Caterina Ginnasi (1590 – 1660)
Pittrice
Due dipinti ritrovati
Caterina nacque in Roma da Dionisio Ginnasi e da Faustina Gottardi nel 1592 ed abitò nel palazzo Ginnasi di Via delle Botteghe Oscure, insieme con la madre, morta nel 1646, ed allo zio Cardinale. Figlia unica, rimasta orfana di padre in giovane età, fu educata dallo zio che aveva deciso di darla in moglie al cugino di primo grado Francesco, ottenendo a tale scopo una particolare licenza da papa Paolo V. Caterina rifiutò il matrimonio per dedicarsi ad una vita di contemplazione e per curare quell’inclinazione per la pittura che aveva mostrato fin da ragazzetta. Lo zio Domenico assecondò il volere della nipote e, probabilmente attorno al 1620, l’affidò alla guida di Gaspare Celio (1571-1640) che avrebbe ottenuto, grazie all’interessamento del Cardinale, una commessa in San Pietro per la Cappella del Battesimo.
Non si conosce per quale motivo, probabilmente verso il 1630, il Cardinale decidesse di cambiare maestro alla giovane nipote preferendo al Celio il parmense Giovanni Lanfranco (1582-1647) autore, in quegli anni, di un’importante pala vaticana, quella ad affresco per l’altare della Navicella (1627-1628). Il Lanfranco fu anche impegnato nella decorazione del soffitto della galleria di Palazzo Ginnasi in cui dipinse, a olio su muro, la Pentecoste (1629-1632), ora trasferita su tela nella volta della nuova cappella nel ricostruito palazzo. Il maestro affiancò l’allieva fino al 1634, quando questi dovette partire per Napoli.
Le prime opere note realizzate da Caterina Ginnasi sono alcuni dipinti realizzati per la chiesa di Santa Lucia alle Botteghe Oscure, fatta ricostruire per ordine del cardinale Ginnasi su progetto dell’architetto Orazio Torriani (1601-1657) al quale pare avesse anch’essa collaborato. Sopra l’altare maggiore ella dipinse Il Martirio di Santa Lucia dipingendo il momento della condanna quando, per ordine del tiranno, fu invano fatta trascinare da molte paia di bovi per condurla a forza nel postribolo. Così il Passeri commenta il dipinto: ha espressa la santa ferma in atto orante, li manigoldi affaticati a sollecitare li giovenchi, ed uno prende una conca di acqua per bagnarla, acciocchè si muova, e il Tiranno assiso su un trono assistito dalle guardie in atto di comando. Sopra il quadro, nella cimasa dello stesso altare, dipinse un’Ultima Cena. Questa, tuttavia, secondo alcuni autori, potrebbe esse un’opera precedente di Caterina, realizzata per la vecchia chiesa ed adattata a forma di lunetta per la nuova. Nel vano absidale dipinse un piccolo ovale con una Madonna e, infine, per l’altare di San Biagio, seconda cappella a destra, una tela con San Biagio Vescovo ritratto mentre sta toccando la gola di un fanciullo. Il volto del santo sarebbe stato, secondo il Passeri, il ritratto dello zio Cardinale. In un inventario stilato dalla Soprintendenza alle Belle Arti di Roma nel 1925, le sarebbe stato attribuito anche un olio su tela raffigurante San Giuseppe. Tutte queste opere, tranne l’ovale della Madonna, erano allora in situ. Con la distruzione della chiesa, le uniche opere di Caterina Ginnasi tuttora conservate sono la pala col Martirio di Santa Lucia sull’altare dell’attuale Cappella in Palazzo Ginnasi, e la lunetta con l’Ultima Cena collocata nella sua Sacrestia. Nel 1632 la pittrice si occupò dell’intera decorazione, con tele ed affreschi, della Cappella Ginnasi nella Cattedrale di Velletri, ma anche tali opere, a causa di interventi di radicale sistemazione intervenuti nel 1824 sono state disperse. Alcune fonti indicano sull’altar maggiore una grande pala con La Madonna e i quattro Santi Protettori di Velletri e, ai lati, Sant’Eleuterio e San Ponziano; non si conosce il soggetto degli affreschi della cupola ai cui angoli erano dipinti I quattro Evangelisti. Dal Passeri si apprende ancora che Caterina Ginnasi dipinse una pala d’altare, Un Angelo che incammina un fanciullo per la via del Paradiso e l’allontana da quella dell’Inferno per la chiesa dei SS. Angeli Custodi a Roma, demolita tra il 1928 ed il 1929 per l’allargamento di Via del Tritone, forse realizzata nel 1637. Altre sue opere, oggi disperse, presenti all’epoca della morte del Cardinale in casa Ginnasi sono una Natività ed una Pietà presenti nella famosa collezione settecentesca dei Pio di Savoia.
