1945 – Io c’ero, vi porto i miei ricordi
di Paolina Pini
(trascrizione a cura di Paolo Grandi)
Il 27 gennaio di ogni anno la televisione ci riporta alla memoria i tristi anni della seconda guerra mondiale. Il 27 è dedicato alla shoà ci riporta la triste storia che sconvolse il popolo ebreo vittima innocente di deportazione e dolori che mai saranno dimenticati e devono essere di monito ai giovani ai popoli a venire e a chi governa.
Io ai tempi ero piccola, ma ho ricordi precisi che riaffiorano alla mia mente piccoli frammenti di vita vissuta con angoscia che vorrei ricordare con povere parole mie quei giorni, ricordare l’angoscia dei grandi, i vecchi che già avevano vissuto la guerra del ’15-’18, gli orrori le ferite fisiche e morali lo si leggeva sui loro volti stanchi, sulle loro spalle curve, sui loro sorrisi stanchi spenti da un pianto represso.
Ricordo i preparativi, le provviste per la guerra si diceva, ricordo i contadini coi carri trainati dalle mucche portare la farina ai forni e cuocere non pane ma gallette che si conservavano nel tempo nei sacchi di iuta.
Le donne fare conserve, marmellate, conservare nei sacchetti di iuta i fagioli ceci granturco.
I contadini avevano le stalle piene, tanti maiali, conigli, pollame di ogni genere conigli si pensava ad un passaggio ma furono 6 lunghi mesi in cantina da fine ottobre ad aprile.
Ma prima il paese si riversò in campagna, ricordo i primi allarmi, la sirena era installata sulla torre, era un correre verso il fiume, verso la campagna, ricordo papà attaccava un carretto alla bicicletta, noi dentro e via verso Tebano; i birrocciai facevano da taxi, caricavano gli anziani e via a noi sembrava un gioco, verso Tebano dopo la cabina della luce c’era un grande bosco di acacie altissime.
Quel giorno si era appena arrivati gli acaci erano in fiore tante vespe un ronzio sordo un profumo che ancora ricordo, quando oggi ne risento negli alberi dei giardini tante persone ormai in quel boschetto era diventata una grande famiglia. Quel giorno fu particolare il ronzio delle vespe fu presto sopraffatto dal sordo rombo 4 aerei a bassa quota uno sganciò, che all’attimo sembrò una bomba, ci fu un grido di paura poi uno con il cannocchiale gridò “è un contenitore di carburante vuoto!” Ci fu un oh! Di sollievo, gli aerei continuarono ad abbassarsi fino a rasentare gli acaci, erano americani ci salutarono con le mani lanciarono cioccolata e sigarette la fifa fu grande come fu grande la gioia dello scampato pericolo.
Un altro ricordo, una notte fummo sorpresi da una grande luce che illuminava a giorno; erano bengala, poi bombardieri a tappeto bombardarono di sorpresa la campagna verso le colline, il rumore della guerra non lontana in quella notte di luce, per la prima volta la sentii nel cuore, mamma e papà ricordo ci abbracciarono forte per darci coraggio e stemperare l’angoscia che avevano nel cuore.
Noi si dormiva allora al piano superiore ma dopo questo episodio papà pensò di trasferirci al piano terra si porse un altro problema il grande portone di entrata era vecchio e di legno leggero, papà pensò bene di porre grosse assi di sicurezza, disse se cadono granate nel cortile e così fu nella notte due granate scoppiarono in un ventaglio di schegge che si conficcarono nelle grosse assi e papà disse “per questa volta l’abbiamo salvata la pelle!! Ma è meglio cercare una cantina” e così ci ospitò Sgalaberni. Furono giorni di lavori frenetici, si seppellì le cose che non si poteva portare in cantina portammo in cantina un tino di grano un prosciutto della farina delle coppe, salami, riso, conserve, vino, un grande macinino giallo e rosso che serviva per macinare il grano tanto che finito il grano furono finiti anche gli ingranaggi del macinino, un poco di biancheria, il cambio di 3 reti, abiti, cose personali, vettovaglie, la stufa, valige per armadi cominciava così la nostra nuova vita di guerra.
Ricordo: andiamo in stazione è deciso da giorni se ne parlava, così la giornata è serena e tranquilla assieme ad altri bambini si combina. Di nascosto di corsa in stazione da giorni i grandi parlavano di treni merci carichi di prigionieri che venivano in Germania portati così avevano stimolato in noi tanta curiosità.
