Raffaele Cavallazzi (1852-1934)
Nasce a Castel Bolognese (RA) il 25 dicembre 1852 da Antonio e Fortunata Budini, rivenditore di giornali, tipografo. Il padre è segretario comunale, e la famiglia annovera fra i propri membri e parenti diversi patrioti coinvolti nelle cospirazioni e nei fatti d’arme del Risorgimento. In particolare lo zio materno Giuseppe Budini, amico personale di Mazzini e della di lui madre Maria Rossi Drago, già esule a Parigi dove diventa tipografo, nel 1848-49 al comando di volontari prende parte a diverse battaglie durante la prima guerra d’indipendenza e la successiva difesa della Repubblica Romana. La sua formazione avviene in un ambiente permeato di idealità patriottiche ma anche di aspirazioni a un assetto politico e sociale più libero e giusto. A differenza dei due fratelli Arnaldo e Giuseppe, entrambi studenti universitari, interrompe quasi subito gli studi. A quattordici anni, quando nel 1866 scoppia la terza guerra d’indipendenza, chiede di aggregarsi al fratello Arnaldo e ai cugini che partono volontari per combattere tra i garibaldini o nell’esercito regolare, ma il padre glielo impedisce per la sua giovane età. Arnaldo ritornerà debilitato nel fisico e morirà l’anno dopo. L’altro fratello Giuseppe morirà invece a Carcare (SV) a 21 anni nel 1876, mentre è sergente nell’esercito, sembra per un suicidio. Pur mancando la documentazione in proposito, è probabile che la adesione di Raffaele al socialismo anarchico risalga alla metà del decennio 1870. Armando Borghi lo citerà molti anni dopo in un elenco di vecchi militanti da lui conosciuti in gioventù che avrebbero preso parte al moto di Bologna del 1874 con Bakunin, ma non sono state trovate conferme. In ogni caso, C. fa sicuramente parte del primo nucleo di militanti internazionalisti a Castel Bolognese, insieme a Antonio Borghesi (che però vive prevalentemente a Imola) e a Filippo Guadagnini. All’interno del movimento ben presto egli assume un ruolo di rilievo, tanto che le fonti di polizia lo definiscono per molti anni “capo degli anarchici” della piccola città romagnola. L’attività politica di C. è documentata a partire dal 1880, allorchè il suo nome comincia ad apparire nei rapporti di polizia e poi nei giornali socialisti. Dopo avere subìto – a partire dal 1869 – alcune condanne per reati minori, nel settembre del 1881 viene condannato per “cospirazione e attentati contro la sicurezza interna dello Stato”. Il 15 giugno 1883 riceve una condanna a un anno di carcere per “detenzione di armi insidiose e per contravvenzione ai Regolamenti ferroviari”. Si tratta di alcuni tra i primi episodi di una serie innumerevole e quasi incredibile di fermi, arresti, detenzioni, ammonizioni e persecuzioni di ogni genere – in gran parte documentati nel suo fascicolo personale presso il cpc – a cui dovrà sottostare per buona parte della sua esistenza, e che mai riusciranno a demoralizzarlo e a distoglierlo dal suo impegno politico. Ancora A. Borghi scriverà di lui: “Era il proselitista nato. Si doveva in gran parte a lui se a Castel Bolognese gli anarchici erano il più forte numero fin dai tempi dell’Internazionale. A ogni 18 marzo esponeva la bandiera rossa alla finestra. Arrestato non saprei quante volte, se ne usciva sempre più deciso. Testa leonina, barba cappello e cravatta alla Cipriani […] Non incolto; intelligentissimo. In ogni comizio prendeva la parola e sapeva dire cose assennate anche agli onorevoli” (Il tramonto di Bacunin?, 1939). Nel 1881 parla per la prima volta in pubblico, in occasione di una commemorazione unitaria della battaglia di Mentana, a cui prendono parte gli anarchici, i socialisti e i repubblicani. Se le persecuzioni politiche e giudiziarie non riescono a piegarlo, i continui arresti e le spese per gli avvocati per fare fronte ai processi lo costringono però a dare fondo alle risorse economiche della famiglia di origine, considerevoli per l’epoca. Perde inoltre quasi immediatamente l’impiego presso la Congregazione di Carità, ritrovandosi quindi in difficoltà per mantenere la famiglia che nel frattempo si è formato. Sposato con Maria Contoli, gli nascono cinque figli: Arnaldo (1878), Giuseppina (1880), Ribelle (1885), Fortunata (1887) e Giannina Luce Anarchina (così registrata all’Anagrafe per volontà del padre, 1890). I due figli maschi, Arnaldo e Ribelle, diventeranno anch’essi figure di rilievo dell’anarchismo castellano. Per sopravvivere si adatta a vendere giornali presso la Stazione ferroviaria, approfittandone per ricevere e propagandare i giornali anarchici editi in Italia e all’estero, e per tenere i contatti con i compagni in transito per la Stazione stessa. Per tutto il decennio 1880 a Castel Bolognese la frattura fra socialisti e anarchici non può dirsi ancora conclusa, nonostante le polemiche che già oppongono Andrea Costa agli anarchici intransigenti e in particolare a Malatesta. Dal 1881 al 1884 continuano ad apparire sull’”Avanti!” varie corrispondenze che attestano gli intensi rapporti di C. e dei primi socialisti anarchici castellani con Costa. La separazione in due tendenze politiche ben distinte avviene con un certo ritardo, e Cavallazzi ne è il promotore. Nel 1892 egli viene espulso “per comportamento autoritario” dal Circolo di Studi Sociali di Castel Bolognese, fondato il 1° Maggio dell’anno precedente, di cui fanno parte anarchici, socialisti