Mons. Giuseppe Sermasi (1904-1979)
Cenni biografici (dal volume Sacerdos in aeternum : il clero secolare nella Diocesi di Imola defunto nel secolo 20.)
Nato a Borgo Tossignano il 19 novembre 1904, fu ordinato sacerdote il 6 gennaio 1928.
Fu vicario cooperatore del parroco della cattedrale di San Cassiano di Imola; vicario cooperatore del parroco di San Martino di Conselice; economo spirituale e poi parroco di Sant’Antonio Abate di Spazzate Sassatelli dal 1928 al 1935; parroco di San Petronio di Castel Bolognese dal 1935 al 1971; parroco consultore dal 1958; cameriere d’onore in abito paonazzo di sua santità dal 1963; parroco emerito di San Petronio di Castel Bolognese dal 1971; canonico della cattedrale di San Cassiano dal 1977.
Morto il 25 aprile 1979
Ricordo a cura di Angelo Donati (dal volume La Valle del Senio tra cronaca e storia, 1984)
“Come sarei felice se anch’io potessi ripetere come S. Paolo… “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Grazie a Dio l’ho sempre avuta vivissima, non solo ma ho sempre lottato perché anche gli altri, cioè i miei parrocchiani, la conservassero sempre viva nel loro cuore e nella loro mente“. Cosi Don Sermasi nella lettera di congedo dal suo gregge, nell’ora triste dell’abbandono di una attività pastorale instancabile, svolta in un periodo difficilissimo, sempre con animo sereno e con ferma fiducia in quella Provvidenza che regge le sorti del mondo. E quella lettera di congedo, prende oggi il carattere di un testamento spirituale.
Secondogenito di una numerosa famiglia di lavoratori, figlio della collina imolese, attratto fin da fanciullo dal servizio sacerdotale, senza dubbi e senza crisi di coscienza, compì i suoi studi nei seminari diocesano e regionale e fu sacerdote in eterno. Cominciò cosi la sua missione di apostolo di Cristo, e dopo alcuni preludi di vita pastorale, fu tra noi coadiutore e poi arciprete della parrocchia cittadina dedicata a San Petronio.
Momento difficile per la vita religiosa del nostro paese, (controllata da un totalitarismo che non ammetteva “deviazioni”) per un giovane sacerdote pieno di entusiasmo e di fede. S’accostò subito ai giovani e nonostante gli intralci politici e burocratici, seppe dare una nuova fioritura all’Azione Cattolica, completandone i quadri, favorendo in tutti i modi quelle iniziative di formazione e di sviluppo, i cui frutti si sono manifestati anche in sede politica dopo la liberazione ed il ritorno della “democrazia”. Mons. Sermasi badava soprattutto alla cultura religiosa; le sue omelie, preparate con cura, sode, legate all’esperienza del tempo, erano sempre di fresca attualità, anche se dette con tono bonario, non scevre d’una sottile ironia. Eravamo nel periodo preconciliare e quindi catechismo e cicli di predicazione (anche se non si chiamavano catechesi) erano i mezzi principali di diffusione fra i “fedeli” dell’Evangelo e dei principi irreversibili della Fede di cui “l’arciprete” (per antonomasia) era veramente maestro.
Per natura assai positivo seppe affrontare situazioni difficili recando a buon fine le iniziative prese: fu cosi sistemato il bel San Francesco, dato un volto nuovo a San Petronio, (rimessi “in sesto” dopo il marasma bellico); dato il via alle opere caritative non ancora esistenti; mantenute salde le tradizioni locali cui diede, con il “conservatore” Don Garavini, lustro e decoro. Ricordiamo fra l’altro le feste del tricentenario del Voto (in realtà nel 1931 don Sermasi ancora non era parroco a Castel Bolognese, ndr)e le duplici missioni. Ma venne la guerra ed il cuore ed il buon senso del Pastore si rivelarono completamente: sempre sulla breccia sia per quel che riguardava la difesa della fede e della giustizia di fronte alle angherie ed i soprusi dei “neri” e degli “alleati” tedeschi, sia per quelle opere di assistenza che attenuavano il calvario del passaggio del fronte (che costò centinaia di morti) impedendo che fra l’altro i “prigionieri delle cantine” patissero anche la fame.
Non sta in questa breve nota ricordare una episodica che sarebbe assai lunga, anche se interessante per la definizione morale e religiosa di questo “prete” di “fede vivissima” pieno di energia e di coraggio che sapeva affrontare a rischio della vita i momenti più tragici del nostro destino e sapeva nello stesso tempo recare nelle cantine, divenute abitazione delle famiglie, il sollievo del Sacrificio Eucaristico ed il bonario sorriso con la battuta di spirito.
Passato il fronte si diede alla ricostruzione dei templi della fede semidistrutti interessandosi pur attivamente della situazione del paese, per tre quarti atterrato. C’era da spegnere nei cuori l’odio di una guerra fratricida, da rinsaldare i principi morali assai in ribasso, da spronare i cattolici alla vita politica per evitare una nuova tirannia sanguinaria che faceva già le sue prove nel triangolo della morte colpendo specialmente i sacerdoti e le nostre organizzazioni, da spostare dal piano integralista a quello pluralista la vita paesana. Don Sermasi lo seppe fare, e ci furono risparmiate altre dure giornate di sangue
Ben, quindi, a ragione mons. Sermasi (al titolo proprio non ci teneva, come non teneva all’estetica) poteva nel momento triste dell’avvio ripetere la frase paolina: “Ho combattuta la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” per me e per gli altri.
Nella solitudine e nell’abbandono dell’esilio, il suo Spirito, poteva, pur nell’amarezza, vivere di serenità e di pace. Lo stanco operaio della “nostra piccola vigna” si è spento lontano, presso il caro fratello che l’aveva seguito nel sacerdozio, ma ha voluto tornare fra noi per dormire fra coloro che per trent’anni l’hanno avuto per padre e pastore, in attesa del grande risveglio.
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