La vita di Giovanni Bernardi tratta da le “Vite” del Vasari
“Da che i Greci negl’intagli delle pietre orientali furono così divini e ne’ camei perfettamente lavorarono, per certo mi parrebbe fare non piccolo errore se io passassi con silenzio coloro che quei maravigliosi ingegni hanno nell’età nostra imitato, con ciò sia che niuno è stato fra i moderni passati, secondo che si dice, che abbia passato i detti antichi di finezza e di disegno in questa presente e felice età, se non questi che qui di sotto conteremo. Ma prima che io dia principio, mi convien fare un discorso breve sopra questa arte dell’intagliar le pietre dure e le gioie, la quale, doppo le rovine di Grecia e di Roma, ancora loro si perderono insieme con l’altre arti del disegno. Queste opere dello intagliare in cavo e di rilievo, se n’è visto giornalmente in Roma trovarsi spesso fra le rovine cammei e corgnole, sardoni et altri eccellentissimi intagli; e molti e molti anni stette persa, che non si trovava chi vi attendesse; e se bene si faceva qualche cosa, non erono di maniera che se ne dovessi far conto; e per quanto se n’ha cognizione, non si trova che si cominciasse a far bene e dar nel buono, se non nel tempo di papa Martino V e di Paolo II, et andò crescendo di mano in mano per fino che ‘l magnifico Lorenzo de’ Medici, il quale si dilettò assai degli intagli de’ cammei antichi, e fra lui e Piero suo figliuolo ne ragunarono gran quantità – e massimamente calcidoni, corgnuole, et altra sorte di pietre intagliate rarissime, le quali erano con diverse fantasie dentro -, che furono cagione che per metter l’arte nella loro città e’ conducessino di diversi paesi maestri, che oltra al rassettar loro queste pietre, gli condussono dell’altre cose rare in quel tempo. Imparò da questi, per mezzo del magnifico Lorenzo, questa virtù dell’intaglio in cavo un giovane fiorentino chiamato Giovanni delle Corgnuole, il quale ebbe questo cognome perché le intagliò eccellentemente, come fa testimonio infinite che se ne veggono di suo, grandi e piccole: ma particolarmente una grande, dove egli fece dentro il ritratto di fra’ Girolamo Savonarola, nel suo tempo adorato in Fiorenza per le sue predicazioni, ch’era rarissimo intaglio.
Fu suo concorrente Domenico de’ Cammei milanese che, allora vivendo il duca Lodovico il Moro, lo ritrasse in cavo in un balascio della grandezza più d’un giulio, che fu cosa rara e de’ migliori intagli che si fusse visto de’ maestri moderni. Accrebbe poi in maggior eccellenza questa arte nel pontificato di papa Leone Decimo per la virtù et opere di Pier Maria da Pescia, che fu grandissimo imitatore delle cose antiche; e gli fu concorrente Michelino, che valse non meno di lui nelle cose piccole e grandi, e fu tenuto un grazioso maestro. Costoro apersono la via a quest’arte tanto difficile, poiché intagliando in cavo, che è proprio un lavorare al buio, da che non serve altro che la cera per occhiali a vedere di mano in mano quel che si fa, ridussono finalmente che Giovanni da Castel Bolognese e Valerio Vicentino e Matteo dal Nasaro et altri facessino tante bell’opere, che noi faremo memoria. E per dar principio, dico che Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, il quale nella sua giovanezza stando appresso il duca Alfonso di Ferrara, gli fece, in tre anni che vi stette onoratamente, molte cose minute, delle quali non accade far menzione: ma di cose maggiori la prima fu che egli fece, in un pezzo di cristallo incavato, tutto il fatto d’arme della Bastìa, che fu bellissimo; e poi, in un incavo d’acciaio, il ritratto di quel Duca per far medaglie, e nel riverso Gesù Cristo preso dalle turbe. Dopo andato a Roma, stimolato dal Giovio, per mezzo d’Ipolito cardinale de’ Medici e di Giovanni Salviati cardinale ebbe commodità di ritrarre Clemente Settimo, onde ne fece un incavo per medaglie che fu bellissimo, e nel rovescio quando Ioseffo si manifestò a’ suoi fratelli; di che fu da Sua Santità rimunerato col dono d’una Mazza, che è un uffizio, del quale cavò poi al tempo di Paolo Terzo, vendendolo, dugento scudi. Al medesimo Clemente fece in quattro tondi di cristallo i quattro Evangelisti, che furono molto lodati e gl’acquistarono la grazia e l’amicizia di molti reverendissimi, ma particolarmente quella del Salviati e del detto Ippolito cardinale de’ Medici, unico rifugio de’ vertuosi, il quale ritrasse in medaglie d’acciaio, et al quale fece di cristallo quando ad Alessandro Magno è presentata la figliuola di Dario. E dopo, venuto Carlo V a Bologna a incoronarsi, fece il suo ritratto in un acciaio; et improntata una medaglia d’oro, la portò sùbito all’imperatore, il quale gli donò cento doble d’oro, facendolo ricercare se voleva andar seco in Ispagna: il che Giovanni