c’è alcuna prova scientifica a contrariis, così come l’autore non dimostra che questa pianta sia del Fabri o a lui attribuibile. Scartare l’ipotesi Fontana solo perché la pianta è in misura di Castel Bolognese non è prova pregnante: come sopra visto, anche la divisione notarile di Palazzo Ginnasi avvenuta a Roma la si è fatta sopra pianta e alzati in misura di Castel Bolognese. Ciò che invece questa pianta dice e non è stato evidenziato è, innanzitutto, la perfetta sovrapposizione, sulla via Emilia, tra questa pianta e quella di Palazzo Ginnasi sopra citata; la seconda riguarda i “granari vecchi che restano in piedi” e che in realtà solo nella parte verso la pubblica via furono mantenuti a mo’ di bassi comodi mentre quelli verso la proprietà Ginnasi furono poi demoliti. Il cortile venutosi a creare conteneva il pozzo ove gli autori sacrileghi nella notte del lunedì di Pentecoste del 1893 gettarono le teste della Immacolata e del Bambino dopo aver decapitato la Sacra Immagine. Restano oggi in questo cortile, ove nel dopoguerra è stata malamente realizzata la sacrestia, le imposte degli archi di quei granai verso Palazzo Ginnasi.
Pag. 74: per “nave maestra” di una chiesa può intendersi anche un’unica navata od aula.
Pag. 75: Padre Serafino Gottarelli apparteneva all’ordine dei Minori Conventuali e non ai Cappuccini. Sulla contestazione relativa all’ordine composito e all’ornato della chiesa dei SS. Dodici Apostoli, invito l’Autore ad una attenta visita in luogo a quella chiesa come anche alla Concattedrale di Cervia da sempre attribuita ad architetti romani e che l’Autore non cita né esamina. D’altronde è risaputo che l’ordine composito non è un ordine “nuovo” ma non convengo che esso non sia “tale da far sorgere somiglianze e paragoni”. Perché? Ogni architetto lascia la sua impronta sull’ornato: vuoi che sia lo stile della foglia di acanto del capitello, o la presenza di un pulvino (vedi Morelli in San Petronio) o l’abbellimento del riccio del capitello, o la corona di festoni sopra la trabeazione (vedi San Francesco) ecc. E guarda caso il composito e l’ornato della chiesa del Santi Dodici Apostoli in Roma è assai simile a quello di San Francesco di Castel Bolognese.
Pag. 76 con nota 131 l’Autore scrive: ”Il riferimento alla cupola del Pantheon (parlando della cupola di San Francesco) come riporta Paolo Grandi è assai esagerato e fuori luogo.” L’asserto è assolutamente scorretto ed offensivo avendo l’autore travisato ciò che io ho scritto, peraltro non in un’opera di ricerca scientifica. Infatti l’Autore ricava tale (presunto) riferimento dal sito www.castelbolognese.org, nella parte relativa alla chiesa di San Francesco sotto la voce: itinerario storico-artistico ove correttamente si legge: L’edificio che si può ammirare attualmente è quello disegnato dall’architetto Francesco Fontana, pur se mutilato in alcune sue parti: le distruzioni belliche hanno travolto il coro, che si aggettava su via Rondanini (un tempo Calcavinazze), arretrando pertanto lo spazio dietro l’altare maggiore e dividendo per sempre la chiesa dal suo convento, ora palazzo comunale, il campanile e l’ampia sacrestia che dava su Piazza Bernardi; nel dopoguerra una nuova sacrestia è stata realizzata dalla parte opposta, occupando in parte il cortile della chiesa. Il progettista romano, rifacendosi seppure in proporzioni minori all’idea del Pantheon di Roma, idealizza la forma sferica con una cupola a tutto tondo che copre un’aula ottagonale irregolare, avente quattro lati grandi, ove sono collocate le cappelle maggiori e l’ingresso monumentale, e quattro piccoli ove prendono posto gli altari minori. L’ambiente interno, ricco di luce proveniente da quattro lunette posta sopra gli altari minori e da altre quattro finestre poste nei lati corti delle cappelle maggiori, oltre un finestrone a fianco dell’altare maggiore, è caratterizzato da una buona acustica. La chiesa, piuttosto alta rispetto alle strade circostanti, è realizzata nell’ordine corinzio e misura circa m. 40 x 30, con un’altezza al culmine della cupola interna di m. 28. Ove appunto il riferimento al Pantheon è per dare al lettore un’idea d’ispirazione dell’edificio che può effettivamente contenere una sfera, e non certamente con l’intenzione di paragonare le due cupole. Oltretutto, ripeto, si tratta di un testo divulgativo, seppur basato su documenti e ricerche e non di pura ricerca scientifica.
Pag. 78: sulla pianta ottagonale: si ribadisce che la chiesa del Suffragio di Ravenna e San Francesco di Castel Bolognese sono cronologicamente le prime chiese a pianta centrale realizzate in Romagna dopo quelle paleocristiane. Mentre fino a tutta la Toscana si era iniziata la costruzione di chiese a siffatta pianta già da almeno due secoli a firma dei più grandi architetti dell’epoca. Qualcuno da fuori (e non un misconosciuto “architetto”) deve aver portato in Romagna questo nuovo stile di costruzione.
Pag. 78 nota 132. “Quando la cultura illuministica riscopre la sintesi tra modello astratto ma con forma geometrica e realizzazione nello spazio e reintroduce l’uso della pianta ottagonale come strumento ordinatore non solo di spazi centrali unitari, ma anche di organismi più complessi” si dimentica che l’illuminismo, movimento di pensiero per lo più anticlericale ed anticattolico non ha influito sull’architettura religiosa ma semmai su quella civile. Inoltre l’uso dell’ottagono o del doppio quadrato (l’otto è sempre stato il numero perfetto che rappresenta l’infinito e così lo sé l’ottagono) non si è mai persa nei secoli da parte dei costruttori di chiese: su base ottagonale è, per esempio, impostata la cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore di Firenze così come l’ambiente delle tombe dei Medici in San Lorenzo.
Pag. 79: così scrive l’Autore: “L’architetto Fabri ha visto certamente altre chiese fuori del suo territorio e sa bene che la nuova tendenza architettonica dei sacri edifici va verso strutture aperte a “sala unica” molto più funzionali, più luminose con assai più visibilità dei fedeli verso il celebrante e viceversa.” Sarebbe interessante conoscere e sapere ove il Fabri si sia istruito sulle chiese a pianta centrale e quali abbia visto fuori dalla Romagna, dal momento che, si ribadisce, le prime chiese a pianta ottagonale o centrale ad essere costruite in Romagna sono, appunto, S. Maria dei Suffragi a Ravenna e San Francesco a Castel Bolognese. Quanto alla costruzione di nuove chiese continua nel XVIII secolo l’insegnamento della Controriforma: preferenza alla pianta basilicale a croce latina o a croce greca. Più limitato l’uso di piante diverse che però col manierismo sfociano in piante ellittiche (Santuario di Vicoforte, S. Andrea al Quirinale ecc.) o di particolare forma come S. Ivo alla Sapienza. E il tutto prescinde dalla migliore visibilità dei fedeli verso il celebrante e viceversa dal momento che, fino al Concilio Vaticano II il sacerdote celebrava rivolto con la schiena verso il popolo pregando in latino per cui i fedeli vedevano e comprendevano ben poco di ciò che il Celebrante faceva.
Capitolo 8, pagg 89-90. Spingersi ad ipotizzare che il Fabri abbia anche progettato la chiesa di S. Maria dei Suffragi a Ravenna appare quantomeno fantasioso per una serie di motivi legati al fatto che mentre per la chiesa di Castel Bolognese abbiamo una lettera autografa del Fontana, per Ravenna, al di là della paternità del progetto di quella chiesa a Carlo o Francesco c’è la memoria della presenza a Ravenna dell’architetto Francesco Fontana per la costruzione di Palazzo Spreti.
Pag. 92: scrive l’Autore: “di entrambi (Carlo e Francesco Fontana) si conoscono altri interventi, ma non chiese e viene da pensare che se uno dei due se fosse stato presente in Santa Maria dei Suffragi da qualche parte ed in qualche documento in qualche pagamento sarebbe risultato.” L’autore così dimentica un fatto straordinario accaduto in Romagna tra la fine del XVII secolo e l’inizio del secolo successivo: la decisione presa con Chirografo dal papa Innocenzo XII di fondare la nuova città di Cervia affidandone l’incarico nel 1697 al card. Lorenzo Corsini, fiorentino d’origine ma romano di cultura (poi papa col nome di Clemente XII) il quale richiama in Romagna il fiore degli architetti romani per la costruzione della nuova città. Afferma il Foschi: “nei documenti sono citati numerosi architetti che si susseguono alla direzione dei lavori, (di edificazione della città di Cervia ndr), da Girolamo Caccia a Francesco Fontana, da Sebastiano Cipriani ad Abramo Paris, da Antonio Farini a Cosimo Morelli, da Francesco Navone a Bellardino Petri”. (6) Naturalmente anche in questo cantiere, come in tutti i cantieri, v’era chi dirigeva il lavoro delle maestranze e costui non era quasi mai l’architetto o ideatore dell’opera specie se costui era forestiero. Il Foschi cita i nomi dei primi capi mastri muratori e dei primi capi muratori, tutti del posto.
Anzi si attribuisce la probabile paternità della pianta della nuova città da edificare, che è la Cervia che oggi ammiriamo proprio a Francesco Fontana e sempre il Fontana è l’architetto del Palazzo Priorale (comunale) (7) il quale, afferma il Foschi “deve essere venuto in Romagna proprio per il nostro Palazzo Priorale (comunale)(8). E Ravenna è così vicina a Cervia…
Uno sguardo infine merita la Cattedrale. Non si conosce il progettista ma la si fa risalire ad “architettura di gusto romano(9). Entrando ed osservandone bene la struttura questa ricorda molto una delle ipotesi avanzate da Francesco Fontana per il nuovo San Francesco, con pianta basilicale, cappelle profonde con passaggio “per il comodo dei celebranti”, stretto e profondo presbiterio.
Pag. 94: scrive l’Autore: “le due fabbriche interessate appartengono pienamente alla cultura illuministica, entrambe sono coeve e del ‘700 il secolo dei lumi.” Come già detto, l’illuminismo è un movimento assolutamente laico ed in parte anticlericale ed anticattolico che nulla ha a che vedere con la progettazione delle chiese di quell’epoca.
Pag. 95: Filippo Antolini non torna a Castel Bolognese per sistemare un convento: Non risulta gli sia mai stato richiesto, tuttavia di Filippo Antolini restano a Castel Bolognese il Tempietto Bragaldi ed il Tempietto Rossi a Biancanigo.
Pag. 95: scrive l’Autore: “L’architetto Mengoni accetta l’incarico di ristrutturare il vecchio convento ma non lascia traccia del suo lavoro”. Che l’ex convento dei Francescani sia stato trasformato dal Mengoni non si ha alcun dubbio; casomai non v’è traccia d’archivio dei disegni perché l’archivio comunale di Castel Bolognese è stato in parte disperso. Tuttavia di lui e del suo intervento a Castel Bolognese, patria della madre, parlano gli storici di quell’epoca poi non tanto lontana, se ne parla nelle sedute del Consiglio Comunale e sul volume di Oddo Diversi “Dall’ultima trincea tedesca sul Senio” è pubblicata una lettera di Mengoni datata 12 giugno 1864 che chiede notizie sui lavori di trasformazione del convento di San Francesco (10).
Alla luce delle sopra esposte osservazioni, ribadisco pertanto la richiesta d’incontro ed eventualmente una pubblica rettifica, almeno sulle parti più controverse e non dimostrate.
Con ossequio.

PAOLO GRANDI

(1) DREI I.: La Chiesa e il Convento di San Francesco (note storiche) in Il voto della Pentecoste e la tradizione religiosa castellana, studi e testimonianze, Imola, 1981.
(2) Il riferimento è a p. Serafino Gaddoni.
(3) Vedi: GRANDI P., SOGLIA A.: Gli Amonio da Castel Bolognese, Imola, 2013.
(4) GADDONI S.: Le chiese della Diocesi di Imola, vol. 1, Imola, 1927.
(5) ibidem
(6) FOSCHI U.: La costruzione di Cervia Nuova (1697-1750), Ravenna, 1997.
(7) FOSCHI U.: ibidem.
(8) FOSCHI U.: ibidem.
(9) FOSCHI U.: ibidem.
(10) DIVERSI O.: Dall’ultima trincea tedesca sul Senio – Castel Bolognese 1943-1980, Imola, 1981.

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Il restauro della cappella della Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-francesco/il-restauro-della-cappella-della-immacolata-concezione-nella-chiesa-di-san-francesco/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-francesco/il-restauro-della-cappella-della-immacolata-concezione-nella-chiesa-di-san-francesco/#respond Sat, 05 Mar 2022 16:39:15 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=9523 di Paolo Grandi All’interno del grandioso tempio di San Francesco, ricostruito in forme tardo barocche dall’architetto Francesco Fontana a partire dal 1702, spiccano per altrettanta grandiosità le due ampie cappelle laterali dedicate rispettivamente a San Giuseppe, contenente il reliquiario, e all’Immacolata Concezione, ove si conserva la quattrocentesca immagine della Patrona …

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di Paolo Grandi

All’interno del grandioso tempio di San Francesco, ricostruito in forme tardo barocche dall’architetto Francesco Fontana a partire dal 1702, spiccano per altrettanta grandiosità le due ampie cappelle laterali dedicate rispettivamente a San Giuseppe, contenente il reliquiario, e all’Immacolata Concezione, ove si conserva la quattrocentesca immagine della Patrona di Castel Bolognese e del suo territorio. Mentre la prima fu interessata quasi trent’anni fa da un intervento di ricostruzione e restauro che ne completò la cimasa, non ricostruita nel dopoguerra, e da una generale ripulitura, la seconda necessitava da tempo di un restauro radicale, sia per difenderla dall’umidità del suolo, sia per provvederne il ripristino del coperto che da tempo era soggetto ad infiltrazioni di acque meteoriche.
L’intervento, resosi fattibile per il contributo di alcuni fedeli, si è svolto tra il 5 agosto ed il 7 novembre 2020 sotto la direzione dell’architetto Supremo Zaccherini. Qui di seguito la descrizione del restauro. Balzano innanzitutto alla vista le dimensioni della cappella che, nella grandiosità e nell’armoniosità degli equilibri architettonici della chiesa, non sono subito ben apprezzabili: l’altezza è di 14 metri e la larghezza di circa 6,20 metri.
La prima operazione è stata quella della messa in sicurezza del tetto che presentava notevoli infiltrazioni nella volta in muratura. Qui la costruzione era molto compromessa: infatti al di sopra della volta v’è un’intercapedine di circa 80 centimetri sopra la quale stanno le capriate di legno che reggono la copertura. V’era una trave delle capriate, verso la via Emilia, che a causa dell’acqua si era marcita ed appoggiava sulla volta. La mancanza della guaina al di sotto dei coppi aveva ulteriormente contribuito a compromettere la struttura. Sono perciò state sostituite due travi, ripristinato l’impalcato delle capriate, è stata posata la guaina isolante e finalmente sono stati disposti i coppi.
Si è quindi passato al restauro dell’altare sotto la direzione della restauratrice Carlotta Scardovi di Bologna. L’ancona è di fattura barocca, molto importante; le due colonne tortili non sembrano di fattura locale o, quantomeno, si discostano di molto dalle analoghe costruzioni del medesimo periodo presenti in Romagna. Anche le decorazioni ed i finti marmi in scagliola sono di livello cromatico e di fattura elevata. L’intervento di ripulitura ha rimosso la polvere di secoli ed il nerofumo delle candele; si è così appurato che le colonne tortili erano state ricoperte da finto marmo venato colorato a pennello sopra quello a scagliola che è tornato alla luce. Gli angioletti che fanno da contorno alla nicchia ove è posta l’immagine della Beata Vergine erano alquanto deteriorati anche a causa dello spostamento della statua, sono stati restaurati nelle parti mancanti (ad uno mancava un piede) e nei colori. Sì è così scoperto che il vetro della nicchia, che misura 80 centimetri di larghezza per 180 centimetri di altezza è originale dell’epoca. Anche tutte le dorature, ripristinate nelle parti mancanti, forse nei restauri del dopoguerra, con porporina, sono state riportate all’antico splendore. La mensa, che soffre di umidità in risalita, è stata bonificata per combatterla ed anche qui si sono adoperate tinte a calce che l’assorbono. Infine le pareti laterali, con i due monumenti ai vescovi Gian Paolo Pallantieri e a Girolamo Pallantieri, sono state ripulite da polvere secolare e nerofumo.
L’interno della cappella è stato ritinteggiato con i colori che si reputano quelli della costruzione, i quali si ripetono nelle cappelle laterali. I colori sono un rosa pallido di fondo e color terra d’ombra che tende al verdino grigio per tutte le parti a rilievo, poi ci sono particolari bianco avorio tipo il festone di foglie di allora che corre a metà del cornicione interno.
Si ringrazia l’architetto Supremo Zaccherini per la collaborazione ed i documenti messi a disposizione.
Nota a margine: per preservare il più possibile sia l’intervento di restauro che l’integrità dell’Immagine della Beata Vergine, che, si ricorda, è una terracotta del XV secolo attribuita a Jacopo della Quercia o alla sua scuola, l’Arciprete don Marco Bassi ha pensato di posizionare definitivamente nella nicchia dell’ancona la terracotta originale, privata delle superfetazioni, dei decori e delle vesti, salvo il manto, e posizionando il Castello ai piedi dell’Immagine. Per l’uso processionale ne è stata realizzata una copia in materiale più leggero, in maniera che anche il trasporto sia agevolato, se si pensa che il peso gravante sui portatori prima di questo intervento, tra terracotta e basamento era di circa 150 kg.

