Giovanni Scardovi “Cavurì” (1902-1992)

Giovanni Scardovi "Cavurì"Se volessimo tracciate una sintesi dei suoi 90 anni di vita, potremmo dire: “Cavurì semperfidelis”.

Cavurì innanzitutto animato da una profonda convinzione religiosa testimoniata nella semplicità della devozione popolare, ma pure nella coerente militanza nelle associazioni cattoliche. Al dono della fede si univa in lui il talento di un artista versatile, dotato di gusto estetico, capace di ben riuscire nei più diversi lavori artigianali. Proprio per questo si era reso indispensabile alla parrocchia. Cavurì, in particolare, aveva ereditato e trasmesso i segreti del rito, a porte chiuse della vestizione della statua della B.V. della Concezione, Patrona del paese alla quale fu molto devoto. A lui si faceva ricorso per l’allestimento dei presepi e di sepolcri a Pasqua per l’addobbo delle chiese nelle solennità, per la sistemazione e la conservazione degli arredi sacri e delle opere d’arte. Il temperamento schivo non era in contrasto con quella sua umanità che lo ha reso tenero negli affetti famigliari, cordiale e ben voluto nel rapporto con i giovani stessi, che non avvertivano la distanza degli anni che li separavano da lui. I giovani gli erano sempre stati vicini nella filodrammatica parrocchiale, che Cavurì insieme con l’inseparabile Tino Biancini ha diretto con grande passione fin dall’anteguerra. Cavurì era infatti un uomo di spirito, arguto e brillante sia come attore sia come autore di testi teatrali in vernacolo che la filodrammatica ha portato sulle scene con grande successo.
Ricordando Cavurì, scomparso il 15 luglio scorso, vogliamo esprimergli tutta la nostra gratitudine, in particolare per la testimonianza edificante di una fede esemplarmente vissuta come servizio.

Testo tratto da “Comunità di San Petronio”, settembre 1992


Al Cinema Moderno, al termine di una delle tante commedie. Da sinistra Stefano Peroni, Cavurì, Tino Biancini e Bianca Rosa Menzolini (da: Cinema Moderno 1937-2017: da 80 anni a Castel Bolognese)

Cavurì e il teatro

di Stefano Borghesi
tratto da “Il Nuovo Diario Messaggero”, 20 febbraio 1993

Sabato 6 febbraio [1993] nel Teatro Moderno dì Castelbolognese è stata inaugurata una targa in ricordo della lunga attività di attore, regista e autore di Giovanni Scardovi che tutti i castellani conoscevano come “Cavurì”, scomparso nel luglio scorso all’età di novant’anni.
Cavurì era diventato un’istituzione. Aveva calcato le scene fin dall’anteguerra ed aveva lavorato ininterrottamente, insieme con l’inseparabile amico Tino Biancini, come attore e come regista a contatto con diverse generazioni di giovani della filodrammatica di Castelbolognese. Riservato e schivo com’era, non avrebbe desiderato gli elogi, ma la Parrocchia di S. Petronio, insieme con la locale filodrammatica e il “Teatro da tre soldi”, ha sentito il dovere di rendere duratura la sua memoria per i meriti da lui acquisiti nel mantenere in vita e dare lustro all’attività teatrale, che a Castelbolognese è sempre stata un fiore all’occhiello della Parrocchia.
La sua versatilità gli permise di essere utile ed anche indispensabile in molti altri servizi, ma il settore da lui prediletto fu senz’altro il teatro, che coltivò con grande passione.
Negli ultimi tempi si era dedicato alla stesura dì testi in vernacolo, che si conoscono solo parzialmente. La modestia e il riserbo che sono tra i valori umani da lui, uomo integerrimo testimoniati in modo esemplare, lo trattenevano dall’esibire i suoi scritti. l testi teatrali di Giovanni Scardovi sono tutti da scoprire e potrebbero degnamente figurare tra le opere più significative che arricchiscono la tradizione letteraria del teatro popolare. Si tratta per lo più di commedie brillanti o di scherzi: divertenti spaccati della vita di tutti i giorni in cui Cavurì si fa interprete arguto delle debolezze e dei pregi degli uomini.
Uno dei testi di maggior livello è senza dubbio “Long è cavdèl”, che la filodrammatica di Castelbolognese ha riproposto la sera del 6 febbraio [1993] per onorare la memoria dell’autore.
La commedia, già applaudita il 24 gennaio [1993] nel Teatro Comunale di Imola nell’ambito della Rassegna Filodrammatiche, presenta un’originalità strutturale che sa esprimere un crescendo di comicità irresistibile grazie anche alla bravura degli attori personalmente conosciuti da Cavurì, che nella stesura dei suoi copioni traeva spesso ispirazione delle loro potenzialità espressive: “Long è cavdèl” sembra quasi una trasposizione in miniatura del contrasto tra Capuleti e Montecchi nella campagna castellana: sullo sfondo di un cavezzale e di una quercia contestata si consuma la rivalità tra due famiglie confinanti, placata in fine dall’amore tra giovani e meno giovani, che sempre trionfa. Il valore letterario del testo è completato da un linguaggio colorito, che seleziona dal dialetto castellano le espressioni idiomatiche più efficaci e le consegna ad un documento destinato a sopravvivere all’inevitabile declino della parlata dialettale.

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