Francesco Berti (1838-1867) e Arnaldo Cavallazzi (1848-1867)
di Alessia Bruni
Francesco Berti, figlio di Giovanni e Cristina Budini, nacque a Castel Bolognese il 20 ottobre 1838. Fratello di Ettore Berti (ufficiale nell’esercito regolare, successivamente Presidente della Società dei Reduci di Castel Bolognese), cugino di Mario Giommi (volontario con Giuseppe Garibaldi nel 1866, poeta e pittore, chirurgo eminente) e dei tre fratelli Cavallazzi: Arnaldo (studente universitario, volontario con Garibaldi nel 1866), Raffaele (che sarà esponente internazionalista anarchico di rilievo) e Giovanni Giuseppe Cavallazzi (militare nell’esercito regolare).
Cresciuto sotto l’influenza di zie e zii materni, in particolare di Giuseppe Budini, figura di primo piano del Risorgimento italiano, è ricordato nella memoria della famiglia con queste parole: “nella sua breve vita fu presente in ispirito e in corpo ad ogni manifestazione diretta contro ai vigliacchi di dentro o ai tiranni di fuori. Fu soprannominato lo ‘Svegliarino’ perché quando suonava la diana Garibaldina correva a scuotere i dormienti”.
Volontario, arruolato nel 18° di fanteria dell’esercito sabaudo, prese parte alla battaglia di San Martino (Brescia) il 24 giugno del 1859, battaglia che concluse la II guerra d’indipendenza. Non partecipò ad altre battaglie solo perché il 18° di fanteria non fu coinvolto in altre operazioni.
Ci piace pensare che Berti fosse tra coloro che accolsero Garibaldi quando si fermò a Castel Bolognese la sera del’8 ottobre 1859, ricevuto da una popolazione delirante
e pronunciò dal balcone del Municipio un breve discorso alla presenza di un “drappello di giovani reduci della gloriosa campagna di Lombardia, in militare assisa, colle loro armi, schierati in ordine di battaglia, per rendergli quegli onori che non tanto il grado quanto al nome di Lui sono dovuti”, come riportato dal Monitore di Bologna del 14 ottobre 1859. Garibaldi ripartì fra le acclamazioni entusiaste dei Castellani che vollero staccare i cavalli e trainare la carrozza fino alla Torretta, al confine con Imola. Nelle sue memorie Garibaldi riporta che “nell’Italia centrale, agli ultimi mesi del ’59, centomila giovani si sarebbero serrati intorno a me, e con loro si volgeva certo favorevole la diplomazia europea; oppure coi soli trentamila allora riuniti nei Ducati e nelle Romagne potevasi decidere in 15 giorni la sorte dell’Italia meridionale; fare infine ciò che si fece coi Mille un anno dopo.” Il plebiscito del 11-12 marzo 1860 sancì l’annessione al Regno di Sardegna della Legazione di Romagna; mentre, scrive Garibaldi, “le popolazioni delle Marche e dell’Umbria continuavano ad agitarsi.
Berti, per essere tra quelli che dovevano “irrompere sulle Marche, per discacciarne gli sgherri del Papa-Re”, si arruolò nuovamente volontario nel 1860 ma i volontari furono obbligati a giurare un periodo di 18 mesi di ferma, operazione che Garibaldi suppose avesse come obiettivo di inceppare la sua azione. Berti si trovò a “passare 18 mesi, lunghi per lui perché inoperosi, nel reggimento degli Ussari di Piacenza”, mentre da maggio a ottobre Garibaldi guidava la “Spedizione dei Mille”, da Marsala a Teano.