Particolari dell’altare sottoposti al restauro.
Foto tratte dalle relazioni lavori di Carlotta Scardovi, Sos Art di Bologna

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, Il restauro della cappella della Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco, in https://www.castelbolognese.org

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Il suono dell’organo nella chiesa di San Petronio https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/il-suono-dellorgano-nella-chiesa-di-san-petronio/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/il-suono-dellorgano-nella-chiesa-di-san-petronio/#respond Sun, 29 Dec 2019 18:44:53 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=7497 di Paolo Grandi I precedenti strumenti Un piccolo organo esisteva in chiesa già nel 1574; il secondo fu fatto nel 1589 a spese dei fedeli e della comunità, la quale elargì 100 scudi, un terzo fu acquistato a Bologna dall’arciprete Guarini il 6 settembre 1691, costruito da Francesco Traeri di …

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di Paolo Grandi

I precedenti strumenti

Un piccolo organo esisteva in chiesa già nel 1574; il secondo fu fatto nel 1589 a spese dei fedeli e della comunità, la quale elargì 100 scudi, un terzo fu acquistato a Bologna dall’arciprete Guarini il 6 settembre 1691, costruito da Francesco Traeri di Brescia. Restaurato nel 1757 dal Bolognese Pietro Giovagnoni e nel 1789 da Domenico Gentilini di Medicina, subì nel 1810 un completo rifacimento, eseguito dal rinomato organaro Pietro Cavaletti di Parma, a spese dell’arciprete Domenico Contoli e di don Francesco Favolini. Questo prezioso strumento perì col crollo del campanile nell’inverno del 1944. Erano posti entrambi nella cantoria di sinistra (cornu Evangelii)
Una curiosità è legata all’organo di san Petronio: una famiglia castellana, i Cornazzani, erano soprannominati “sceva-l’orghen” perché uno dei loro componenti conservava la chiave di accesso all’organo.

Lo strumento impiantato nel dopoguerra

Il quarto organo fu costruito dalla “Organaria Marciana” di Venezia tra la fine degli anni ’50 ed i primi anni ‘60 e venne inaugurato nel 1962, pagato in parte dallo Stato in conto dei danni di guerra ed in parte dai fedeli e dall’Arciprete Sermasi. Si trattava di un notevole strumento, posizionato sulla cantoria di sinistra, (cornu Evangelii), e mostrava una grande teoria di canne del “principale” sulla balconata. Per rispettare la rigorosa simmetria della chiesa, un’identica teoria di canne, solo di bellezza, fu posizionata anche sulla cantoria di destra (cornu Epistulae). Il movimento era elettrico: ogni tasto della tastiera della consolle, che era posizionata al centro del coro dietro l’altare maggiore, era in pratica un interruttore collegato ad un relè il quale a sua volta apriva una valvola che faceva passare l’aria del somiere attraverso quella canna provocandone così il suono. Tale strumento si dimostrò però ben presto inadeguato, tanto che alcuni testimoni, Marcellino in testa, ricordano che già al concerto inaugurale una parte dell’organo era inutilizzabile. Fu suonato pochissime volte e così per udire il vibrare di un organo occorse aspettare altri vent’anni. Nel frattempo supplirono un harmonium poi le prime tastiere elettriche a transistor e successivamente le tastiere elettroniche che tuttavia dovettero convivere con le nuove tendenze della musica: chitarre ed altri strumenti.

Il lascito Sermasi e la disputa per la tipologia di strumento

Il 25 aprile 1979 moriva mons. Giuseppe Sermasi, Arciprete di San Petronio dal 1935 al 1971, lasciando per testamento una cospicua somma di denaro per la costruzione di un nuovo organo in San Petronio; egli infatti si era sempre rammaricato che l’organo da lui installato non avesse mai funzionato.
L’allora Arciprete don Giancarlo Cenni si rivolse pertanto a due personalità della musica per avere il loro parere su che tipologia di strumento preferire: padre Albino Varotti e don Carlo Marabini. Padre Albino propose uno strumento in linea con le costruzioni del tempo: consolle posta lontano, in una posizione comoda per l’accompagnamento di un gruppo corale e canne azionate elettricamente (erano già in essere i primi esperimenti di azionamento elettronico) raggruppate anche in più punti della chiesa per dare un suono più completo ed avvolgete. Don Carlo Marabini, affiancato dalla propria organista Maria Grazia Filippi invece proponeva uno strumento del tutto nuovo che tuttavia si inseriva nella tradizione degli organi italiani: compatto, con trasmissione meccanica e posizionato su una delle due cantorie a lato del presbiterio. Complice forse il fatto che la trasmissione elettrica aveva già tradito il precedente organo, don Cenni si orientò verso la proposta di don Carlo Marabini che tuttavia sacrificava la vicinanza tra organista e corale ma che oggi, a distanza di oltre trent’anni, si è dimostrata vincente. Maria Grazia Filippi progettò il nuovo strumento.

Il nuovo organo Ruffatti

Così lo descrive la sua progettista Maria Grazia Filippi nel pieghevole di inaugurazione:

II nuovo Organo della Chiesa Arcipretale di San Petronio in Castel Bolognese si inserisce, in maniera adeguata, nel già cospicuo numero di organi costruiti ultimamente nella nostra zona, seguendo la linea della più antica e autentica tradizione italiana. Posso citare, come esempio, l’organo della Chiesa di S. Maria dei Servi in Bologna (Tamburini 1967), della Sala Respighi del Conservatorio (F. Zanin 1978) e della Basilica di S. Antonio sempre in Bologna (F. Zanin 1972), della Chiesa del Suffragio in Rimini (F. Zanin), della Parrocchiale di Castrocaro (Tamburini), etc.
Parlando di tradizione, si deve intendere una «Strada maestra» poiché, per cinque secoli e più, l’organo ha sempre avuto le stesse caratteristiche tecniche di costruzione e volerle cambiare, significa voler tentare un esperimento.
All’inizio di questo secolo, forse in nome del progresso, è stato fatto un considerevole cambiamento, portando il sistema di trasmissione, da sempre meccanico, a tubolare e poi ad elettrico; non si è rivelata altro che una parentesi, oggi già abbondantemente chiusa. La complessità di una progettazione, ideazione, realizzazione di un organo è sempre notevole; e se poi vogliamo considerare anche la non trascurabile spesa necessaria, dobbiamo sentirci in dovere di proiettare questo strumento in un futuro non certamente prossimo ma il più possibile lontano.
Accontentarci comodamente di un esperimento durato 40 o 50 anni e risultato fallito come quello della trasmissione elettrica (in genere la durata di questi organi è di 20 anni, dopo di ché essi necessitano di un rinnovamento completo di trasmissione, quindi di relais, magneti, transistors etc.) avrebbe significato perlomeno superficialità per non dire approssimazione.
Non vorrei essere troppo ottimista in fatto di durata, ma basti pensare che l’Italia vanta ancora oggi, perfettamente funzionante, l’organo più antico del mondo, costruito nel 1475 per la Basilica di S. Petronio in Bologna da Lorenzo da Prato.
II discorso naturalmente non si esaurisce qui; la durata è uno soltanto, tra tutti i pregi di un organo a trasmissione meccanica (e qui vorrei precisare che per trasmissione meccanica s’intende il collegamento per mezzo di un tirante tra canna e tasto, per cui, quando quest’ultimo viene abbassato si apre direttamente il ventilabro della canna corrispondente sul somiere); altri sono la prontezza, la gradualità di tocco, la morbidezza di suono, tutte caratteristiche queste, completamente assenti in qualsiasi altro tipo di organo.
Anche per quanto riguarda la fonica, cioè la scelta dei timbri o registri, è stato rispettato appieno, non solo la tradizione ma anche il nostro sempre invidiato gusto italiano. La dolcezza del principale, la trasparenza del ripieno, la vivacità del cornetto e la regalità della tromba, per non parlare dei flauti particolarmente limpidi ed espressivi, fanno di questo strumento un autentico gioiello, di cui, penso, chiunque andrebbe orgoglioso.
La felice ubicazione nella cantoria in «Cornu Epistolae», la progettazione della cassa, unitamente alla Soprintendenza ai Beni Architettonici di Ravenna con la facciata in bello stile italiano, lo inseriscono piacevolmente nella splendida architettura di questa Chiesa costruita «ex novo» da Cosimo Morelli dal 1783 al1786, dopo che il terremoto del 1781 l’aveva completamente distrutta.
Una distanza di due secoli, dunque, unisce due capolavori d’arte esprimenti due mondi interiori lontani; sappiamo tutti, però, molto bene, che nonostante il più accattivante dei progressi, le mode e gli eventi storici, l’anima e il cuore di un uomo non sono mai cambiati e resteranno sempre gli stessi.

La sua collocazione nella cantoria impose anche alcuni lavori edili, curati dal geom. Domenico Gottarelli e in parte finanziati da lui stesso, dalla Banca di Credito Cooperativo (allora Cassa Rurale Artigiana di Castel Bolognese e Casola Valsenio) e dalla Cassa di Risparmio di Lugo consistenti ne rinforzo delle travate della cantoria e del sottotetto della sacrestia per sopportare il peso dello strumento e di un piccolo rialzo del tetto della sacrestia ove alloggiare parte delle canne.

Così lo descrive il restauratore, maestro Nicola Ferroni:

L’organo della chiesa di San Petronio di Castel Bolognese fu costruito tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento, come indicano le date impresse sulle varie parti componenti lo strumento e la dedica punzonata sull’anima delle due canne maggiori del Principale, il Do e il Do#, collocate in cassa dietro le paraste del prospetto: “Arciprete / Don Giancarlo Cenni” e “Fratelli Ruffatti / Padova 1980”.
Lo strumento è collocato in cassa a muro, in cantoria, nel lato destro del presbiterio (in cornu Epistulae). È costituito da tre corpi d’organo: il Grand’Organo, che risponde alla tastiera superiore, collocato dietro il prospetto, l’Organo Positivo, comandato dal manuale inferiore e collocato nel basamento della cassa a sinistra della finestra di consolle, e il Pedale, posto a ridosso del muro posteriore della camera.
Il somiere del positivo e quello del Pedale hanno disposizione delle canne cromatica, con i registri disposti a scalare dai maggiori sul fondo verso i più acuti davanti. Il Grand’organo ha le canne disposte prevalentemente per terze maggiori oppure distribuite tra pari e dispari a destra e a sinistra. I registri sono collocati a scalare dalla facciata verso il fondo, la Tromba per comodità di accordatura è posta vicino al passo d’uomo come anche il Fagotto 16′ del Pedale.
Il prospetto è articolato in tre campate con canne del Principale 8′ disposte a cuspide, bocche allineate, le campate esterne sono formate da 11 canne, quella centrale da 13.

Questa è la composizione fonica, come si rileva dal pieghevole di presentazione:

GRAND’ORGANO
II Manuale 61 note Do-Do
PRINCIPALE 8′
OTTAVA 4′
DECIMAOUINTA 2′
RIPIENO 4 FILE 1 1/3′
FLAUTO 4′
FLAUTO IN XII 2 2/3′
TROMBA 8′

ORGANO POSITIVO
I Manuale 61 note Do-Do
BORDONE 8′
FLAUTO A CUSPIDE 4′
PRINCIPALE 2′
CORNETTO 3 FILE 2 2/3′*
TREMOLO

* dal Do2

PEDALE
32 note Do-Sol
CONTRABBASSO TAPPATO 16′
OTTAVA 8′
QUINTADECIMA 4′
FAGOTTO 16′

Unioni:
POSITIVO AL GRAND’ORGANO
GRAND’ORGANO AL PEDALE
POSITIVO AL PEDALE

TIRATUTTI

Totale canne dello strumento: 1.068

Trasmissioni integralmente meccaniche

L’inaugurazione – 18 dicembre 1982

Questa la presentazione inserita da don Giancarlo Cenni nel pieghevole distribuito in quella serata:
Da tanto tempo i castellani auspicavano che alla chiesa parrocchiale di S. Petronio venisse restituito il suono armonioso dell’organo.
Questo strumento, complesso ed eccezionalmente dotato di risorse musicali, è divenuto ormai indispensabile per arricchire e completare il servizio liturgico nelle chiese cristiane.
Le cronache della nostra parrocchia potranno ora registrare tra gli avvenimenti degni di menzione l’inaugurazione del nuovo grande organo di San Petronio, che avrà luogo sabato 18 dicembre con il prima di una serie di concerti offerti alla cittadinanza.
Le tradizioni musicali, che hanno sempre contraddistinto Castel Bolognese, saranno così ravvivate, perché il nuovo organo potrà rendere nel tempo anche un importante servizio culturale.
Viene finalmente realizzato un desiderio di mons. Giuseppe Sermasi, che del nuovo organo è il donatore. II compianto arciprete aveva espresso esplicitamente nel testamento scritto la volontà di lasciare i suoi beni alla Chiesa, per dotarla della voce di un organo, di cui la parrocchia di San Petronio necessitava da tempo. Infatti, dopo la distruzione dell’antico organo nel corso degli avvenimenti bellici, con i fondi assegnati per i danni di guerra ne era stato installato un altro, che non ha mai funzionato, con rammarico dello stesso Arciprete.
L’Arciprete D. Gianni Cenni e la Comunità Parrocchiale esprimono la loro riconoscenza a mons. Giuseppe Sermasi per questo dono, attraverso il quale egli ha inteso rimanere ancora presente tra i fedeli, come lo fu nei momenti lieti e tristi dei suoi 37 anni di ministero pastorale a Castello. Un grazie particolare anche al canonico Augusto Sermasi, D. Carlo Marabini, al Geom. Gottarelli e a tutti gli Offerenti per la parte muraria, alla Cassa di Risparmio di Lugo, alla Cassa Rurale ed Artigiana di Castel Bolognese, a Maria Grazia Filippi per la progettazione dell’Organo.