Così arrivati la nostra curiosità è soddisfatta dolorosamente c’è un treno, ma è un treno merci fermo dal quale vengono pianti, lamenti richieste di acqua io mi guardo attorno i miei compagni erano spauriti anche perché la stazione era pattugliata da tedeschi armati e molto cupi io trovo in terra un barattolo vuoto lo lavo lì alla fontana, lo riempio d’acqua che butto verso quelle fessure aperte in quei vagoni di legno verso quelle voci che chiedevano acqua e mi chiedevo perché tutti quei soldati non ascoltavano quelle disperate richieste, un militare accortosi dei miei gesti cominciò ad imprecare poi mi puntò il mitra al petto, poi lo voltò e col calcio del mitra mi colpì con violenza alla spalla, io ruzzolai fuori dalla stazione attraverso una siepe a fatica mi rialzai e a casa di corsa, impaurita ma piena di dolore per quelle persone che chiedevano acqua e nessuno aiutava, e capii poi nel racconto dei grandi il loro triste destino.
Ricordo quel giorno di sole, il cielo si riempì di apparecchi luccicanti sembrava di vedere un mare alla rovescia tanti pesci luccicanti non nuotavano in quel azzurro, ma rombavano nell’aria non era che un esibizione di forza nella guerra che infuriava sul nostro paese.
Un altro ricordo una mattina due militari armati vennero a prelevare gli uomini dalla cantina per portarli a lavorare in strada, avevamo cominciato a scavare una rete di trincee che permetteva ai soli militari spostamenti sicuri, i giovani erano addetti agli scavi, gli anziani erano addetti al recupero di porte, armadi tavoli che servivano per coprire le trincee che poi venivano ricoperte di terra.
Papà si era lasciato crescere i capelli e la barba, i suoi capelli bianchi l’invecchiavano a volte gli risparmiarono il lavoro, i soldati lo chiamavano Papà Natale quella notte sul paese si riversò un attacco di granate grandissimo, così rastrellarono tutti gli uomini il pericolo era grande in strada ma lui e altri 5 la mandarono nel mulino Giovannini a mezzogiorno fecero pausa per mangiare un panino uscirono a fumare, ma uno rimase dentro uno scoppio improvviso una granata colpì l’interno l’operaio rimasto morì gli altri sconvolti smisero il lavoro, papà fu colti da febbre per giorni il suo pensiero a noi tre piccoli saremmo rimasti soli disse il pensiero lo sconvolgeva.
Ho visto morire un giovane militare sotto il portico davanti alla porta che portava alla cantina, in due portavano una damigiana, quando un sibilo, uno scoppio, una granata nel piazzale le schegge a ventaglio una pioggia una colpì al petto il giovane ricordo con un filo di voce mormorò mamma! e si accasciò la damigiana si salvò.
La cantina era spaziosa, tre ambienti uno centrale il più grande occupata da 18 persone 5 nuclei famigliari una cucina economica per tutti, una piccola parte adibita a bagno era la parte che usavamo per imbottigliare il vino, c’erano grandi vasche acqua a volontà che si attingeva dal pozzo la parte più bella era occupata dal comando tanti ufficiali in parte quasi gentili in particolare uno che lavorava con compensato a intaglio stava ore ed ore intagliava una giostra che diceva per i suoi bambini in Germania.
Ci fu un cambio di comandante in seguito ad una baruffa per donne un militare nuovo arrivato era molto bello ricordo, ma aveva sempre il bicchiere in mano, era ubriaco già di mattino, giocava con strane penne che accendeva e buttava scoppiando una ferì mio fratello gli amputarono 3 dita, una seconda sì perché le accendeva a mazzetti lo ferì ad un occhio rischiò la cecità fu la bravura e la pazienza di un infermiere nelle medicazioni se l’occhio si salvò.
Una sera di fine marzo ricordo quel giorno perché io festeggiavo il compleanno 9 anni un militare mi regalò una bambolina, rossetti profumi razziati nel negozio Muccinelli, poi ci fu ordinato di uscire perché dovevano far saltare le colonne del porticato sovrastante la cantina dissero per rallentare l’avanzata del nemico che pareva imminente, poi un militare si presentò come ingegnere guardò le due grandi colonne le giudicò sicure, ci consigliò di ripararci il viso dalla polvere l’unico pericolo e militarmente ci salutò la fortuna ci assistì, in pochi minuti una dopo l’altra 6 colonne saltarono con un rumore assordante in quell’attimo guardammo le due colonne le vedemmo spostarsi per ritornare immediatamente nella loro posizione la paura fu tanta e un anziano disse “proprio il cielo non ci vuole” e asciugandosi gli occhi ringraziò Dio dello scampato pericolo.