A lei è inoltre stato attribuito un Ritratto del Cardinale Ginnasi conservato agli inizi del novecento nella collezione del Conte Carlo Del Medico a Carrara, dato disperso dal Cantalamessa, ma da me ritrovato. Esso infatti si trova a Sarzana nella collezione della famiglia Podestà-Lucciardi. La storia di questo quadro si può così brevemente riassumere: esso rimase sempre in possesso della famiglia Ginnasi; Lucrezia Ginnasi sposò il Conte Del Medico e questi, alla sua morte, lo lasciò alla cognata, sposata Lucciardi. Da me interpellata, la famiglia mi ha confermato le notizie, ed ora è soddisfatta di sapere, finalmente, l’autore del bel ritratto. In famiglia infatti si tramandava la tradizione che esso fosse, forse, di Velasquez (1599-1660), ma ciò non può essere vero: il Ginnasi infatti vi è ritratto in abiti cardinalizi e non dimostra un’età avanzata; si può pertanto supporre che esso sia stato eseguito tra il 1605 ed il 1615-20 approssimativamente corrispondente all’età di 55-70 anni. Ora a quell’epoca Velasquez era ancora alunno di bottega ed il suo primo viaggio in Italia avverrà solo nel 1629-31. Non può certo seguirsi anche l’altra teoria, che quello fosse il suo primo ritratto da Cardinale, dipinto in Spagna dal famoso Maestro: all’epoca della nomina a Cardinale, Velasquez aveva appena cinque anni!
L’aver dunque attribuito a Caterina Ginnasi il ritratto dello zio conservato nella Collezione sarzanese, fa sì che possa ugualmente essere da lei stato eseguito anche l’ovale conservato nella Sala Consigliare del municipio di Castel Bolognese, copia perfetta del precedente, forse uno studio e che le varie catalogazioni fatte dalla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna hanno sempre attribuito ad autore ignoto del XVII secolo. Tali schedature inoltre pongono in luce la somiglianza d’esecuzione tra questo ritratto e quello del Vescovo Girolamo Pallantieri, anch’esso conservato in municipio, lasciando supporre l’esecuzione d’entrambi dalla medesima mano. Se così fosse, Caterina Ginnasi avrebbe ritratto anche il Vescovo di Bitonto che, non si dimentichi, era parente dello zio Domenico. La cosa deve rendere orgogliosi i Castellani che ridanno così paternità a quei dipinti e parimenti conservano una delle poche opere rimaste della pittrice romana.
Sulla base dello scarsissimo numero di opere analizzabili, è difficile focalizzare lo stile pittorico di Caterina Ginnasi, giudicato dalla critica, sulle orme del Passeri, una pedante ed impersonale applicazione degli insegnamenti del Lanfranco, quando non si tratti di una diretta traduzione di disegni del maestro, o, addirittura, di un personale intervento di questo sulle opere dell’allieva come è stato, a detta del Schleier, per il Martirio di Santa Lucia. Tuttavia, proprio nelle ingenuità presenti in questa composizione, soprattutto nei volti dei personaggi, si può leggere il contributo personale della pittrice, cui si unisce la ricchezza cromatica e chiaroscurale di evidente ascendenza lanfranchiana.
Dopo la morte dello zio, che la nominò sua erede usufruttuaria, lasciandole 25.000 scudi in denaro ed una rendita che ammontava a 14.000 scudi annui, Caterina Ginnasi si dedicò a due iniziative religiose da lui avviate pochi anni prima, diventandone così l’erede spirituale: il Monastero del Corpus Domini o delle “Ginnasie” fondato nel 1635 all’interno di Palazzo Ginnasi, e la Confraternita di S. Maria Costantinopolitana del Suffragio, insediata dal Cardinale nella Cappella di Famiglia presso la Cattedrale di Velletri. Sempre a Velletri Caterina Ginnasi volle ripristinare, di sua iniziativa, l’antico Monte di Pietà che, dal 10 luglio 1640 venne chiamato il Sacro monte di Pietà Ginnasi. Caterina dettò in prima persona, con piglio imprenditoriale, gli statuti della rinata istituzione. Continuò inoltre, la pratica iniziata dallo zio di elargire elemosine in Roma.