Il concerto inaugurale, con il grandioso tempio di San Petronio pieno di pubblico, fu eseguito dall’organista di fama nazionale Elsa Bolzonello Zoja (1937-2007) che così venne presentata:
Diplomata in pianoforte, organo, composizione al Conservatorio «C. Pollini» di Padova, ha proseguito gli studi organistici a Bologna con Luigi Ferdinando Tagliavini e successivamente alla Accademia Internazionale d’organo di Haarlem (Olanda).
Ha suonato in vari Paesi europei e ha partecipato a numerosi Festivals Internazionali; ha inoltre effettuato registrazioni per la RAI e la Radio Svizzera Italiana.
Per la collana «Antichi organi italiani» della Ricordi ha inciso il disco dedicato al 700 sul «Callido» di Borca di Cadore. E’ insegnante d’organo e composizione organistica presso il Conservatorio «B. Marcello» di Venezia.
È Ispettore onorario del Ministero per i Beni Culturali e membro della Commissione per la tutela degli organi antichi.

Il programma del concerto prevedeva:
B. PASQUINI (1637-1710): Toccata in re minore
B. PASQUINI (1637-1710): Tre arie
D. ZIPOLI (1688-1726): All’Elevazione (II)
D. ZIPOLI (1688-1726): Pastorale
J. PACHELBEL (1653-1706): Toccata in do minore
J. PACHELBEL (1653-1706): Aria Sebaldina con 8 variazioni
J. F. DANDRIEU (1682-1738): Noël «Voici le jour solemnel»
J. STANLEY (1713-1786): Voluntary in la minore op. 6 n. 2
J. S. BACH (1685-1750): tre preludi corali:
Christum wir sollen loben schon BWV 611
Nun komm’, der Heiden Heiland BWV 659
Jesu, meine Freude BWV 610
J. S. BACH (1685-1750): Preludio e fuga in sol maggiore BWV 541

Seguì come bis:
A. LUCCHESI (1741-1801) Sonata per organo

A questa prima serata seguì:
Il giorno successivo, domenica 19 dicembre il gruppo “gregorianisti” della Cappella Musicale “Santa Maria” di Lugo diretti da don Carlo Marabini eseguirono alla Messa delle 11.15 la “Missa cum Jubilo” di G. Cavazzani. All’organo sempre Elsa Bolzonello Zoja.
Martedì 21 dicembre alle ore 20.30 fu eseguita la “Messa da Requiem” di L. Perosi in suffragio di mons. Giuseppe Sermasi.
Domenica 26 dicembre alle ore 16 la Cappella Musicale “Santa Maria “ di Lugo diretta da don Carlo Marabini eseguì un concerto di musiche natalizie. All’organo Maria Grazia Filippi; tromba: Valerio Beltrami.

Ma soprattutto la notte di Natale, con un scelto repertorio di canti natalizi, fu la prima esibizione della neonata “Corale di San Petronio”, diretta dallo scrivente con all’organo Francesco Scardovi.
Il 25 dicembre, alle 11.15, cantò alla Santa Messa il tenore Domenico Drei accompagnato all’organo da don Domenico Casadio.

Registrazione originale del concerto del 18 dicembre 1982

Registrazione originale del concerto del 26 dicembre 1982

Il restauro del 2019

Dopo trentasei anni e qualche mese di onorato servizio, era ormai giunto il tempo di revisionare completamente lo strumento: polvere, parassiti, sporcizia e qualche disallineamento delle aste richiedevano un intervento di sistemazione radicale e non una semplice accordatura. Si pensi che, in questi anni, per ben due volte il pavimento della chiesa è stato levigato con la conseguente nuvola di polvere che pesantemente si è depositata dentro le canne dell’organo.
Gli zii di Elisabetta Grandi, la giovane organista scomparsa prematuramente nel 2018 che per oltre vent’anni aveva suonato quello strumento, cioè lo scrivente e mia moglie, sono venuti alla decisione di provvedere, a loro spese, ad un radicale intervento di restauro dello strumento. Tramite l’amico Giuliano Castellari è stato contattato l’organaro Nicola Ferroni di Lendinara che in quindici giorni di permanenza a Castel Bolognese ha completamente revisionato lo strumento. Questa la sua relazione sui lavori svolti nella seconda quindicina di settembre:

Le canne del Principale 8′ sono di lega di stagno, purtroppo lo spessore della lastra non è sufficiente per garantirne la stabilità. I piedi delle prime cinque canne maggiori hanno ceduto in punta, e nelle canne interne il gancio di sostegno è stato strappato in seguito al collasso del piede. Si è dovuto provvedere a reggere le suddette canne con legacci ancorati al sostegno e, per la canna maggiore di facciata, il Re1, è stato necessario legarla con filo metallico per evitare il crollo. Il foro al piede era completamente chiuso e le bocche deformate dal peso. Si è inserito un tubo di alluminio nel foro del piede opportunamente allargato, così da impedirne lo strozzamento. Si è rimessa in forma la bocca ai lati e lo scudo superiore. Le anime, che si erano abbassate al centro a causa della gravità, sono state riportate in linea con il labbro inferiore. Ciò ha permesso di recuperare almeno parzialmente le note gravi del Principale che prima risultavano quasi assenti.
Intonazione e accordatura erano in disordine al momento del sopralluogo, soprattutto a causa della polvere e delle ragnatele ovunque nell’organo. Tutte le canne sono state smontate e soffiate con aria compressa, spolverate e rimesse in forma.
La stecca del Fagotto di 16′ era disallineata con i fori del somiere poiché l’asola di guida del movimento era stata chiusa con feltro incollato e dunque la corsa era controllata solamente dal pomello in consolle.
Si è corretto il movimento di apertura e chiusura della stecca ripristinando l’asola e la sua guida di ottone conficcata nella tavola del somiere.
Altri comandi accessori di registro (il tiratutti e il tremolo) erano stati rimossi o non funzionavano al momento dell’intervento e si è deciso d’accordo con la committenza di lasciarli come si trovavano.
La trasmissione dei manuali è interamente meccanica, con leve dei tasti fulcrate in coda secondo i modelli della scuola veneta. La tastiera superiore è sospesa ai ventilabri tramite tiranti e catenacciatura, mentre quella inferiore è appoggiata a pironi, che per mezzo della catenacciatura comandano l’apertura dei ventilabri. La pedaliera muove squadrette e tiranti sino alla catenacciatura posta sotto il rispettivo somiere. I comandi di registro sono azionati tramite pomelli disposti in colonne ai lati della finestra di consolle, a destra Grand’organo e Pedale, a sinistra il Positivo. I pomelli trascinano aste di metallo che a loro volta muovono i catenacci e le “spade” collegate alle stecche dei registri.
Le unioni a pedaletto (I-Ped., II-Ped. e II-I) sono ottenute mediante leve fulcrate in coda o interfisse, poste sopra le tastiere dietro il pannello della finestra di consolle.
Si è provveduto a spolverare interamente le tastiere e le catenacciature, e si sono regolate le unioni dei corpi d’organo. Il meccanismo che unisce le due tastiere, una barra trasversale con bilancini semplicemente appoggiati, si è dimostrato poco affidabile, perché, mancando i perni, le suddette leve interfisse possono spostarsi e interferire con le vicine, causando intoppi e blocchi della trasmissione.
Il motore è di marca Daminato, è stato spolverato e lubrificato con l’apposito olio. I mantici e i condotti portavento sono in ottimo stato e non si sono riscontrate perdite d’aria.
I tre somieri a tiro sono d’ottima fattura, con adeguati spessori di “mogano sipo” per le tavole e le coperte, i ventilabri e la secreta sono perfettamente funzionanti senza perdite di pressione o fughe. I crivelli sono stati smontati e puliti prima di controllare il corretto allineamento delle canne.
Due trasporti del vento, che alimentano le canne gravi del Fagotto sul supporto fuori somiere, erano staccati. Sono stati nuovamente collegati nei rispettivi alloggi. Si è accantonato il pannello che copriva la parte inferiore del suddetto supporto delle canne più gravi di Contrabasso e Fagotto che serviva solamente a mascherare i condotti di alimentazione delle canne. Ciò ha consentito di rimuovere la sporcizia accumulatasi negli anni.
Le canne di legno sono state smontate per poter rimuovere i tappi di accordatura e controllare lo stato delle guarnizioni, che sono risultate sane e ancora efficaci.
Le relative linguette metalliche per la regolazione del flusso d’aria al piede sono state bloccate nella giusta posizione con una goccia di colla vinilica.
Le tube dei registri ad ancia sono state pulite e ispezionate: le saldature sono complessivamente in buono stato, nonostante in qualche caso nel gambo di supporto abbiano ceduto. I piedi di queste canne sono ottenuti da pesanti tubi di piombo, che garantiscono la stabilità ma sono soggetti a corrosione, nonostante la vernice protettiva che li ricopre. Il fenomeno si mostra soprattutto nella zona medio-grave del registro di Tromba e nel Fagotto, con formazione di polvere bianca che blocca facilmente il suono e rende precaria l’accordatura.
Dopo la pulizia dei somieri e delle canne, si è provveduto a ripassare l’intonazione dei registri labiali, correggendo alcuni difetti di pronuncia e disomogeneità di forza. Non si è modificata l’impostazione fonica e non si sono alterati i criteri generali d’intonazione a pieno vento senza denti caratteristica dello stile cosiddetto “neo-barocco”.
L’accordatura è stata ripristinata rispettando il corista rinvenuto (leggermente calante rispetto al La3=440 Hz a 18° C) e il sistema di temperamento descritto nel foglio appeso alla porta d’accesso alla camera dell’organo e firmato dalla ditta Ruffatti.
Complessivamente lo strumento è ora in discrete condizioni di conservazione e quasi pienamente efficiente, nonostante il collasso dei piedi delle canne gravi di facciata. Si consiglia di controllare periodicamente lo stato dei legacci che tengono le canne maggiori del prospetto vincolate ai sostegni interni. Poichè il cedimento della lastra è irreversibile, sarà necessario ricostruire i piedi danneggiati, se non addirittura le prime cinque o sei canne, data la loro scarsa stabilità strutturale.

Disposizione fonica:

Grand’Organo
Principale 8′ in facciata da Re1, 35 note; il rimanente interno. Lastra con alta percentuale di Stagno.
Ottava 4′ di metallo con alta percentuale di Stagno
Decimaquinta 2′ di metallo con alta percentuale di Stagno
Ripieno 4 file (XIX-XXII-XXVI-XXIX con ritornelli tradizionali) di metallo con alta percentuale di Stagno
Flauto in VIII 4′ cilindrico, di metallo con maggiore percentuale di piombo
Flauto in XII 2.2/3′ a cuspide, di metallo con maggiore percentuale di piombo
Tromba 8′ (linguali fino al Re5, poi labiali; tube di rame)
Organo Positivo
Bordone 8′ canne tappate, 1-12 di legno d’abete, rimanente di metallo con maggiore percentuale di piombo
Flauto a cuspide in VIII 4′ di metallo con maggiore percentuale di piombo
Principale 2′
Cornetto 3 file (XII-XV-XVII) canne cilindriche di metallo con maggiore percentuale di piombo
Tremolo
Pedale
Contrabasso (o Subbasso tappato) 16′ di abete
Ottava di rinforzo 8′ aperto di abete
Quintadecima 4′ aperto di metallo
Fagotto 16′ ad ancia con tube di rame

Album fotografico relativo al restauro (99 fotografie!) a cura di Nicola Ferroni

Il concerto dopo il restauro

Per la prima volta il rinnovato suono dell’organo si è ascoltato la sera del 27 settembre 2019 in occasione del primo ingresso in Parrocchia del nuovo Vescovo di Imola mons. Giovanni Mosciatti, poi la domenica 6 ottobre in occasione della Messa delle Cresime.
Domenica 27 ottobre, alle 18.30, al termine della Messa Vespertina, lo stesso restauratore, Nicola Ferroni, ha accompagnato il quartetto “Nuova Musica Antica” di Rovigo, composto da Liliana Tami, Jenny Carità, Monica Valentini e Sara Magon. Questo gruppo vocale si è ricostituito l’anno scorso sulla scia di una precedente formazione guidata dal compianto Maestro Vincenzo Ferrari, scomparso nel 2017.
Il repertorio su cui si concentra il suo interesse è costituito principalmente dalla musica composta ed eseguita nei conventi femminili italiani durante l’epoca barocca. È noto infatti che alcune città italiane, ad esempio Milano, Venezia e Bologna, ospitavano conventi e collegi femminili rinomati per questo specifico genere musicale.
Inoltre il gruppo sta estendendo la ricerca alla polifonia tardo-rinascimentale espressamente concepita per voci femminili o che si presta perfettamente all’esecuzione con sole voci femminili, rispettando opportuni accorgimenti tecnici.
Questo il programma:
GIROLAMO FRESCOBALDI: da i Fiori Musicali, Toccata e Ricercare con obbligo di cantare la quinta parte;
FRANCISCO CORREA DE ARAUXO: Canto llano de la Immaculada Concepcion de la Virgen Maria;
TARQUINIO MERULA: Intonazione del quarto tono;
CLAUDIO MONTEVERDI: Cantate Domino;
BERNARDO STORACE: Passacaglia;
DOMENICO ZIPOLI: verso;
FRA’ SISTO REINA: Hinc mundi jam procul, mottetto a tre;
DOMENICO ZIPOLI: verso;
FRA’ SISTO REINA: Per ima loca, mottetto a tre;
DOMENICO ZIPOLI: Canzona;
ISABELLA LEONARDA: Ave Regina Caelorum, mottetto a quattro;
Al termine, lo scrivente, insieme al quartetto, ha eseguito il Panis Angelicus di César Franck.
Di questo concerto rimangono spezzoni di registrazione eseguiti da amici degli esecutori e da Francesco Minarini.

Registrazioni del concerto del 27 ottobre 2019

 

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1949-2019: le campane di San Petronio suonano da settant’anni https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/1949-2019-le-campane-di-san-petronio-suonano-da-settantanni/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/1949-2019-le-campane-di-san-petronio-suonano-da-settantanni/#respond Sun, 22 Dec 2019 18:17:14 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=7387 di Paolo Grandi L’agonia del campanile di San Petronio iniziò il 24 e 25 maggio 1943 quando gran parte delle campane furono calate dai campanile delle chiese cittadine per ordine del Governo, requisite da fondere per usi bellici. Si salvò il concerto di San Petronio e da quel campanile fu …

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di Paolo Grandi

L’agonia del campanile di San Petronio iniziò il 24 e 25 maggio 1943 quando gran parte delle campane furono calate dai campanile delle chiese cittadine per ordine del Governo, requisite da fondere per usi bellici. Si salvò il concerto di San Petronio e da quel campanile fu calata solo la campana che avvisava le “messe basse”, che non faceva parte del concerto. Si sperava così di salvare almeno il gruppo di campane più completo ed intonato. Ma la sosta del fronte sul Senio era alle porte e l’artiglieria anglo-americana non risparmiò i campanili di Castel Bolognese. Quello di San Petronio, col suo carico di campane, fu più volte colpito, finché la vigilia di Natale del 1944 fu abbattuto da un colpo di artiglieria, crollando nel Presbiterio della chiesa e trascinando con sé campane, organo e parte del coperto.
Una curiosità su questo abbattimento: tra l’esercito anglo americano erano presenti anche volontari di altre Nazioni che speravano di liberarsi dal giogo tedesco e riconquistare la libertà e l’autodeterminazione; tra questi molti polacchi e tra essi Henryk Strzelecki (4 ottobre 1925 – 26 dicembre 2012) che proprio sparò il colpo ferale al nostro campanile. Ora il nome in sé non dice un gran che ma scorrendo la biografia di questo soldato, disegnatore di moda in tempo di pace, si scopre che, abbandonata l’idea di tornare nella natia Polonia che nel frattempo, pur liberata dal giogo nazista era piombata sotto quello comunista, si trasferì in Gran Bretagna e lì, mutato il nome in Henri Strzelecki fondò nel 1963 a Manchester insieme ad Angus Lloyd la famosa firma di moda Henri Lloyd.
Henryk Strzelecki è tornato due volte a Castel Bolognese tra gli anni ’90 ed i primi del presente secolo ed entrambe le volte si è recato dal fotografo Angelo Minarini a cercare foto di guerra e dall’allora Arciprete mons. Dall’Osso per consegnare una somma “in riparazione” dei danni da lui causati al campanile.
Naturalmente nel dopoguerra si pensò sia alla ricostruzione del campanile, sia alla fusione di un nuovo concerto di campane.
Lascio quindi la parola a don Garavini che così annota sulla cronaca parrocchiale.

