La chiesa di San Sebastiano
Premessa
Questa bella chiesa dai lineamenti semplici ma eleganti, che risentono ancora dell’arte romanica ma già interpretano il rinascimento avanzante, si erge solitaria sulla via Emilia, a circa cinquecento metri dalle mura cittadine ed all’incrocio con la strada Casolana che, risalendo la valle del Senio, porta in Toscana. Al suo interno una iscrizione originale in lettere maiuscole, dipinta nell’architrave del fianco di levante, ne ricorda il costruttore ed una data, probabilmente quella del termine dell’opera di costruzione: M CCCCC VII DIE V MENSIS HOTOBRIS LAMBERTUS FECIT. Se tale memoria esclude l’attribuzione del bel tempio alla mano del Bramante o di Giorgio da Siena, avanzata da alcuni storici, pur autorevoli, del passato, ci dà notizie certa della data di costruzione e del suo artefice, il castellano Lamberto Galvani.
La Misericordia di Castel Bolognese pensa ad un ospedale per gli incurabili
La Confraternita di Misericordia, che fin dalla fondazione del Castello nel 1388 si occupò di costruire e gestire l’Ospedale de Castro Bolognesio o de Misericordia posto a fianco della propria chiesa di Santa Maria della Misericordia, alla fine del XV secolo contava numerosi Confratelli ed era fiorente e ricca di generosi legati, donazioni e offerte. Probabilmente per questo motivo essa decise di allargare l’opera dell’Ospedale anche ai malati di pestilenze o malattie contagiose, costruendo lontano dall’abitato un lazzaretto ed innalzandovi una chiesa dedicata ai santi Sebastiano e Rocco, da sempre venerati come patroni ed intercessori speciali nelle pestilenze, assai frequenti in quei tempi. Ciò giustificherebbe l’ubicazione isolata del posto ed il fatto che essa sia sempre dipesa dall’Ospedale della Misericordia. Ad edificarla venne chiamato l’architetto castellano Lamberto Galvani, discendente da una famiglia di mastri muratori di provata valentia, tanto che il figlio di costui, Marcantonio, sarà chiamato dalla medesima Confraternita nel 1559 a costruire la cappella di proprio giuspatronato nella chiesa di S. Maria, ove poi sarebbe stato collocato il gruppo statuario della “Visitazione” opera del Lombardi. Lamberti, Galvani, Ramberti devono tutti intendersi una stessa famiglia, da un ramo della quale usciranno nel XVI secolo gli Amonio che dettero lustro a Castel Bolognese nel XVII secolo con i fratelli Taddeo, Giovanni Maria, Domenico, Francesco Antonio e Ottaviano.
Viene aperta al culto la chiesa di San Sebastiano
La chiesa fu consacrata il 18 maggio 1508 ed ebbe subito un culto speciale che spinse i castellani a pii lasciti di terreni e capitali in suo favore ed a chiedere di esservi sepolti. La Confraternita di Misericordia provvide al culto della chiesa ma crescendo i legati di messe ebbe più volte in animo di affidarla ad una comunità religiosa. Nel 1524 fu tentato con i Domenicani dell’Osservanza a precise condizioni, quali quelle di celebrare Messa la prima domenica di ogni mese nell’oratorio della Confraternita e di amministrare i Sacramenti agli infermi degenti nell’ospedale, ma non si sortì alcun risultato, per cui fu continuata la pratica della Rettoria, a volte esercitata da frati od eremiti. Fu il caso di frate Angelo da Firenze e frate Cesare da Pisa, entrambi serviti, il primo dei quali potrebbe aver ispirato il pittore nel ritrarre san Filippo Benizzi, uno dei primi santi dei Serviti, nell’affresco dell’altare maggiore. Venne poi frate Girolamo da Narbona dell’Ordine degli Eremiti di San Rocco attorno al 1537. Ancora nel 1569 si pensò di assegnare la chiesa ai Francescani Osservanti e due anni dopo ai Cappuccini oppure ai Teatini, per i quali la Confraternita aveva pensato di collocarli nell’ospedale dentro il castello e costruire un ospizio per i poveri a San Sebastiano, ma tutti i tentativi andarono falliti, probabilmente perchè alla chiesa non era unito un immobile sufficientemente ampio ove poter ospitare il cenobio. Il comune e la Confraternita di Misericordia ritentarono di offrire la chiesa ai Cappuccini nel 1580, senza successo. Un avvenimento degno di nota accadde il 12 aprile 1534 quando due famiglie castellane, i Pascoli e gli Antolini, appartenenti al contado di Barignano e da tempo vittime di faide reciproche, stipularono in San Sebastiano la pace perdonandosi a vicenda, abbracciandosi e baciandosi.
