Giuseppe Budini (1804-1877)
Figlio di Antonio, nacque a Castelbolognese (provincia di Ravenna) nel 1804. Giovanissimo, aderì alla setta degli Illuminati, una delle numerose filiazioni della carboneria che fiorirono nelle Romagne subito dopo il Congresso di Vienna. Scopo principale e dichiarato di questa società segreta, a capo della quale era, con il titolo di reggente, il conte Giuseppe Rondonini e la cui sede si trovava a Faenza, era la cospirazione contro il governo pontificio nonché la liberazione dell’Italia dal dominio straniero. Il B. fu fatto priore della vendita di Castelbolognese e partecipò ad alcune riunioni tenute a Faenza nel corso delle quali si istruivano i neofiti.
Nel luglio dell’anno 1821, arrestato per questa attività politica dai carabinieri pontifici, egli stava per essere condotto in carcere quando fu liberato dal suo amico e consettario Battista Franceschelli. Fu ripreso, e qualche giorno dopo gli fu consegnato un passaporto che lo costringeva ad espatriare a Modena, dove non rimase per molto: nel 1823 il B. era a Pesaro, l’anno seguente a Macerata. La polizia pontificia non lo perdeva di vista e fu pronta a catturarlo nel 1825, al tempo della missione nelle Romagne e dell’inchiesta del cardinale Agostino Rivarola sulle passate attività cospiratorie: la sentenza emanata il 31 ag. 1825 condannava il B. “alla detenzione in un forte per anni quindici”.
Il forte in cui il B. fu inviato a scontare la sua pena era quello di Civita Castellana, lo Spielberg dello Stato pontificio, nelle cui celle languirono per gran numero di anni molti altri patrioti romagnoli.
Nel 1831, allo scoppio dei moti insurrezionali, i detenuti di Civita Castellana ottennero la libertà dal papa Gregorio XVI, che sperava con questo provvedimento di fermare i ribelli delle Legazioni. Il B. allora tornò in Romagna e fu a Rimini tra coloro che tentarono di arrestare la marcia degli Austriaci su Ancona. Ristabilito l’ordine, la notte tra il 1° e il 2 agosto veniva ucciso in Castelbolognese tale Paolo Liverani, uomo di fiducia della polizia locale; il B., sospettato del delitto, riuscì a fuggire in Francia e fu internato nel campo profughi di Rodez, nel quale rimase finché, coinvolto nella rissa in cui erano stati uccisi due italiani che guidavano la fazione che voleva lo scioglimento del campo stesso, fu arrestato e quindi condannato.
Tornato in libertà, si diresse forse a Londra, dove probabilmente conobbe Mazzini che lo affiliò alla Giovine Italia; a Londra apprese anche il mestiere di compositore tipografo, mestiere che poi mise a frutto quando si stabilì a Parigi, ove sia l’epistolario mazziniano sia il protocollo della Giovine Italia testimoniano la sua presenza a partire dal 1841. A Parigi si legò di fraterna amicizia con il poeta Pietro Giannone, e fece da tramite tra il segretario della Giovine Italia, Giuseppe Lamberti, e gli operai italiani, della cui scuola fu anche presidente. Impiegato nella tipografia di M.me de Lacombe, rimase in stretto contatto con Mazzini, il quale da Londra gli affidò a più riprese la diffusione dei suoi giornali e gli commissionò la stampa degli ultimi due numeri dell’Apostolato popolare e dei Ricordi dei fratelli Bandiera, pubblicati a Parigi rispettivamente nel 1843 e nel 1845.
Nei nn. 7 e 10 dell’Apostolato Mazzini aveva anticipato la pubblicazione di un opuscolo del B., intitolato Alcune idee sull’Italia, edito poi a Londra nel 1843. In tale scritto il B. ritornava sul tema della guerra per bande già affrontato quattordici anni prima dal Bianco di Saint-Jorioz. Esaminando le passate rivoluzioni italiane, tutte fallite, sosteneva che solo dall’adesione delle masse contadine – il “basso popo1o” – sarebbe in futuro dipeso il buon esito di ogni tentativo insurrezionale. L’esperienza della Francia del 1793 insegnava che la concessione di vantaggi materiali immediati aveva conquistato i ceti più poveri alla causa della rivoluzione. Nell’Italia dei moti carbonari si era solo parlato di libertà, di eguaglianza, mentre si doveva impostare e risolvere anche una problematica sociale, prima con la concessione di vantaggi tangibili, poi, a guerra finita, con la suddivisione tra gli ex combattenti delle terre appartenenti alle confraternite religiose. Quanto all’iniziativa militare, essa avrebbe dovuto essere presa nel sud d’Italia, onde evitare nella fase più delicata il rischio di un intervento austriaco.
Nel 1846 il B. fu escluso, perché gravato di reati comuni, dall’amnistia concessa da Pio IX; nel 1848, ottenuto dalla nunziatura di Parigi un passaporto vincolato, si mise in viaggio per costituirsi: giunto a Firenze, apprese di essere stato assolto. Rientrò allora in Romagna e, iniziata già la guerra contro l’Austria, organizzò un corpo franco che fu il primo a passare il Po, il 3 apr. 1848: questi volontari furono poi inquadrati dal Durando nel battaglione del Basso Reno e al B. fu assegnato il comando della 8a compagnia, che si batté fieramente a Vicenza nel vano tentativo di difendere la città. Caduta Vicenza, il B. tornava a Ferrara e di qui si spostava a Bologna assediata dagli Austriaci; costretto di nuovo a fuggire, si recò a Firenze presso i suoi fratelli e attese che nelle Romagne tornasse la calma.
Sul finire del 1849 rientrò in patria, ma nel luglio del 1850 fu arrestato in territorio di Lugo perché privo di passaporto; seguì poi l’imputazione di lesa maestà per aver preso parte ai passati sconvolgimenti politici. Venne allora rinchiuso prima nel carcere di Forte Urbano, indi nella rocca di Imola, dove restò in attesa del processo che ebbe luogo solo nel giugno del 1855: condannato a venti anni di galera, chiese nel luglio dello stesso anno che la pena gli venisse commutata nell’esilio perpetuo e, avendo ottenuto ciò, si portò prima in Piemonte, indi in Sardegna, infine in Toscana. Da allora visse nell’ombra e non si sa nulla dell’ultimo periodo della sua vita.
Il B. morì a Firenze il 1° marzo 1877.
Biografia tratta dal Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 14 (1972)
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