1949: fusione delle campane

“Nella primavera di quest’anno, dietro le insistenze dell’arciprete fervono i lavori delle nuove campane presso la Ditta Brighenti di Bologna. Sarebbe stato vivo desiderio anche della popolazione di averle per Pasqua, o almeno per la visita della Madonna Pellegrina (B. V. del Piratello) che dal 5 marzo è in giro per le parrocchie della diocesi verso la bassa imolese, e il 24 aprile – domenica in albis – giungerà fra noi per restarvi fino all’altra domenica 1° maggio. Ma è un sogno impossibile ad avverarsi data la lentezza dei lavori e la ristrettezza del tempo”.

1949: inaugurazione delle nuove campane dell’arcipretale

“Ciò che era sembrato da principio un sogno sta per diventare consolante realtà. Le campane che non si sono potute avere né per Pasqua né per la “Peregrinatio Mariae” si avranno per le tradizionali Feste di Pentecoste. L’Arciprete fa continuamente la spola tra Castel Bolognese e Bologna dove è la ditta Cav. Giuseppe Brighenti fonditrice, per sollecitare i lavori inceppati sempre con mille pastoie burocratiche. Finalmente le 4 campane che pesano q.li 5,19 la maggiore, 3,67 la seconda, 2,64 la terza, 1,62 la piccola, arrivano fra la curiosità di molti castellani sul tardi del sabato sera 28 maggio 1949. Nel centro della chiesa si è già apprestata una grandiosa armatura che prende in lunghezza tutto lo spazio della navata centrale e con grandi sforzi vi vengono sospese per la Consacrazione del giorno dopo.
La prima ha scolpite all’esterno le immagini del Sacro Cuore di Gesù, della B. V. della Cintura protettrice, di San Petronio Patrono principale e San Michele Arcangelo con le seguenti epigrafi: “Conflatum A. MDCCCXVI sumptu sac. Francisci Favolini – Destructum immani bello a. MCMXLIV – denuo fundor in honor S.S. Cordis Jesu Mariae a Cingulo – Petronii Episc. Castri Bonon. Patr. Max. Michaelis Princ. Mil. coel. – et in obsequium erga Fratres Scardovi huius eccl. benefact. A. MCMXLIX tempore belli A. D. MCMXL – MCMXLV – Restitutum publico sumptu A. D. MCMXLVIIII – Opus Eq. Caesaris Brighenti Bononiensis”. Per la verità, siccome l’ultima parte dell’epigrafe dove dice: “Ablatum tempore .. etc” aggiunta in tutte le campane per ordine dello Stato potrebbe far credere che le campane vecchie siano state requisite come tante altre del paese, quelle di S. Petronio salvate dalla requisizione caddero dentro la tromba del campanile crollato per colpi di granate, sbriciolandosi la seconda, i frantumi della quale volarono in tutte le parti e salvandosi solo la quarta. Era stato requisito solo il campanello. Quindi il particolare a cui allude l’ultima parte dell’iscrizione è un errore storico.
La seconda ha le immagini del SS. Crocifisso, della B. V. del Rosario, di Sant’Antonio da Padova e di San Francesco di Paola, e la la seguente epigrafe: “Refectum A. MLCCCXVI Add. novo aere sumptuq. Sac. F. Favolinii – Tormenti bellici ictibus confractum A. MCMXLIV – Terbio Res Publica Italica me fudit in hon. Crucifixi D.N.J.C. – B.V. a Rosario Antonii Pat. Francisci Paul. – et in memoriam observantiae erga fratres Dalpane benefact. A. MCMXLIX – Ablatum … etc. come sopra”.
La terza ha le immagini dell’Addolorata, di San Giuseppe, di San Domenico e San Luigi Gonzaga, e la seguente epigrafe: “A. MDCCCXVI me fudit piets sac. F. Favolinii – bellum saeviss. comminuit dispersit – Res Publica Italica restituit – in hon. B.V. Perdolentis – Joseph univ. eccl. patr. Dominici patris Aloisii Gonz. – A. MCMXLIX”.
La quarta ha le immagini della B. V. di Lourdes, Sant’Antonio Abate, Sant’Agnese, Santa Teresa del Bambin Gesù e la seguente epigrafe: “Fusum A. MDCCCXVI impensa sac. F. Favolinii – e ruinis post bellum eductum reficior iterumq. tinnio – in hon. Dominae Nostrae a Lourdes nuncup. – Antonii Senioris Agnetis V.M. Theresiae a Jesu infante A. MCMXLIX” il resto come nelle altre.
La domenica 29 maggio è stato un continuo via vai di visitatori e intanto fervevano i preparativi della solenne benedizione che avrebbe avuto luogo verso sera. L’armatura si è adornata a profusione di frasche verdi e di fiori e la cerimonia ha avuto inizio sulle 18.30 dopo la solita funzione eucaristica. Particolari: le recite di molti salmi come nel Pontificale Romano fatta dal Vescovo coadiutore coi numerosi sacerdoti intervenuti anche dalle parrocchie vicine, la benedizione del sale e dell’acqua, la lavanda dei bronzi all’interno e all’esterno, le unzioni col S. Crisma e con l’Olio degli infermi con l’imposizione dei nomi, il profumo d’incenso nei bracieri sottostanti le campane e il discorso finale pronunciato dal Vescovo Coadiutore in abiti pontificali sul pergamo davanti ad una folla strabocchevole. La letizia per lo storico avvenimento si leggeva sul volto di tutti. Fungevano da padrini gl’insigni benefattori Sigg. Vincenzo Scardovi e Giuseppe Dalpane in rappresentanza anche dei loro fratelli. Nei giorni seguenti è stata calata la quarta campana del vecchio concerto, estratta come già detto nella cronaca della guerra dalle macerie del campanile, e dati gli ultimi tocchi al castello di sostegno pian piano ha avuto luogo l’innalzamento dei nuovi bronzi. Il giovedì sera 2 giugno erano già a posto e la sera seguente dopo l’ora di notte si è udito all’improvviso il primo doppio seguito da molti altri fin verso mezzanotte. È stata un’esplosione incontenibile di gioia in paese e in campagna. Molti che già si erano coricati, usciti d’un balzo dal letto e vestitisi in fretta sono usciti nelle vie a scambiarsi i più animati commenti e favorevoli impressioni. Il sabato 4 e nel Triduo di Pentecoste è stato un continuo scampanio a mezzo di squadre venute da altre parrocchie e perfino da Bologna. Dalla stessa città la domenica ha fatto pure una scappata il fonditore Cav. Cesare Brighenti per constatare sul luogo l’effetto. Ci auguriamo che le nuove campane non abbiano a subire l’oltraggio toccato alle vecchie.
In tutte le epigrafi si è voluto ricordare il benemerito Don Favolini a spese del quale fu fatto il vecchio concerto nel 1816.
Per la cronaca riportiamo il testo dell’epigrafe appesa per la circostanza sopra la porta centrale del tempio: INTONATE CONCORDI – O CRISTIANI – COL NUOVO ARMONICO CONCERTO – DI CAMPANE – L’INNO DI GRATITUDINE – A – MARIA IMMACOLATA – AUSPICANDO – AL NOSTRO CARO CASTELLO – DAL PATROCINIO DI TANTA MADRE – PROSPERITÀ E PACE.

E questo inno di prosperità e pace sta ancora risuonando dopo settant’anni e, si spera, ancora per tanto, tanto tempo ancora.

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L’incendio nella chiesa di San Francesco del 6 giugno 2017 https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-francesco/lincendio-nella-chiesa-san-francesco-del-6-giugno-2017/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-francesco/lincendio-nella-chiesa-san-francesco-del-6-giugno-2017/#respond Sat, 17 Jun 2017 21:34:23 +0000 https://www.castelbolognese.org/?p=5913 (a cura di Andrea Soglia) In questo momento lo consideriamo un fatto di cronaca, ma l’incendio avvenuto nelle prime ore di martedì 6 giugno 2017, appena finita la sagra di Pentecoste, entrerà a far parte della storia della chiesa di San Francesco. Una storia non sempre fortunata, caratterizzata da disastri …

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(a cura di Andrea Soglia)

L’Assunzione di Maria ed i santi Pietro apostolo e Carlo Borromeo, opera di Giuseppe Righini, distrutta nell’incendio (foto Minarini)

In questo momento lo consideriamo un fatto di cronaca, ma l’incendio avvenuto nelle prime ore di martedì 6 giugno 2017, appena finita la sagra di Pentecoste, entrerà a far parte della storia della chiesa di San Francesco. Una storia non sempre fortunata, caratterizzata da disastri piccoli e grandi. La chiesa fu colpita da due terremoti: quello del 1781 lesionò la chiesa e fece crollare il campanile mentre quello del 1854 lesionò gravemente la cupola, che finì per crollare nel 1858. Venne poi la Seconda guerra mondiale a lasciare indelebili ricordi sulla struttura della chiesa, pesantemente danneggiata nel suo insieme e con la perdita irreparabile del campanile (mai più ricostruito), del coro, del pulpito e del voltone che univa la chiesa all’ex convento divenuto palazzo Mengoni. Non dimentichiamo anche le traversie più vicine a noi nel tempo: la chiesa fu chiusa al culto nell’agosto del 1990 (e fino al 1994) per problemi di stabilità della cupola minata dalle continue infiltrazioni d’acqua e le piccole ma continue vibrazioni dovute al transito dei mezzi pesanti sull’adiacente via Emilia.
Il mese di maggio 2017 aveva già visto l’avvio di alcuni lavori di consolidamento tra cui il rifacimento, a seguito del crollo, del tettuccio della cappella dell’altare della Madonna e il consolidamento delle architravi delle due porte di ingresso che danno sulla piazza.
L’incendio del 6 giugno ha solamente sfiorato la chiesa, ma ha praticamente distrutto l’attigua ex sacrestia, che era adibita magazzino, e tutto il suo contenuto, ritenuto di scarso valore artistico.  Purtroppo ai gravi danni materiali dell’ex sacrestia si è aggiunto l’unico danno tangibile al patrimonio artistico della chiesa: la perdita del grande quadro che rappresentava l’Assunzione di Maria ed i santi Pietro apostolo e Carlo Borromeo. Il quadro era collocato sopra la porta che conduce al deposito distrutto e copriva lo spazio vuoto lasciato dal pulpito intagliato in noce (spostato dalla parte opposta ad inizio ‘900). Dietro di esso era rimasta una sorta di finestra che non era altro che l’accesso al pulpito: il fuoco, tramite la “finestra” ha agito inesorabilmente sul retro della tela di cui sono rimasti solo i due angoli inferiori.
Il quadro, pur non essendo fra i principali gioielli della chiesa, aveva certamente un’elevata importanza storico-artistica: proveniva dall’Oratorio Parini (oggi noto come Forno della Chiesina), costruito da Pier Carlo Parini nel 1759 e dedicato a Santa Maria Assunta, di cui costituiva la pala d’altare. Era in ottime condizioni di conservazione, in quanto era stato sottoposto a restauro nel 1997. Il quadro era opera del pittore imolese Giuseppe Righini, del quale riportiamo queste notizie trovate nel catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna (consultato sul sito bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/):
“Di Giuseppe Righini non si conoscono gli estremi biografici. Entrato nella scuola di pittura di Girolamo Donnini presumibilmente nel corso del terzo decennio del XVIII secolo, il Righini collaborò col maestro nelle due tele della chiesa del Carmine di Imola realizzate agli inizi del quarto decennio. La sua attività si conclude, probabilmente, nel 1784, data apposta dal pittore al Miracolo di san Lorenzo da Brindisi della chiesa di San Bartolomeo dei Cappuccini di Imola”.
Siamo certi che i danni all’ex sacrestia verranno totalmente riparati e che un altro quadro (o una riproduzione della tela distrutta) sostituirà la tela del Righini. Se vogliamo, pur nella disgrazia, possiamo dirci fortunati che tanta gente si fosse attardata in piazza alla fine della festa, così l’allarme è stato tempestivo e la chiesa si è salvata… ma gli episodi del passato remoto e recente ci rammentano quanto la nostra bella chiesa sia delicatissima nella sua struttura e che quindi tutti debbano interessarsi al suo destino.
La pagina è arricchita da una foto del quadro distrutto, scattata recentemente dal fotografo Minarini (che ringraziamo), da un filmato girato durante l’incendio e da una serie di fotografie scattate da vari castellani (increduli) la notte dell’incendio e recuperate sulla rete. Alleghiamo anche una breve rassegna stampa dell’accaduto, pur’essa ricca di fotografie che documentano i danni. Di ogni immagine, che riteniamo di futura importanza storica, riportiamo l’autore, che potrà chiederne la rimozione qualora non gradisse la pubblicazione sul sito (che ricordiamo essere privo di qualsiasi scopo di lucro). Tutti coloro che siano in possesso di altre immagini relative alla vicenda ci faranno cosa gradita inviandocele, le aggiungeremo alla pagina.

Filmato tratto dal profilo facebook di Sante Garofani

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Chiesa di San Petronio: storia dell’edificio https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/chiesa-di-san-petronio-storia-edificio/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/chiesa-di-san-petronio-storia-edificio/#comments Tue, 10 Sep 2013 17:54:50 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/la-chiesa-di-san-petronio-a-castel-bolognese-storia-delledificio/ La prima chiesa Si deve senza dubbio ai bolognesi la costruzione della prima chiesa all’interno del Castello da loro fondato sul finire del XIV secolo, se non altro per la sua intitolazione al santo protettore della città felsinea: San Petronio. Scrive padre Gaddoni: Esisteva nel 1396 e a primo rettore …

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facciataSP2La prima chiesa

Si deve senza dubbio ai bolognesi la costruzione della prima chiesa all’interno del Castello da loro fondato sul finire del XIV secolo, se non altro per la sua intitolazione al santo protettore della città felsinea: San Petronio. Scrive padre Gaddoni: Esisteva nel 1396 e a primo rettore è ricordato nel 1405 Bartolomeo Scardovi. Il terreno sul quale fu fabbricato il castello apparteneva alla pieve e parrocchia di Campiano, e rimane incerto se la nuova rettoria dipendesse da detta pieve o direttamente dalla Curia Vescovile di Imola. La chiesa sorse nel centro dell’antico castello in proporzioni modeste, ma i fedeli vi eleggevano comunque l’ultima loro dimora. Nel 1574, dice ancora il Gaddoni, correva la tradizione che la prima chiesa esistesse a destra entrando, nel sito della terza cappella, eretta ad onore di Santa Caterina. Questa modesta costruzione non rimase a lungo perchè sul finire dell’anno 1427 o in principio dell’anno successivo furono gettate le fondamenta della nuova fabbrica.