e repubblicani (il Circolo verrà poi sciolto dalle Autorità nel 1894). Per solidarietà con C. escono dal Circolo una decina di soci, componenti la frazione anarchica intransigente (vi rimangono invece alcuni anarchici “possibilisti”, contrari alla rottura con le altre componenti e desiderosi di evitare la dissoluzione del Circolo stesso). L’espulsione di C. si deve ricondurre al suo tentativo di contrastare il ruolo direttivo esercitato all’interno del Circolo da alcuni esponenti socialisti, in particolare il dott. Umberto Brunelli. L’episodio mette in luce la determinazione di C. che si pone come alfiere delle posizioni anarchiche più intransigenti, e attesta altresì la sua influenza su una parte significativa dei compagni locali. L’anno dopo è coinvolto dalla polizia nel più eclatante episodio di anticlericalismo avvenuto a Castel Bolognese, che suscita clamore in tutta la Romagna. E’ infatti denunciato con altri compagni come uno degli autori della decapitazione di una statua della Madonna avvenuta nella notte del 21 maggio 1893 nella Chiesa di San Francesco in occasione della Festa della Pentecoste. Viene per questo processato insieme agli anarchici Antonio Garavini, Giuseppe Minardi, Michele Fantini. Condannato in primo grado, è assolto in appello con sentenza del 22 novembre 1893 dal Tribunale di Ravenna per non provata reità, insieme a Garavini e a Minardi (Fantini era stato già assolto nel primo processo). Nei primi mesi del 1894 è tra i promotori di alcune riunioni per costituire Fasci dei lavoratori in Romagna, a somiglianza di quelli siciliani. La sera del 31 maggio 1894 prende parte a una manifestazione di solidarietà proprio con i Fasci siciliani che si tiene per le vie di Castel Bolognese. Per questo episodio viene processato con altri 18 anarchici e socialisti e viene condannato a 3 mesi di detenzione e una forte multa per “eccitamento a delinquere”. Il 7 dicembre 1894 il Tribunale di Ravenna lo condanna a 19 mesi di reclusione, 400 lire di multa e due anni di sorveglianza per “associazione a delinquere”, in un processo che coinvolge altri anarchici castellani (Ugo Biancini, Giovanni Borghesi, Francesco Budini, Pietro Garavini, Vincenzo Lama, Mario Scardovi), accusati dei reati previsti dagli art. 247 e 248 del Codice Penale. Uscito dal carcere nell’aprile 1896, vi rientra poco dopo e vi trascorre alcuni mesi per scontare altre condanne minori. Viene proposto inoltre per l’assegnazione al domicilio coatto. Per sottrarsi alle persecuzioni politiche e per risolvere il problema della mancanza di un lavoro stabile, tenta la strada dell’emigrazione. Munito di regolare passaporto, il 29 ottobre 1896 si imbarca a Genova sul piroscafo “Gergovia” diretto a Buenos Aires. Rimpatria a Castel Bolognese tre anni dopo, il 19 ottobre 1899, e subito viene convocato nell’ufficio di P.S. e “diffidato a tenere regolare condotta specialmente in linea politica”. Il richiamo non sortisce alcun effetto, e immediatamente riprendono sia l’attività politica di C., sia le persecuzioni delle autorità. Il 23 settembre 1900, nel clima repressivo seguito al regicidio di Bresci, viene denunciato per associazione a delinquere quale uno dei componenti il nucleo organizzatore del Gruppo socialista-anarchico di Castel Bolognese sciolto d’autorità, ma si rende latitante e successivamente il Tribunale di Ravenna dichiara il non luogo a procedere. Negli anni successivi compie altri tentativi di trovare lavoro in località all’estero e in Italia, ma sempre senza successo (a Costanza in Germania nel gennaio e nell’aprile 1901, a Milano nel luglio-agosto 1905). Già al ritorno dall’Argentina cominciano a manifestarsi disturbi alla vista, che lo portano a perdere completamente l’uso di un occhio. Nel 1900 circa viene fondata dal figlio Arnaldo la Tipografia Cavallazzi, impresa commerciale che svolge anche un ruolo politico in quanto vi saranno stampati giornali anarchici e di sinistra, non solo castellani, fino all’avvento del fascismo. Per un decennio Raffaele sarà l’intestatario dell’impresa, a cui collabora tutta la famiglia, ma svolgerà sempre un ruolo secondario. Nel 1911 la gestione della Tipografia passerà completamente nelle mani del figlio Ribelle, affiancato dalle sorelle, e Raffaele si dedicherà soprattutto all’attività di rilegatore di libri. Anche in epoca giolittiana Raffaele rimane uno degli elementi più in vista dell’anarchismo castellano, che si rafforza per l’ingresso in scena di nuove generazioni di militanti. Nel nuovo clima politico di inizio secolo, meno repressivo e persecutorio, anch’egli vede allentare la pressione nei suoi confronti, ma non cessano le denunce e i processi. Viene condannato nel 1903 per avere diffuso senza autorizzazione il 18 marzo un n. u. commemorante la Comune di Parigi. La sera del 22 ottobre 1905 viene arrestato insieme ad altri per le proteste seguite all’intimazione, da parte del delegato di PS di Castel Bolognese, di scioglimento di una pubblica riunione in cui è oratore il repubblicano Pirro Gualtieri di Cesena. Il giorno dopo, mentre viene tradotto alle carceri di Faenza, riesce a fuggire clamorosamente a fuggire insieme al figlio Arnaldo, ad Armando Borghi e allo stesso oratore Gualtieri. Nel successivo processo il Tribunale di Ravenna il 23 novembre lo condanna per questo a 51 giorni di reclusione e a 100 lire di multa.
