Cesare Pallantieri (1527?-1597)
Cesare (1527?- 1597) è figlio di Alessandro Governatore di Roma e fratello di Carlo maestro d’armi. Ci è di pervenuta un’unica notizia biografica: la data della morte. Nel primo libro dei morti della Parrocchia di San Petronio si legge: Il Cavaliere Cesare Pallantieri morse alli 26 di novembre 1597 senza nissun sacramento e sepellito in S. Francesco.
Il titolo di Cavaliere di San Pietro gli era stato procurato dal padre mentre era Procuratore Fiscale in Roma. Dal processo del 1557 emerse che Alessandro aveva acquistato molti beni a Imola ed a Castel Bolognese per i tre figli.
Comune ai Pallantieri era frequentare i Tribunali criminali: all’Archivio di Stato di Roma si conserva una sua sentenza di condanna del 22 agosto 1571. Pur essendo nominato di Castel Bolognese, egli conservava la sua dimora abituale in Roma probabilmente nel palazzo del padre in San Salvatore in Lauro, ove viveva con la moglie. Attratto dalla avvenenza d’una vicina di casa, di nobile famiglia, una sera si portò, armato, attraverso i tetti, nell’abitazione di costei per consumarvi l’adulterio, ma fu scoperto. Rifugiatosi in casa, difeso da un archibusetto a rota, peraltro proibito in Roma con un bando del padre all’epoca in cui vi era Governatore, aggredì i famigli ne colpì alcuni con pugni e calci, provocando loro gravi ferite. Per tal motivo il Tribunale lo condannava a duemila aurei di multa, all’esilio con rischio di condanna a morte in caso di ritorno a Roma, oltre alla confisca dei beni. E’ probabile pertanto che Cesare a questo punto sia tornato nella casa di famiglia a Castel Bolognese.
Non manca tuttavia di farsi risentire in Roma, nonostante il bando: ce ne parla Stendhal nelle sue Cronache Italiane nell’episodio riguardante Vittoria Accoramboni duchessa di Bracciano. Costei, donna di singolare bellezza, fu data in sposa a Felice Peretti, nipote del cardinale Montalto, poi papa Sisto V, il quale fu ucciso in un agguato tesogli da ignoti, sulla salita che porta a piazza di Montecitorio (allora di monte Cavallo) la notte tra il 16 ed il 17 aprile 1581. Gli assassini rimasero sempre nell’ombra; tuttavia fiorirono i sospetti e molti in Roma ne attribuivano la mano al principe Orsini, altri alla stessa famiglia Accoramboni, mentre la Polizia arrestava e tormentava tal Domenico Acquaviva detto il Mancino, latore della lettera al Peretti che sortì l’agguato. Tuttavia, nemmeno per lui emersero prive evidenti, tant’è che venne liberato, ma bandito da Roma. Nel fervore delle indagini, giunse al governatore di Roma una lettera di Cesare Pallantieri che si attribuiva d’essere il mandante del delitto, giustificandolo come un regolamento di conti, a causa contrasti sorti tra loro in passato.
La triste storia della bella Vittoria fu ripresa dallo scrittore castellano Francesco Serantini nel 1961 e pubblicata nella rivista Lo smeraldo; del Pallantieri, tuttavia, Serantini tace.
Paolo Grandi
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