La seconda chiesa

Un atto del 25 febbraio 1428 offre notizie sulla costruzione della nuova chiesa affidata a mastro Giovanni del fu Guglielmo alias nuncupatus Dal Palladio muratore bolognese: davanti a Giovanni Panzacchi podestà di Castel Bolognese egli promette a don Bernardo rettore di San Petronio, e ser Nunzio di Biancanigo a ser Giorgio da Tebano ed a Gualtiero Gualtieri di Limadizzo sindaci della chiesa di edificarla e terminarla con tutte le cappelle già incominciate, innalzando i muri entro il successivo mese di marzo. Per il collaudo della fabbrica, dopo cinque anni, sarebbero stati scelti due maestri, secondo gli Statuti di Bologna. A dieci anni dall’inizio dei lavori, benché la chiesa fosse già stata costruita, erano ancora necessarie altre opere per il suo completamento, tanto che con rogito dell’8 gennaio 1438 rettore e sindaci vendono terreni della prebenda per affrontare la spesa della costruzione della torre campanaria.

Non resta un elenco di tutte le cappelle od altari costruiti nei primi tempi in detta chiesa: si hanno notizie solo della cappella della Madonna, di cui è fatto cenno nel 1428, della cappella di S. Gregorio, nel 1449, di quella di S. Lorenzo, con beneficio, nel 1453, e di S. Andrea, pure con beneficio, nel 1497. Lasciti, donazioni, elezioni di sepoltura, paci ed altri avvenimenti di minore importanza ricordano la chiesa nei secoli XV – XVI.

L’interno era a tre navate, tutte a volta, compreso il coro, e sufficientemente vasta. Tre colonne per parte sorreggevano la navata mediana; gli altari laterali, di marmo o pietra serena, erano aderenti al muro delle due navate secondarie, sotto le quali erano otto cappelle. Cinque finestre illuminavano la chiesa nel 1698; non sappiamo se esse conservassero la forma primitiva o avessero subito un ampliamento, ordinato nel 1574, anno in cui si trovavano vetrate con orticoli. Dal lato dell’epistola dell’altare maggiore stava la sacrestia, costruita a volta ma ristretta; e dietro ad essa, ad est, sorgeva il campanile.

La facciata della chiesa guardava a ponente,e la porta fin dal 1574 era ornata di stipite, con sopra l’immagine di San Petronio. La stessa facciata si vuole nel 1616 restaurata e colorata in rosso, nonostante che fosse senza intonaco, come era tutto l’esterno della chiesa.; altri notevoli restauri furono compiuti da mastro Saulo e figlio, muratori milanesi, sotto l’arciprelatura di Pier Carlo Guarini (1678-1694).

L’altare maggiore in origine era in fondo al coro aderente al muro: l’abside di forma semicircolare era decorata di sacre immagini. Attorno al 1574, durante la visita pastorale, l’altare maggiore venne trasportato nel mezzo della cappella maggiore e gli affreschi dell’abside furono in quell’epoca ravvivati nei colori. In una nicchia ricavata dal lato dell’epistola dell’altare maggiore fu dapprima custodita la Colonna del Gargano. Portandosi alla porta della chiesa, a sinistra entrando è descritta nel 1653 un’acquasantiera di marmo; a destra si trovava anticamente il fonte battesimale, con sopra, dipinta sul muro, una Madonna sotto la quale era il battesimo di Gesù. Questo affresco era talmente rovinato nel 1564 che aveva bisogno di essere ridipinto. Il fonte venne ricostruito pochi anni dopo a sinistra entrando, ed anche su di esso si trovavano affrescate, entro un vano nel muro, varie immagini sacre, assai antiche. Fu dipinto inoltre il battesimo di Gesù e si ordinò che fosse ricoperto con un baldacchino di tela o di legno colorato. Il Visitatore Apostolico, ordinò di fare un nuovo battistero di marmo o pietra, isolato e circondato all’intorno da balaustra della stessa materia ed ai lavori vi fu posta mano nel 1574 riuscendo un’opera degna di quel tempo e della bella chiesa. Nel 1740 fu ordinato di completare il balaustro all’intorno, costruito solo verso la navata mediana, ovvero di trasportare lo stesso fonte aderente al muro della facciata o della parete laterale.

Il primo altare a destra era dedicato a Santa Maria morta cioè all’Assunzione di Maria Vergine e se ne fa cenno nel documento del 25 febbraio 1428, che riguarda la costruzione della chiesa e delle sue cappelle. Il nome del fondatore, Pietro di Biancanigo, era stato scritto sopra la parete dell’altare insieme con la data: 1432 die quarta novembris, che indicava l’epoca in cui fu ultimata la cappella. Le immagini affrescate, che ne erano l’ornamento, conciliavano l’animo alla devozione e invitavano alla preghiera; ma nel 1574, 1612 e 1616 erano così deperite che i visitatori di quegli anni ne ordinarono il restauro. Rappresentavano “La B. Vergine quando uscì di questa vita; il suo sacro corpo era circondato da Angeli e Santi” Nel 1698 l’altare era provveduto da Michele Caglia, il quale faceva celebrare la festa dell’Assunta; dopo la morte del benefattore non trovandosi chi pensasse alla sua manutenzione, fu demolito e sostituito con un confessionale. Il secondo altre era dedicato a S. Nicolò, la cui immagine era affrescata sul muro insieme a S. Sebastiano, ai lati della Vergine, che portava il Santo Bambino in piedi. Più sopra, a parte, era rappresentato Gesù morto con la Vergine Addolorata e S. Giovanni Evangelista. Questo altare fu in seguito dedicato a S. Francesco Saverio, a S. Sebastiano e a S. Maria Maddalena, per benefizi e legati ivi eretti e fatti dalla nobile famiglia Ginnasi. Ogni anno gli scolari di Castello vi festeggiavano il loro patrono, S. Nicolò. Il terzo altare fu per molto tempo di giuspatronato della distinta famiglia Pantaluppi. Come s’è sopra accennato, si diceva essere questo il sito su cui sorgeva la prima chiesa di S. Petronio. Nel 1574 il Visitatore Apostolico ebbe speciali attenzioni per questa cappella: la volle decorata ed ornata più delle altre ed ordinò il restauro della tavola, collocata sopra l’altare che nel 1653 viene descritta come molto antica e con varie immagini di santi. Una nicchia, situata dal lato sinistro, conteneva la statua di S. Caterina; dal lato desto era una porta che immetteva nell’andito della canonica, di fronte alla scala. Il quarto altare lo troviamo dedicato a San Girolamo nel 1564 e nel 1619; ma in quest’anno era stata trasportata su di esso una devota immagine della Madonna. Due anni dopo è detto dedicato alla B. Vergine della Consolazione ed a San Carlo Borromeo, canonizzato nel 1610. La Madonna, in atto di abbracciare il Bambino, non era dipinta su tela o su tavola, ma sul muro, come si rileva dalle parole seguenti, scritte nella visita del 1653: “Loco iconis in pariete depista est imago B. Virginia infantem Juesum amplexantis”. L’immagine, probabilmente in venerazione in qualche parete della chiesa, era stata levata tagliando il muro, ed ivi posta, venne ornata con cornice di legno, dorata e dipinta. Il 6 maggio 1684 fu eretta a detto altare la Confraternita della Cintura, per cui prese il nome della B. Vergine della Consolazione.

Passando alla parte opposta, e cominciando dal primo altare della navata sinistra, lo troviamo dedicato a S. Andrea Apostolo; esisteva nel 1497, come si è detto, e restò sino al 1574. Il secondo, sotto la navata laterale e di fronte all’altare della Cintura, dedicato a S. Bartolomeo Apostolo, aveva sulla parete affrescate le immagini della Madonna e di vari Santi, compresa quella del titolare, affreschi che circa il 1653, quando fu posta ivi in venerazione la colonna, detta di S. Michele Arcangelo, vennero sostituiti da un nuovo quadro, in cui erano raffigurati i Santi Bartolomeo e Giorgio e gli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, oltre la Vergine in gloria con il Santo Bambino. L’arciprete Francesco Caglia cedette il giuspatronato della Cappella alla nobile famiglia Rondinini dimorante a Roma, fra il 1698 ed il 1740. Seguiva la cappella di S. Vincenzo o della Concezione sopra il cui altare erano pure affrescate immagini. Nel 1653 e dopo, era dedicato a S. Carlo, con un quadro raffigurante la Vergine col Bambino accarezzato da Giovanni Battista ed i santi Petronio e Carlo e divenne giuspatronato della famiglia Tabanelli. L’altare attiguo, andando sempre verso il battistero, dedicato a San Giovanni Battista 1574, viene trasformato in quello di S. Margherita, che prima era venerata a sinistra entrando e a quanto sembra, presso la pila dell’acqua santa. Di fronte all’altare della Madonna Morta si trovava l’altare di Sant’Antonio Abate, soppresso quando ivi fu trasportato il battistero.

Numerosi sepolcreti esistevano nella chiesa nel 1698.

La costruzione della terza ed attuale chiesa

Per il terremoto orribile sentitosi la sera delli 4 aprile 1781 rimasero sconcertati e ruinati molti Edifici di questo nostro Castello, e segnatamente quello della Chiesa Arcipretale di San Petronio in guisa che essendosi dall’E.mo e Rev.mo nostro Vescovo il Sig. Cardinale Giancarlo Bandi riconosciuto inopportuno il rifacimento del medesimo, tanto più che non era in oggi più capace di tutto il Popolo, pensò piuttosto di farlo atterrare afatto e farne riedificarne altro nuovo.  Inizia così il libro della Fabbrica della chiesa di San Petronio, con la riunione dei Deputati dell’Assunteria il 31 maggio 1783. Effettivamente, la vecchia chiesa aveva subito danni dal terremoto, ma fu soprattutto la voglia di un tempio più moderno e più capace che spinse i castellani, con la scusa dell’irreparabilità delle lesioni telluriche, a fabbricare la nuova chiesa. Per la costruzione si stimò una spesa di circa 13.000 scudi, eccetto la facciata, ed il Vescovo di Imola, card. Bandi, provvide a tassare le cinque Confraternite cittadine per dieci anni in questo modo: la Confraternita di S. Maria dello Spedale 200 scudi annui, quella del Rosario 100, quella del Santissimo Sacramento 80 scudi, altrettanto quella del Suffragio e quella di Santa Croce 190 scudi. Provvide poi a tassare di 1.000 scudi gli Arcipreti di San Petronio, ottenendo così poco più della metà della spesa. Occorreva ora alla Fabbrica trovare le ulteriori risorse; questa presentò al Vescovo un piano economico basato in gran parte sulla economia delle candele e delle torce da accendersi durante le Messe, gli Uffici Funebri, le Funzioni e le Processioni in tutte le chiese cittadine rette dal clero secolare. Si sospese pure la distribuzione delle candele per la festa della “Candelora” il 2 febbraio nonché  le oblazioni di cera, che solevano farsi in occasione delle Processioni alle Immagini portate nelle rispettive Chiese. Furono parimenti sospesi i versamenti in denaro che le cinque Confraternite eseguivano al Monte di Pietà, salvo  le elemosine antiche solite darsi alle Confraternite al medesimo Sacro Monte per la solennità della Pasqua e quelle  che per instituto, e per consuetudine sogliono darsi dalle Confraternite ai poveri viventi, o per mezzo di messe, e suffragij ai poveri morti. Parimenti furono sospese le elemosine dotali per quelle Zitelle che avessero avuto uguali sussidi da altre Pie Istituzioni cittadine. Nessuna dilazione nei pagamenti avrebbero dovuto più concedere le cinque Confraternite ai loro debitori, né le stesse avrebbero potuto destinare denaro per spese straordinarie salvo quelle per concime e bonifica dei terreni. Fu inoltre stabilito che la contabilità delle cinque Confraternite fosse esibita alla Fabbrica per verificare l’esatta osservanza del piano economico e che gli avanzi di cassa fossero versati alla Depositeria della Fabbrica. Infine, furono esentate dall’affluire nella cassa della Fabbrica le elemosine del popolo verso le Immagini della Vergine e fu deciso di prendere opportuni accordi col Padre Guardiano della chiesa di San Francesco riguardo la sospensione delle offerte in cera alle Immagini della Vergine per ciò che riguardava l’Immacolata Concezione e le Processioni di Pentecoste con le relative soste nelle rispettive Chiese delle Confraternite.

Nel pomeriggio di domenica 27 luglio 1783 il vescovo Card. Giancarlo Bandi giunse a Castel Bolognese assieme all’architetto Cosimo Morelli per incontrare i Deputati della Fabbrica e presentare loro il progetto della nuova chiesa  ed in primo luogo del Sig. Cav. Morelli fù fatta vedere la pianta da lui novellamente formata della nuova chiesa da costruirsi, e che dopo sua Em.za fù approvata dal Sig. Arciprete, e suo Coadiutore, e dalli Sig.ri Deputati suddetti. A misure fatte, si scoprì che il nuovo Edificio Sacro era più largo del precedente e, pertanto si sarebbe dovuto occupare il vicolo posto sul lato settentrionale della chiesa ed acquistare una casa ed il retrostante cortile coi fienili, per realizzare il nuovo vicolo. Nella nuova chiesa, infine, non sarebbe più stato permesso seppellire i defunti ed anzi, prima della sua edificazione, era necessario bonificare il terreno ed esumare i corpi sepoltivi in tre secoli, depositandone i resti in un nuovo cimitero che, venne stabilito, sarebbe dovuto sorgere nella Rocca. Fu infine approvato di aprire una fornace al di là del canale,  in faccia all’orto detto della Masone, aprendo per uso della fabbrica  un foro nelle mura per il più comodo trasporto de’ materiali, quale foro doverà poi chiudersi a spese della Economia terminata, che sarà la chiesa.

Il 12 settembre 1783 mastro Francesco Dalrè, vincitore dell’appalto per la costruzione della nuova chiesa, iniziò la demolizione della vecchia facendosi dalla Sacrestia ed aprendo nelle mura del Castello il passaggio per far venire i mattoni dalla fornace alla Fabbrica. Nel frattempo le suppellettili presenti in San Petronio furono asportate per essere conservate altrove; molte di queste si riunirono in Santa Maria dello Spedale, chiesa che servì da Parrocchiale negli anni della ricostruzione, altre in Canonica. Un confessionale fu trasportato nella Chiesa del Pio Suffragio, un altro in San Sebastiano. Altre cose furono consegnate alle famiglie che avevano il giuspatronato sopra Cappelle ed Altari. In particolare, il pulpito ed il quadro di San Girolamo furono fatti portare presso il Palazzo Municipale, la Colonna del Gargano con l’ancona dell’altare ed altre sue suppellettili a palazzo Zacchia-Rondinini, l’ancona dell’altare di San Filippo e Carlo con tutte le relative suppellettili a casa Tabanelli, l’ancona dell’altare di Santa Margherita con le relative suppellettili a Palazzo Pallantieri, l’ancona dell’altare di San Nicolò con le relative suppellettili a Palazzo Ginnasi ed infine l’ancona di Santa Caterina con le relative suppellettili a casa Naldi.