Le vicende dai secoli XVII al secolo XIX
Leggendo le visite pastorali promosse dai Vescovi di Imola, troviamo lo stato della chiesa e delle sue pertinenze nei secoli successivi a quello della sua costruzione. Nelle descrizioni di quelle del XVII secolo, si ricava che una piccola casa era stata costruita aderente alla chiesa e, assieme a tre tornature di terra, era goduta dal cappellano pro tempore. Nel 1616 chiesa e canonica esternamente erano intonacate e dipinte in rosso e sopra la porta si trovava ritratto il Santo titolare. Riparazioni, imbiancature, restauri furono compiuti per tutto il XVII secolo sia a spese della Confraternita, che a spese dell’Ospedale, ed anche tramite le offerte raccolte per la festa di Sant’Antonio Abate che qui si celebrava con grande solennità. Con uguale pompa, per volere del Vescovo, si commemorava il 18 maggio di ogni anno la consacrazione della chiesa, con l’intervento della Confraternita di Misericordia.
Agli inizi del XVIII secolo cominciò un periodo di decadenza per l’edificio: nella visita del vescovo Marelli del 1740 la casa, un tempo dimora del cappellano, poi del contadino, fu trovata malandata e spesso rifugio di banditi che credevano di godervi l’immunità ecclesiastica. Fu pertanto murata sulla facciata della chiesa una lapide, che si vede tuttora, con la scritta: IL SOLO INTERNO | DI QUESTA CHIESA | GODE IMMUNITA’, mentre la casa scomparve poco dopo, lasciando la chiesa nella solitaria posizione come oggi si vede. Fu comunque continuata la celebrazione della messa nei giorni festivi e, con solennità, le feste dei santi Sebastiano, Antonio Abate, Vincenzo Ferreri e, almeno fino alla fine del ‘700, anche quella di San Rocco. Andò in disuso invece quella della consacrazione, mentre invece la chiesa, pur trovandosi nella parrocchia di Campiano, divenne meta ogni anno di una della processioni penitenziali delle Rogazioni celebrate dalla Parrocchia di San Petronio.
Un secondo fatto memorabile si annota a questa chiesa il 3 e 4 ottobre 1775. Con decreto del 26 settembre precedente, l’arcivescovo di Bologna, Card. Boncompagni, donò all’Arcipretale di Castel Bolognese un’insigne Reliquia di San Petronio. Essa fu trasportata in forma privata da Bologna a San Sebastiano il 3 ottobre ed il giorno successivo, festa del Patrono, processionalmente ed in forma solenne da qui alla chiesa Arcipretale.
Il declino e la rinascita a Monumento ai Caduti di tutte le guerre
A causa della soppressione della Confraternita di Misericordia, a norma della legge 3 agosto 1862 la chiesa di San Sebastiano, assieme ai beni dell’Ospedale, fu trasferita alla Congregazione di Carità, che la chiuse al culto nel 1865, nonostante le proteste dell’arciprete di Campiano, trasformandola in legnaia, poi in ricettacolo di concimi che, gradualmente, portarono alla rovina l’edificio e le opere d’arte contenutevi. Lo stato di abbandono della chiesa, davvero deplorevole, venne denunciato con una pubblica protesta edita sul Il Diario del 12 agosto 1922 e firmata da padre Serafino Gaddoni.
Al termine della Prima Guerra Mondiale, con i suoi oltre 615.000 soldati italiani caduti o dispersi e l’incalcolabile numero di vittime civili, sorse in tutta Italia un movimento spontaneo e corale che volle elevare nei più diversi luoghi un monito alle future generazioni affinchè, attraverso il ricordo di questi morti, imparassero ad odiare la guerra e a volere la pace con tutte le forze. Anche Castel Bolognese ebbe un Comitato per le Onoranze ai Caduti, che cominciò a ipotizzare la costruzione di un Monumento ai Caduti della Grande Guerra. L’architetto riolese Francesco Bagnaresi propose così l’idea di riconsacrare la chiesa di San Sebastiano al culto e dedicarla alla memoria dei Caduti. Era però necessaria una ingente somma per l’acquisto dell’immobile ed il suo restauro; intervenne così l’avvocato Francesco Gottarelli, appartenente ad una antica e distinta famiglia castellana, il quale da tempo pensava di restaurare quella chiesa, elargendo la cospicua somma di 40.000 lire per l’acquisto di San Sebastiano, del terreno circostante da trasformare in parco della rimembranza e per i lavori di restauro, impegnandosi nel contempo, come detto in un atto notarile del 25 marzo 1924 e stipulato fra il Gottarelli e la Congregazione di Carità, a donarla al Comune di Castel Bolognese.