Le provviste fatte si stavano esaurendo uscire era pericoloso, scarseggiava tutto i fornai lavoravano quando potevano i mulini distrutti la farina scarsa era portata da volontari come pure il pane, che a rischio della loro vita facevano chilometri sprezzanti del pericolo quanti eroi anonimi!!
quei giorni! la carne era introvabile in 6 mesi di guerra anche i militari con il bestiame delle nostre campagne si erano nutriti ed erano tanti, il nostro tino vuoto pochi chili le ultime pizze furono impastate con patate e la farina macinata un poco di grano con quel grande macinino giallo e rosso ormai con gli ingranaggi consumati ci si aiutava fra famiglia i soldati stessi si davano il loro pane nero era buono non c’era altro, avevano marmellata rubata nelle case dei contadini, latte condensato buono anche quello.
Ricordo che un militare disse a papà quando il tino sarà vuoto ne ho bisogno io, una sera si presentò con una bicicletta pulì il tino raccolse quel poco grano lo mise in un secchio ripose la bicicletta con queste parole “mi può servire molto presto, per noi il tempo di andare non è lontano, non temere per mangiare ti aiuterò” era in divisa ma parlava l’italiano correttamente senza cadenza straniera, anche i tratti somatici del viso erano più emiliani che tedeschi ma!!
Già dai primi giorni di aprile il paese fu sottoposto ad un tremendo attacco di granate, per giorni e notti una pioggia incessante martellò il paese, i militari erano nervosi si capiva la loro paura, cominciarono a caricare camionette con cose di valore e alimenti, pane, salumi quanto potevano razziare nelle cantine, noi si assisteva impauriti, il militare prelevò la bicicletta dal tino ci salutò con un si ritorna a casa è finita.
La notte del 11 aprile ci fu silenzio fino all’alba, poi due terribili esplosioni fecero tremare il paese, poi il nulla, aspettammo il mattino con ansia e curiosità.
Due donne, le più anziane, di buonora si alzarono e con timore salirono la prima scala, urlarono il comando è vuoto, si fecero coraggio, di corsa l’ultima scala, un urlo e di corsa le ridiscesero, urlando “non ci sono più non ci sono più”, in un attimo tutti su in strada. Ricordo quei volti pallidi, le barbe lunghe degli uomini quelle vesti consumate, quella magrezza nei bambini, nella gioventù, la sofferenza vissuta terribile ma si sorrideva.
Da Faenza il liberatore avanzava, ricordo lanciarono un ponte di ferro per poter superare la voragine che aveva prodotto lo scoppio delle mine provocando il crollo del ponte, avanti la ruspe aprivano la strada ingombra di macerie, rumore, polvere, dietro militari i polacchi davanti, dietro militari di colore soldati altissimi, i biondi americani stupiti, dissero che se non fossero riusciti quella notte il paese sarebbe stato raso al suolo, pensavano fosse in mano tedesca, stupiti nel vedere tanta popolazione capirono la nostra fame, ci riempirono di tante cose buone, di festa e via verso Imola, ma nella ritirata, ancora tanti morti, tanti feriti, ma era finita.
Ricominciare a vivere non fu facile, il paese distrutto le campagne minate, gli alberi da frutta tutti fioriti ma lavorare la terra si rivelò un terribile pericolo, furono formate squadre di sminatori tanti di loro diedero la loro vita nei campi e nelle case dove i tedeschi avevano minate le coso più impensate come stufe, materassi, pentole, addirittura morti con questa dicitura: il tedesco si difende anche da morto!
La casa dove abitavamo era per metà diroccata ma rientrammo occupammo 4 camere 2 piano terra 2 al secondo piano, la scala esterna nel cortile era rimasta intatta per fortuna, ricordo 35 gradini un bel terrazzo, una camera però era senza tetto, in quella papà montò una tenda e per 8 mesi per me fu la mia camera, come dice una canzone il cielo in una stanza, esposta a tutte le intemperie, mamma aspettava un bambino, da Modena nonno Paolo venne da noi, papà si sentiva sicuro se Gino e Luciano dormivano vicino a lui così un letto matrimoniale, 3 reti un armadio la culla io fui sacrificata, poi nonno si ammalò il suo cuore stanco si spense io potei occupare il suo letto era fine novembre, sotto la tenda faceva freddo, quell’inverno nevicò presto io presi una brutta tosse ma passò da allora sono molto vulnerabile al freddo.
Ricordo quanta fatica per quelle scale pioveva e su e giù con ombrello quando nevicava si andava con badile e scopa, e per il bagno di notte un secchio.
Al piano terra la cucina un bel camino, una porta a vetri che si apriva sull’orto e papà montò una capanna, un ripostiglio, nell’orto tre alberi, un albicocco, un cachi, un fico, due viti di uva bianca che già a fine agosto era matura, nelle stagioni la frutta e il pane fu la colazione, merenda e cena.
