Storia delle patatine fritte
di Emilio Gondoni
tratto da “Linea diretta”, luglio 1995
(Introduzione) Emilio Gondoni, cofondatore e presidente dell’AVIS castellano per alcuni decenni, fu anche, come ci ricorda Paolo Grandi nel necrologio, “cuoco per diletto e gastronomo” e “non si risparmiava in lunghe serate sopra i fornelli sia alla Sagra di Pentecoste, ove fu per anni il primo polentaio, che alla Festa dell’Amicizia ove si spinse anche nella sperimentazione culinaria”. E nella sperimentazione culinaria possiamo far rientrare la felice intuizione di introdurre le patatine fritte nelle feste e nelle sagre castellane, una intuizione che nel 2018 compie 40 anni. Ed è lui a raccontarci la storia delle patatine fritte nell’articolo che segue, scritto nel 1995, nel quale “rivendicava” in qualche modo la sua “invenzione” e dove scriveva, con una punta di orgoglio, che “da allora non c’è festival, non c’è manifestazione in cui non si friggano e non si vendano patate fritte”. Fra queste manifestazioni c’è il Festival Avis, nato nel 1982 (da un’altra brillante idea del vulcanico professore), che fin dalla sua prima edizione ha nel menù proprio le patate fritte, “inventate” pochi anni prima. (Andrea Soglia, agosto 2018)
Una volta… “Ma quèsta l’è e’ prinzèpi d’na fóla!” “Lasem dì e pu dop a n’in scurên” (Ma questa è l’inizio di una favola — Lasciami dire e poi ne parleremo).
Dunque dicevo: una volta non c’era sagra, non c’era festival dove si preparassero patatine fritte né si conoscevano patate precotte e surgelate pronte per essere fritte. Ma avvenne che nell’anno… Aspetta che vado a vedere nelle mie scartoffie… Già: nell’anno 1978 i vigili urbani di Faenza insieme con quelli di Caste! Bolognese organizzarono a Castelraniero un raduno internazionale di guardie civiche. Ricordo che erano presenti rappresentanti londinesi, francesi, svizzeri, austriaci e jugoslavi. Vollero che andassi a preparare la polenta, perché, dicevano, che la polenta fatta da me era speciale! (Balle: era come tutte le altre polente, solo girata e rimestata a mano!). Dietro tante insistenze andai e dovetti preparare anche garganelli al sugo e friggere patate come contorno alla carne che ognuno si cuoceva secondo i propri gusti sugli ampi bracieri e graticole preparate. Per fortuna che gli organizzatori si erano dotati di un pelapatate elettrico, altrimenti…
E per friggere? Due pentoloni smaltati pieni di olio e un paio di quelle reticelle che si usavano per scolare le verdure: si riempivano di patate tagliate a fettine regolari con uno strumento a ciò predisposto, si tuffavano nell’olio bollente reggendolo per i manici (che poi si infuocavano e scottavano le mani protette alla meglio con stracci e carta), si versavano in un capace tegame e si salavano con sale fino.
Quante ne mangiarono: roba da mettersi le mani nei capelli!
Finita quell’avventura (conservo ancora le medaglie ricordo di cui mi fu fatto omaggio) e, rientrato a Castello, nei giorni seguenti incontrai giovani della D.C. che preparavano il Festival dell’Amicizia e proposi loro le patate fritte come piatto che costava poco, se ne sarebbe venduta in grande quantità e avrebbe perciò realizzato un notevole guadagno. Nicchiarono un po’, poi si convinsero, però mi fecero arrabbiare quando, nonostante le mie raccomandazioni, a tre giorni dall’inizio del festival non avevano ancora provveduto al pelapatate.
Rimediai facendo acquistare trenta coltelli da cucina e assicurandomi la presenza ogni sera di 15 ragazze: i maschietti sarebbero arrivati. Furono sbucciate e fritte 4 quintali e mezzo di patate. Un successo!
L’anno appresso il Presidente della Pro Loco mi chiese se si poteva ripetere l’esperimento durante la Sagra di Pentecoste. Risposi che il problema più spinoso era quello dello sbucciare le patate, ma un consigliere, Tondini il macellaio, mi invitò a prendere da lui un sacchetto su cui stava scritto “pommes frites”: — Penso che siano patate da friggere — mi disse. Le frissi e le condii con sale, rosmarino, aglio e timo triturati ben fini: erano ottime; avevamo risolto il problema delle patate sbucciate. Durante la Sagra di Pentecoste pesta aglio, rosmarino, timo e poi altre erbe aromatiche e friggi patate: quando la notte rientravo a casa sapevo di patate fritte. Quanti quintali andarono distribuite? E chi se lo ricorda! Forse, frugando fra le carte della Pro Loco, è possibile appurare quante patate andarono consumate; so solo che il successo fu grande, che rischiammo più volte di rimanere senza approvvigionamento in quell’anno e negli anni successivi e so ancora che un anno la Pro Loco, in tutte le sue manifestazioni, frisse e distribuì 14 quintali di patate fritte. E da allora non c’è sagra, non c’è festival, non c’è manifestazione in cui non si friggano e non si vendano patate fritte.
“Una felice intuizione la sua!”
”No, caro signore, perché se così fosse, avrei potuto mettere una royalties di poche lire (magari 5) ogni piattino di patate fritte vendute e a quest’ora avrei fatto i miliardi; e invece…”.
“Sono andato fuori tema per rivendicare che cosa? Niente, caro signore, ho voluto solo scrivere a futura memoria”
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