Il 24 aprile successivo un pubblico manifesto, curato dal Comitato per il monumento ai caduti, annunciava alla popolazione la notizia del prossimo recupero di San Sebastiano e chiedeva ai cittadini la collaborazione morale e materiale per la riuscita dell’opera che non mancò, facendo pervenire generose elargizioni in denaro e con l’organizzazione di iniziative popolari volte alla raccolta di fondi. Purtroppo l’avvocato Gottarelli morì il 15 luglio 1924, con le pratiche burocratiche di donazione ancora in corso, e non potè vedere la chiesa rinata a nuova vita, anche se riuscì ad assistere all’inizio dei lavori di restauro, affidati al capo mastro castellano Vincenzo De Giovanni. Il progetto di ripristino, così come annunciato nel detto manifesto, non fu in realtà completamente attuato. Il restauro fu molto ben curato e anche, come auspicava padre Serafino Gaddoni, ben armonizzato con lo stile di Mastro Lamberto Galvani. Ciò ha permesso di far arrivare la chiesa praticamente integra nella sua forma iniziale fino ai giorni nostri. I lavori, il cui costo preventivo stimato era di 19.000 lire, proseguirono alacremente: fu realizzato il parco della rimembranza, dove furono piantati pini e cipressi, l’esterno della chiesa fu rimesso a pietra viva mentre all’interno fu realizzato un nuovo pavimento di mattoni della fornace Gallotta di Imola e furono poste le lapidi in marmo contenenti i nomi dei caduti. Fu fabbricata una nuova porta in legno ed una artistica cancellata in ferro battuto che racchiudeva il parco ed il sagrato della chiesa.
Il 4 novembre 1925, anniversario della vittoria, la chiesa di San Sebastiano fu finalmente riaperta al culto, anche se i lavori non erano ancora stati completati. Poco tempo dopo fu realizzato lo zoccolo di marmo di Vicenza, giallo venato, opera del faentino Paolo Bucci, che adornava le pareti interne della chiesa, e fu installata la lampada votiva in ferro battuto. All’inizio del 1927 mancavano ancora l’altare maggiore ed il restauro dell’affresco della parete di fondo, cosicchè il podestà Cagnoni, a seguito di polemiche innescate per i ritardi, ne affidò il completamento alla locale sezione dell’Associazione Combattenti.
La chiesa di San Sebastiano subì gravi danni durante il secondo conflitto mondiale. Essa fu restaurata nel completo rispetto dell’intervento eseguito nel 1925 e divenne Monumento ai Caduti di entrambe le guerre mondiali: i nomi dei soldati castellani morti fra il 1940 e il 1945 furono aggiunti sulle lapidi all’interno della chiesa ed altre piante furono messe a dimora nel Parco delle Rimembranze. Fra il 1986 e il 1987 la chiesa fu sottoposta a un nuovo intervento di restauro, eseguito con maestria dall’artigiano castellano Mario Vinieri sotto la direzione dell’architetto castellano Oreste Diversi, che interessò in particolare il tetto e il pavimento, rinnovati, l’affresco dell’altare, le pareti e le volte che furono tinteggiate.
Itinerario artistico
Al presente la chiesa è isolata, a pietra a vista su tutte le pareti, coperta con un tetto a due falde sopra il quale, sul fianco sinistro della parete che chiude il presbiterio, sta il campanile a vela per una campana. Tre finestre circolari, una posta sulla porta d’ingresso e due sopra il presbiterio illuminano l’interno, al quale si accede per l’unica porta ad arco, in legno, opera dei fratelli Casalini. L’interno, ad unica navata, è coperto con due volte a vela e “finta” cupola sul presbiterio ed ospita, oltre l’altare maggiore, lo spazio di altri due altari, voltati a botte. Il pavimento in cotto è stato rinnovato con l’ultimo restauro su disegno del precedente. Tutta l’attuale sistemazione è frutto dei restauri compiuti nel 1925 e nel 1986. La descrizione di padre Gaddoni ci lascia memoria di come la chiesa fosse sistemata in precedenza.