Nonno Paolo faceva il calzolaio così papà aveva imparato il mestiere gli ritornò utile, ricominciò. Faceva sandali da lavoro, non era facile trovare il materiale per le suole sfogliava copertoni di ogni tipo per le tomaie sul mercato c’erano pelli bovine conciate malamente erano grezze, però robuste, lavorava giorno e notte quando ne aveva una bella serie di vari numeri andava al mercato naturalmente in bicicletta col carretto dietro e via così il lavoro aumentò. Un contadino pagò con una chioccia e un bellissimo gallo così sotto la capanna un nido poi un’altra gallina, tante uova un’altra chioccia nacque così un bel pollaio, io ne avevo cura, quando avevo uova in più le portavo da Rosina all’alimentari facevo baratto una volta lo zucchero, l’olio, la mortadella, il tonno, quante volte Rosina commossa mi regalava caramelle che io dividevo coi fratelli più piccoli.
Ho imparato allora a fare la spoglia papà mi fece uno sgabello per arrivare al tavolo e così io a solo 10-11 anni ero già una piccola grande donna. Mamma dopo il parto si ammalò così io fui responsabilizzata della tribù.
Quante memorie di quei giorni fare il sapone si andava al macello per grasso di bestia ossa tutto si faceva a pezzi poi con soda caustica tutto a bollire nel paiuolo di rame una volta sciolto il tutto si versava su di un asse di legno, prima che rassodasse si tagliava a pezzi poi si lasciava seccare, faceva tanta schiuma puliva bene era anche profumato.
Altro problema cucinare si usava il fornello a carbone, naturalmente fuori porta nel cortile, ne avevo due uno grande per cucinare con la pentola, uno più piccolo per il ragù e umido.
Quando una gallina invecchiava e non faceva più l’uovo finiva in pentola con grande dispiacere di tutti perché facevano parte della famiglia ci mantenevano però era una festa io impastavo 5 uova e facevo le tagliatelle tagliate fini fini, ne risento il sapore mentre ricordo, con le interiora facevo il soffritto, tanta cipolla, tanto pomodoro, papà diceva sempre è speciale!
Ricordo quando c’era il temporale e tirava forte il vento dai grandi tigli cadevano piccoli e grossi rami io andavo per viali li raccoglievo ne facevo piccole fascine per accendere il fornello, nell’estate riempivo grandi scatoloni che custodivo gelosamente nel sottoscala ben chiuse, si conservava anche la cenere che setacciata con cura serviva per fare il bucato, il bucato con la cenere che fatica!!
Per fortuna c’era il pozzo nel cortile dal quale si attingeva l’acqua col secchio. Lavato lenzuoli e robe bianche si componevano nel mastello, si copriva con un telo, sul quale si metteva la cenere si versava l’acqua bollente che filtrando attraverso il telo la cenere si trasformava in ranno riposava tutta la notte, il bucato così lavato conservava un profumo e una morbidezza che nessun detersivo e ammorbidente di oggi regge il confronto.
Un altro ricordo ancora era la primavera del ‘48 quel pomeriggio io in cucina fecero compiti mi piaceva la scuola ma sapevo bene che mi era impossibile continuare mamma non stava bene, io dovevo aver cura della casa, quando lei stava meglio seguiva papà nei mercati quel pomeriggio stavo studiando e facevo il compito, fui distratta da un colpo di clacson, una bella macchina si fermò nel viale, davanti a casa, al volante un signore sorridendo mi chiese: abita qui Pini? Al mio sì scese lo rivedo, un uomo di alta statura di corporatura robusta elegante per quei tempi un bel volto sorridente rassicurante, quel che mi colpì maggiormente fu il suo profumo profumava di parmigiano. Papà era nel cortile sentì le voci lo vidi arrivare emozionato e ancora prima di vedere la persona lo chiamo Pellacani!!! Un abbraccio fra due vecchi amici sì perché papà fino ai 20 anni col padre fece il calzolaio, poi con Natale, un cugino fece il formaggiaio con lui per mercati Pellacani era il loro fornitore prima della guerra, così finito che fu la guerra ricominciò a ricercare i clienti e fu la nostra fortuna fu categorico disse prepara le assi io ti mando 20 forme quando le hai vendute me le paghi Pini, una stretta di mano così papà riprese l’antico mestiere.
Pellacani ci aiutò a comprar casa, la macchina per andare ai mercati, tanti i sacrifici ma ben
compensati, finalmente si ricominciava a vivere tempi migliori.
Io ho voluto ricordare quei giorni quei tempi vissuti nel dolore, nella paura, io bambina senza infanzia senza adolescenza, quella bambina mai morta in me che ancora cerca nella sua tarda età l’infanzia rubata, i sogni le fantasie dell’adolescenza, in piccole cose, un abito, una collana, un rossetto, un fiore insomma come mi dicono ora?
Oggi con te vive l’amico dei tuoi tempi l’amico Jol!!!
Io sono buona li perdono!!!
Paolina Pini oggi mercoledì 12 giugno 2013 D.C.
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