Il 2 ottobre 1783 il Vescovo Bandi giunse a Castel Bolognese per benedire solennemente il sito del nuovo Cimitero, nella rocca, presente numeroso popolo; il successivo giorno 20 ottobre tornò per visitare i lavori al nuovo cimitero ed il luogo destinato alla fornace. Iniziarono poi i riti per la posa della prima pietra. Dapprima l’Arciprete Andrea Pozzetti, nel giorno di domenica 26 ottobre 1783 benedì solennemente il terreno ove sarebbe sorto il Tempio; questa la cronaca:  partitosi processionalmente dalla Chiesa di S. Maria della Misericordia con in mano una Croce di legno in mezzo a due torcie, e preceduto da un chierico continuamente incensante, accompagnato dal clero, e numeroso popolo, suonandosi sempre le pubbliche campane, si portò al luogo della nuova fabbrica, cantandosi l’inno sacro Vexilla Regis prodeunt; ed ivi giunto, collocò la S. Croce in terra inalberata nel luogo, in cui secondo il disegno dovrà eriggersi l’altare Maggiore; ed incensata, ivi la lasciò. Consta di questo atto ai rogiti del Notaio Eccellentissimo Sig. Dottore Luigi Bianconcini, indi seguì il solenne rito della posa della prima pietra, presente il Vescovo, il giorno 29 ottobre.  La mattina del giorno 29 ottobre 1783 circa le ore 16 l’Em.mo, e Rev.mo Sig. Card.le Giancarlo Bandi Vescovo d’Imola, e zio materno del regnante N. S. Papa Pio VI, venuto a questo fine a Castelbolognese, e smontato alla Canonica Arcipretale, ivi vestitosi de’ Paramenti Pontificali, assistito da due R.mi Signori Capitolari d’Imola, Decano Jacopo Filippo Porzi e Canonico Valeriano Tampieri, incontrato, e servito da questo clero, in presenza di copioso popolo, compì secondo il rito di S. Chiesa la solenne funzione di benedire la prima pietra a questa chiesa che si stà fabbricando, di S. Petronio, nostra Matrice Arcipretale: e disceso ne fondamenti scavati per le prime colonne laterali dalla parte del Vangelo, ivi nell’angolo tra Ponente, e settentrione collocò detta prima pietra, prima da Lui benedetta, e sopra di essa collocò pure una scatola di piombo con entro Sacre Reliquie di Santi Martiri, e due Agnus Dei Papali, con una medaglia di onore, in cui erano incise le iscrizioni, come qui sotto. Indi benedì d’ogni intorno i fondamenti parte posti, parte scavati e in parte disegnati; e finalmente diede la Sua Pastorale Benedizione annunciandosi dal Sig. Decano la indulgenza di cento giorni, che l’Em.za Sua Rev.ma concesse al popolo presente. Poscia col canto del Te Deum ritornò Sua Em.za alla Canonica suddetta, dove deposti li Paramenti Pontificali, e rivestitosi da viaggio, se ne ritornò alla Città d’Imola. Di questo solenne atto ne fece rogito l’Ec.mo Sig. dott. Luigi Bianconcini Notaio.  Il tutto sia a maggior gloria del Sig. Dio, e ad onore del glorioso Nostro Protettore S. Petronio.

I lavori di falegnameria furono affidati il 3 agosto 1784 ai mastri Luigi Baccarini e Giovanni Cani e quelli di fabbro il successivo 28 agosto a mastro Santi Pirazzoli, tutti di Castel Bolognese; quest’ultimo ottenne la commessa per aver offerto due successivi ribassi d’asta sui primi aggiudicatari, i mastri Tagliaferri e Rinaldi sempre di Castel Bolognese.

Le opere murarie crescevano e, a poco più di un anno dalla posa della prima pietra, erano già terminati coro e presbiterio tanto che la Fabbrica fu chiamata, nella seduta del 23 dicembre 1784, a decidere se dipingere o meno le opere compiute; fu deciso di accondiscendere al progetto del Morelli incaricando un pittore di procedervi. Quattro furono i preventivi giunti alla Fabbrica e questa scelse quello di Luigi Gallignani di Faenza per le buone informazioni avute da una lettera, esibita dallo stesso, redatta dall’architetto Giuseppe Pistocchi; vollero tuttavia sentire il parere dell’architetto Cosimo Morelli. Egli fu di contrario avviso, indicando gli imolesi Alessandro Dalla Nave ed Antonio Villa, cosicché la decisione fu rimessa al Vescovo che decise per questi ultimi, ma solo il 24 aprile 1785. Parimenti, nella riunione del 12 febbraio 1785 fu deciso di affidare le stuccature dei capitelli a tal mastro Fossati al prezzo di scudi 1.30 per ogni capitello.

Il 25 agosto 1785 il vescovo, Cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti visitò il cantiere  il quale osservò la fabbrica di cui si mostrò soddisfatto, come pure della pittura delle volte del coro, e Presbiterio. Successivamente il Prelato fece visita al nuovo cimitero.

Il 22 ottobre 1785 il coperto della chiesa era terminato e l’arciprete Paolo Andrea Camerini, su incarico del Vescovo, benedì in Santa Maria la croce di ferro che venne posta sulla facciata. Questa la cronaca:  dopo le ore 21 il sig. Arciprete Camerini coadiutore con facoltà speciale di Mons.re Vicario generale benedì solennemente la gran croce di ferro, che subito con solenne processione, intervento di numeroso Clero Secolare, e tutte le Confraternite, cantandosi l’inno Vexilla Regis prodeunt, accompagnata da divoto popolo per mano de’ Chierici in Chiesa, e de’ Confratelli a vicenda, e sempre sostenuta da due sacerdoti in cotta, e stola, fù portata dentro la nuova chiesa ed ivi incensata fù alzata contandosi da tutti inginocchiati il versetto O Crux ave spes unica salutata fra tanto con sbaro di mortari, e moschetti. Per mano poi d’un sacerdote in cotta e stola coll’ajuto de fabbricieri fù subito collocata su la cima della facciata, e di nuovo incensata dal sig. Arciprete come sopra. Ogni Confraternita mandò ad accompagnarla due primari officali con le torcie. Indi col canto del Te Deum ritornò la processione alla chiesa di S. Maria a maggiore gloria di Dio, e con allegrezza universale.

Nel gennaio del 1786 i lavori murari erano terminati, tanto che si discusse se il pulpito dovesse essere costruito a spese della Fabbrica, come sarebbe poi stato fatto, od a spese della Comunità come quello della precedente chiesa. V’era inoltre il problema della costruzione delle cantorie che il capomastro Dalrè insisteva fossero costruite in legno, come poi verranno eseguite, sopra un disegno però diverso da quello ideato dal Morelli. Fu infine deciso che al termine delle navate laterali fossero fatti costruire due ornati con monumenti allusivi, il primo a ricordo del vescovo Bandi sotto il quale prese inizio la fabbrica, il secondo a ricordo del vescovo Chiaramonti sotto il quale fu terminata. Nel successivo mese di marzo l’attenzione dei Deputati della Fabbrica si concentrò sull’allocazione del fonte battesimale, che Cosimo Morelli aveva previsto in una piccola Cappella posta a fianco dell’ingresso a settentrione, ove ancora si trova. Tale disposizione venne approvata sia dal Vescovo che dall’Arciprete e, pertanto venne ratificata dalla Fabbrica che ordinò di collocarvi  la pila antica sopra nuovo decente piede di sasso, e che la pila, la quale nella chiesa vecchia serviva da Aquasanctario si faccia servire per catino su cui versasi l’aqua, che si adoprerà in battezzare con farla ridurre a quel commodo, che perciò è necessario. Venne infine riferito che il capomastro Dalrè aveva inteso essere precisa intenzione dell’Architetto Morelli che le colonne ed i pilastri della chiesa fossero tutti dipinti a fine scannellature, ma la Fabbrica, che trovatasi in quel momento priva di denaro, decise invece per la sola imbiancatura valutando altresì che, diversamente, si sarebbe tolta luce alla chiesa. Infine si trattò degli altari laterali; a tal proposito, v’è da riferire che due anni prima il Marchese Rondinini si fece promotore, tramite l’Arciprete, della costruzione di un’apposita Cappella, in appendice alla chiesa, dedicata a San Michele ove degnamente ospitarvi la Colonna del Gargano; ritenendo prematuro parlarne, la Fabbrica rinviò ad un momento successivo il discuterne ed ora pareva giunto il momento di saggiare le volontà del Marchese e fu perciò deliberato di scrivergli.

Nella seduta del 16 maggio 1786 il pittore Antonio Villa mostrò il disegno dell’ornato a stucco da servirsi di cornice al quadro dell’altare maggiore e consigliò di eseguire l’opera in quel momento, poiché erano ancora montate le impalcature. I Deputati approvarono, ma gli raccomandarono la massima economia. Parimenti fu commissionato a Don Domenico Francesco Emiliani ed a Matteo Contoli di ordinare il nuovo quadro per l’altare maggiore, che fu poi commissionato ad Angelo Gottarelli. A giugno dello stesso anno i pittori avevano iniziato ad eseguire l’ornato dell’architrave ed alla Fabbrica piacque molto, tanto che, diversamente da quanto era stato deciso nel precedente mese di marzo, si ordinò loro di eseguire l’ornato delle colonne e dei pilastri col disegno illusionistico della scannellatura come previsto nel progetto del Morelli, nonostante la maggior spesa; contemporaneamente s’erano iniziati i lavori della seconda sacrestia, quella a valle, ritenuta necessaria nel caso in cui, nel futuro, la chiesa fosse diventata Collegiata.

I lavori di costruzione delle opere in muratura del tempio sembrano terminare nell’estate del 1786. In settembre giunse il conto dell’architetto Morelli, pari a 300 scudi, che fu giudicato esagerato e fu rimesso per un giudizio all’esame del Vescovo; per sua intercessione Cosimo Morelli si accontentò di 76 zecchini. In ottobre il capomastro Dalrè presentò il resoconto dei lavori di muratura perché fosse disposta la perizia sull’esattezza della loro misura, e del relativo conto economico e fosse ordinato il collaudo dell’opera. Il perito Sig. Giuseppe Morri, sentito il 13 dicembre 1786, ritenne che il conto del Dalrè pari a scudi 11.212, fosse invece da ritenersi stimabile in scudi 11.152; inoltre, avendo trovato alcuni prezzi alterati, gli sembrava opportuno chiedere al Capomastro un ribasso di almeno 500 scudi.
L’edificio sacro fu completato nell’anno successivo, ma il Vescovo non diede il permesso di aprirlo poiché privo di suppellettili ed arredi. Le Confraternite, visti i debiti in cui s’imbatteva la Fabbrica, s’impegnarono ad offrirle, ad eccezione dell’apparato paonazzo che sarebbe spettato alla Fabbrica e per l’acquisto del quale il Vescovo accordò l’apertura di un censo di 50 scudi.

Finalmente, il 2 marzo 1788 il vescovo Gregorio Barnaba Chiaramonti consacrò la nuova chiesa di San Petronio. Questa la cronaca:  Il giorno secondo del mese di marzo dall’E.mo, e Rev.mo Sig. Cardinale Gregorio Chiaramonti alla forma totale del Pontificale Romano fece solennemente la Consacrazione della nuova Chiesa Arcipretale di S. Petronio, come apparisce da pubblico istromento rogato dal Sig. Antonio Maria Gamberini notaio di Castelbolognese, e Cancelliere Vescovile foraneo. Tutti li Sig.ri Assonti deputati assistono alla Sacra Funzione, cioè i Sacerdoti col restante del clero in cotta, ed i laici vestiti col sacco delle loro rispettive Confraternite, ed io Sindico scrittore servij da Diacono in Camice, e stola nella chiesa, interiore alla prima apertura della porta maggiore.

Terminata la funzione, sua Em.za celebrò la S. Messa, dopo la quale si portò a casa de’ No. Sig.ri Con. Ginnasi servito della loro carrozza, dove pranzò.

Nel dopo pranzo fù cantato il Vespero dal Clero, avendo fatto l’ufficio l’Ill.mo e R.mo Sig. Can. Custode Giovanni Co. Compadretti, stando sempre esposto il SS.mo Sacramento; ed al Magnificat furono incensate solennemente dal celebrante le 12 Croci.

Indi la sua Em.za servito di carrozza, come sopra, ritornò, e diede la Benedizione col SS.mo Sacramento. Il tutto a maggior gloria di Dio.

A quasi due anni dalla consacrazione il Marchese Rondinini inviò un memoriale al Vescovo ed alla Fabbrica della chiesa per lamentare come non si fosse tenuto in alcun conto, nell’edificare la chiesa, della sua volontà di innalzare una Cappella per contenere la Colonna di San Michele. La Fabbrica rispose nella seduta del 17 dicembre 1790. Innanzitutto diedero atto che la Colonna, ritirata dagli agenti del Marchese al momento della demolizione della vecchia chiesa, come s’è sopra visto,  non si è pensato più ad esporla alla primiera venerazione, e si crede adoperata ad uso profano, indi risposero che nel disegno di Morelli le cappelle laterali della chiesa erano identiche e, se l’avesse chiesta, avrebbe ottenuto l’ultima della navata destra che, confinando col cortile della canonica, avrebbe potuto essere ampliata senza pregiudizio di altri; fecero notare inoltre che il Marchese non avrebbe tenuto fede alla promessa fatta il 27 luglio 1783, poi confermata con lettera,  alla presenza de’ Monsignor Alessandretti, de’ due Sig.ri Arcipreti, del Sig. Cav.re Morelli, de’ Deputati della Fabbrica, e di copioso popolo ch’era presente in chiesa, con la quale si impegnò a costruire la Cappella di San Michele a sue spese, cosicché gli venne stata riservata l’ultima cappella della navata sinistra che non poteva espandersi perché confinante con la strada e l’intercolumnio, che sarebbe potuto servire per l’esposizione della colonna ora non era di gradimento del Marchese che lo reputava troppo sacrificato.  Sicchè la Congregazione desidera che queste riflessioni siano poste sotto l’occhio purgatissimo di sua Em.za R.ma, supplicandola provvedere, che avendo le Confraternite con esorbitante spesa concorso alla fabbrica della chiesa, si degni provvedere, che li Commodi annessi a detta Fabbrica non restino ad uso di Particolari, che non vi anno alcun diritto, ma della Chiesa medesima, e dal rettore di essa, il quale a motivo della Fabbrica à dovuto restringersi nella sua canonica, perdendo altri suoi commodi assai più rilevanti, come a tutto il paese è noto. Il Vescovo venne a Castel Bolognese il 23 gennaio 1791 per cercare di risolvere la questione incontrando l’Arciprete, il Marchese ed i rappresentanti della Fabbrica; il Marchese rinunciò alla pretesa sul camerino posto nell’intercolumnio e s’impegnò a far dipingere un quadro per il nuovo altare di San Michele, ma la Fabbrica avrebbe dovuto provvedere la Sacrestia di un nuovo armadio. Conclusa questa ultima vertenza, la Fabbrica di San Petronio cessò il suo servizio; non si concluse invece il suo compito economico, che proseguì, tra pagamenti e ricerca di denaro, per altri sette anni e si concluse soltanto nel primo semestre dell’anno 1800.