Un arco trionfale divide la navata dal presbiterio, nella cui parete di fondo si conserva, seppur frammentaria, l’opera d’arte più significativa: un affresco, rappresentante la Vergine in trono col Bambino che tiene una rondinella nella mano sinistra. I santi Giuseppe e Sebastiano stanno ritti alla destra della Vergine, mentre a sinistra stanno San Filippo Benizzi e San Rocco. Un’iscrizione ricordava i personaggi rappresentati ed i devoti che ne curarono l’esecuzione: Antonio e Giorgio Tabanelli, Girolamo Rossi, Buldrino, ser Alessandro Mazzolani e frate Angelo da Firenze. L’opera è da attribuirsi a Girolamo da Treviso il Giovane, pur tra i dubbi di padre Gaddoni, più propenso alla scuola di Innocenzo da Imola. Altre pitture stanno nella “finta” cupola. Nel catino c’è il mistico Agnello simbolo del Cristo, mentre nei quattro pennacchi sono affrescati i ritratti degli Evangelisti. Loro autore, secondo padre Gaddoni sarebbe mastro Giambattista d’Orfeo (1), pittore, al quale la Confraternita deliberò il pagamento per le pitture a San Sebastiano in una adunanza del 4 settembre 1559.
Uno dei due altari laterali era dedicato a Sant’Antonio Abate e conservava una enorme statua del Santo, di non grande bellezza ma risalente al XVI secolo. Pio IX, quando era vescovo di Imola, in una visita ebbe ad esclamare “Che Santone avete!”. L’altro altare era dedicato a San Rocco e vi era esposta una tavola raffigurante il titolare con altri Santi che però venne tolta nel XVII secolo, quando, nella visita del 1690, l’altare fu trovato malandato e non intitolato ad alcun Santo. Nel 1740 fu dedicato al SS.mo Crocifisso, senza alcuna immagine, per cui il Vescovo ordinò collocarvi un crocifisso grande, ornato di una cornice affrescata o su tela. Oggi gli altari non esistono più ed al loro posto campeggiano due lapidi marmoree con i nomi delle vittime dei militari castellani periti nella prima e nella seconda guerra mondiale. Opere d’arte di particolare pregio sono la lampada votiva in ferro battuto che campeggia al centro della navata, ed i candelabri posti sotto la via crucis, tutti in ferro battuto, opera della bottega faentina del Cav. Luigi Matteucci che ricordano lo stile della cancellata esterna, riproducendo spine ed intrecci.
L’altare maggiore è un monolite di pietra del Carso rosa. I banchi lignei provengono dalla chiesa di San Petronio. Sul campanile a vela fino a qualche anno fa campeggiava una delle campane più antiche del territorio, oggi esposta al Museo Civico. Si tratta di una campana trecentesca di forma allungata, all’uso germanico, opera di fonditori tedeschi o, comunque, transalpini che passavano di borgo in borgo costruendo campane su richiesta. Già posta sul Palazzo Pretorio, fu poi portata sul campanile di San Sebastiano, sopravvivendo anche alla seconda guerra mondiale, ferita solo da una scheggia di granata. La campana porta al centro, in carattere gotico, la lettera “enne” probabile firma del fonditore e, alla base, la seguente scritta sempre in gotico: “XPS VICIT XPS REGNAT XPS IMPERAT MCCCXXXV”. Per motivi di sicurezza, è stata smontata e al suo posto si trova oggi una campana nuova della fonderia di Castelnovo ne’ Monti.
La chiesa è circondata dal Parco della Rimembranze, ove sono disposti in tre filari curvi a esedra novanta tra pini e cipressi, intervallati da altre piante più giovani poste dopo il 1945, ognuna delle quali ricorda un caduto il cui nome è posto in una targhetta alla sua base. Di fronte alla chiesa è stata da alcuni anni collocata la riproduzione della “Madre del Legionario” di Angelo Biancini, facente parte del Museo all’Aperto dedicato al grande concittadino scultore. Chiude lo spazio prospiciente la via Emilia una imponente cancellata in ferro battuto, eseguita nell’officina del cav. Luigi Matteucci di Faenza su disegno del prof. Giovanni Guerrini dell’Accademia delle Belle Arti di Ravenna che colpì molto Francesco Balilla Pratella il quale, dopo una visita a San Sebastiano, così scriveva su “La Piè” n. 1 del 1926: “il mirabile lavoro di ideazione e di esecuzione ricorda liricamente e simbolicamente la regale corona di spine che fu posta intorno alla fronte di Gesù Cristo”.
Paolo Grandi
Bibiliografia:
- La chiesa monumentale di S. Sebastiano presso Castelbolognese : 1507, die 5. mensis hotobris Lanbertus fecit / P. Serafino Gaddoni. – Imola : P. Galeati, 1924.
- Le chiese della Diocesi d’Imola (vol. 1) / Serafino Gaddoni. – Imola : Galeati, 1927.
- Castellani oltre il Piave : la memoria e il ricordo / Angelo Nataloni, Andrea Soglia. – Faenza : Edit Faenza, 2006.
NOTA (a cura di Andrea Soglia)
(1) Si tratta di Gianbattista Bernardi, nipote di Giovanni da Castel Bolognese
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