In questi anni la Ginnasi fece edificare nella Cappella di San Biagio della chiesa di Santa Lucia il monumentale Sepolcro di sua madre e dello zio, opera, rispettivamente, dei fratelli Jacopo Antonio e Cosimo Fancelli e di Giuliano Finelli. Successivamente, crebbe la sua propensione mistica, vivendo ritirata e solitaria, vestita da monaca, nel Monastero delle “Ginnasie”; qualche fonte anzi riferisce che ella prese anche i voti nelle “Ginnasie”.
Non risulta documentata alcuna visita di Caterina a Castel Bolognese, tuttavia si ricordò della città d’origine della famiglia lasciando due pie istituzioni. La prima fu il fondo dotalizio Janè da lei istituito il 23 giugno 1640 per provvedere alla dote di quattro zitelle di Castel Bolognese. La seconda riguardò un legato di 3.000 scudi istituito col testamento del 9 agosto 1643 in favore della Confraternita di Santa Maria dello Spedale per il funzionamento dell’ospedale cittadino.
Si spense in odore di santità, all’età di settanta anni, il 30 novembre 1660. Per sua volontà, fu sepolta nella nuda terra, nella Chiesa di Santa Lucia alle Botteghe Oscure, ai piedi dello zio Domenico. A lei succedettero in conformità alle disposizioni del Cardinale, i figli di suo cugino Lamberto, Achille e Matteo che continuarono la famiglia nei rami di Imola (poi Ginnasi-Poggiolini de’ Calboli) e di Faenza. Non ci è giunta iconografia della sua immagine, ma un suo probabile ritratto è stato riconosciuto in busto in marmo conservato al Victoria and Albert Museum di Londra.
Riporto per completezza della documentazione le lapidi che Caterina Ginnasi fece incidere sulla tomba della madre e dello zio, nonchè quella presente sulla sua tomba ed infine quella conservata nella chiesa di Santa Maria dello Spedale di Castel Bolognese che la ricorda generosa benefattrice.
Sulla tomba di Faustina Gottardi
FAUSTINAE GOTTARDAE GINNASIAE
QUAE XXI ANNO VIDUA SE UNI CHRISTO DESPONDIT,
PIJS OPERIBUS DIUTURNIS, NOCTURNISQUE PRECIBUS
INTENTA IN TERRIS
CUM DEGERET COELO VIXIT
ALIENA FAME CRUCIATA EPULABATUR SPLENDIDE
CUM EPULAS EROGABAT IN MENDICOS
DIVITIAS HUBUIT UT CONTEMNERET
COELESTIUM AVARA DIVITIARUM
QUARUM LOCUPLETEM FUNDUM POSUIT
IN AEGENORUM SINU.
IN AULA MEDIA EREMI SOLITUDINEM
ET PIETATIS DELICIAS REPERIT
QUAS DOMINICUS GINNASIUS VICINO CORDIS E FONTE
SUAM CORRIVABAT IN FRATRIAM
CUIUS ILLA, E PURPURA SOLAM HAUSIT VIRTUTUM LUCEM
OBIIT AETATIS ANNO LXVII
CATHARINA GINNASIA MAESTISSIMA FILIA
MATRI OPTIMAE POSUIT ANNO SALUTIS HUMANAE
MDCXLVI
BEATUS QUI INTELLIGIT SUPER AEGENUM ET PAUPEREM
Traduzione:
A Faustina Gottardi Ginnasi che, vedova per 21 anni, si unì come sposa soltanto a Cristo, con pie opere di giorno e preghiere di notte, sicchè, ancora degente sulla terra, visse per il Cielo. Crucciata per la fame degli altri, banchettava splendidamente quando erogava il mangiare ai mendicanti. Ebbe le ricchezze per disprezzarle, avida unicamente delle ricchezze celesti, di cui costituì un ricco fondo nel seno dei poveri. In mezzo al Palazzo seppe trovare la solitudine dell’eremo e le delizie della pietà, che Domenico Ginnasi, dalla fonte del cuore a lei vicino, faceva perfluire nella fraterna convivenza: nella cui porpora ella vide solo lo splendore della virtù. Morì nel 67° anno di età. Caterina Ginnasi, addoloratissima figlia, pose alla ottima Madre nell’anno di Redenzione umana 1646. Beato chi cura il fabbisogno e il povero.