Paolo Grandi

Le piante delle tre chiese a confronto

pianta3chiese

In azzurro la pianta della prima chiesa, in rosa quella della seconda e in grigio quella dell’attuale chiesa. I numeri si riferiscono alla pianta della seconda chiesa (demolita dopo il terremoto del 1781); eccone la legenda:

  1. altare del Transito della Vergine demolito attorno al 1740 e sostituito da un confessionale
  2. altare di San Nicolò
  3. altare di Santa Caterina
  4. porta d’ingresso alla canonica
  5. altare della B. V. della Cintura, prima del 1610 dedicato a San Girolamo
  6. sagrestia
  7. campanile
  8. altare maggiore
  9. iniziale sistemazione della Colonna di San Michele
  10. altare di San Michele ove fu poi posta in venerazione la Colonna del Gargano; prima l’altare era dedicato a San Bartolomeo
  11. altare di San Carlo Borromeo; prima del 1653 dedicato a San Vincenzo o alla Concezione
  12. altare di Santa Margherita; prima del 1574 dedicato a San Giovanni Battista
  13. fonte battesimale; prima del 1574 altare di Sant’Antonio Abate
  14. acquasantiera in marmo
  15. porta della chiesa
  16. iniziale sistemazione del fonte battesimale
Pianta della seconda chiesa e disposizione dei banchi (circa metà '700)

Pianta della seconda chiesa e disposizione dei banchi (circa metà ‘700)

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Chiesa di San Petronio: itinerario artistico https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/chiesa-di-san-petronio-itinerario-artistico/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/chiesa-di-san-petronio-itinerario-artistico/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:54:49 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/la-chiesa-di-san-petronio-a-castel-bolognese-itinerario-artistico/ Itinerario artistico La chiesa di San Petronio si presenta con un perfetto stile neoclassico, in un’accentuata simmetria dei volumi, con un marcato richiamo ai numeri uno, due, tre e loro multipli che è presente nell’intera opera architettonica. La chiesa ha pianta basilicale, a tre navate divise con colonne binate; l’altare …

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facciataSP1Itinerario artistico

La chiesa di San Petronio si presenta con un perfetto stile neoclassico, in un’accentuata simmetria dei volumi, con un marcato richiamo ai numeri uno, due, tre e loro multipli che è presente nell’intera opera architettonica.

La chiesa ha pianta basilicale, a tre navate divise con colonne binate; l’altare maggiore si apre in un profondo presbiterio che termina in un coro semicircolare. Colonne, pilastri e paraste, in stile ionico, sono dipinti a finte scanalature, mentre i soffitti delle navate, del presbiterio ed il nicchione del coro sono dipinti a finti cassettoni.

La facciata, in stile dorico, è in cotto lasciato scoperto e limato a calce tinta. Tripartita, si alza al centro in corrispondenza della navata centrale, sorretta da paraste che reggono il timpano con sottostante arcone “termale” nel quale si apre un grande lunetta che illumina la navata maggiore. Al di sotto v’è la porta centrale coronata da un timpano triangolare. Nelle ali più basse vi sono le porte che danno accesso alle navate laterali, coronate da timpani semicircolari; sopra ognuna di esse è posta una finestra che dà luce alla navata.

L’interno colpisce per la grandiosità. Mentre le navate laterali sono scandite da architravi che le dividono in tre parti corrispondenti alle cappelle, coperte con volta a vela, la navata mediana è voltata a botte per tutta la sua lunghezza. Un’alta volta a crociera sovrasta la cappella maggiore. Il pavimento, di marmo policromo, è opera recente, essendo stato posato dal 1937 al 1940 per iniziativa dell’arciprete Giuseppe Sermasi, su disegno dell’architetto Francesco Bagnaresi e dell’Ing. Ugo Ortolani. Oltre la lunetta e le due finestre poste in facciata, illuminano la chiesa quattro lunette poste sopra le cappelle laterali, due poste sopra il presbiterio e due grandi finestre nel coro. Ventri ed infissi sono di recente fattura e sono stati posti in opera nel 1972 durante importanti lavori di restauro e ripristino del coperto.

Durante la sosta del fronte di guerra sul fiume Senio, nel 1944-45, la chiesa riportò gravi danni soprattutto nella zona della sagrestia e nella navata centrale sfondata, dalla metà dell’abside, dal campanile crollatovi sopra.

In controfacciata è dipinto un grandioso arco trionfale che porta in cima lo stemma Mastai – Ferretti in ricordo di papa Pio IX, già Vescovo di Imola ed amico dell’arciprete Tommaso Gamberini. Ai lati del portone due lapidi ricordano i benefattori della chiesa.

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L’interno della chiesa

La navata destra

All’ingresso della navata destra, nel vestibolo in basso, pietra sepolcrale di Bessarione Gambarelli (1581) e, sopra, epitaffio del 1844 dedicato a don Francesco Favolini che arricchì la chiesa di numerose suppellettili; dalla parte opposta, lapide a ricordo dell’arciprete Paolo Andrea Camerini del 1835. La prima cappella è dedicata a Santa Teresa del Bambino Gesù; l’altare è di scagliola dipinta a finto marmo, mentre l’ancona è dipinta con finte prospettive. Nella nicchia è collocata una statua in gesso della santa francese donata dalla nobildonna castellana Maddalena Gottarelli che l’acquistò nel 1925 in Francia durante un pellegrinaggio al santuario di Lisieux. La seconda cappella è dedicata alla B. V. della Consolazione o della Cintura. Altare ed ancona sono di scagliola dipinta. L’immagine affrescata della Madonna in atto di abbracciare il Bambino è la stessa venerata nella precedente chiesa e davanti ad essa si costituì la Confraternita della Cintura, emanazione dell’Ordine Agostiniano, che si richiama alla tradizione secondo la quale la Vergine apparve a Santa Monica, madre di Sant’Agostino, preoccupata perché il figlio tardava a convertirsi al cristianesimo, che la consolò assicurandone il ravvedimento e donandole la sua cintura come pegno del uso celeste intervento. Sull’altare si può anche ammirare un’immagine di Gesù Bambino, rivestita di un prezioso abito del XVIII secolo, proveniente dalla bottega dei Ballanti di Faenza. Pilastri e sottarco della cappella sono adorni di tredici ovati che raffigurano gli apostoli ed il Redentore, opera di un pittore popolare, forse Francesco Borghesi di Castel Bolognese detto Giapitèn. In due nicchie laterali sono esposte le statue di Santa Monica e di Sant’Agostino di autore ignoto. Sul pavimento, di fronte a questa cappella, è indicato il luogo in cui si conservano le spoglie di Francesca Barbieri, traslate in San Petronio il 6 giugno 1816 dalla chiesa del Corpus Domini. Nel 1940, nel corso dei lavori di pavimentazione, venne aperta la cassa contenente i resti della mistica castellana e fu ritrovato, in un’ampolla sigillata con la ceralacca, uno scritto, il cui contenuto risultava identico a quello riportato a mano accanto al nome della pia defunta nel libro dei morti del 1791 conservato nell’archivio parrocchiale. L’ampolla fu di nuovo sotterrata. La terza cappella è dedicata al Sacro Cuore di Gesù; altare ed ancona sono di scagliola dipinta a finto marmo; la statua nella nicchia, in legno, è opera dello scultore imolese Gioacchino Meluzzi (1884-1953) e data dei primi del ‘900. Chiude la navata un portale con timpano semicircolare che nasconde il retrostante campanile; una piccola porta conduce in Sagrestia. Sul portale è dipinta a finta prospettiva un tenda verde, raccolta da due lati, opera del pittore imolese Tommaso Dalla Volpe (1883-1967). A lato, statua in cartapesta di San Giuseppe, opera di Enrico Dal Monte (1882-1968) della prima metà del XX secolo. Sopra il portale, grande epigrafe che ricorda la consacrazione della chiesa fatta dal cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti, di cui si ammira lo stemma, il 2 marzo 1788 ed il divieto, per ragioni igieniche, di seppellire i morti all’interno della chiesa. questo il testo:

GREGORIUS BARNABAS CLARAMONTIUS CARD.
IMOLEN. EPISC.
TEMPLUM NOVUM AUSPICIIS SUIS ABSOLUTUM
MULTIPLICI SUPELLECTILE A SODALITATIBUS AUCTUM
CONCLUSIT IN ARA MAXIMA PARTICULIS EX OSSIBUS MARTYRR. SS.
THEODORI JUSTINI AURELIANI SEVERAE
EXPIAVIT CONSECRAVITQUE VI NONAS MARTIAS AN. MDCCLXXXVIII
CUJUS DIEI SACRUM ANNIVERSARIUM IN FASTOS
AN XI KAL. NOV. RELATUM EST
IDEM UT LOCI SALUBRITATI DIGNITATIQUE PROSPICERET
SEPULCRA IN SOLO INTERIORE FIERI VETUIT

La navata sinistra

All’entrata ci accoglie il Fonte Battesimale, al quale si accede attraverso un cancello di ferro battuto del ‘700. Il Fonte è costituito da una vaschetta ottocentesca di pietra gialla di Verona. A sinistra, è conservata una vaschetta di fine del XVI secolo attorno la quale si legge: [PETRUS] MARIA?GOTTARELIUS?RECTOR. Un dipinto ad olio, di anonimo del XVIII secolo, raffigurante il Battesimo di Gesù, un tempo esposto sopra il Fonte Battesimale, è oggi conservato nel Museo Parrocchiale. Dalla parte opposta è collocato l’epitaffio del XIX secolo in memoria dei fratelli Domenico Maria e Giuseppe Contoli, stimati sacerdoti castellani ed insigni umanisti. La prima cappella della navata sinistra accoglie la Visitazione della Vergine a Santa Elisabetta, capolavoro di Alfonso Cittadella (1497-1537), detto Lombardi. Dello stesso autore sono le due statue appoggiate alle pareti laterali raffiguranti San Girolamo (a sinistra) e San Lorenzo (a destra). Ancona ed altare sono di scagliola dipinta e sopra quest’ultimo sono state collocate dopo il recente restauro due statue in terracotta raffiguranti San Girolamo (a sinistra) sempre del Lombardi e San Giovanni Battista (a destra) di Ottavo Toselli da Bologna (1695-1777). Tutte le statue della cappella provengono dalla chiesa sconsacrata di Santa Maria della Misericordia.

Nella seconda cappella si può ammirare una pala del XVIII secolo, attribuita a Benedetto del Buono da Lugo (1711-1775), rappresentante i Santi Emidio e Domenico con un altro Santo martire. Sant’Emidio, Vescovo di Ascoli Piceno, era invocato come protettore nella circostanza del terremoto. La pala presenta in alto una finestra in cui si vede l’originale della Madonna del Rosario, proveniente dalla chiesa del Rosario Vecchio, raffigurazione tardogotica (fine ‘400), attribuita a Giovanni da Riolo. I pilastri ed il sottarco della cappella sono adorni di tavolette rappresentanti i quindici misteri del Rosario, di cui una andata perduta, databili intorno al XVI secolo. Anche questi ovali provengono dalla chiesa del Rosario Vecchio. L’altare è in marmo e l’ancona è di scagliola dipinta. Appesi alle pareti laterali due quadri: San Francesco di Paola (a sinistra) e San Giovanni Bosco (a destra) entrambi di autore ignoto.

La terza cappella è dedicata a San Michele Arcangelo e fu giuspatronato della famiglia Zacchia-Rondinini. L’altare, ad urna, e l’ancona sono di scagliola. Il quadro, del XVII secolo, esposto raffigura San Michele Arcangelo vestito da guerriero romano con le ali aperte e le vesti svolazzanti sulla corazza, nell’atto di calpestare una sirena ovvero una figura demoniaca. Ha il capo aureolato da doppia corona di cherubini; accenna con la destra al cielo e nell’altra mano tiene una palma della vittoria. Nello sfondo paesaggistico si intravede, nel lago tra colline, un vecchio sopra una barca che ha la visione del Padre Eterno uscente dalle nubi; sulla riva del lago l’incontro tra San Martino ed il povero. La pala è stata attribuita da Antonio Corbara a Francesco Longhi, pittore ravennate.

Chiude la navata un portale con timpano semicircolare che immette nella cappella invernale o della Madonna di Lourdes. A lato, statua in cartapesta di Sant’Omobono, opera di Ballanti detto Graziani (1762-1836). Sopra il portale, grande epigrafe che ricorda la costruzione della chiesa dopo il terremoto del 1781 e la posa della prima pietra per opera del Cardinale Gian Carlo Bandi, di cui si ammira lo stemma. Questo il testo che elogia la generosità del porporato che condonò alla Confraternite di Castel Bolognese il pagamento del denaro destinato alla costruzione dell’Ospedale di Imola:

IOANNI CAROLO BANDI CARDINALI
EPISCOPO FOROCORNELIENSI
QUOD PECUNIAM A SODALITATIBUS CASTRI BONONIENSIS
IN CONSTRUCTIONEM NOVI VALETUDINARIJ IMOLENSIUM
EX PONT. MAX. AUCTORITATE CONFERENDUM
BENIGNE EIJ LIBERALITERQUE CONDONAVIT
UT ADIECTIS EX REDITU ARCHIPRESBITERATUS SCUT.M
GRAVISSIMIS TERRAE MOTIBUS PENE DIRUTUM
SOLO AMPLIATO A FUNDAMENTIS REFICERENT
QUODQUE EJUSDEM TEMPLI LAPDEM AUSPICALEM
RITE STATUERIT
ANTISTITI OPTIMO ET INDULGENTISSIMO
SODALITATES IPSAE M. PP.
AN. MDCCLXXXVI

Per un breve corridoio ove sono stati collocati i resti dell’antico fonte battesimale e la Madonna con l’uccellino, bronzo di Angelo Biancini (1911-1988) datato 1960, si accede alla Cappella della Madonna di Lourdes. Il locale fu costruito quale seconda sacrestia, perfettamente simmetrica a quella presente in fondo alla navata destra, ma ha avuto nel corso dei secoli diverse destinazioni ed ultimamente era adibita in parte a cappella della grotta di Lourdes ed in parte a magazzino. La recente sistemazione, che ha interessato anche il corridoio d’ingresso e l’attiguo locale che ospita l’impianto di riscaldamento, è stata voluta dall’attuale Arciprete mons. Gian Luigi dall’Osso e realizzata nel 1998. La Cappella ospita nel fondo una imitazione della Grotta di Lourdes; i massi di roccia, estratti dalla vena del gesso nel Casolano, furono mandati nel 1933 dal sacerdote castellano don Francesco Bosi, Priore di Valsenio. Appesi alle pareti sei pannelli di rame, raffiguranti i quattro Evangelisti, la Madonna con la torre di Castel Bolognese, l’Ultima Cena, opera del castellano Mario Biancini (seconda metà del secolo XX), oltre ad un crocifisso ligneo del XVIII secolo e due lampioni processionali. Le maniglie della porta vetrata sono opera in ceramica di Angelo Biancini.

La Cappella Maggiore

Al suo centro è posto l’altare maggiore che l’Arciprete Tommaso Gamberini fece ricoprire in scagliola a finto marmo nel 1867. In fondo al coro una grande ancona racchiude la Crocifissione, altra importante opera del Lombardi, proveniente dalla soppressa chiesa di Santa Croce. Ai lati del Crocifisso stanno San Giovanni Evangelista e la Madonna, mentre Maria Maddalena abbraccia la croce. La critica ritiene che le opere del Lombardi presenti a Castel Bolognese appartengano all’ultima fase della produzione dell’artista “in cui l’accademismo romano cede il posto all’accademismo emiliano, e alla grandiosità raffaellesca subentra una ricerca di grazia, ispirata alle stucchevoli raffinatezze del Parmigianino”. Il gruppo statuario è inserito in un paesaggio, tempera sul muro, opera di Romolo Liverani (1809-1872). Solitamente la Crocifissione è coperta da un sipario dipinto nel 1941 da Tommaso Della Volpe, rappresentante il trionfo della Croce.

Sopra la nicchia, entro un ovato impreziosito da due statue di angeli, c’è un dipinto ad olio su tela con busto di San Petronio, copia di altro a tempera opera di Felice Giani (1758-1823) oggi conservato nel museo Parrocchiale.

Sopra la cantoria a sinistra dell’altare maggiore è collocato il quadro di San Petronio, opera datata 1786, di Angelo Gottarelli (1740-1813). Raffigura il Patrono con paramenti pontificali, portato in trionfo sopra le nubi, sotto le quali si profilano in sintesi i panorami di Bologna e Castel Bolognese.