Berti tornò a Castel Bolognese dove, il 1 ottobre 1865, si tenne il Primo Congresso della Democrazia Romagnola, con circa 50 delegati, tra cui Aurelio Saffi di Forlì, Eugenio Valzania di Cesena, Quirico Filopanti di Budrio, Vincenzo Caldesi di Faenza, Carlo Missiroli di Ravenna e Giovanni Emiliani di Castel Bolognese, in cui si discusse anche la liberazione di Venezia e Roma. Si prepara la III guerra d’indipendenza. Quando, nel maggio 1866, “la tromba guerriera del generale Garibaldi di nuovo si fé sentire chiamando a raccolta la gioventù italiana, il Berti fu pronto a correre a Barletta per farsi iscrivere [il 2 giugno 1866] nel 9° reggimento dei Volontari che colà si organizzava”. Di lì a poco si arruolarono, ma nel 7° reggimento, anche due suoi cugini, studenti universitari a Bologna, anch’essi nipoti di Giuseppe Budini: il 5 giugno Mario Giommi, di 19 anni, con il grado di caporale, e il 29 giugno Arnaldo Cavallazzi, di 18 anni. Terminato l’addestramento, la tradotta dalla Puglia al Tirolo ripassò da Castel Bolognese; Valentino Stoppa, volontario di Lugo, descrive il viaggio: “un treno speciale composto di carozze di scarto III classe e che non contenendoci tutti, si montò anche nei carri merci e stretti come l’acciughe nel barile si partì col desiderio di arrivare presto al campo di guerra essendo a nostra conoscenza che i fratelli dell’esercito erano stati battuti a Costonza [Custoza, 24 giugno 1866]. Che viaggio monotono finalmente si arrivò ad Ancona; dopo due ore di fermata si ripartì per Rimini e Bologna. In tutte le stazioni dove passavamo, eravamo accolti con auguri ed evviva. Giunti a Castel Bolognese mi aspettava una grata sorpresa. Mia sorella che aveva Saputo del nostro passaggio, da tre giorni, sempre in stazione giorno e notte, per tema di perdere l’arrivo di un treno, mi aspettava per darmi forse l’ultimo addio. […] Arrivammo a Brescia all’una dopo mezzanotte; dovemmo caricare su barocci e portare a braccia molti compagni, perché nel lunghissimo viaggio km 940 gli si erano gonfiate le gambe.”
La campagna del Tirolo mise a dura prova la resistenza fisica dei volontari, sia perché combattuta in montagna con forti escursioni termiche, sia perché i volontari erano poco o nulla equipaggiati. Scrive Raffaele Tosi “Eravamo stanchi, spossati: le vampe del sollione sul capo, per guanciali gli sterpi, non una capanna, non un filo d’acqua, negli occhi il sonno, nello stomaco il digiuno”.
Berti combatté a Storo (Trento) il 16 luglio, giorno in cui gli Austriaci, con un forte attacco, tentarono di sorprendere e circondare il Quartier Generale dei Garibaldini che lì aveva sede. Già il giorno seguente si ammalò, fu ricoverato in ospedale e non poté prendere parte alla campagna di Bezzecca.
Il cugino Arnaldo combatté “a Condino [16 luglio] e Bezzecca [21 luglio], sostenendo fatiche e disagi sì gravi che gli infermarono il corpo e gli spensero la vita a soli 18 anni”, il 12 gennaio 1867, a Castel Bolognese, pianto dal padre Antonio, dalla madre Fortunata Budini e dagli amici che gli dedicarono una memoria (1). “Nella tua vita quantunque breve, desti tuttavia esempio di buon cittadino. Dotato di ingegno pronto e vivace, atto a comprendere ciò che v’ha di grande e di generoso non mancasti di correre in difesa della patria. Con somma costanza superasti fatiche e disagi nell’esercito dei Volontari, e finalmente ritornasti in seno alla famiglia cresciuto di fama, ma sommamente decaduto nella robustezza fisica. Fin da quel punto un morbo letale serpeggiò nel tuo corpo, e mentre, compiuti gli studi nel R.° Liceo Toricelli [sic!], davi opera alle scienze mediche, ti rapiva alle speranze della patria.”