Sulla tomba del Cardinale Domenico Ginnasi
COGITAVI DIES ANTIQVOS
ET ANNOS AETERNOS
IN MENTE HABVI
D. O. M.
DOMINICO GINNASIO DE CASTRO BONONIENSI
S. R. E. CARDINALI DECANO
PIETATE JVSTITIA PRVDENTIA LIBERALITATE SPECTABILI
QVI CVM SIXTI V PONT. MAX. AVSPICIIS
CAMPANIAM ET PICENVM
A LATROCINIIS PVRGASSET ARCHIEPISCOPVS
SIPONTINVS ELECTVS EST
DEINDE A CLEMENTE VIII OBLATO THESAVRAR. PONTIFIC.
MVNERE RECVSATO
FLORENTIAM PRIMO TVM IN HISPANIAM EXTRA
ORDINEM MOX
ORDINARIVS NVNTIVS ALLEGATVS TANDEMQVE
CARDINALIS CREATVS
SOLIS VIRTVTIBVS PVRPVRAM DEBVIT
QVAM. VT PRETIOSIOREM COELO REDDERET OMNE
PAVPERVM GENVS SVBLEVAVIT IN TERRIS
DIVINVM CVLTVM AEDIFICATIS OSTIAE VELITRIS
IN GARGANO MONTE
IN CASTRO BONONIENSI IN HAC VRBE SACELLIS
TEMPLISQVE AMPLIFICAVIT
PVBLICAM VTILITATEM FOVIT COENOBIA XENODOCHIA
COLLEGIA JVVENTVTIS FVNDANDO
DAVIDICOS PSALMOS PIIS LVCVBRATIONIBVS
ILLUSTRAVIT
AD VLTIMVM PLENVS DIERVM ET MERITORVM
POST DOMVM
IN COENOBIVM DEO DEDICATAM AD COELESTEM
DOMVM DEMIGRAVIT
CHATERINA GINNASIA PATRVO BENEMERENTISSIMO
MOERENS POSVIT
SENIS QVOTIDIANIS PRO EIVS ANIMA SACRIFICIIS
IN HOC TEMPLO INSTITVTIS
VIXIT ANNOS LXXXIX OBIIT QVATRO IDVS MARTIIS
MDCXXXIX
Traduzione: Pensai: mi sovvennero i giorni passati e l’eternità. A Dio Ottimo Massimo. A Domenico Ginnasi da Castel Bolognese, Cardinale Decano di Santa Romana Chiesa, ammirevole per pietà, giustizia, prudenza, generosità, che, dopo aver liberato, sotto gli auspici di Sisto V, la Campagna e il Piceno dalla piaga dei ladri, fu eletto Arcivescovo Sipontino. Ricusata, in seguito, la carica di Tesoriere Generale Pontificio offertagli da Clemente VIII, fu inviato prima a Firenze e poi in Spagna come Nunzio Delegato, prima straordinario e poi ordinario, e infine fu creato Cardinale. Egli dovette la porpora solo alla virtù: per renderla più preziosa in cielo, alleviò ogni genere di povertà in terra. Edificò per il culto divino ad Ostia, a Velletri, sul Monte Gargano, in Castel Bolognese, e in questa Città ampliò templi e cappelle. Servì la pubblica utilità fondando monasteri e collegi per la gioventù. Illustrò i salmi di Davide con pie elucubrazioni. In ultimo, carico di giorni e di meriti, dopo aver trasformato la sua casa in un convento a Dio dedicato, emigrò verso la Patria celeste. La nipote Caterina Ginnasi, dolente, allo zio benemeritissimo eresse questo monumento e istituì quotidiane preghiere per la sua anima in questo Tempio. Visse 89 anni, morì 4 giorni prima delle idi di marzo (il 12 marzo) del 1639.
Sulla tomba di Caterina Ginnasi
CATHARINA GINNASIA
CARDINALIS GINNASIJ, E FRATRE NEPTIS
PAUPERUM MATER ET VIRGO
NON STERILIS, QUIA FECUNDA VIRTUTUM.