ricusò con dire che non potea partirsi dal servizio di Clemente e d’Ippolito cardinale, per i quali avea alcuna opera cominciata che ancora era imperfetta. Tornato Giovanni a Roma, fece al detto cardinale de’ Medici il ratto delle Sabine, che fu bellissimo. Per le quali cose conoscendosi di lui molto debitore il cardinale, gli fece infiniti doni e cortesie; ma quello fu di tutti maggiore quando, partendo il cardinale per Francia accompagnato da molti signori e gentiluomini, si voltò a Giovanni che vi era fra gl’altri, e levatasi dal collo una picciola collana, alla quale era appiccato un cammeo che valeva oltre seicento scudi, gliele diede dicendogli che lo tenesse insino al suo ritorno, con animo di sodisfarlo poi di quanto conosceva che era degna la virtù di Giovanni. Il quale cardinale morto, venne il detto cammeo in mano del cardinal Farnese, per lo quale lavorò poi Giovanni molte cose di cristallo, e particolarmente per una croce un Crucifisso et un Dio Padre di sopra, e dagli lati la Nostra Donna e San Giovanni, e la Maddalena a’ piedi; et in un triangolo a piè della croce fece tre storie della Passione di Cristo, cioè una per angolo. E per due candelieri d’argento fece in cristallo sei tondi: nel primo è il centurione che prega Cristo che sani il figliuolo, nel secondo la Probatica Piscina, nel terzo la Trasfigurazione in sul monte Tabor, nel quarto è il miracolo de’ cinque pani e due pesci, nel quinto quando cacciò i venditori del tempio, e nell’ultimo la Ressurezzione di Lazzaro, che tutti furono rarissimi. Volendo poi fare il medesimo cardinal Farnese una cassetta d’argento ricchissima, fattone fare l’opera a Marino orefice fiorentino, che altrove se ne ragionerà, diede a fare a Giovanni tutti i vani de’ cristalli, i quali gli condusse tutti pieni di storie e di marmo di mezzo rilievo; fece le figure d’argento e gli ornamenti tondi con tanta diligenza che non fu mai fatta altra opera con tanta e simile perfezzione. Sono di mano di Giovanni nel corpo di questa cassa intagliate in ovati queste storie con arte maravigliosa: la caccia di Meleagro e del porco Calidonio, le Baccanti et una battaglia navale, e similmente quando Ercole combatte con l’Amazzone, e altre bellissime fantasie del cardinale, [che] ne fece fare i disegni finiti a Perino del Vaga et a altri maestri. Fece appresso in un cristallo il successo della presa della Goletta, et in un altro la guerra di Tunisi. Al medesimo cardinale intagliò, pur in cristallo, la nascita di Cristo, quando òra nell’orto, quando è preso da’ Giudei, quando è menato ad Anna, Erode e Pilato, quando è battuto e poi coronato di spine, quando porta la croce, quando è confitto e levato in alto, et ultimamente la Sua santissima e gloriosa resurrezzione. Le quali opere tutte furono non solamente bellissime, ma fatte anco con tanta prestezza che ne restò ogni uomo maravigliato. Et avendo Michelagnolo fatto un disegno (il che mi si era scordato di sopra) al detto cardinale de’ Medici d’un Tizio a cui mangia un avoltoio il cuore, Giovanni [l’] intagliò benissimo in cristallo, sì come anco fece con un disegno del medesimo Buonarroto un Fetonte, che per non sapere guidare il carro del Sole cade in Po, dove piangendo le sorelle sono convertite in alberi. Ritrasse Giovanni madama Margherita d’Austria, figliuola di Carlo Quinto imperadore, stata moglie del duca Alessandro de’ Medici et allora donna del duca Ottavio Farnese; e questo fece a concorrenza di Valerio Vicentino. Per le quali opere fatte al cardinale Farnese ebbe da quel signore in premio un uffizio d’un giannizzero, del quale trasse buona somma di danni; et oltre ciò fu dal detto signor tanto amato che n’ebbe infiniti altri favori, né passò mai il cardinale da Faenza, dove Giovanni aveva fabricato una commodissima casa, che non andasse ad alloggiare con esso lui. Fermandosi dunque Giovanni in Faenza per quietarsi dopo aver molto travagliato il mondo, vi si dimorò sempre; et essendogli morta la prima moglie, della quale non aveva avuto figliuoli, prese la seconda, di cui ebbe due maschi et una femina, con i quali, essendo agiato di possessioni e d’altre entrate che gli rendevano meglio di quattrocento scudi, visse contento insino a sessanta anni. Alla quale età pervenuto, rendé l’anima a Dio il giorno della Pentecoste, l’anno 1555.”
Tratto da: Vite di Valerio Vicentino di Giovanni da Castel Bolognese di Matteo Dal Nasaro Veronese e d’altri eccellenti intagliatori di camei e gioie.
E’ possibile scaricare le pagine delle “Vite” sopra trascritte, nonchè la copertina delle “Vite” e quella del capitolo dedicato agli intagliatori, in formato PDF. Clicca qui per iniziare il download (file: vasari.zip 521 KB).
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