Francesco Berti tornò al paese, ma solo per breve tempo, presso il padre rimasto vedovo; nel frattempo il fratello Ettore era nell’esercito regolare. Sul finire del settembre 1867 si va organizzando “la spedizione che ebbe poi fine a Mentana per opera dei meravigliosi Chassepots francesi, il Berti per la quarta volta non fu dubbioso a offrire per la libertà della patria la propria vita”. Si recò a Terni e cercò di arruolarsi nella colonna di Enrico Cairoli, in cui vi sono otto suoi compaesani, che si batterà a Villa Glori il 23 ottobre 1867. “Non accettato dunque nella piccola colonna di Enrico Cairoli, unicamente perché al suo presentarsi erasi già raggiunto il numero prestabilito, egli si rivolse ad altri amici e questi il fecero inscrivere tra i Volontari che doveva formare la colonna di Eugenio Valzania di Cesena, nella quale colonna vi entrò col grado di sergente. E fu in questa colonna, e alla testa del suo plotone che, combattendo da valoroso cadde morto, ferito al petto da una palla nemica, sotto la porta barricata di Monte Rotondo, all’imbrunire del giorno 25 ottobre 1867. Nel pubblico cimitero della sua patria, gli amici e parenti eressero una lapide acciò i posteri leggano il nome di quel prode”(2). Le notizie della morte del sergente Berti Francesco e del ferimento del compaesano Raffaele Pirazzini, luogotenente, giunsero con la relazione del Colonnello Valzania, pubblicata il 14 novembre 1867 su L’Amico del Popolo, giornale dell’Emilia per la democrazia italiana, edito a Bologna.
I reduci della “gloriosa, quantunque disgraziata Campagna di Roma” rientrarono accolti come sovversivi dallo stato sabaudo. L’anno successivo, primo anniversario della campagna dell’agro romano, l’organizzazione del ricordo e la pubblicazione di manifesti costò l’arresto ai dirigenti della Società del Progresso, patrioti e reduci.
A Castello, sotto il portico comunale, una lapide ricorda alcuni dei caduti per l’indipendenza, tra loro è Berti.
Note:
(1) Alla memoria di Arnaldo Cavallazzi da Castel Bolognese, Tributo degli amici, Tipi Fava e Garagnani, Bologna
(2) Della lapide, andata perduta, è giunto sino a noi il testo, grazie ai preziosi appunti di Giovanni Bagnaresi, che aveva trascritto tutte le lapidi relative al Risorgimento che si trovavano nel vecchio cimitero:
Francesco Berti
di
Castel Bolognese
giovane di ottimi costumi
di spiriti generosi
nell’anno MDCCCLIX volontario
nell’esercito piemontese
combatteva contro gli Austriaci
a S. Martino
nel MDCCCLXVI nel Tirolo
e nel MDCCCLXVII moriva da prode
a Monte Rotondo
la notte del XXVI ottobre
in età di XXIX anni
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All’onorata e cara memoria
i parenti e i concittadini
questa lapide
ponevano
Fonti:
Archivio privato Scilla Cavallazzi Liverani; Mentana: Cenni storici sulla campagna del 1867 per l’indipendenza d’Italia e libertà di Roma, Ed. Bosi, Milano, 1874?; Pietro Costa Comune e Popolo a Castel Bolognese (1859-1922), Imola 1980; Pietro Costa Un Paese di Romagna, Imola 1971; Giuseppe Garibaldi Memorie, Ed. Bertani Verona 1972; Valentino Stoppa Memorie Garibaldine, 1866-1867, Ed. Longo, Ravenna 2012; Raffaele Tosi Da Venezia a Mentana (1848-1867), Ed. Angelini, Rimini 2011; Banca dati della Campagna 1866 nel Trentino occidentale, consultata presso http://www.arabafenice.tn.it/
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Alessia Bruni, Francesco Berti (1838-1867) e Arnaldo Cavallazzi (1848-1867), in https://www.castelbolognese.org
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