Sotto la cantoria a destra dell’altare maggiore un epitaffio indica il luogo in cui sono conservati i resti mortali dell’Arciprete Tommaso Gamberini (1812-1888), qui traslati per mantenere duratura memoria delle benemerenze pastorali di don Gamberini, amico personale di papa Pio IX, corrispondente di Antonio Rosmini, parroco in uno dei periodi più vivaci della storia di Castel Bolognese.

Altre opere d’arte

Si segnalano i quadretti della Via Crucis, incisioni all’acquaforte, datate 1779, provenienti dai torchi veneziani di Giuseppe Wagner.

Tra due colonne della navata centrale, di fronte al pulpito, è collocata un’imponente statua di San Petronio. Il simulacro, esposto per la prima volta alla pubblica venerazione il 4 ottobre 1877, fu mandato in dono da Roma da papa Pio IX ai fedeli di Castel Bolognese; è copia dell’originale ligneo duecentesco conservato nella Basilica di San Petronio di Bologna.

L’organo

Un piccolo organo esisteva nel 1574; il secondo fu fatto nel 1589 a spese dei fedeli e della comunità, la quale elargì 100 scudi, un terzo fu acquistato a Bologna dall’arciprete Guarini il 6 settembre 1691, costruito da Francesco Traeri di Brescia. Restaurato nel 1757 dal Bolognese Pietro Giovagnoni e nel 1789 da Domenico Gentilini di Medicina, subì nel 1810 un completo rifacimento, eseguito dal rinomato organaro Pietro Cavaletti di Parma, a spese dell’arciprete Domenico Contoli e di don Francesco Favolini. Questo prezioso strumento però col crollo del campanile nell’inverno del 1944. Il quarto organo fu costruito dalla “Organaria Marciana” di Venezia nel dopoguerra e venne inaugurato nel 1962, pagato in parte dallo Stato in conto dei danni di guerra ed in parte dai fedeli e dell’Arciprete Sermasi. Tale strumento si dimostrò però ben presto inadeguato. L’attuale, inaugurato il 18 dicembre 1982, costruito dalla ditta “Fratelli Ruffatti” di Padova, è stato realizzato grazie al lascito testamentario del defunto Arciprete Giuseppe Sermasi.

La Sacrestia

Il locale adibito a sacrestia è posto al termine della navata destra, oltre il campanile. Vi si può ammirare un grandioso armadio, proveniente dalla sagrestia della distrutta Chiesa del Pio Suffragio, opera di Luigi Beccarini di Castel Bolognese nella prima metà del XVIII secolo; altri due begli armadi coevi affiancano la finestra. Alle pareti sono esposte varie tele: Sant’Elena, di ignoto del XVII secolo ove la Santa è rappresentata mentre regge la croce davanti ad una finestra; Madonna del Carmine della Scuola di Tommaso Missiroli, secolo XVII; Santo Stefano di anonimo locale del secolo XVII – XVIII dove il santo è rappresentato a figura intera in dalmatica e regge un giglio ed una palma sulla mano destra; Sant’Omobono attribuito ad Angelo Gottarelli ove il Santo è in piedi a destra e guarda con ispirazione una luce che scende dall’alto tra cherubini, mentre a sinistra un garzone lavora al banco del sarto; Madonna addolorata e Cristo deposto di ignoto del XVIII secolo con la scena della Madonna col precordio trafitto da sette spade che siede ai piedi della croce e contempla desolata il Cristo morto; la morte di San Giuseppe, di ignoto di scuola Bolognese del XVIII secolo, la cui composizione ricalca quella famosissima del Franceschini; I santi Leo e Marino, anonimo, forse di scuola imolese del XVIII secolo dove la scena presenta la decapitazione dei due santi; ed infine San Francesco di Geronimo di ignoto, datato 1811, ove è raffigurato il Beato a capo scoperto, in stola e cotta abbraccia il Crocifisso.

Il campanile

Del campanile a sud-est della vecchia chiesa, costruito nel 1438, si hanno vari ricordi. Nel 1653 è descritto alto e con tre campane; nel 1698 viene detto “alto circa 80 piedi (m. 35,17) e il coperto è fatto a pigna perfetta; vi sono due campane grandi et una piccola” e nel 1740 “di costruzione elegante,con tre campane, ma col pinnacolo o guglia cadente”. Fu imposto più volte alla Comunità il restauro ma non sappiamo se fosse eseguito. Vari danni subì col terremoto del 4 aprile 1781, soprattutto la guglia che dovette essere demolita, non però da alcun capo mastro del paese, poichè nessuno ebbe l’ardire di accingersi a tale opera pericolosa: Don Giulio Ortolani, cappellano dell’arciprete, con ammirevole coraggio intraprese e compì da solo tale lavoro, per cui in segno d’ammirazione furono pubblicate alcune poesie. La guglia fui poi ricostruita nel suo antico stile. Il campanile resistette sino alla vigilia di Natale del 1944 quando un bombardamento lo fece crollare sino a poco oltre l’altezza della navata, rovinando nel presbiterio. Nel dopoguerra venne ricostruito, ma la cella e la guglia furono disegnati diversamente dal precedente. La parte bassa tuttavia, sino all’altezza della prima finestra, appartiene ancora alla primitiva costruzione.

Il concerto delle campane

Nel campanile di San Petronio sono ospitate quattro campane ivi collocate nel 1949. Le precedenti furono fuse nel 1816 a cura dell’Arciprete don Francesco Favolini dalla fonderia dei Fratelli Baldini di Roncofreddo e furono benedette l’otto novembre dello stesso anno dal Card. Antonio Rusconi Vescovo di Imola. Il Gaddoni riferisce che pesavano libbre 1.200, 650, 390, 370 rispettivamente. La requisizione del bronzo promossa dallo Stato non le toccò: ci pensò la guerra a travolgerle assieme al campanile verso le 12 della vigilia di Natale del 1944.

Le attuali campane vennero fuse nella fonderia bolognese del Cav. Cesare Brighenti e corrispondono alle note Do (grossa), Fa (mezzana), Sol (mezzanella), La (piccola); hanno un suono gradevole ed argentino che si spande nella campagna attorno per molti chilometri, tanto che la grossa viene sentita fino a Celle di Faenza. Arrivate a Castel Bolognese la sera del 28 maggio 1949 furono benedette il giorno successivo e nei seguenti furono issate. Il 2 giugno verso le 20 si suonarono i primi “doppi” fra il giubilo della popolazione.

La campana grossa, del peso di Kg. 519, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, alla Madonna della Cintura, a San Petronio e a San Michele Arcangelo porta la seguente epigrafe:

“Conflatum A. MDCCCXVI sumpto sac. Francisci Favolini / Destructum immani bello a. MCMXLIV / denuo fundor in honoris S.S. Cordis Jesu Mariae a Cingulo / Petronii ep. Castri Bon. Patr. Max. Michaeli princ. mil. coel. / Et in obsequium erga fratris Scardovi huius eccl. Benefact. A. MCMXLIX”. La campana mezzana, del peso di Kg. 367, dedicata a Gesù Cricifisso, alla Madonna del Rosario, a Sant’Antonio da Padova e a San Francesco di Paola, porta la seguente epigrafe: ” Refectum A. MLCCCXVI Add. Novo aere sumptoq. Sac. F. Favolinus / Tormenti bellici ictibus confractum A. MCMXLIV / restitutum in hon. Crucifixi D.N.J.C. B.V. a Rosario Antonii Pat. Francisci Pauli / et in memoriam observantiae erga fratres Dalpane benefact. A. MCMXLIX”. Nella mezzanella, pesante kg. 264, dedicata alla Madonna Addolorata, a San Giuseppe, a San Domenico e a San Luigi Gonzaga, compare la seguente epigrafe: “Me fudit piets sac. F. Favolinus A. D. MDCCCXVI / bellum saevis comminuit dispersi A.D. MCMXLIV / Respubl. Italica restitutum in hon. B.V. perdolentis / Joseph Univ. Eccl. Patr. Dominici Patris Aloisius Gonz.”. Infine questa è l’epigrafe della campana piccola, il cui peso è di kg. 126, dedicata alla Madonna di Lourdes, a Sant’Antonio Abate, a Sant’Agnese, a Santa Teresa del Bambin Gesù: “Fusum A. MDCCCXVI impensa sac. F. Favolini / e ruinis post bellum eductum reficior / iterum. tinnio in hon. Dominae Nostrae a Lourdes nuncup. / Antonii Senioris Agnetis V.M. Theresiae a Jesu Infante A. MCMXLIX”.

Campane e campanile di San Petronio da sempre vigilano sulla vita cittadina. Loro fedele e geloso custode è Marcello, sagrestano e campanaro, figlio d’arte, avendo imparato il mestiere dal padre Sebastiano, per tutti Basciàn. Una squadra di campanari è al servizio del concerto per le solennità, esibendosi in “doppi” e “tirate basse”, a volte in gara con altre squadre.

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Foto scattata in occasione della benedizione delle campane (28 maggio 1949)

Il giuggiolo secolare

Merita la dovuta menzione una pianta di giuggiolo cresciuta nel cortile a ridosso del muro della chiesa non lontano dal campanile. L’albero, che offre gustosissimi frutti all’inizio dell’autunno, potrebbe essere stato piantato all’epoca della costruzione della chiesa, oppure essere più antico.

Paolo Grandi

Galleria fotografica

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Pianta dell’attuale chiesa:

  1. cappella di Santa Teresa di Lisieux
  2. cappella della Madonna della Consolazione
  3. Cappella del Sacro Cuore
  4. Statua di San Giuseppe
  5. campanile
  6. sagrestia
  7. altare maggiore
  8. il calvario del Lombardi
  9. quadro di San Petronio
  10. cappella della grotta di Lourdes
  11. Madonna dell’Uccellino
  12. resti dell’antico fonte battesimale
  13. statua di Sant’Omobono
  14. cappella di San Michele Arcangelo
  15. cappella di Sant’Emidio
  16. cappella della Visitazione del Lombardi
  17. fonte battesimale
  18. statua di San Petronio
  19. giuggiolo secolare

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San Petronio, Patrono di Castel Bolognese https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/san-petronio-patrono-di-castel-bolognese/ https://www.castelbolognese.org/edifici-e-monumenti/chiese/chiesa-di-san-petronio/san-petronio-patrono-di-castel-bolognese/#respond Tue, 10 Sep 2013 17:54:49 +0000 https://www.castelbolognese.org/uncategorized/san-petronio-patrono-di-castel-bolognese/ San Petronio vescovo di Bologna visse nel V secolo; oscure sono le sue notizie biografiche salvo la data certa della sua elezione a Vescovo di Bologna: 432, quale successore di un altro grande Santo cittadino: Felice. E’ tradizione riferire che, prima di essere Vescovo, egli avesse ricoperto importanti cariche pubbliche. …

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San Petronio (olio su tela di Felice Giani)

San Petronio (olio su tela di Felice Giani)

San Petronio vescovo di Bologna visse nel V secolo; oscure sono le sue notizie biografiche salvo la data certa della sua elezione a Vescovo di Bologna: 432, quale successore di un altro grande Santo cittadino: Felice. E’ tradizione riferire che, prima di essere Vescovo, egli avesse ricoperto importanti cariche pubbliche. Fu ritenuto dagli storici cittadini discendente dalla famiglia consolare romana Petronia che vantava fra i suoi membri Petronio Probino (console nel 341 e prefetto di Roma nel 346) e Sesto Petronio Probo (proconsole in Africa nel 356-358 e poi prefetto del pretorio in varie località ed anche in Gallia) dal cui matrimonio con Anicia Faltonia Proba sarebbe nato il futuro Santo. L’ordinazione sacerdotale avvenne a Bologna o, forse, a Milano. Dal metropolita milanese, da cui allora dipendeva Bologna, fu incaricato di sostituire il defunto vescovo Felice nel 432 ed il suo episcopato si sarebbe protratto non oltre il 450. Benché Petronio fosse definito “vir sanctæ vitæ et monachorum studiis ab adolescentia exercitatus” e fosse nominato autore delle Vitæ patrum Ægypti Monachorum, il suo culto nell’antichità fu molto limitato nella stessa Bologna. Dal secolo XII la sua venerazione assunse una grandissima diffusione fino a farne nel secolo seguente il protettore principale della città. Connessa allo sviluppo del culto è anche l’amplificazione leggendaria dei dati biografici. Proprio verso la fine del sec. XII un monaco del monastero di S. Stefano, presso il quale era deposto il corpo del santo, compilò in latino una biografia, che ricevette poi ulteriori integrazioni e modifiche. Un’altra biografia in volgare venne redatta nel sec. XIV, ed il complesso della leggenda si arricchì di altri particolari in connessione ed allusione agli avvenimenti politici e religiosi della Bologna dei secc. XII-XIV: La leggenda latina vuole Petronio cognato di Teodosio II impegnato come esattore in Oriente; Questi fu mandato dall’Imperatore a Roma per scongiurare il pericolo di eresie. Papa Celestino I, avvisato in sogno da San Pietro della morte del Vescovo Felice di Bologna, decise, come gli era stato rivelato, di nominare nuovo vescovo proprio l’Ambasciatore Imperiale. Non potendo resistere al volere di Dio Petronio accettò l’incarico. Accolto festosamente a Bologna si preoccupò di ricostruire la città distrutta per ordine di Teodosio I che l’aveva punita per l’uccisione del proprio ambasciatore (la leggenda si sofferma molto su questo episodio con evidente allusione alle vicende della Bologna del sec. XII contraria alla invadenza imperiale). Fra le principali attività ricostruttive il leggendista menziona il complesso di Santo Stefano voluto da Petronio ad imitazione dei luoghi santi di Gerusalemme che avrebbe più volte visitato. Certo, l’anonimo monaco di S. Stefano, quando verso il 1180 compose la biografia, si prefisse uno scopo: quello di esaltare la figura di un santo locale fino ad allora poco venerato.

A molti studiosi recenti sembra che la diffusione del culto sia da collegarsi alle vicende storiche di Bologna dei secc. XII-XIV. La lotta sostenuta contro Federico Barbarossa e poi le libere istituzioni comunali in espansione troverebbero nelle grandiose imprese di Petronio, ricostruttore della città dopo le presunte devastazioni di Teodosio, l’eroe ed il modello a cui ispirarsi e lo stimolo per ripeterne le gesta. Il santo, prima oggetto di culto limitato, trovò nelle delibere comunali sempre più ampio spazio e più accentuati onori. Nel 1141 il vescovo Enrico fece la ricognizione del sepolcro di Petronio e di molte altre reliquie in Santo Stefano; si stabilì poi che la festa del Santo, il 4 ottobre, fosse estesa a tuta la città ed alla Diocesi. Nel 1388 il Consiglio Comunale decise di costruire nel centro della città una basilica in onore del santo, poi iniziata nel 1390 su progetto dell’architetto Antonio di Vincenzo.

Il 3 ottobre 1725 giunsero a Castel Bolognese le reliquie di San Petronio, mandate in dono dal Cardinale di Bologna Boncompagni. L’ingresso in paese avvenne quello stesso giorno partendo dalla chiesa di San Sebastiano fino alla Parrocchiale di San Petronio tra il tripudio della folla, come narra il cronista: Da quella chiesuola parata con damaschi, siccome l’arcipretale, mosse la processione, ed ecco spari fragorosi e il suonare di tutte le campane avvisare i lontani che la reliquia desideratissima entrava nel Castello, intantoché cento voci cantavano benedizione a Dio, e cento e cento fiamme di cere ardenti e non poche lacrime di cuori commossi l’accompagnavano. Anche Castel Bolognese festeggia San Petronio il giorno 4 ottobre, ovvero la più prossima domenica, e viene per l’occasione impartita la Santa Cresima.

Paolo Grandi

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