Negli anni successivi continua a collezionare denunce e processi, subendo alcune condanne per reati minori, soprattutto oltraggio ai Carabinieri e affissione di stampati. Continua a svolgere un’intensa attività, partecipando anche a riunioni e Convegni anarchici a Castel Bolognese e altre città vicine. Nel giugno 1914 C. partecipa ai moti della Settimana rossa, durante i quali a Castel Bolognese viene assalita e bruciata la Stazione ferroviaria, e risulta per questo tra gli arrestati. Sarà liberato poi senza processo a seguito di un’amnistia. Il 26 maggio1915 viene sorpreso dai Carabinieri mentre distribuisce clandestinamente dei manifestini contro la guerra. Successivamente è tratto in arresto il 22 settembre 1916 perché sorpreso a parlare con giovani di Faenza iscritti alla leva della classe 1897, incitandoli a ribellarsi con le frasi: “Voialtri dovreste fare la rivoluzione e gridare abbasso la guerra, abbasso l’Italia, viva l’Internazionale” (nel processo per questo episodio verrà poi assolto per insufficienza di indizi). Nel dopoguerra i suoi rapporti con i compagni, soprattutto i più giovani, sono talvolta contrastati, a causa del suo carattere considerato da molti troppo autoritario e intollerante. Dopo l’avvento del fascismo, ormai vecchio e quasi cieco, viene aggredito da uno dei fondatori del fascio locale che per spregio gli taglia una parte della barba. Subìto l’oltraggio, con fierezza grida in faccia al suo aggressore: “Ero anarchico con la barba, sono anarchico anche senza”. In seguito lascia “dissestata” la barba, per potere ripetere mostrandola: “Tutti devono vedere e sapere come quei manigoldi dei fascisti maltrattano i vecchi”. A parte questo episodio, viene lasciato abbastanza tranquillo. Nel 1928 viene radiato dallo schedario dei sovversivi perché “data la sua avanzata età (anni 76) e la quasi completa cecità non è più da considerarsi persona pericolosa”. Fino all’ultimo conserva i suoi ideali. Muore a Castel Bolognese il 9 gennaio 1934.
FONTI: ACS, CPC, ad nomen; SASI, GSP, 1878-1900; Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani; BLAB, Fondo Anarchici Castellani; Fondo Nello Garavini, Testimonianze, dattil. inedito; Intervista a Scilla Cavallazzi Liverani, rilasciata a G. Landi e F. Zama il 21 luglio 1986; BCDP-CB, Sezione Locale, Miscellanea; mrbo, Fondi tematici. Gollini 1967-70.
BIBLIOGRAFIA: Il Processo degli Anarchici di Castel Bolognese, “L’Ombra d’Landon” (Ravenna), 8 dicembre 1894; A. Borghi, Il tramonto di Bacunin?, Newark, N.J., “L’Adunata dei Refrattari”, 1939; Id., Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli, ESI, 1954; L. Dal Pane, Ricordo di Castelbolognese: sessant’anni fa, e M. Santandrea, Carta stampata, in Studi e memorie su Castelbolognese, Imola, Galeati, 1973; A. Taracchini, L’associazionismo anarchico, in Associazioni e personaggi nella storia di Castelbolognese, Imola, Galeati, 1980; P. Costa, Comune e popolo a Castelbolognese (1859-1922), Imola, Galeati, 1980; Castelbolognese nelle immagini del passato, Imola, Grafiche Galeati, 1983; Il movimento anarchico a Castelbolognese (1870-1945), Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1984; G. Landi, Una famiglia di anarchici castellani: i Cavallazzi, in Aspetti della società tra Ottocento e Novecento, Castel Bolognese, Grafica Artigiana, 1987; D. Gottarelli, Oltraggio alla Madonna. Castel Bolognese 1893, Castel Bolognese, s.n., 2003.
Gianpiero Landi
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