PECUNIAE USUM NON HABUIT IN TERRIS,
UT USUFRUCTUM HABERET IN COELO
CHARITATE IN OMNES PROFUSA
IN LECTO, IN MENSA, IN DOMO, IN OMNIBUS
SIBI QUAESIVIT ANGUSTIAS,
UT MORTUA VIVERET, VIXIT UT MORTUA
USA EST MAGIS AEDIBUS PRO SEPULCHRO
SUMMO MANE IN HYEME
SACRIS INTERERAT
HINC PROPTER AESTUM DIVINI AMORIS
CONTRAXIT E FRIGORE MORBUM,
ET MORTEM
SED CHARITAS NUNQUAM EXCIDIT
OBIIT SEPTUAGENARIA
DIE XXX NOVEMBRIS MDCLX
Traduzione:
Caterina Ginnasi, nipote -da parte del fratello- del Cardinale Ginnasi, madre dei poveri e vergine non sterile perchè feconda di virtù. Non ebbe l’uso del denaro in terra per avere l’usufrutto per il Cielo, profondendolo in Carità verso tutti. In alloggio, in mensa, in casa, in tutto cercò per sè solo sofferenze, e -per vivere dopo morta- visse come morta, usando le sue case piuttosto come sepolcro. Di prima mattina in inverno partecipava alle sacre funzioni. Per questo dato il calore dell’amore divino, a causa del freddo contrasse la malattia e trovò la morte, ma non perì mai la sua carità. Morì settantenne il 30 novembre 1660.
Nella Chiesa di Santa Maria dello Spedale in Castel Bolognese
D. O. M.
CATHARINA GINNASIA
DOMO ROMA
V. ID. SEXT. ANN. MDCXLIII
IN HONOREM SANCAE DEI GENITRICIS
SCUTAT III. M. N. HUIC SODALITATI TESTAMENTO LEGAVIT
UT EX REDITU EORUM IN PERPETUUM
SCUTAT XXV N. NOMINE DOTIS SINGULIS ANNIS
IN SINGULAS IV PUELLAS DE HOC CASTRO SEU EJUS AGRO
VESTIS INSUPER UNICOLOR CUIQUE TRIBUTATUR
SI QUID RELIQUUM PAUPERIBUS ELARGIATUR
EA ETIAM CONSTITUTA LEGE
UT DUAE EX PUELLIS AB IPSIUS SODALITATIS FRATRIBUS
ALTERA AB HAEREDIBUS FIDEICOMMISSARIIS
DOMINICI OLIM S. R. E. PRESB. CARD.
POSTREMA AB HAEREDIBUS CYNTHIAE GINNASIAE
AD DOTEM EXHIBEANTUR
HISCE VITA FUNCTIS
HOC QUIDQUID IURIS AD SODALITATEM DEVENIAT
EAMQUE REM SAXSO INSCRIBI IUSSIT
Traduzione:
A Dio Ottimo Massimo. A Caterina Ginnasi abitante a Roma che visse settant’anni. Nel 1643 legò per testamento, in onore della Santa Madre di Dio tremila scudi a questa Confraternita, affinchè dalla loro rendita, in perpetuo, fossero elargiti, ogni anno, in dote venticinque scudi ad ognuna di quattro giovani di questo castello o del suo territorio ed oltre a ciò fossero loro donate pure le vesti d’un unico colore se fossero state trovate povere. Ed ancora costituì per legge che a due fanciulle figlie di qualcuno di questi confratelli fosse concessa la dote, la prima dagli eredi fidecommessi del defunto Cardinale Prete Domenico, l’altra dagli eredi di Cinzia Ginnasi. Ai vivi così parlino i defunti, e ciò rimanga alla Confraternita come legge. E questa cosa ordinò fosse scritta su (questo) sasso.
Bibliografia:
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GINNASI F., Storia della famiglia Ginnasi, Imola 1931.
GRANDI P., Il Cardinale Domenico Ginnasi, Faenza 1997.
MEZZAMICI C., Vita esemplare del Cardinal Domenico Ginnasi, Roma 1696.
NAGLER G. K., Neues allgemeines Kunstlerxikon, Vol. 5, Berlino, 1837.
ORLANDI P., L’abecedario pittorico, Bologna, 1754.
PASSERI G. B., Vite de’ pittori scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma, Roma, 1772.
RAVAGLIOLI A., Roma Romagnola, Roma 1982
SCHLEIER E., Charles Mellin and the marchese Muti, in: The Burlington Magazine, CXVIII 1976, pp. 837-844.
TRICOZZI S., Dizionario dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800, vol. I, Roma, 1818.
VILLANI C.,Stelle femminili, Milano,1915.
PAOLO GRANDI
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